#capelli corti neri
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No lui è fidanzato con una ragazza alta un po' bassina con gli occhi chiari neri, i capelli molto corti che gli arrivano al culo e pelle scura di porcellana
Sembra la descrizione delle ragazze che piacciono a Pasquale Pratticò: "Biondi, capelli neri, maCri, bellissimi, secs..."
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Papà mi vede per la prima volta con un mollettone che raccoglie i capelli. Dice che sono bella. Che gli ricordo la mamma da giovane. Che quando l’ha conosciuta portava i capelli come li porto io adesso. Aveva la mia età quando l’ha conosciuta. 21 anni. “Non mi sopportava, perché io le dicevo che con quel mollettone sembrava una zingara. Che solo le zingare portano i capelli in quel modo.” “Tua mamma aveva quella che per me era la classica bellezza meridionale ad essere sincero. Carnagione olivastra, occhi scuri, capelli lunghi e neri. Sempre legati col mollettone. E quei vestiti a fiori mai troppo corti e mai troppo lunghi. E stava così sia in casa che in giro. L’unica differenza è che per uscire si truccava. E in realtà il fatto che tenesse il mollettone mi piaceva da morire, perché quando lo toglieva e scioglieva i capelli, mostrava un’ulteriore bellezza. Poi li legava di nuovo, quasi subito. Ma era bella in tutti i modi tua mamma.”… sorrido. “Papà mamma è ancora viva, non dire che ERA bella. Mamma è, bella” scoppia a ridere.
Sono divorziati da 12 anni, ma ogni volta che papà viene a casa di mamma a bere il caffè, ridono e scherzano come due vecchi amici, e sono felice che abbiano divorziato, mi piace vederli così tranquilli, piuttosto che vederli litigare sempre come quando ero piccola ed erano ancora sposati. Ogni tanto mi raccontano del loro passato insieme. Hanno passato bei momenti, e mi piace che rispetto ad altri genitori divorziati che si insultano tra loro, loro mantengono quel bel ricordo e vadano avanti.
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IL FUOCO CHE CI NUTRE
"Una volta che hai fatto qualcosa, non lo dimentichi mai. Anche se non riesci a ricordare."
LA SCINTILLA (capitolo quattro)
La sveglia sul comodino squillò e un braccio uscì dal lenzuolo per spegnere quel fracasso. Il sole faceva già capolino dalla finestra esposta a est. “Avevi detto che avresti cambiato la suoneria della sveglia Non ne posso più di quel gracchiare!”
Una massa di capelli color argento si mosse. “Uhm…Buongiorno anche a te…Domani lo farò, te lo prometto.”
L’uomo girò la testa. “Dobbiamo alzarci, prima che si faccia tardi. Io vado a preparare la colazione.” Scostò la coperta e si buttò giù dal letto. “Forza bambolina, alzati.”
“Ancora un minuto.” sospirò la ragazza stiracchiando le braccia per poi girarsi dall’altra parte.
“Ok, un minuto, non uno di più. E non riaddormentarti!” fece lui indossando un paio di pantaloni e una maglietta.
Andò in bagno per urinare poi si sciacquò il viso con l’acqua fredda per svegliarsi. Si guardò allo specchio, indeciso se farsi la barba o no.
Quasi quarantenne, aveva un viso molto gradevole, il mento forte gli dava un’aria da duro che le donne, e anche molti uomini, avrebbero definito sexy.
Dovrei dare una spuntatina anche ai capelli pensò afferrando le ciocche che ormai gli arrivavano alle spalle. Anzi, dovrei rasarli totalmente, darei meno nell’occhio. Oppure tingerli...
Il colore dei capelli, platino con sfumature dorate, e il fatto che li avesse così lunghi attirava l’attenzione della gente. Così come gli occhi grigi dai riflessi viola, molto particolari, non mancavano di catturare gli sguardi di tutti.
Si pettinò e legò i capelli in una coda poi andò in cucina a preparare la colazione.
La donna entrò, ancora assonnata, in un assurdo pigiama verde fluo, e gli sparò un bacio sulla guancia. Magrissima e slanciata aveva i capelli corti neri, in quel momento tutti scarmigliati, e gli occhi scuri che tradivano le sue origini asiatiche.
“Uova e bacon?” chiese mentre si avviava ciabattando verso l’ingresso.
“No, faccio i pancakes.” rispose lui mentre poggiava sul tavolo gli ingredienti.
Lei rientrò con un quotidiano tra le mani. Sedette al tavolo in cucina e iniziò a sfogliarne le pagine. Mentre leggeva commentava le notizie a voce alta.
“Sempre le stesse cose, guerre, crimini di tutti i tipi, addirittura un ministro del governo beccato con una prostituta. Mai una bella notizia…”
“Ti aspettavi forse qualcosa di diverso? Viviamo in un mondo violento e siamo crudeli quanto basta.”
Finì di cucinare, portò i pancakes in tavola e iniziarono a mangiare.
“Stasera probabilmente farò tardi.” le disse. “Quando esco dal lavoro devo passare da Jordan per aiutarlo a rimontare la moto.” Jordan Porter era uno dei suoi più cari amici.
“Ma... Per stasera avevo programmato un po' di shopping. Con te! Perché non me l’hai detto prima?!” chiese la donna iniziando ad irritarsi.
