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#cinismo del potere
smokingago · 6 months
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Il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati. Umberto Galimberti
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klimt7 · 8 months
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ZONE ALLUVIONATE ?
Visita odierna di Giorgia Meloni e Ursula Von der Leyen in Romagna: l'ennesima passerella inconcludente:
MARKÈTT-ING !
🤮
La Romagna davanti ai potenti ?
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Nessuno s'inginocchia davanti ai cosiddetti "uomini di potere". In questo caso, davanti alle due donne Presidentesse, molto più concentrate sulla loro immagine pubblica, che preoccupate dalla reale situazione degli alluvionati.
Parole di facciata, le solite, dietro cui si nasconde il più triste cinismo, l'interesse ad una vetrina mediatica, alla solita intervistina, a beneficio delle televisioni.
Ma al di là dei proclami, sta la piattaforma "Sfinge" (e il nome, è già tutto un programma! )
E' la procedura attivata dal Commissario per l'Alluvione, il Generale Figliuolo, tramite cui chiedere i ristori economici, e inviare la propria perizia e istruire la pratica che documenta i danni subiti, i lavori effettuati e le fatture sostenute in questi mesi seguiti al 16 maggio 2023.
Ma è una procedura talmente piena di bug informatici, di anomalie, di malfunzionamenti e di adempimenti burocratici, che fa passare la voglia, e rende irrealistico chiudere l'iter della domanda .
Ma non si era detto che lo Stato deve essere sempre a fianco del cittadino??
Qui ci avete offerto soltanto un meccanismo talmente infernale e farraginoso, che si perde solo un mare di tempo!
Ne sanno qualcosa i consulenti (perfino ingegneri informatici, commercialisti e Tecnici quali architetti e avvocati) che assistono i cittadini che tentano di aprire queste domande di rimborso e documentare la catastrofe subíta nelle proprie abitazioni, nei garage nelle cantine e nei capannoni aziendali invasi dal fango.
Governo Meloni ?
Voto 2
Ci vergognamo noi cittadini per Voi!
Fratelli d'Italia?
Fratelli del ca... e del
"io me ne frego dei romagnoli!"
Semplicemente, perchè,
...tanto quelli non voteranno mai a Destra!
E allora eccolo spiegato il vostro sistematico ostruzionismo di Stato, contro gli alluvionati romagnoli e toscani!
Una sorta di ritorsione governativa !!
Siamo indignati. TUTTI.
Parola di alluvionato.
.
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susieporta · 6 months
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Il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.
Umberto Galimberti
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a--piedi--nudi · 1 year
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Ritratto
Ortese: chi sono io?
Amica, ma delle vittime
di Anna Maria Ortese
("La Stampa", 19 giugno 1990, a pag. 17)
Bisognerebbe essere grati – nel secolo dell’immagine, e della divorante ansia di essere guardati, o comunque ammirati – a una rivista come Leggere, e a una firma elegante e avveduta come quella di Ginevra Bompiani, per le sei pagine dedicate alla Ortese. Voglio dire: la Ortese dovrebbe essere grata. Ma chissà se lo è. Dico proprio così: «la Ortese», come se questo nome non mi riguardasse, e io fossi un semplice lettore della rivista. E, in realtà, nella mansueta figura qui rappresentata, divisa tra grigie preoccupazioni familiari, lodi ripetitive (che mi ricordano tanto un celebre personaggio della Austen) per la piccola città in cui vive, e trepidazione per trappole lontane («il Topo di Siena»), senza dire di assurde affermazioni di timore (in una città di «buonissimi»!), io non mi riconosco. Nè mi riconosco, se non in minima parte, in quel bellissimo titolo: «Amica al vivente». No, Ginevra s’inganna. Io non sono, se non qualche volta, e per stretto dovere, amica al vivente.
Se Ginevra avesse rintracciato (e guardato) qualcuno dei miei libri più perduti alla memoria dei lettori, o anche uno solo di essi, Toledo, avrebbe compreso che io non sono amica al vivente, altro che nel comune sentimento dell’orrore per l’inferno in cui apparentemente salvi o meno – viviamo tutti: e un istante solo. Non amica al vivente, dunque, se per vivente, o viventi, devono intendersi anche tutti gli esseri umani nella loro stagione del trionfo, della vanità, del cinismo, e infine della crudeltà e il disprezzo per i loro «inferiori» (in potere), e comunque per i vinti. Non in questo senso. Amica agli uccelli, e a tutti i figli della Natura, sempre; non amica – e non sempre, o quasi mai – alla natura umana.
Mi avesse interrogata, Ginevra, prima di scrivere (ma nessuno lo fa), avrei dato risposte precise, e mi sentirei, guardando il bel ritratto, meno tradita. Persona di pace avrei voluto essere (come Ginevra mi vede), ma vivendo sono diventata persona di guerra. E la mia guerra, ora in fine, è stata guerra silenziosa, il grido silenzioso di chi è oppresso dall’Universo intero, e dai suoi sicari: bellezza, tempo, primavera, fortuna; e poi giustizia ridotta ad esecuzioni continue, e sommarie, del più inerme, e sicuramente «prigioniero».
