#conoscere Dio
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CONOSCERE ALLAH (DIO)
a cura di Beatrice Bianchi “La maggior parte degli iniziati dice che la Gnosi, cioè la conoscenza di Allah viene in conseguenza al Fana El fana ossia per effetto dell’ estinzione dell’esistenza e della estinzione di detta estinzione! Orbene, questa opinione è del tutto falsa. La Gnosi non esige l’estinzione dell’ esistenza (dell’io) perché le cose non hanno alcuna esistenza, e ciò che non esiste…
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NON CONOSCERE LA BIBBIA-Pietro Varrazzo
Uno dei più grossi danni del mondo cristiano è la capacità di parlare della Bibbia senza conoscerla, di vivere Cristo senza la Parola di Cristo, e di pensare di essere ripieni dello Spirito Santo quando la Bibbia si ignora. Quando non si legge la Bibbia, si interpretano le circostanze secondo la carnalità e non secondo Cristo. Quando la Bibbia non si legge, la fede in Cristo viene meno, anziché…
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SE TI STUPISCI ANCORA DAVANTI A GESÙ
SE TI STUPISCI ANCORA DAVANTI A GESÙ, un commento al vangelo della XV Domenica del T.O., disponibile anche come audio-commento e con traduzione in lingua spagnola entrando nella sezione "Commenti al vangelo" del menu principale di predicatelosuitetti.com
XV DOMENICA DEL T.O. anno A (2023) Is 55,10-11; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23 https://predicatelosuitetti.files.wordpress.com/2023/07/xv-domenica-del-t.o.-anno-a-2023.mp3 Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E…
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#Apertura#Ascoltare#Ascolto#Beatitudini#Chiesa#Chiusura#Conoscere#Conversione#Credere#Cuore#Cura#Dio#Discepolo#Domanda#Fede#Gesù#Gioia#Guarire#Infermo#Maestro#Malati#Medico#Meraviglia#Mistero#Occhi#Orecchie#Parabole#Parola di Dio#Piccoli#Regno dei Cieli
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Il misterioso epitaffio di Wernher von Braun
La tomba del fondatore della NASA e capo progettista del programma spaziale americano, Wernher von Braun, reca un epitaffio che fa riferimento al Salmo 19:1, che recita:
“I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento parla dell’opera delle Sue mani”.
Chi, se non il fondatore della NASA, potrebbe conoscere cose che non possono essere discusse apertamente?
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[Lei s’innamorò come s’ innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’ idiota]
La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest’uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l’immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perché c’era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell’uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un’intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d’artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com’era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l’intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l’insonnia, una vecchiaia di secoli, l’inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d’acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l’intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell’inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All’inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr’ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E’ morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all’altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com’era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All’ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d’amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell’anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l’errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perché non la uccidessero, perché la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Passando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l’infaticabile voce di Elidé parlare dell’argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l’attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L’aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull’erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l’uva», disse l’ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d’uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com’era… sai di che cosa parlo», disse l’amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l’ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La zia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevano ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l’altra le centoventimila sciocchezze che l’avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa di lucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell’uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell’uomo che ti ha fatto innamorare come un’imbecille e poi se n’è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l’India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l’Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E’ arrivato ieri», le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L’ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Gli assenti si sbagliano sempre».