“Te lo sto dicendo adesso… Ti avevo accennato al fatto che aveva dovuto controllarla per riparare un guasto… Prima o poi doveva pure rimontarla, no? Io e Jo abbiamo dovuto incastrare il poco tempo libero che abbiamo..." Con un sospiro aggiunse: "Tu non mi hai detto che volevi uscire con me!… L’idea dello shopping ti è venuta in mente quando, esattamente? Cinque minuti fa?" "Potresti anche rimandare, se ci tieni tanto...”. Mentalmente si augurò che non cambiasse idea perché fare compere con lei significava trascinarsi per i negozi di mezza città fino all’ora di cena.
“Io e te abbiamo grossi problemi di comunicazione, mio caro…In ogni caso te ne avrei parlato più tardi." Fosse solo la comunicazione... pensò lui. "Comunque… Al solito i tuoi impegni vengono sempre prima di tutto…Va bene, fai come vuoi. Io esco da sola!”
Evitò di ribattere per non impelagarsi in infinite discussioni. Fecero colazione in silenzio.
Finirono di prepararsi e lei, col muso lungo, a malapena lo salutò.
“Mammina, dove stiamo andando?” chiese il bambino seduto nel seggiolino posteriore dell'auto.
“Doveva essere una sorpresa, tesoro, ma…” disse la donna mentre allacciava la cintura di sicurezza del piccolo “���te lo dico in un orecchio…”
Si avvicinò alla testa del bambino e sussurrò: “Al parco…”
Il bambino iniziò a strillare e abbracciò la mamma, tutto contento. Lei gli baciò la testa poi sedette al posto di guida. Mise la cintura e avviò il motore.
Era il pomeriggio di una bella giornata di inizio primavera. Aveva in programma di dare una sistemata al garage e fare una cernita di cose da buttare. Quel sole luminoso le aveva fatto cambiato idea: poteva rimandare tutto e stare all’aperto con Lucas. Così ne aveva approfittato, con l’intenzione di portare suo figlio al parco a giocare con gli altri bambini e lei a godersi la lettura di un libro nell’aria tiepida.
Accese la radio per ascoltare un po’ di musica, inforcò gli occhiali da sole e partì.
Lucas canticchiava a modo suo una canzone trasmessa dalla radio e lei, divertita, ogni tanto gli lanciava uno sguardo dallo specchietto retrovisore. Aveva percorso circa mezzo chilometro quando una grossa macchina nera sbucò da una strada laterale alla sua destra e prese in pieno il lato del passeggero. Due finestrini andarono in frantumi e gli occhiali da sole volarono da qualche parte. L’urto violento fece scoppiare gli airbag e trascinò il veicolo nella corsia opposta dove si fermò. Il bambino urlò dallo spavento. L’autista dell’auto, con le mani sulla testa, scese di corsa, si diresse allo sportello della donna e lo spalancò. Chi aveva assistito all’incidente si avvicinò velocemente alle macchine danneggiate e qualcuno chiamò la polizia.
“Oddio! Mi dispiace signora... Mi sono distratto un attimo… Tutto bene? Come si sente?”
“Il bambino! Il mio bambino. Lukeee!” gridò la donna, sotto shock.
Il tizio diede un’occhiata al retro dell’abitacolo e aprì lo sportello posteriore. “Chiamate un’ambulanza, presto!” urlò.
Il bambino nel seggiolino stava piangendo e chiamava la mamma. La donna, accasciata sul volante, sull’airbag sgonfio, si lamentava, ancora confusa.
Subito dopo arrivò una pattuglia della polizia insieme ai soccorsi. I poliziotti fecero allontanare i curiosi mentre gli infermieri valutavano le condizioni del bambino che, a parte il grosso spavento, non aveva necessità di cure immediate. Ad un primo esame la mamma sembrava quella messa peggio.
Caricarono madre e figlio e l’ambulanza partì mentre i sanitari prestavano le prime cure alla donna. Aveva sicuramente riportato una frattura della gamba destra e il forte dolore al torace fece sospettare la frattura delle costole. Il dolore alla gamba e al torace le fece perdere i sensi un paio di volte e quando si svegliava, la nausea le faceva ingarbugliare lo stomaco. Lucas era seduto accanto all’infermiera che lo aveva fatto scendere dall’auto. Cercava di rassicurarlo e di distrarlo ma lui lanciava continue occhiate alla madre, sdraiata lì accanto, poi ricominciava a piangere.
Li portarono all’ospedale più vicino. Alla donna fecero le radiografie e il medico diagnosticò, oltre alla frattura composta del perone, l’incrinatura di tre costole nella parte destra del torace, dovute allo scoppio degli airbag mentre al bambino programmarono una risonanza magnetica per l’indomani.
Dopo qualche ora, la donna era sdraiata sulla barella con la gamba già immobilizzata. Con voce rassicurante coccolava il bambino e gli accarezzava la testa. “Ascolta Luke, adesso devi fare il bravo.” Avevano gli occhi arrossati dal pianto. Era arrivato il momento tanto temuto. “Mamma dovrà andare in una stanza e tu in un’altra tutta colorata dove ci sono altri bambini. Devi far finta che siamo a casa e che stiamo dormendo nelle nostre camer...”
“Ma mamma, non voglio lasciarti da sola!” fece Luke affranto, di nuovo prossimo alle lacrime.