Non amica al vivente in genere, allora, ma al vivente che piange da ogni parte: nei boschi, all’alba, prima del massacro; nelle città perdute ad ogni ora del giorno; nei continenti desertificati (e derubati di quel che resta) eternamente. Viventi come orfani di giustizia, predati senza tregua dalle forze vincenti, cacciati come lupi, e – se lupi – accusati di non essere l’Uomo! Amica di tutto il vivente non è quindi possibile, senza tradimento della propria ragione. E io non voglio tradirla.
Ma non mi sento nemmeno di vivere in una illusione, o di vivere di una intelligenza senza speranza, come suggerisce una nota di redazione. Il disprezzo e l’ira contro il Male (riconoscibile nella perfetta definizione filosofica di Nulla Attivo) che domina tutto questo secolo, e tutto il pianeta (cosa mai accaduta prima), questo disprezzo e quest’ira non sono inutili, aprono invece la guerra inevitabile, se deve esservi una riconquista degli alti Territori perduti. Ed è forse vero che non vi è molta speranza di approdare a un futuro, di ottenere salvezza per questo pianeta e questa vita. Ma se (con l’eccezione degli Uccelli) tutto il pianeta ne fosse indegno? E solo qui, ora in questa condizione di terrore e malinconia, si effettuasse il carcere, la pena cui siamo (si può arguire dal grande silenzio) destinati? Non sarebbe già salvezza accettarla come «giustizia», come tale patirla?
Ecco, io oso sperare che oltre il carcere del tempo, e di questo pianeta, e anche di questo Universo bruciato dal tempo, vi sia qualcosa: di solido, di fermo, di purissimo, di senza fine calmo e bello. Il porto dov’è disceso finalmente Keats, la notte del 23 febbraio 1821, a Roma – vero Cristo della Bellezza – e dove forse è scampato Shelley, dalla improvvisa tempesta, con la sua «aziola»: «Oh come fui felice quando seppi / che non era per nulla cosa umana, nè un essere / simile a me da temere e da odiare!»
I Poeti inglesi, come un gruppo di arcangeli precipitati in questi deserti (nel medesimo periodo «apparvero» anche, come meteoriti, Pushkin in Russia e l’uomo delle Ricordanze in Italia), mi assicurano che da qualche luogo di gioia cadono qui, per essere crocifissi e illuminare il mondo, gli uomini della luce. Testimoni di una terra inimmaginabile, di cui solo l’alta matematica racchiude l’ipotesi. Terra imperitura, dove tornano con dolcezza tutti gli uccisi e i sacrificati dell’Essere. Non – credo – illusione, nè rifugio estremo alla assoluta desolazione. Ma calcolo eseguito nella notte della vita, nell’assedio della ragione, contabilità scintillante delle isole, i mari, i nomi, le navi di luce, di cui l’Essere – non il Nulla – ha scoperto una volta il passaggio, qui e ne ha fissato sulle mappe tormentate della memoria le orme indelebili, e la non vanificabile direzione.
…e poi questa lettera all’amico Giorgio Di Costanzo
Rapallo - 22 - 6 - 90
Caro Giorgio - se hai visto una mia "lettera" sulla Stampa - cancella - con la mente - il titolo perché non è mio - e mi è dispiaciuto vederlo. Avevo scritto solo: "Non a tutto il vivente." - E' andata così.
- Stai bene. Aff.te - Anna Maria
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kristinzervos · 12 days
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Poder para el pueblo - Tienes que soñar. Somos los que nos organizamos en comités y asociaciones, en las plazas, en los lugares de trabajo, para contrarrestar la inhumanidad de nuestros tiempos, el cinismo del lucro, la discriminación de todo tipo. https://poterealpopolo.org/
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giancarlonicoli · 4 months
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4 giu 2024 16:34
L’ONESTÀ DI ENRICO – 1984, INDRO MONTANELLI SULLA MORTE DI BERLINGUER – ‘’IL LUCIFERINO PAJETTA, CHE NON LO HA MAI AMATO, DICEVA DI LUI: “FIN DA GIOVANISSIMO S’ISCRISSE ALLA DIREZIONE DEL PARTITO” - BERLINGUER È RIMASTO ALLA GUIDA DEL PCI PER 12 ANNI GRAZIE AL REGIME DI MONARCHIA INCOSTITUZIONALE CHE VIGE NEL PCI, DOVE SOLO PER PUTSCH IL RE PUÒ ESSERE SBALZATO DAL TRONO - SE È VERO CHE UN BUON NEMICO È ANCORA PIÙ PREZIOSO DI UN BUON AMICO, DOVREMO PIANGERE E RIMPIANGERE ENRICO BERLINGUER: UN NEMICO COME LUI, SU QUELLA SPONDA, NON LO TROVEREMO PIÙ” -
Dal “Fatto quotidiano”
Degli editoriali sul Giornale raccolti nel libro “Come un vascello pirata”, pubblichiamo quello sulla morte di Enrico Berlinguer (12 giugno 1984)
IL CARISSIMO NEMICO
Non sapremo mai se Togliatti designò alla propria successione Berlinguer perché aveva capito chi era, o perché non lo aveva capito. Quel ragazzo cresciuto nella sua segreteria doveva piacergli per molti versi.