Ángeles Mastretta
[racconto tratto dal libro “Donne dagli occhi grandi”]
*traduzione di Gina Maneri
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La mitologia narra che Psiche,una mortale dalla grande bellezza,attirò l’attenzione del Dio Eros che la portò nel suo palazzo,senza mai farsi vedere. Ogni notte andava da lei e facevano l’amore nella totale oscurità. Egli le fece conoscere il desiderio oltre ogni limite e lei si innamorò di lui. Ma Eros le pose la condizione di non vederlo mai in faccia. Una notte Psiche,troppo curiosa di conoscere il volto del suo amato,andò da lui mentre dormiva e lo illuminò con una candela,ma lui se ne accorse. La trasgressione costò a Psiche la discesa negli inferi
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È il Momento dell' Eremita interiore. Viene alla luce in molti di noi... O si viaggia in un piccolo gruppo affiatatissimo o si cammina soli alla ricerca del Sé interiore. Quel luogo ove la Vita Splende senza mai perdersi nel buio, bensì usa la notte per ampliare la sua Dimora luminosa... La Coscienza. Non temete se nel Viaggio vi troverete soli. Non lo siete...MAI. Il Sole e la pietra l'acqua e la Terra gli Anima-li e qualche sorriso puro sulla Via, sono con voi. Dio è con voi...Dio è ovunque. Si...perché l’eremita non è fuori dal mondo. Ha chiarissimi tutti i fotogrammi di quanto accade: le guerre dimenticate, le violenze senza senso, il dolore fisico e morale di tante persone. Un eremita guarda il mondo da un punto di vista diverso: è unito a tutti, proprio perché separato. Ha imparato o sta imparando l'arte del sano distacco. Quello spazio sacro tra lui e il mondo gli permette di conoscere creare vedere amare in modo limpido e veritiero. È l' Ora di adoperarsi per fiorire anche in mezzo al Deserto. Getta Semi Nuovi ovunque tu vada. Shamballa è vicina.... Estee by_bo_dion_di3eor6 ***************************** It is the Moment of the Inner Hermit. It comes to light in many of us... Either you travel in a small, close-knit group or you walk alone in search of the inner Self. That place where Life Shines without ever getting lost in the dark, but uses the night to expand its luminous Home... Consciousness. Do not be afraid if on the Journey you find yourselves alone. You are not...NEVER. The Sun and the stone, the water and the Earth the Animals and some pure smiles on the Way, are with you. God is with you...God is everywhere. Yes...because the hermit is not out of the world. He has very clear all the frames of what happens: the forgotten wars, the senseless violence, the physical and moral pain of so many people. A hermit looks at the world from a different point of view: he is united with everyone, precisely because he is separate. He has learned or is learning the art of healthy detachment. That sacred space between him and the world allows him to know create see love in a clear and truthful way. It is the Hour to work to flourish even in the middle of the Desert. Sow New Seeds wherever you go. Shamballa is near.... Estee art by_bo_dion_di3eor6
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l'Eterno e il Tempo
Uno sguardo sul futuro non può prescindere da una riflessione sul tempo. Nella Grecia antica, ad esempio, ci sono tre figure che rappresentano il tempo:
una è Aion, l’eone, il tempo eterno;
l’altra è Chronos, il tempo che scorre, misurato, che divora l’esistenza.
e poi c’è il Kairos, l’opportunità.
Aiòn, "tempo" in greco antico connesso etimologicamente con l’avverbio aèi "sempre”. Un tempo inteso come eternità, come "sempre essente", distinto dal tempo "chrònos" e dal tempo "kairòs".
Rappresentato nelle fonti antiche, letterarie e iconografiche, come un fanciullo o un ragazzo, con il cerchio dello zodiaco (o un serpente) avvolto intorno al corpo. Eraclito scrive: "Aiòn è un bambino che gioca con le tessere di una scacchiera: di un bambino è il regno del mondo". Con Aiòn si allude alla vita come durata, nelle intermittenze e anacronie dell’esistenza personale. Si tratta di una distinzione in parte assimilabile a quella introdotta da Henri Bergson tra tempo della fisica, quantitativo e calcolabile, e durata, dimensione della coscienza irriducibile a qualsiasi logica sommativa e lineare.
Chrònos "tempo" in greco antico inteso come successione di istanti, di ore, di giorni, tempo che rovina e distrugge.
Già nelle fonti letterarie e iconografiche ellenistiche gli attributi mortiferi e distruttivi del tempo-chronos, vengono confusi con gli attributi del dio Kronos, che nel mito divora i suoi figli, ma viene poi ingannato ed evirato dal figlio Zeus. In particolare l’attributo del falcetto, strumento della mietitura e metafora della ciclica rinascita delle messi, passa dalla divinità sincretica Saturno-Kronos al Tempo-Chronos, la cui iconografia andrà sempre più identificandosi con quella della Morte. Kaìros in greco significa "momento opportuno". Questa parola si riferisce al tempo e in special modo intende al "momento fra", cioè quel determinato periodo di tempo in cui interverrà qualcosa che cambierà lo stato attuale delle cose. Si può tradurre come momento propizio, opportunità.