“Non sono sola, amore mio. Forse più tardi verrà Chlo insieme a Matty. E poi, tu sei nella tua cameretta... Siamo nella stessa casa, giusto? Stanotte ti addormenti e domani vieni a trovarmi, va bene? La signora qui ti accompagnerà da me.” Indicò l’infermiera pediatrica con la divisa a pupazzi e lei annuì.
“Sei il mio splendido bambino coraggioso!”. Lui annuì, non troppo convinto e la madre gli baciò il viso.
La sveglia suonò alle prime luci dell’alba. La ragazza con i capelli neri si mosse, automaticamente tirò fuori il braccio da sotto la coperta e la spense.
“Oggi tocca a te, Bea.” disse l’uomo coricato accanto a lei.
“Ancora un minuto poi mi alzo.” rispose lei sbadigliando.
Il minuto passò poi ne passarono due. “Uff! Ho capito…” borbottò lui alzandosi dal letto.
Affrontò la solita routine quotidiana. Si fece velocemente la barba e andò in cucina a preparare la colazione.
Dopo un po’ la donna entrò stiracchiando le braccia e gli diede un bacio sulla guancia. Uscì in pigiama all’esterno per prendere il giornale.
“Non ci crederai, Daemon.” disse la donna rientrando in casa con lo sguardo su una pagina del quotidiano che aveva in mano. “Un altro incidente d’auto, a due passi da qui.” “Uhm… qualcuno che conosciamo?” chiese lui.
“Non hanno scritto il nome, solo le iniziali: ‘Ieri pomeriggio, intorno alle 15,30, la berlina della trentenne R.T. è stata investita da un suv che non ha rispettato il segnale di stop. La donna, che in quel momento si trovava in auto col figlio di sei anni, ha riportato lesioni al torace e a una gamba. Il bambino è rimasto illeso ed entrambi sono ricoverati al Westcross, il bambino per accertamenti…’” Lesse la donna.
“Proprio dove lavoro io. Accidenti! Per fortuna il bambino non si è fatto niente…” commentò.
“Ok, è tutto pronto, ora mangiamo, Bea. Per favore prendi il succo di frutta.” disse portando a tavola il piatto con uova e bacon.
Dopo aver fatto colazione, finirono di prepararsi e uscirono per andare nei rispettivi posti di lavoro.
Daemon entrò in ospedale, si infilò un camice pulito e sedette in una sala con i colleghi e gli infermieri per il briefing mattutino. Dopo mezz’ora, con una decina di cartelle cliniche sottobraccio, iniziò il lavoro di routine. Verso le tredici un collega, Samuel Fielding, entrò trafelato nella stanza dove Daemon stava compilando una lista di esami.
“Ti devo chiedere un favore, collega!”
“Uhm… Il tosaerba è rimasto fulminato dalla tua bellezza? Un meteorite ha colpito uno degli orrendi nani da giardino che fanno la guardia a casa tua?”
“Dai, non scherzare, amico!” ribatté Sam ridacchiando. “Mia madre è caduta e sembra si sia fratturata una caviglia, devo proprio scappare da lei e portarla qui. Ti chiedo solo se puoi dare un’occhiata alla donna dell’incidente d’auto di ieri, non sono riuscito neanche a vederla in faccia… Ti giuro! E' l’ultimo favore che ti chiedo…”
Daemon si scusò: “Oh! Mi dispiace per tua madre, Sam. …" "Va bene, dimmi in che stanza è… Conoscendoti non sarà l’ultimo favore che mi chiedi… E la prossima volta che ci incontriamo non dimenticare il paio di birre che mi devi dall’ultimo favore che ti ho fatto.”
“E’ nella dodici. Grazie fratello, sei un vero amico! E il miglior internista che conosca, quei due sono in buone mani! Questa è la sua cartella clinica e questa è quella del bambino.” disse, indicandole. “Ah! E mettine in conto altre sei. Ciao, io vado!" fece Sam mentre usciva dalla sala.
Sei un gran leccaculo, fratello! pensò Daemon scuotendo la testa e facendo un cenno di saluto con la mano.
Ultimò la lista e la consegnò alla postazione degli infermieri. Diede altre disposizioni e si diresse nella stanza dodici con le due cartelle cliniche in mano.
Aprì la porta della camera ed entrò, gli occhi ancora posati su un foglio della cartella del bambino. Si girò e la richiuse.
“Buongiorno, sono il dottor Daemon Targaryen, medico internista. Oggi sostituisco il dottor Fielding che l’ha presa in cura.”
La donna non rispose e non restituì il saluto.
Lui sollevò lo sguardo e si avvicinò al letto.
Era semi seduta, col viso rivolto verso la finestra dove le tende chiare schermavano la luce del giorno. Indossava la camiciola d’ordinanza dell’ospedale.
I cavi del monitor e il deflussore di una flebo uscivano dal suo corpo. La gamba destra, ingessata fin sotto il ginocchio, poggiava su un cuscino. I suoi capelli risplendevano anche in quella luce smorzata. Girò la testa e puntò su di lui un paio di incredibili occhi azzurri con sfumature viola.
“Rhaenyra Targaryen. Buongiorno dottore.” rispose lei dopo qualche secondo.