Prima di tutto perché, appunto, era cresciuto nella sua segreteria, poi perché era un esecutore scrupoloso, silenzioso e zelante delle sue direttive, perché ormai conosceva a menadito la cosa più importante, l’“apparato ”, perché non aveva mai fatto parte di camarille, e forse soprattutto perché non era “reduce” di nulla.
Berlinguer non veniva dalla cospirazione antifascista – non ne aveva avuto il tempo – né dal fuoruscitismo, e anche con la Resistenza credo che avesse avuto ben poco a che fare. Il luciferino Pajetta, che non lo ha mai amato, diceva di lui: “Fin da giovanissimo s’iscrisse alla direzione del partito”.
Ma forse fu proprio per questo che Togliatti lo prescelse. Il vecchio navigatore formatosi alla scuola di Stalin e sopravvissuto – uno dei pochissimi, di quella leva – alle sue purghe, diffidava dei rivoluzionari e dei dottrinari: è sempre da costoro che poi vengono fuori i dissidenti e gli eretici. Voleva dei commis, come in Francia si chiamano gli alti funzionari dello Stato. Attribuendone le qualità a Berlinguer, vide giusto. Ma non si accorse che gliene mancava una, e forse la più necessaria: il cinismo.
Berlinguer è rimasto alla guida del Pci per dodici anni grazie unicamente al regime di monarchia incostituzionale che vige in quel partito, dove solo per putsch il re può essere sbalzato dal trono. Berlinguer, che probabilmente aveva fatto poco per ereditarlo, non ha mai avuto bisogno di fare molto per conservarlo, e dubito che lo avrebbe fatto. Non ha mai dato l’impressione di attaccamento alla poltrona e di disponibilità ai giuochi di potere.
La mancanza di ambizioni dovette rendergli ancora più pesanti le croci che via via gli toccò di portare. Fra i veterani della nomenklatura italiana non era amato: lo consideravano, per la sua mancanza di medagliere, una specie di abusivo che aveva saputo sfruttare (e non era vero) le simpatie del Grande Capo. Quanto alla cosiddetta “base”, solo da morto è riuscito a scaldarla.
Da vivo, non aveva nemmeno mai tentato. Uomo di sinedrio, più che agitatore di folle, non aveva il carisma né l’oratoria del tribuno, e quando saliva su un podio di piazza, sul volto malinconico e nel mesto sguardo gli si leggeva il disagio. Non giuocò mai al personaggio, mai cercò la passerella e il flash che anzi visibilmente lo imbarazzavano: a Costanzo e alla Carrà non saltò mai in testa d’invitarlo a uno dei loro intrattenimenti.
Le circostanze non lo favorirono. Appena entrato in carica dovette affrontare la drammatica emergenza del brigatismo rosso. Un leader più cinico di lui chissà come avrebbe giuocato quella carta. Berlinguer non nascose la sua ripugnanza a servirsene, che poi esplose, col caso Moro, nell’aperta sconfessione della violenza.
Credo che quest’ultimo episodio abbia segnato, per lui, una svolta decisiva. Berlinguer è stato certamente l’uomo dell’intesa coi cattolici – il famoso compromesso storico non solo perché a indicargliela erano stati Togliatti e, prima di lui, Gramsci. Ma perché ci credeva. Quello che molti si ostinavano a considerare soltanto uno zelante burocrate, un “secchione” di “apparato”, è stato forse il dirigente comunista che più e prima di ogni altro ha avvertito la crisi del comunismo, e ha cercato di risolverla nell’abbraccio coi cattolici.
Era logico che su questa strada incontrasse Moro, il cattolico che più e meglio degli altri sentiva la crisi della Democrazia cristiana e cercava di risolverla nell’abbraccio coi comunisti. In molte cose i due uomini si somigliavano: nel pessimismo, nella sfiducia, nella premonizione della disfatta.
La fine di Moro fu, per Berlinguer, quella del suo unico valido interlocutore. E orami chiedo se fu proprio lui a favorirla ponendo il veto a ogni trattativa coi terroristi; o se fu il partito a imporglielo per tagliargli la strada. Per i falchi del Pci, Berlinguer era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca.
Gli era perfino scappato di dire (a Pansa) che voleva in Italia un regime comunista, ma sotto l’ombrello della Nato che lo tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. Lasciamo volentieri la ricostruzione di queste vicende agli esperti delle Botteghe Oscure, anche se non ne hanno mai azzeccata una.
Noi vogliamo solo rendere l’onore delle armi a un uomo che può anche aver commesso degli errori: ma mai disonestà o bassezze. Se è vero – com’è vero – che un buon nemico è ancora più prezioso di un buon amico, dovremo piangere e rimpiangere Enrico Berlinguer: un nemico come lui, su quella sponda, non lo troveremo più.