Da notare che su una delle colonne di Delfi, i sette sapienti avevano fatto incidere la massima “kairòn gnôthi" riconosci il momento giusto. Kairos, l’Opportunità, viene interpretato come un fanciullo alato con i capelli lunghi caduti sulle spalle davanti, ma calvo dietro, come a dire che quando il momento favorevole è passato, esso non può essere preso all’ultimo istante per i capelli. Che ora è? Che anno è? L’orologio e il calendario indicano un tempo che ci domina. Egli è Chronos, che ci dà una cifra convenzionale, senza comunicazione con le leggi della natura.
Ma se ci chiediamo: -Che cosa avviene?- ci interroghiamo e scopriamo se è " il tempo opportuno " dei rapporti continui, seppure inavvertiti dalla maggioranza degli uomini, che intercorrono tra il microcosmo e il macrocosmo. Kairos è un tempo rivelatore, ci svela il senso, l’importanza dell’ora che volge, ci suggerisce il mistero della reazione a catena che collega le cause agli effetti, il prima al dopo, che immette l’uomo nel cosmo ed il cosmo nell’uomo, ci rende consapevoli del fatto che tutto è interconnesso. Nel tempo di Kaìros occorre essere aperti per poter cogliere un momento di rottura che precipita la possibilità di mettere in atto ciò che si è preparato. Sta a noi lavorare per cogliere quell'attimo. Carpe diem, direbbe Orazio. Lo stesso fa la cuoca, se sa cogliere l'attimo in cui i suoi piatti, nel forno, son cotti a puntino; lo stesso fa chi governa una barca, se vira al momento opportuno e nel senso giusto e alza o ammaina le vele, lo stesso il pilota che deve sapere quali comandi e in che momento usarli per decollare sollevarsi accelerare, atterrare; l'atleta, se a tempo debito e con la dovuta forza lancia il disco, scocca la freccia, incalza o molla l'avversario, lo stesso il medico, se dosa il farmaco e il punto e la profondità dell'incisione che va praticando.
E il politico che deve conoscere quali provvedimenti faranno il bene del Paese in quel momento storico- economico; l’insegnante che sa quali saperi al momento opportuno e quali competenze sviluppare nel discente con una progettazione adeguata e misurata sull’allievo. Non per caso la più bella immagine di Kairòs, l'istante topico, l'occasione, o l'attimo fortunato, trovata a Traù, nell'attuale Croazia, era forse posta all'ingresso d'uno stadio. Il bassorilievo raffigura un giovane con le ali ai piedi, recante in mano una bilancia posta in equilibrio su un rasoio e, soprattutto, con un gran ciuffo di capelli sulla fronte, ma la nuca rasata. Se sarà passato oltre non sarà più possibile afferrarlo. Sta a noi prevenirne i movimenti e la fuga, sta a noi, in una serie di attimi, scovare, cogliere, afferrare quell'unico frammento di tempo in cui saremo a tempo perfetto con l'armonia cosmica. Comprendere, agire ed operare bene, godere, essere felici: sforzarci e faticare per tutto questo e poi, con semplicità e facilità inattese, riuscire ed uscire dal tempo, dall'indifferenza infinita e divorante di Chrònos, guadagnare, sia pur solo per quell'attimo, il tempo adatto a noi, nella perfezione di ciò che la nostra natura poteva compiere e che di fatto ha saputo compiere.
Così Rainer Maria Rilke dice dell Kairòs greco antico: “E a un tratto, in questo faticoso nessun dove, a un tratto, / l'indicibile punto, dove quel ch'era sempre troppo poco, / inconcepibilmente si trasmuta, salta / in un troppo, vuoto. Dove il conto a tante poste / si chiude senza numeri”.
Dentro un Chrònos infinito e inesorabile, un Kairòs unico, capace dunque, se colto opportunamente, di renderci, per quell'attimo e per sempre, eterni.
-C. D'Eramo
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Padronanza e Linguaggio
La campagna di trasformazione dei miei pomodori e pomodorini quest'anno, complice la variabile meteorologica (inverno mite, primavera anticipata) è partita esattamente 40 giorni prima del 2023. Lo scrivo perchè mi ha un po' impedito di dedicarmi appieno al blog, soprattutto riguardo le mie ultime letture.