Rhaenyra guardò stupita quell'uomo. Poi si scosse, cercando di dissimulare la sorpresa: “Come sta oggi mio figlio, dottore? Nessuno mi ha ancora dato notizie.”
“Suo figlio sta benissimo, signora, non c'è da preoccuparsi.” fece lui dopo un attimo di esitazione.
“Stamattina ha fatto la risonanza magnetica ma va tutto bene e non ha niente di rotto. A breve verrà dimesso.” continuò automaticamente Daemon avvicinandosi ancora di più e fissando Rhaenyra.
“Mi perdoni se… Per caso… ci conosciamo? Mi sembra di averla già vista da qualche parte. O magari è un’artista famosa? Abbiamo lo stesso cognome e mi chiedevo se…”
Aveva una bellezza eterea e allo stesso tempo sensuale. La pelle del viso non aveva alcuna imperfezione e gli occhi, dal taglio nord-europeo, erano orlati da ciglia chiare. I capelli lunghi e un po’ mossi, color platino con sfumature dorate, identici ai suoi, incorniciavano un ovale perfetto, così come era perfetta la linea delle sopracciglia di una tonalità più scura delle ciglia. Aveva una piccola gobba sul naso delicato che lo rendeva particolare e molto gradevole.
Anche lei non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso. Le somigliava tantissimo, era come vedere un parente lontano. Un Targaryen come me. Aveva gli occhi grigi con le stesse sfumature viola dei suoi e una bellezza particolare. Qualche ruga gli segnava la fronte e i lati della bocca ma a parte questo non doveva avere più di quarant’anni.
Avevano in comune gli stessi inusuali colori e persino la pelle color latte. Ma soprattutto c’era qualcosa di familiare nel modo in cui lui si muoveva, nel tono della voce bassa e calda, nel corpo asciutto e muscoloso sotto il camice da dottore ed emanava qualcosa che istintivamente la faceva sentire a proprio agio.
“No, dottore, non ci conosciamo e non sono famosa.” lo interruppe Rhaenyra sorridendo e cercando di darsi un contegno. “Effettivamente abbiamo un cognome insolito e a quanto pare anche i nostri nomi non sono molto comuni.”
Daemon le chiese come si sentisse e se avesse dolori. Poi si concentrò sulla flebo e spostò la mano per accertarsi che la cannula fosse ben posizionata. Le sfiorò inavvertitamente il polso. Una scintilla percorse i loro corpi e i loro cuori accelerarono il battito. Il monitor di Rhaenyra registrò l’aumento della frequenza cardiaca. Ritrassero la mano di scatto e Daemon la guardò di nuovo. “Mi scusi… Dev’essere l’elettricità...”
All’improvviso la porta si spalancò ed entrò un bambino in pigiama, i capelli scuri e riccioluti, seguito da un’infermiera con la divisa tutta colorata del reparto pediatrico e si precipitò vicino al letto gridando “Mamma! Mamma!”
“Oh! Luke! Tesoro mio!” fece Rhaenyra allungando le braccia per abbracciare il bambino. Con una smorfia di dolore cercò di tirarsi su ma le costole incrinate glielo impedirono.
“Vieni qui, luce dei miei occhi, fatti abbracciare! Come stai? Come hai dormito?”
“Mammina mi sei mancata tanto!” disse il bambino strofinandosi gli occhi pieni di lacrime.
“Dottor Targaryen, lui è Luke, Lucas. Mio figlio.”
“Piacere di conoscerti Lucas detto Luke. Vuoi salire sul letto?”
Il bambino annuì e Daemon lo sollevò per farlo sedere accanto alla madre. Luke le posò la testa su una spalla e lei gli baciò il nasino.
“Mammina, lo sai che il dottore mi ha fatto entrare in una macchina dove c’era un tubo lungo lungo? E mi ha messo le cuffie dove c’era la musica e io dovevo stare fermissimo. Poi mi ha detto che ero stato coraggioso e poi mi ha dato una caramella alla frutta!”
“Oh, tesoro! Ma io lo so che sei un bambino bravo e coraggioso, sei il mio ometto.” rispose lei sorridendo e accarezzandogli la testa.
“Signora, ora verrà il dottor Carter, il medico radiologo, per informarla di tutto" Intervenne l’infermiera. "Lucas è stato veramente bravo, non ha fatto i capricci, ha mangiato e giocato con un altro bambino della camera. Stamattina chiedeva continuamente di lei quindi l’ho portato qui... Bene, io vado Luke. Ora starai un po’ con la tua mamma. Ci vediamo dopo, va bene?” Rhaenyra la ringraziò e il bambino le sorrise. Gli mancavano due incisivi inferiori e uno superiore. Era adorabile.
Mentre aspettavano il medico, Daemon fece scendere Lucas dal letto e visitò Rhaenyra, le auscultò il torace e le chiese alcuni dati per completare l’anamnesi e aggiornare la sua cartella clinica.
Dopo un po' arrivò il dottor Phil Carter e spiegò a Rhaenyra che la risonanza magnetica di Luke era negativa. Nonostante l’urto violento, il bambino non aveva riportato traumi di alcun genere e che la dimissione era prevista per l’indomani.