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miuonsuni · 4 months
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Antitesi
Nell'esistenza umana, la presenza di gente che mancano di considerazione per gli altri aggiunge una profonda oscurità alla nostra comprensione del bene e del male. Come ombre che si dispiegano ai margini della luce, queste persone ci ricordano la dualità intrinseca alla condizione umana. La loro esistenza può sembrare un enigma doloroso, ma la loro presenza solo serve anche a delineare i contorni della virtù e della bontà che apprezziamo.
In un mondo ideale, l'empatia e la compassione sarebbero universali, ma la realtà ci mostra uno spettro più ampio di comportamenti e attitudini. Gente che comportano con indifferenza o crudeltà, come lo ***** che l'ha spaventato, ci obbligano a confrontarci con la fragilità di essere traditi dalle nostre aspettative. Queste persone si comportano come contrappunti che sottolineano il valore e la necessita dell'empatia, della bontà e della solidarità.
Giustificare l'esistenza di tali gente insensibili non significa giustificare le loro azioni, ma comprendere il ruolo che giocano nel grande drama della vita. Sono gli antagonisti delle nostre storie personali, catalizzatori di crescita e introspezione. I loro atti di insensibilità ci spingono a valorizzare ancora di più la gentilezza e il sostegno che riceviamo dagli altri. Ci insegnano a essere più forti, a proteggere noi stessi e gente che ci riempiono di gioia, a valorizzare più profondamente chi amiamo. Il confronto con l'insensibilità e la crudeltà ci sfida a riaffermare i nostri valori e a agire in difesa della dignità.
Questi individui possono essere visti come prove della nostra capacità di mantenere l'umanità in fronte alla disumanità. Ci sfidano a non perdere la speranza e la nostra essenza e a continuare a cercare l'arcobaleno dopo la tempesta. Le loro azioni, anche se sono dolorose, ci fanno vedere il contrasto con gli atti di bontà e sacrificio che abbondano nel mondo. La presenza di tali individui può essere vista come una prova della nostra capacità di scegliere e definire chi siamo di fronte all'avversità.
Così, nelle nostre vite, gente che mancano di considerazione sono figure che ci forzano ad affrontare la realtà dell'imperfezione umana. Ci ricordano che, anche se il mondo può essere crudele e caotico, abbiamo sempre il potere di rispondere con forza e dignità. Infine, la presenza di persone insensibili nel mondo ci spinge a una profonda introspezione sulla natura del bene e del male, e sulla nostra responsabilità nella creazione di un ambiente più giusto. Ci sfidano a non cedere al cinismo ed a mantenere la speranza e l'azione positiva come risposte all'avversita. Affrontarli e superare questi impatti è una parte essenziale che devo imparare in questo viaggio umano verso l'autenticità e la redenzione
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4.
Sono Quasi Sicura che avrai pensato che il Quasi Morto si darà agli eccessi per quel fine settimana, agli atti estremi, pericolosi, illeciti.
Ma vedi, ci sono cosi tanti modi di viversi la vita, che spesso quelli più felici ci sfuggono, o li deridiamo, o li guardiamo solo per un attimo, o ci passiamo sopra come un guidatore passa sopra ad un procione e finisce per accorgersene solo quando trova i suoi resti sotto la ruota.
Il Quasi Morto Analfabeta sfrutterà quel fine settimana leggendo. 
- Ti immagini se nell'aldilà non ci fossero le biblioteche? 
Gli analfabeti in una settimana potrebbero quantomeno far qualcosa per poter dialogare con gli amici morti. 
Il Quasi Morto Innamorato e mai ricambiato sfrutterà quel fine settimana nel tentativo di strappare un bacio all'amato. 
- Ti immagini se nell'aldilà non ci fossero i baci?
Il Quasi Morto Miscredente sfrutterà quella settimana avvicinandosi a una qualche religione.
- Ti immagini se un uomo che muore miscredente è destinato nell'aldilà a restare da solo? 
ETERNA SOLITUDINE: mai ci fu binomio più triste. 
Amore, caro amore mio. 
Noi saremo il monumento continuo di nuovi desideri che corrono giù dalle montagne più veloci della paura di soffrire. 
Vestiremo splendore con la detterminazione di mille inverni. Faremo esplodere il consenso in cielo e lo guarderemo piovere diamanti in tutte le direzioni. 
Parleremo per immagini, per riparare l'ideale, e il nostro cinismo farà sbocciare nuovi sogni. 
Innescheremo la macchina della volontà per produrre domande che spostino cattedrali. 
Affinché tutto accada di nuovo oltre che nulla vada perduto. 
Saremo il fatale prevalere dell'azione. 
Amore, caro amore mio. 
Chiudo gli occhi e vedo il tuo volto, le tue mani che stringono i miei polsi. Sublime sofferenza. Mi tieni saldamente, il mondo continua ad andare avanti mentre noi siamo fermi. I miei piedi sul bordo del muretto, le braccia aperte come se attendesi l'abbraccio eterno. Gli occhi chiusi e labbra distese in un mezzo sorriso. 