Vorrei segnalarvi, en passant, due libri tra le ultime letture: uno, magnifico, è la ristampa con nuova traduzione di un romanzo, Qui Il Sentiero Si Perde di Peskè Marty, che Adelphi ha pubblicato di recente: il nome dell'autore è uno pseudonimo di una coppia di scrittori francesi, Antoinette Peské e il marito Pierre Marie André Marty. Scritto negli anni '50, ambientato tra la Mongolia e la Siberia, il romanzo racconta le avventure leggendarie dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che nel 1825 avrebbe messo in scena la sua morte. Una diceria, quella della fuga dello zar e delle sue successive metamorfosi, che aveva intrigato anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč).
L'altra segnalazione è un piccolo saggio scritto da uno dei massimi esperti di Storia Della Musica Classica, Giorgio Pestelli, che ne Il Genio di Beethoven (Donzelli) percorre, attraverso l'analisi non solo tecnica ma anche emozionale, delle nove leggendarie sinfonie del maestro, un ritratto unico e profondo del grande compositore.
Ma approfitto per parlarvi anche dell'ultima, stranissima ma indimenticabile lettura che è questo libro:
Adam Thirlwell fa parte dell'ultima generazione di scrittori britannici, e per due volte è stato inserito nella Lista dei Migliori Autori Emergenti dalla prestigiosa rivista Granta, le cui segnalazioni negli anni mi hanno sempre fatto conoscere autori niente male (Tibor Fisher o Scarlett Thomas, i primi nomi che mi vengono in mente). In Il Futuro Futuro (Feltrinelli) Thirlwell immagina un mondo distopico, dove succedono in maniera non lineare avvenimenti storici che somigliano moltissimo a quelli avvenuti negli anni appena precedenti la Rivoluzione Francese. Qui Celine, Marta e Julia sono tre giovanissime ragazze che, in maniera misteriosa, sono vittima di anonimi pamphlet dove vengono descritte con pruriginosa minuzia di particolari le abitudini sessuali delle nostre giovani protagoniste. Celine, Marta e Julia si confrontano quindi con un problema: come si gestisce il rapporto tra linguaggio, arte e potere? e tra potere e genere? Per controbattere, hanno un'idea geniale: organizzano delle feste, a cui piano piano partecipano intellettuali, scrittori, impresari teatrali, miliardari, persino una potentissima Antoniette (che sappiamo a chi si riferisca). Diventano il momento più importante delle sere cittadine. I libri anonimi scompaiono, le ragazze si faranno nuovi nemici ma soprattutto rimangono in Celine e le sue amiche dubbi profondi sui massimi sistemi, in primis sul grande e a tratti inestricabile problema del linguaggio:
Si poteva immaginare un mondo senza linguaggio, o che il linguaggio diventasse una cosa intima e diversa. Era come se nelle conversazioni vere arrivasse sempre il momento in cui emergeva una voce che non era quella di nessuna delle persone che stavano parlando, ma era la voce della conversazione stessa, e quando accadeva era come se si accendesse una piccola lampada, inondando di luce calda un angolino. Altri se lo immaginavano come un dio che si manifestava o parlava attraverso un'altra persona, ma Celine la vedeva diversamente. Era la voce della conversazione, pensava lei, che apparteneva a tutti e a nessuno […] (p. 67-8)
Celine, Marta e Julia hanno anche un problema con il potere dei maschi: sebbene vivano una sessualità libera, sono spesso vittime del potere che è legato ai maschi. Un potere legato ai soldi e al sesso, che Celine tenta spesso di scardinare:
-Come è che uno crede di sapere qualcosa di qualcun altro? disse Celine
-Una volta ci andavo a letto, disse Lorenzo.
-E questo che cazzo vuol dire? fece Celine. - Vuol forse dire che Julia ti conosce, solo perchè sa quanto ti piaceva leccarle il buco del culo?
Lorenzo rimase ancora in silenzio, un silenzio stavolta più greve. Visto? disse Celine. - Tutti odiano sentir parlare di sè. Panico Puro (208).
Celine avrà una figlia, Saratoga, viaggerà, verrà costretta dalla Rivoluzione a scappare via in America. Lì farà degli incontri particolari. Ritornerà, nel modo più strambo, a ricongiungersi con la figlia, cercando di capire cosa sia il futuro:
Ogni volta che si incontravano, gli scrittori non facevano che discutere ossessivamente del futuro, chi avrebbe avuto ancora un pubblico di lettori o come sarebbe stato il futuro - ma non si rendevano conto di quanto fosse limitato il loro modo di pensarlo, il futuro. II vero futuro, diceva Saratoga, non era ciò che sarebbe accaduto di lì a un mese o a un anno, ma il futuro futuro: alieno e incomunicabile. Ma loro non lo vedevano, perché non erano capaci di scatenare il pensiero (150).