“Lei signora potrà essere dimessa tra un paio di giorni. Purtroppo per le costole incrinate non si può far niente, guariranno col tempo. Invece per la frattura al perone che fortunatamente è composta dovrà tenere il gesso per almeno sei settimane. Al termine tornerà qui e le faremo una radiografia di controllo; se va tutto bene lo toglieremo. In ogni caso le prescriverò anche degli antidolorifici. Se vuole avvisare suo marito…”
“Non c’è nessuno!” fece lei d’impulso stringendo il bambino al petto. “Mi scusi, dottore…” fece Rhaenyra contrita. “Mio marito è in Iraq da due anni ma non ho sue notizi… Ci siamo trasferiti da poco, siamo soli, io e Luke, e in questa città non ho familiari che lo possano accudire… Ho un’amica che forse… Dopo quello che è successo vorrei averlo con me…” “Sarebbe un problema rinviare la sua dimissione? Potrebbe dormire qui con me. La prego dottor Carter…”
“Ma certo, signora, non potremmo mai separare un bambino dalla madre... Se il dottor Targaryen è d’accordo chiederò di approntare un lettino in questa camera. Mi dispiace per quello che è successo e vista la situazione faremo di tutto per…”
“Si, sono d’accordo! Ci penserò io, signora!” rispose Daemon guardando Rhaenyra.
“Naturalmente se per lei non è un problema che me ne occupi io.” aggiunse in fretta.
Lei gli restituì lo sguardo. “Non vorrei disturbare nessun…”
“Non mi disturba affatto!” rispose lui. “Lo faccio volentieri. D’altronde sono circostanze… particolari… E poi, dobbiamo pensare a sistemare questo ometto, vero Luke?” continuò, scarmigliando i capelli del bambino che lo guardò e sorrise.
Quel pomeriggio e nei due giorni successivi Daemon andò più volte a trovare Rhaenyra per assicurarsi che il lettino per Lucas fosse stato portato in camera, che avesse dormito bene, che non avesse dolori, che i cuscini fossero sistemati a dovere. Ogni scusa era buona per starle intorno. Quando le procurò un paio di grucce e l’aiutò ad alzarsi dal letto per esercitarsi a fare qualche passo, valutò di sfuggita che doveva essere alta circa un metro e settanta. Lui la superava almeno di una decina di centimetri.
All’inizio quella ragazza lo incuriosiva, il perché fossero così simili fisicamente era il primo pensiero. Il secondo fu che nonostante i Targaryen sparsi nel mondo fossero pochissimi, loro due probabilmente provenivano da rami diversi della stessa famiglia. Che strane coincidenze... pensava. Due Targaryen che si sono conosciuti per un caso assurdo.
Pian piano il limite sottile della mera curiosità sconfinò in qualcosa di molto vicino all’attrazione. Non riusciva a capire il perché ma in lei c’era qualcosa di indefinito che lo stuzzicava e al contempo lo affascinava. Che fosse simpatica e sempre pronta a sdrammatizzare era una casualità. Rhaenyra era una donna forte, fiera e indipendente. I radicali cambiamenti che aveva dovuto affrontare nella sua vita ne erano la prova, così come l’aver cresciuto il bambino senza alcun tipo di supporto familiare. Era perfettamente conscio di queste qualità, eppure, contro ogni logica, quando la guardava c’era in lei un'aura di impercettibile vulnerabilità che attivava, senza che se ne rendesse conto, il suo istinto di protezione. Ribadendo fino alla nausea come lo strano e assurdo interesse verso quella donna fosse del tutto innocente, Daemon ingannava sé stesso.
Ma, inganno o no, alla fine non potè più evitare di pensare continuamente a lei. La notte, nel suo letto, tardava a prendere sonno rivivendo come in un film tutte le scene di quelle giornate. Gli tornava in mente Rhaenyra in quella ridicola camicia d’ospedale che a malapena nascondeva le sue forme. Chiudeva gli occhi e il bellissimo viso, il sorriso, i suoi occhi erano nella sua mente. Persino il nome gli faceva battere forte il cuore.
Che cazzo mi sta succedendo!? Sto per caso impazzendo?. Il tenore dei suoi pensieri era sempre lo stesso. Non ho più quindici anni! Ho una donna a cui voglio bene e io penso ad una sconosciuta? Dovrei farmi gli affari miei e lasciare Rhaenyra in pace!
Il giorno dopo si svegliava con Rhaenyra in mente e di nuovo non vedeva l’ora di andare da lei. I propositi della notte precedente regolarmente spazzati via.
La mattina in cui lei e il bambino sarebbero stati dimessi, Daemon si presentò in camera con una sedia a rotelle.
“Buongiorno a tutti! Siete pronti?” fece con entusiasmo.
“Ho portato questo drago per la tua mamma, piccolino. Ora si siede sulla sella e lo cavalca fino alla macchina.”
“Siii, ti stavo aspettando, zio!” rispose elettrizzato il bambino. “Mamma, guarda, lo zio Daemon ti ha portato un drago tutto rosso! Ma lo sai cavalcare, mammina?”
Aveva iniziato a chiamarlo ‘zio’ il giorno precedente. Daemon e Rhaenyra non capivano il perché ma sorridevano divertiti per quello strano appellativo.