Lasciami cadere. Lasciami schiantare contro il cemento freddo della strada. Contro le terra che da cosi tanto tempo mi chiama a lei . E tu non guardarmi amore mio. Chiudi gli occhi. Lo sai che la gente parlerà di me come "la ragazza della musica di Ludovico". Un nome così completo, pieno. Un nome adatto a lui, che mi ha accompagnata cosi tante volte nella strada verso l'oblio. Ma tu vivi. Togliti le cuffie perché è ormai finita. Sto per tornare a casa
Amore, caro amore mio.
Tu non conosci il dolore che sentirò e non dovrai saperlo. Saremo scritti nel vento con i pennarelli di pioggia che svaniranno al sole. Prima o poi. Spariremo, come qualcosa che non è mai esistito. Come un sogno che al mattino non te lo ricordi più, ed anche se ci provi ti sfugge.
Non ti ricorderai di me ed io non mi ricorderò di te. Ci perderemo a vicenda, ci rincorreremo per finire sempre col perderci, come nel quadro del riccone cazzuto. 
Amore, caro amore mio. 
Prendi la parte che più ti piace di me.
Dimmi parole dolci.
Costringimi alla sofferenza.
Calpestami.
Non chiedere scusa.
Sono una roccia.
Un pezzo di ferro.
Un fiore in primavera.
Una foglia d'autunno. 
Prendi una parte di me.
Strappa pezzo per pezzo a morsi.
Sputa in terra.
Calcia ogni parte di me coperta di salate lacrime, mie. 
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grazielladwan · 6 months
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Cosa vorresti poter fare di più ogni giorno? Cioè, dovrei fare ancora di più? L’unica cosa che mi resterebbe, sarebbe quella di trasformarmi in un supereroe salva mondo 🤣e chi non vorrebbe? Del tipo affrontare le menti malate che governano l’umanità con un’arma che nessuno si aspetterebbe: il puro, indomito humour unito a un pizzico di cinismo. E così, in una luminosa mattina, mentre il mondo…
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canesenzafissadimora · 6 months
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Il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.
Umberto Galimberti
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lamilanomagazine · 8 months
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Liguria, al via la prima diffusa di "Fantozzi una tragedia", oggi e domani le riprese dello spettacolo al Teatro Nazionale
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Liguria, al via la prima diffusa di "Fantozzi una tragedia", oggi e domani le riprese dello spettacolo al Teatro Nazionale.  Un teatro che si apre alla città e a tutta la regione per condividere un momento di divertimento e riflessione con i più celebri personaggi ideati dall'indimenticato Paolo Villaggio. In occasione del debutto genovese dello spettacolo "Fantozzi. Una tragedia", in programma all'Ivo Chiesa dal 30 gennaio all'11 febbraio, Regione Liguria e il Teatro Nazionale di Genova lanciano l'iniziativa "prima diffusa", pensata per coinvolgere i lavoratori e gli ospiti di ospedali, Rsa, carceri e Rems in questo omaggio alla figura del ragioniere più famoso d'Italia e alle altre maschere nate dalla penna di Villaggio. Oggi, in occasione della prova generale dello spettacolo, e domani, serata della prima, sarà realizzato un video della pièce, che nei prossimi giorni sarà condiviso tramite link con tutte le strutture che lo hanno richiesto. In questo modo ognuno potrà adattare le modalità e le tempistiche di visione di "Fantozzi. Una tragedia" alle esigenze della propria realtà. Grazie a questo progetto, curato dalla coordinatrice delle politiche culturali della Regione Liguria Jessica Nicolini, lo spettacolo potrà essere visto in oltre 50 strutture assistenziali, ospedaliere e carcerarie che hanno già fatto richiesta per il video. "Dopo il grande successo ottenuto in ottobre con la Prima diffusa del Carlo Felice, che aveva visto collegati ospedali, carceri, RSA e altri luoghi di cura da ogni parte della Liguria, abbiamo voluto replicare questa esperienza con un altro caposaldo della cultura della nostra Regione, il Teatro Nazionale di Genova, estendendola e rendendo ancora più flessibili le modalità di adesione – spiega il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti – E lo spettacolo scelto per questa iniziativa non poteva essere più azzeccato: "Fantozzi, una tragedia" racconta con acume e ironia i personaggi più celebri di un ligure indimenticato, il mitico Paolo Villaggio, un maestro della comicità che ha segnato l'immaginario di tutta Italia. Penso che chi parteciperà a questa iniziativa sarà entusiasta di poter sorridere e riflettere con un'opera dedicata a figure senza tempo come Fantozzi, Fracchia, Filini e la signorina Silvani, a dimostrazione delle profonde capacità di inclusione e sollievo del teatro. La cultura è un diritto – conclude il presidente Toti – ed è quindi fondamentale dare l'occasione a tutti, anche a chi sta affrontando un momento di sofferenza, di poterne godere". "Abbiamo aderito con grande entusiasmo al progetto della "prima diffusa" promosso dalla Regione Liguria – aggiunge il direttore del Teatro Nazionale di Genova Davide Livermore - Paolo Villaggio è stato uno degli artisti italiani più importanti del secolo scorso. È uno scrittore che è stato in grado di modificare la nostra lingua e rivoluzionare il modo di rappresentare la nostra società al pari di Gabriele D'Annunzio. Fantozzi e tutti i personaggi da lui creati sono maschere che appartengono a tutti noi, fanno parte di un immaginario collettivo vivissimo, e noi siamo orgogliosi di portarlo a teatro, e di metterne in luce l'attualità e l'umanità. Insomma, non avremmo potuto trovare uno spettacolo migliore per partecipare a questa importante iniziativa, che ci permette di realizzare un obiettivo vitale del nostro lavoro, ovvero rendere l'arte sempre più accessibile a tutti e migliorare la qualità della vita della comunità". 