Un libro che attraverso una trama fantasiosa, una scrittura asciutta ma implacabile, una serie di eventi di natura fantasiosa ma forse con salti troppo giganti, con pochissimi particolari sui personaggi che non siano le loro conversazioni o i loro pensieri, spazia dal saggio filosofico al fantasy, dalla semiotica al pulp, senza dimenticare i numerosi incontri delle nostre protagoniste non solo con alcuni grandi della Storia, ma persino extraterrestri (non vi anticipo nulla). Un libro strano, pazzo ma che scalda il cuore, non solo per la sua originalità, ma anche per i temi che affronta, tra cui l'amicizia, i rapporti di potere, la comunicazione. Che stuzzica ed estremizza:
Era uno dei problemi di vivere fra la gente - si pensava di sapere un sacco di cose sui propri amici, ma quasi sempre ci voleva una catastrofe perchè le persone si parlassero a cuore aperto. La natura umana era terribile (100-101).
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Sprechen Sie Deutsch?
La mia battaglia con la lingua tedesca cominciò a metà ottobre e durò quasi tutto l'anno accademico. In quanto figura di maggior rilievo degli studi hitleriani in nord America, era da molto tempo che cercavo di nascondere il fatto che non conoscevo il tedesco. Non lo parlavo e non lo leggevo, non lo capivo e non sapevo neanche da che parte cominciare per mettere su carta la frase più elementare. I più scarsi fra i miei colleghi in Hitler lo sapevano un po', altri o lo parlavano bene o sapevano usarlo in maniera ragionevole a fini di conversazione. Nessuno poteva specializzarsi in studi hitleriani, al College-on-the-Hill, senza un minimo di un anno di tedesco. In breve: vivevo ai margini di un territorio di ampia vergogna. Il tedesco. Carnoso, distorto, sputacchione, porporino e crudele. Ma bisognava finalmente affrontarlo.
D. DeLillo, [White noise, 1985], Rumore Bianco, Torino, Einaudi, 2006 [Trad. M. Biondi]
Se il personaggio di DeLillo è quello di un professore universitario che tiene un corso di Studi Hitleriani senza conoscere minimamente il Tedesco, alcune storie di cui sono a conoscenza abbassano, tragicamente, il senso di ironia e sarcasmo del libro perché ci sono, ahimè, vicende simili realmente accadute.
La prima è una cronaca di un amico di famiglia che, appena laureato in Legge, accettò a occhi chiusi l'incarico di insegnante di Tedesco in una scuola di un paesetto quasi sperduto, ringraziando Dio per la fortuna che lo avessero prescelto. Di Tedesco non sapeva assolutamente nulla, mentre se la cavava piuttosto bene con il Francese, lingua che gli risultò poi molto utile durante la lunga carriera diplomatica; raccontava di aver studiato, in quel primo anno, come non mai e di non aver fatto una figura particolarmente brutta.
La seconda storia, più recente, ce l'ha raccontata, durante una ristretta riunione di amici, uno scrittore che vanta ottimi editori nazionali; lui, laureato in Lettere ma con provenienza da un Liceo Scientifico (dove, se va bene, si impara un po' di latino), piuttosto che fare la fame, accettò il suo primo incarico di insegnante a centinaia di chilometri da casa, in un Liceo Classico dove gli fu assegnato il corso di Greco, per lui fino a quel momento una lingua assolutamente ignota.
Infine, io stesso mi sono trovato a insegnare Laboratorio di Misure Elettroniche, senza aver mai avuto all'università la possibilità di metter mano a un banco per i test e agli strumenti di misura.
E sì, è vero che all'inizio si studia come pazzi (io mi ero anche attrezzato in casa un piccolo laboratorio) e ci si creano competenze impensabili ma come poteva permettere un Ministero della Pubblica Istruzione che accadessero fatti simili? Si spiegano molte cose sulla Scuola, anche se di qualche decennio fa, no?