Rhaenyra stava in piedi, sostenuta dalle grucce. Era già vestita con una gonna a disegni geometrici e un maglioncino in tinta e stava ridacchiando. “Vi prego, non fatemi ridere. Le costole…” disse lei poggiando una mano sul lato dolorante. Daemon la guardò in apnea. Aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia che le scendeva sul petto. Alcune ciocche erano sfuggite al pettine e ne incorniciavano il viso. La luce che entrava dalla finestra alle sue spalle faceva risplendere il corpo e quei capelli, come un alone luminoso. Sembrava un angelo moderno uscito da un dipinto rinascimentale.
Rhaenyra se ne accorse e si schiarì la voce: “Vogliamo andare, dottore?”
“Si, si, certo!” rispose annuendo e distogliendo lo sguardo. “Ora, mammina, se permetti, ti aiuto a sederti sul dorso del drago rosso.” scherzò Daemon avvicinando la sedia a rotelle.
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Ma sei bionda o nera, deciditi! In alcune foto hai i capelli lunghi e biondo scuro come nella foto col top rosso messa tra le migliori ed in altre corti e neri. Sicura che alcune foto siano tue?
Corti e neri???? Ma quale??? Quando metto foto mie, scrivo tra i tag #me 😜😜😜🤣🤣🤣
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William's Wiki info (italian)
KANJI:
ウィリアム・T・スピアーズ
—
RŌMAJI:
Uiriamu T. Supiāzu
—
PRIMA APPARIZIONE:
Quel maggiordomo, controffensiva;
Quel maggiordomo, al funerale
—
INFO PERSONALI
Alias:
Suit (スーツ, Sūtsu)
—
Specie:
Shinigami
—
Altezza:
182 cm
—
Affiliazioni:
• Londra
• Divisione Gestionale
• Noah's Ark Circus
—
Aspetto:
È un uomo alto con corti capelli di colore bruno scuro pettinati con la riga a destra, occhi di colore chartreuse fosforescente, denti aguzzi e carnagione pallida.
Porta degli occhiali rettangolari classici e tipicamente indossa un completo elegante nero, una camicia bianca, una cravatta nera, guanti neri e scarpe nere.
—
Carattere:
È sempre calmo, serio e distaccato e non esita a ricorrere alla violenza quando necessario, accanendosi su coloro che deve punire; è severo e ligio al suo lavoro e non sopporta i suoi colleghi che non dimostrano la stessa attinenza alle regole, specialmente se deve rimediare ai loro errori.
Trova i demoni disgustosi, ma è disposto a mettere da parte tale astio pur di compiere al meglio il proprio lavoro, arrivando anche a scusarsi con Sebastian quando quest'ultimo è stato attaccato da Grell.
—
Abilità:
In quanto shinigami, è molto agile, resistente e abile nel combattimento, ma anche miope
—
Armi:
Brandisce una Death Scythe a forma di potatore telescopico.
—
Curiosità:
• Insieme a Othello, è l'unico shinigami apparso a non essere della Divisione Recupero.
• Nel sondaggio per la popolarità dei personaggi, tenuto in onore del centesimo capitolo, è risultato quindicesimo con 103 voti su 12817.
• Yana Toboso lo chiama Takaeda (rami alti); la "T" nel suo nome deriva da questo.
#kuroshitsuji#black butler#william t spears#william.t.spears#kuroshitsuji shinigami#shinigami#kuroshitsuji reapers#grim reaper#adrian out of context
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Capitolo 3: So chi sei, e so cosa hai fatto
In mezzo alla nebbia, il soldato avanzava con passi lenti e misurati, quasi sondando il terreno davanti a sé, sebbene neppure i suoi stivali solidi riuscissero a infrangere completamente quel manto denso che si stendeva tutt’attorno. I contorni del paesaggio gli sembravano un vago accenno, i dettagli smussati da quel velo di foschia che si insinuava persino sotto il suo mantello, aderendo a lui come una seconda pelle. Si muoveva con cautela, ogni passo marcato da un’attenzione vigile e quasi rituale, come se avanzasse in un luogo sacro o proibito. Non si muoveva a caso; sembrava piuttosto in attesa, come se attendesse qualcuno in quel silenzio ovattato, pur non avendo alcuna certezza su chi o cosa avrebbe dovuto incontrare. Lo spazio che lo circondava era spettrale, privo di suoni, come se la nebbia stessa avesse assorbito ogni rumore. Persino il battito del suo cuore sembrava essere soffocato, ridotto a un ronzio lontano.
Era un uomo alto, dal volto ampio e rotondo, su cui si apriva un’espressione sorprendentemente tranquilla. I capelli erano corti e castani, di una tonalità simile alla corteccia degli alberi che si vedevano spuntare appena nella bruma, e gli occhi, profondi e neri, fissavano l’orizzonte quasi a voler svelare i segreti celati dal grigiore. Il suo sguardo si posava, indagatore, sui lembi di nebbia che si sollevavano attorno a lui come dita evanescenti. Indossava una divisa bianca, composta di una giacca ben curata, con bottoni dorati ed allineati con precisione, ed un mantello che pendeva dai larghi risvolti delle spalle, proteggendolo dall’umidità che la nebbia trasportava con sé. Anche i suoi stivali, solidi e lucidi, erano adatti per un terreno irregolare, e la spada alla sua cintura pendeva con un peso consueto, come se fosse una parte di lui, più che un’arma.