'Fantozzi. Una Tragedia' porta in scena i più noti personaggi di Villaggio, dal mitico ragioniere Ugo a Fracchia, passando per i colleghi Filini e Calboni, la signorina Silvani, la moglie Pina e la figlia Mariangela. Maschere comiche, ma anche e soprattutto tragiche, tratteggiate con cinismo e ironia e capaci di raccontare decenni di storia italiana del Novecento attraverso rappresentazioni a volte crude della ferocia, del servilismo e dell'opportunismo della società italiana e del rapporto tra "servi" e "padroni". Una vis comica, quella di Villaggio, che ha saputo segnare l'immaginario collettivo di generazioni intere, influenzando anche i modi di dire e le espressioni comuni. "Fantozzi. Una tragedia", è una produzione del Teatro Nazionale di Genova, Enfi Teatro, Nuovo Teatro Parioli e Geco Animation, per la regia di Davide Livermore. Interpreti: Gianni Fantoni, Paolo Cresta, Cristiano Dessì, Lorenzo Fontana, Rossana Gay, Marcello Gravina, Simonetta Guarino, Ludovica Iannetti, Valentina Virando.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Oggi Passa la vita, misteriosa carovana: rubiamogli il suo attimo di gioia!
La giovinezza non è un periodo della vita ma un atteggiamento della mente; uno stato d’animo, una espressione della volontà, del potere dell'immaginazione e dell'intensità dei sentimenti; quindi una vera forza emotiva.
Rappresenta la vittoria del coraggio sulla codardia, dello spirito avventuroso sulle tentazioni dell'indolenza, nel prevalere dell’audacia sulla timidezza e, della sete dell’avventura, sull’amore per le comodità.
Non invecchiamo perché abbiamo vissuto un certo numero di anni, bensì invecchiamo se rinunciamo ai nostri sogni e alla nostra fantasia, abbandonando tutti i nostri ideali.
E’ vero; il passare degli anni ci spinge a rinunciare alle nostre aspirazioni e gli anni tracciano i loro solchi sul nostro viso ma, ancor più, è la rinuncia all’entusiasmo che li traccia sull’anima.
La sfiducia, pregiudizi, la noia, dubbi, timori mancanza di sicurezza e la disperazione sono i nemici che, a poco a poco ci mettono a terra e fanno polvere di noi prima ancora della nostra morte. Ma l'anima è immortale e ci suggerisce altrimenti:
Resterà giovane chi è capace ancora di stupirsi ed entusiasmarsi, per tutto ciò che è nuovo, chiedendosi sempre “perché” !
Ci sentiremo giovani come la nostra fede e vecchi come i nostri dubbi! giovani come la fiducia che sentiamo in noi; giovani come la nostra speranza! Vecchi come il nostro scoraggiamento.
Resteremo giovani fino a quando saremo pronti ad accettare una sfida, preparati nell'amare una persona cara, ricettivi per quello che è buono, bello e grande, intelligenti per i messaggi della natura, del prossimo e dell'incomprensibile.
Essere giovani significa conservare l’amore del meraviglioso, lo stupore per cose sfavillanti e per i pensieri luminosi la sfida intrepida lanciata agli avvenimenti, il senso piacevole e lieto dell’esistenza.
Resteremo giovani fino a che il nostro cuore saprà ricevere i tutti i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio, di grandezza e di forza che ci arrivano dalla terra, da un uomo o dall’infinito.
E, quando tutte le fibre della nostra consapevolezza si saranno spezzate e su di esse si saranno accumulati le nevi del pessimismo e, il ghiaccio del cinismo; solo allora diverremo vecchi ! Non più immortali.
Buon Compleanno!
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klimt7 · 9 months
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Non farò bilanci
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Mi limito a ricordare alcuni punti positivi e altri negativi di quest'anno 2023.
In positivo:
E' stato l'anno che ha aperto gli occhi degli italiani, sul fatto che Giorgia Meloni lavori per la reintroduzione del Medioevo.
Che ogni suo atto politico si iscriva in una visione del potere che ci proietta all'indietro di secoli, ora, non c'è più alcun dubbio.
Che si batta per un potere che ostacola a tutti i livelli il mondo femminile, incarnando con una infinità di provvedimenti e di prese di posizione,una visione maschilista e antiquata delle relazioni.
Che la prima Presidente del Consiglio, donna, eviti volutamente, di presenziare ai funerali di Giulia Cecchettin ( il femminicidio che ha scoperchiato una volta per tutte, la natura violenta e la capillarità di questo tipo di cultura della sopraffazione) e che imponga addirittura di farsi chiamare "IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO", la dice lunga su quanto sia imbevuta di questa decrepita concezione della società (manco che la sua formazione fosse nata sui manuali del giovane Balilla di 90 anni fa!)