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Comunque oh
Ci si prova a conoscere qualcuno, in amicizia, ma dio mio sono tutti scassacazzo
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Se fossi stoffa mi farei coperta
per scaldare le tue notti nel freddo di un bunker antiaereo
E se fossi terra mi farei strada sicura su cui farti camminare senza bombe nascoste nel sottosuolo
Se fossi acqua ti scorrerei sul viso per confonderti le
lacrime e toglierti via il
colore delle ferite
E se fossi cielo mi farei
tetto di sole per riscaldarti
il cuore e darti un orizzonte migliore
Se fossi braccia ti stringerei
per darti la parvenza che vada tutto bene e che tu sia al sicuro E se fossi cuore ti
darei tutti i miei battiti e mi
farei petto dove poggiare il
tuo orecchio così che tu non senta più il rumore
delle bombe
Se fossi posto sicuro mi farei rifugio di vita e sogni
caverna dove nasconderti e lasciarti riposare...
E se fossi Dio punirei
qualsiasi creatura vivente
ti abbia fatto conoscere
la guerra...
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Ti ho amata è una poesia di amore di Alexander Puskin che mette in evidenza il rispetto che ogni amante dovrebbe avere quando le relazioni finiscono.
Quando un amore finisce il rammarico, il rimpianto sembrano sempre prevalereQuasi sempre l’amarezza e la rabbia prendono il sopravvento.
Ma, Alexander Puskin ci dona dei versi straordinari che tutti dovremmo stampare in modo indelebile nel nostro cuore e nella nostra mente. Bisogna saper accettare e augurare il meglio alla persona con cui si è avuta una relazione d’amore.
La poesia si conclude dicendo alla donna che spera che Dio le conceda un altro uomo che la ami allo stesso modo.
Puskin le dice “Ti ho amata” solo per farle conoscere la profondità del suo affetto.
"Ti ho amata " Alexander Puskin
"Ti ho amata, e questo amore
puro
nella mia anima si potrebbe
ancora ridestare;
scordami, non ti inquieterò,
lo giuro,
non voglio niente che ti possa
rattristare.
Tacevo, senza speranza,
infatuato,
ero geloso, ero timido e
soffrivo,
il mio amore fu sì tenero e
ignorato:
Iddio ti faccia amare come ti ho
amato io".
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Non per amarlo, ma per amarci...
Dio creò l'uomo, ma si rese subito conto che da solo, sarebbe rimasta creazione fine a se stessa. Dunque creò anche la donna e li creò maschio e femmina. Lui ci ha creati, non per essere amato, bensì per amarci. Dio che è uno e trino, non può accontentarsi di amare una sola persona perchè il suo amore incondizionato è incontenibile, è un amore illimitato, infinito e incomprensibile per il genere umano. Lui ci ha amati per primo, ci ama sempre tutti e dall'alto della sua misericordia, ha lasciato a noi il libero arbitrio e la scelta libera se amarlo o no. Talmente è immensa la sua fiducia, che ha accordato al Nemico, il favore di regnare anch'egli sulla terra. Ha fatto affidamento su un maschio che diventasse uomo, ed una femmina che crescesse donna, conoscendo benissimo, il risultato finale. Ma ci ha lasciato ugualmente, la scelta tra il bene e il male, tra amore e odio e tra guerra e pace. Oggi il risultato è manifesto, e ce lo abbiamo sotto gli occhi a partire da noi stessi.
Ci ha regalato tutto il meglio secondo l'anima ed il discernimento d'ognuno. Nel suo "testamento" ci ha donato l'amore, nella misura delle capacità di amare per ciascuno. Ci ha lasciato scritto che la ricchezza, lecitamente acquisita non da diritti e che la povertà non è peccato ma un'ingiustizia sociale. Ci ha dato il sesso e la passione col suo corteggiamento, con i suoi preliminari e le sue emozioni, sesso quello facente parte dell'amore da goderne pienamente non nella pornografia o la prostituzione. Ci ha fatto conoscere l'amicizia e la fratellanza, la condivisione e l'empatia, ci ha fornito i doni e frutti dello spirito, l'autocontrollo e la decisione della felicità. Ci ha regalato, ci ha donato, ci ha lasciato e ci ha fatto, ma è tutto al presente già fino dal passato. Lui " È, era e sarà", Lui è: "Io sono" e vedeva e vede e vedrà sempre, come su un grande schermo, passato, presente e futuro come fosse adesso. Per Lui tutto è "Ora e adesso" e così sempre sarà per tutti i secoli dei secoli. Dunque godiamoci la vita ora, godiamoci l'amore adesso, godiamoci la felicità oggi, senza aspettare il domani che no, non ci appartiene.