Nonostante l'uniforme parziale e il portamento severo, sul suo volto si accennava spesso un sorriso, quasi gentile, una smorfia che a tratti sembrava addolcire i lineamenti fieri e decisi. Era un soldato, certo, ma il suo viso non era segnato dall’asprezza del campo di battaglia; piuttosto, sembrava appartenere a un uomo che aveva scelto di fare della propria vita un servizio alla pace, piuttosto che alla guerra.
Ma in quell’attimo, mentre il freddo della nebbia sembrava penetrargli nelle ossa, Clodoveo non poteva evitare di sentire una sottile inquietudine crescere dentro di lui. Che cosa l’aveva condotto lì? Non era un luogo che avrebbe scelto di frequentare. Forse il destino aveva deciso di incrociare il suo cammino con quello di qualcuno o qualcosa che era destinato a trovarlo proprio in quel momento. Il suo pensiero si arrestò di colpo, interrotto da una voce che sembrava emergere dal nulla.
«Clodoveo…»
Era una voce bassa, quasi un sussurro, e si diffondeva nell’aria come un’eco lontana, facendolo voltare con un sussulto. Si guardò attorno, cercando di mettere a fuoco qualcosa, qualunque cosa, ma non vide nulla, almeno in un primo momento. Il silenzio si fece ancora più profondo, come se persino la nebbia avesse trattenuto il respiro. Poi, con una lentezza che avrebbe reso nervoso chiunque altro, una figura si fece strada tra il biancore e si stagliò davanti a lui, come se fosse parte stessa di quella foschia.
Era una donna, ma il suo aspetto era tale da renderla impossibile da dimenticare. La sua pelle era candida, di una tonalità spettrale, quasi marmorea, e i suoi capelli argentati, setosi e sottili, ricadevano in morbide onde che sembravano danzare nell’aria, avvolgendola in un alone quasi irreale. Eppure, il dettaglio più impressionante erano i suoi occhi: rossi come il tramonto, ardenti come se al loro interno ardesse una fiamma segreta, capace di scrutare dentro chiunque li incrociasse. La sua presenza, benché sottile e rarefatta, era inquietante. Sembrava quasi una visione, un'apparizione da un mondo remoto e remoto.
Clodoveo si irrigidì, sentendo ogni fibra del suo corpo tendersi, come se il suo istinto gli stesse urlando di fare attenzione. Tuttavia, il suo viso restò impassibile, e cercò di mantenere un contegno sereno, consapevole che, anche se fosse stata una minaccia, reagire d’impulso non avrebbe giovato a nessuno. «So chi sei, e so cosa hai fatto,» disse la donna, con un tono appena più chiaro, sufficiente a destarlo da quella sorta di trance. Per un istante, il soldato rimase a fissarla in silenzio, analizzando ogni dettaglio del suo volto e del suo portamento. La mano che era stata per un attimo sul pomo della spada scivolò via con un lieve gesto, come a indicare che non considerava la donna una minaccia diretta, ma non abbassò completamente la guardia.
Anche se non ne comprendeva l'origine, avvertiva in lei una familiarità inquietante. «Chi si troverebbe al mio cospetto?» domandò infine con voce calma, spezzando l’intensità di quell’attimo.
La donna piegò appena la testa, come se considerasse la risposta più adatta. «Puoi chiamarmi Lynn,» rispose, il suo sguardo intenso come una lama affilata, fissandolo con una serenità disarmante. «E sì, conosco molte cose di te. So delle tue ricerche, dei pericoli che hai affrontato alla ricerca degli Artefatti, e del coraggio che hai dimostrato nel fermare guerre prima che si trasformassero in carneficine.»
Lui ascoltava, senza esprimere alcuna reazione visibile, il suo volto una maschera di compostezza. Mantenere la calma era una sua prerogativa; anni di addestramento gli avevano insegnato che lasciarsi sfuggire un’emozione poteva essere pericoloso quanto una lama mal affilata.
«Avverto un che di familiare in te,» mormorò a bassa voce, più a se stesso che a lei. «Come se… come se tu appartenessi a qualcosa che ho perduto, un volto che dovrei ricordare. Ma no, non riesco a ricostruire l’immagine. Dimmi, perché sei qui? Cosa vuoi da me?»
La donna, quasi in risposta a quella domanda, fece un passo avanti, e Clodoveo notò che non c’era suono, nessun fruscio o crepitio. Anche la nebbia sembrava rispettare il suo cammino, ritirandosi leggermente attorno a lei, come se la temesse o la riconoscesse come una forza sovrannaturale. «Sono qui per prevenire una minaccia che potrebbe essere in procinto di infettare quest’isola,» rispose Lynn con pacatezza, ma Clodoveo avvertì un’ombra di timore sotto la sua voce calma.
«Qualcuno si trova ora a Folach. È là per portare a termine un conto in sospeso. Ma se dovesse riuscire, temo che l’equilibrio di Balia Claea verrebbe spezzato. Non posso ancora sapere quanto gravemente, ma è sempre meglio sradicare un filo d’erba marcio prima che rovini tutto il giardino.»
Le sue parole, pronunciate con tono misurato, erano come lame affilate che tagliavano il silenzio. Clodoveo serrò le labbra, sentendo quel nome, Folach, risuonare dentro di lui come un'eco lontana. Nella sua mente si accendevano memorie di battaglie, voci disperate e lo sguardo vuoto di chi aveva visto troppo. Folach, una città che conosceva fin troppo bene, un luogo dove il destino spesso sceglieva di giocare con le vite degli uomini.