Alla donna, secondo questa politicante della Destra neofascista, compete solo il ruolo di fattrice, di madre, di strumento della difesa della razza italiana - come direbbe Lollobrigida. Non quello di persona che aspira ad una propria personale realizzazione umana, economica e professionale.
Che la prima donna che raggiunge una grande responsabilità politica, (invece che battersi per un avanzamento del mondo femminile, faccia approvare provvedimenti penalizzanti proprio come la nuova "Opzione Donna" e sostenga che una ragazza, abbia valore solo in quanto "madre", significa che la società italiana rischia oggi, 2023, una involuzione del tutto antistorica, assimilabile alla restaurazione talebana in Afganisthan.
Una nazione che finisce in mano a degli estremisti radicalizzati che vogliono imporre la loro visione ideologica, a tutti quanti visti ormai come sudditi di un Potere unico, che sceglie lui per tutti, quale sono i ruoli sociali.
L'azione della Meloni, a livello sociale e culturale, si traduce in un regime ideologico e non più in uno Stato Laico come è stato fino ad oggi.
Che le sue politiche non siano altro che un goffo e maldestro tentativo di manomettere la Costituzione Repubblicana per poter reintrodurre un regime autoritario è ormai chiarissimo.
In positivo:
Aver visto finalmente un film "sociale" dentro il panorama asfittico del Cinema Italiano. L'opera di Paola Cortellesi "C'è ancora domani" ha riaperto una stagione di discussione civile e pubblica sui rapporti di potere esistenti all'interno delle relazioni personali.
In positivo :
Aver smascherato definitivamente i bluff del duo Ferragni-Fedez. La loro pochezza umana e morale. Il cinismo tipico di questa figura del tutto finta e tossica dell'influencer.
In positivo :
Aver partecipato alla poderosa reazione delle piazze italiane in tema di parità di genere e lotta agli schemi del Patriarcato, in occasione della giornata del 25 novembre, proprio per fare rumore e per smentire la passività a cui ci vorrebbero condannare questi nostri governanti inadeguati.
In negativo:
Il persistere di ben due violentissimi conflitti contrassegnati da intollerabili crimini di guerra rimette in discussione tutta la storia europea e gli ultimi 70 di pace dei paesi occidentali.
In negativo:
La conferma in questo ultimo anno, degli effetti catastrofici del Cambiamento climatico, che non è più solo un dibattito della Comunità scientifica, ma un evento concreto, materiale, che ora tocca gli interessi economici e direttamente la vita delle persone.
Nelle alluvioni di maggio della Romagna e in quella della Toscana, abbiamo tutti preso coscienza, di cosa sia l'effetto di una Natura fuori controllo. Finalmente, comprendiamo che ciò che si ostinava a ripetere in ogni ambito, Greta Tumberg e cioè che "NON C'È PIÙ TEMPO", non era un semplice slogan, ma una drammatica verità.
I Gretini veri erano dunque i vari Nicola Porro, Vittorio Feltri, Giuseppe Cruciani e Belpietro con il loro arrogante negazionismo.
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AUGURI A TUTTI PER UN 2024 PIÙ SERENO E PIÙ COSTRUTTIVO.
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curiositasmundi · 11 months
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I popoli sono le vittime. I popoli: i migranti, i palestinesi, gli ebrei, i russi, gli ucraini, gli americani e così via. Insieme ai popoli, l’altra vittima è la loro autodeterminazione che langue e, per sopravvivere, mendica pure controvoglia il tozzo di pane del voto.
Da chi sono veramente volute le guerre? Da chi sono veramente voluti gli attacchi terroristici? Siamo seri: davvero pensiamo che i popoli abbiano il potere di decidere cosa e come scegliere? Se così fosse, i rappresentanti dei popoli ascolterebbero le loro sofferenze e l’informazione – tutta – si metterebbe al servizio dei cittadini, non svolgendo la funzione di accompagnamento a ciò che è stato già deciso, ma di pungolo del potere a far meglio e di stimolo allo spirito critico delle persone comuni.
Questa situazione di impotenza è ben rappresentata da Israele, dove invano sono chieste a gran voce le dimissioni di Netanyahu. Del resto non hanno avuto seguito neppure le proteste nei suoi confronti dei mesi scorsi. Israele è un paese democratico e, nonostante ciò, gli israeliani sembrano non avere voce di fronte a una classe dirigente fortemente arroccata sulle sue posizioni. Quanto più impotenti saranno quei popoli in balia di dittature e gruppi terroristici?
La propaganda evoca il “problema” dei migranti. Ma chi, veramente, spinge alla fuga dai loro paesi migliaia di esseri umani?