Uno dei vantaggi legati ai momenti difficili è che ci avviciniamo a Dio tramite Gesù che è il nostro Salvatore e Amico. Tra le sue braccia cerchiamo sicurezza e tranquillità, ma troveremmo tanto di più. Egli ci ama d'un amore eterno e immutabile; ha molto da offrirci, e desidera aiutarci in tanti e tanti modi. Vuole passare tempo con noi e vuole averci sempre vicini, al suo fianco, per istruirci e renderci sempre di più simili a Lui. Non vediamo cosa ci stiamo perdendo, noi no, ma Lui si.
lan ✍️
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Noi cerchiamo tutti un’unica cosa in questa vita: essere colmati – ricevere il bacio di una luce sul nostro cuore grigio, conoscere la dolcezza di un amore senza tramonto. Essere vivi è essere visti, entrare nella luce di uno sguardo che ama: nessuno sfugge a questa legge, nemmeno Dio [...]
Christian Bobin
dal libro “ L’insperata” #animamundiedizioni
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Nei primi secoli del cristianesimo vi fu una diatriba a volte accesa sulla necessità o meno di studiare gli autori greci e romani (si pensi a san Girolamo o a sant’Agostino), durante il Medioevo e soprattutto nei monasteri prevalse una mentalità sostanzialmente aperta.
Bonifacio, apostolo della Germania, compose un’Arte della grammatica nella cui prefazione sosteneva che lo studio dei classici è indispensabile alla formazione religiosa. Ancora, Gerberto, divenuto poi papa col nome di Silvestro II (999-1003), che come direttore della scuola cattedrale di Reims riteneva «impossibile per i suoi allievi elevarsi all’arte oratoria senza conoscere le tecniche di elocuzione che si possono imparare soltanto leggendo i poeti». Insomma, da Gregorio Magno fino ad Alcuino, emblema del Rinascimento carolingio, fu tutto un susseguirsi di lodi verso la cultura classica.
Altro che secoli bui (...). Come l’eccezionale esperienza del Vivarium, il monastero fondato da Cassiodoro, che nel VI secolo «fornì le basi per una compiuta sintesi tra saperi pagani e sapienza cristiana». O il meno noto monastero di Eugippio, abate a Castellum Lucullanum vicino a Napoli, che già alla fine del V secolo consolidò la pratica di copiare e conservare i manoscritti antichi. Per arrivare a Rabano Mauro, che guidò l’abbazia benedettina di Fulda in Germania, autore di uno studio sull’arte del linguaggio e difensore della grammatica, e a (...) Alcuino, al quale si devono due trattati sulla retorica e sulla dialettica, ritenuti fondamentali per lo studio, ma anche per l’evangelizzazione.
Poi si spazia dall’elogio da parte di Agostino dell’aritmetica e dei numeri in quanto voluti da Dio come fondamento dell’ordine dell’universo alla passione di Boezio e di Gerberto per la geometria, per finire con l’astronomia di cui si è già riferito e con la musica, la «scienza del misurare ritmicamente secondo arte» ancora per sant’Agostino, autore di un trattato apposito, il De musica. Boezio poi la riteneva «connessa non solo con la speculazione, ma con la moralità». Un lungo percorso approdato nell’XI secolo a Guido d’Arezzo e alla sua codificazione delle note musicali.
via https://www.avvenire.it/agora/pagine/la-cultura-monastica-luce-del-medioevo
Come in tutte le rivoluzioni del pensiero, anche il cristianesimo rischiò nella sua infanzia l'implosione suicida causa massimalismo fondamentalista, cancellatore di tutta l'eredità del passato nel nome di una nuova ripartenza.
Mentre ad es. islam, blm, wokismo e ambientalismo ci cascano come pere e ne sono fatalmente vittime, il pensiero cristiano dopo qualche iniziale tentennamento - iconoclastia etc. - si salva da se sin dai primi tempi, lasciando tutti i freni fondamentalisti auto imposti alla ortodossia orientale e celebrando Dio per mezzo della CURIOSITA' DEL SAPERE, originando quindi dal suo interno e ponendo le premesse per tutto il successivo progresso positivo del mondo, dal capitalismo al liberalismo alla scienza.
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