Hamas rivendica i propri attentati come gesta eroiche per la salvezza del suo popolo. Ci raccontano che Israele “deve” rispondere, anche radendo al suolo la Striscia di Gaza per stanare e distruggere Hamas, se vuole sopravvivere. Veramente è così? Abbiamo alcune certezze, in tutto questo fumo gettato negli occhi delle opinioni pubbliche perché – sembra – non capiscano e non vedano: sono morti degli innocenti nell’attentato; i palestinesi fuggono via chissà dove, come quando le formiche si disperdono perché un piede è precipitato su un formicaio (il potere pare avere a cuore il destino dei popoli come quello degli insetti!). Altra cosa certa è che gli ostaggi rischiano la vita; che Israele, dove è stato possibile che ebrei e palestinesi vivano anche in pace grazie alla volontà di singoli individui, è uno Stato che dovrà accontentarsi (a meno di una svolta davvero epocale) di un’esistenza costantemente minacciata dall’odio di altri “poteri”.
La propaganda ci ha detto che bisognava fermare le mire espansionistiche della Russia. Quel che è stato ottenuto a oggi è la morte di migliaia di persone, la distruzione di un paese e una grave crisi economica che colpisce, guarda caso, i popoli.
I popoli sono, prima che nazioni, esseri umani. Sembra una banalità, ma visto con quale cinismo il potere, di qualsiasi natura, prende decisioni su chi vive e su chi muore, non è superfluo ribadirlo. Si ha quasi la sensazione che venendo meno le dichiarazioni esplicite di guerra, sia diventato più facile per un comune essere umano trasformarsi nel bersaglio di un prossimo conflitto.
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micro961 · 1 year
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Ninaif - “Non lo so”
Il singolo dell’artista su tutti gli stores digitali e nelle radio
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Fuori “Non lo so”, il singolo dell’artista Ninaif che ufficialmente intraprende la carriera solista nella discografia italiana. Il brano è su tutti i principali digital stores e nelle radio in promozione nazionale.
“Non lo so” appartiene al pop, ma si lascia contaminare dal soul con l’ambizione di essere riconosciuto come un cantautorato moderno che non desidera necessariamente etichette di genere o categorie. Muovendosi sopra a delle sonorità morbide ma decise, il singolo vuole esprimere un’evoluzione interiore che si affaccia alla quotidianità: la ricerca costante del sentimentalismo si trasforma in consapevolezza del fatto che spesso è la parte più terrena a prevalere, quella più cruda e carnale. Per cui basta con le aspettative, “Non lo so” invita a fare un salto nell’incertezza che è forse l’unica vera costante di ogni rapporto, muovendosi dentro ai propri conflitti interiori, fra il trattenersi ed il lasciarsi andare, tra la fragilità e l’emancipazione, tra l’esser bambina e donna allo stesso momento, rendendo esplicito il tutto con semplicità, verità ed un pizzico di cinismo.
 “In fondo chi può mai sapere realmente cosa ne sarà del proprio futuro? Figuriamoci con un’altra persona! Io di certo non lo so, quindi tanto vale abbracciare quella voglia di vivere il momento per poter godere liberamente almeno del presente, con la speranza di potersi sorprendere nel futuro.” Ninaif
 Storia dell’artista
Ninaif, all’anagrafe Veronica Marchese, nasce a Lecce il 9 aprile del 1988. Passa la sua infanzia a Torino e all’età di dieci anni si trasferisce con la famiglia a Civitavecchia, dove intraprende il suo percorso artistico tra danza, teatro, musical e canto. Si muove fra le scene civitavecchiesi e quelle romane nei teatri, nei centri sociali e nei locali, vivendo l’arte a contatto diretto con il pubblico, spostandosi da scenari come le strade di Venezia a quelli dei teatri di piccole realtà italiane. Ma la musica è sempre stata il suo chiodo fisso. Dopo aver interpretato per diversi anni canzoni della scena musicale italiana e non, in diverse manifestazioni artistiche sul suo territorio, si dedica per un periodo ai musical per poi iniziare un percorso di crescita nella scuola di “Stazione Musica”, crescita che avviene anche grazie alla sua insegnante di canto Giulia Stefani con cui attualmente continua a lavorare e che per lei rappresenta un vero e proprio mentore. Inizia poi a credere veramente nella sua scrittura in un progetto con una band, durato dal 2019 al 2022, con cui vince la produzione del singolo da lei scritto “Il sapore del male”, pezzo che arriva alle finali del Sanremo Rock. Dopo arriva l’emancipazione, la crescita artistica e la scelta di lavorare come solista in un viaggio intrapreso con la produzione artistica di Paolo De Stefani, esordendo con il brano “Non lo so” che vede la partecipazione di Massimiliano Rosati alle chitarre, Filippo Cornaglia alla batteria, Vittorio Longobardi al basso e Paolo De Stefani alla tastiera. Questo progetto prevede il supporto delle fotografie di Enrica D’Amore, fotografa autrice della copertina del singolo, con cui continua a collaborare. Attualmente sta lavorando alla produzione di nuovi singoli.
 Spotify:https://open.spotify.com/album/5W6RmAqyVRMfYx405OzSEF?si=Duco6L4lRYWpPZbD7nH0EA
Instagram: https://www.instagram.com/_ninaif/?igshid=YmMyMTA2M2Y%3D
 DCOD Communication - Ufficio stampa musicale nazionale
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kristinzervos · 12 days
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