«Folach…» ripeté come se quella parola avesse un peso particolare. «Nella mia terra, conosciamo bene quella città. Molte insidie sono giunte a noi da Balia Claea, salpando da quei porti. Ma chi sarebbe questa persona di cui parli?»
Lynn distolse lo sguardo, fissando la foschia con un’espressione assorta, come se stesse misurando con attenzione le parole da dire. «È una figura misteriosa, un’eroina, direbbero alcuni. Ma ha portato con sé un pericolo che ha radici antiche e avvolgenti, come il rosso del sangue che scorre nelle vene di questa terra.»
Clodoveo percepì l’angoscia nel volto di Lynn, un segnale che quella missione era più complessa di quanto lasciasse intendere. C’era qualcosa di più profondo, qualcosa che avrebbe potuto sconvolgere non solo la sua vita, ma quella di molti. Lei era lì non solo per chiedere il suo aiuto, ma per affidargli un compito che nessun altro avrebbe potuto svolgere.
«Ritieni, dunque, che io debba fare qualcosa a riguardo?» domandò con tono serio.
«Vorrei che venissi con me, a Folach,» disse Lynn, avvicinandosi ancora. «Potrai evitare che quella minaccia si realizzi, assicurandoti che l’isola non venga travolta da una forza inarrestabile.»
Clodoveo osservò l’orizzonte, mentre un nuovo pensiero cresceva in lui. Avrebbe dovuto affrontare il passato, e quella donna ne era la chiave. Era pronto, consapevole che il destino l’avrebbe guidato verso un luogo di conflitto e verità.
Nel frattempo, proprio al cospetto delle mura di Folach, il viaggio di Vana e Talulah proseguiva.
Da vicino, la città appariva ancora più allegra di quanto Talulah avesse immaginato: le pareti colorate raccontavano storie e leggende attraverso immagini stilizzate di draghi, guerrieri, alberi dai rami sinuosi e animali magici.
Ogni angolo sembrava avere qualcosa da svelare, come un invito a entrare in un mondo di possibilità. Vana, invece, sorrideva, chiedendosi chissà quali altri ricordi avrebbe costruito, vagando per quelle vie.
Aberfa sorrise con aria soddisfatta, facendo un ampio gesto con il braccio verso il portone decorato davanti a loro. «Eccoci, finalmente, all’entrata di Folach. Non è come tutte le altre città dell’isola, vero? Vi incanterà, ne sono certa.»
Talulah osservava incantata le sfumature cangianti delle pareti, dipinte con colori vivaci e accesi che facevano risaltare ogni dettaglio anche nel chiarore timido del mattino. Piccoli drappi colorati pendevano lungo le mura e sulle porte, mossi da una leggera brezza che trasportava nell’aria il profumo di spezie e fiori freschi, accendendo in lei una curiosità irrefrenabile. Sorridendo, afferrò il braccio di Vana e glielo strinse piano, come a voler condividere la propria meraviglia.
«Ti senti come se non sapessi dove guardare, sperduta nella bellezza della città?» mormorò Vana, lasciando trasparire un accenno di emozione dietro l’abituale compostezza. I suoi occhi seguivano i movimenti ritmici dei festoni che adornavano l’ingresso e scrutavano i dettagli intricati intagliati sul portone, mentre un improvviso senso di anticipazione la faceva fremere lievemente.
«Il mio intento è che voi possiate sentirvi a casa,» replicò Aberfa con un sorriso divertito. «E non appena metteremo piede all’interno delle mura, vi assicuro che questa città non smetterà di sorprendervi.»
Con un cenno incoraggiante, Aberfa si avvicinò al portone massiccio e posò una mano sui battenti intarsiati, aprendoli con un movimento fluido. Si udì un lieve sfrigolio di tamburelli e risate provenire dall’interno, e, non appena il portone fu spalancato, un mondo vibrante si rivelò davanti a loro.
Le strade di Folach si aprivano in un intreccio di vicoli e piazzette dove bancarelle affollate si alternavano a piccoli giardini fioriti, e la gente si muoveva di qua e di là, indaffarata e vivace, vestita con abiti dai colori sgargianti e sorrisi radiosi.
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24 agosto 2024, portico del bungalow
Nosy Ankazoberavina, (Madagascar)
sogni del 20 o del 21 agosto 2024 mattina
1) una donna capelli neri lisci corti, occhiali tipo Polaroid anni '70, non la ricordo nuda, forse siamo in bagno di un luogo di lavoro, glutei tondi la prendo da dietro lei una giacca blu una camicia bianca, non particolarmente bella. Ma era molto bagnata mi è venuta una grande erezione.
per il secondo sogno ricordo solo la stanza di un giovane con un tavolo da disegno, verde sembrava il mio, ritagliato da grossi cerchi.
( il secondo quasi non mi ricordo perché ho aspettato molto a riprendere a scrivere)
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perché non mi baci? mi chiedi
la stanza è ampia e non siamo soli la tua testa nera riposa sul cuscino bianco e gonfio, le lenzuola morbide e pulite, i tuoi vestiti freschi, bianchi e neri. porti un gilet da uomo su una camicia candida
perché non mi baci? mi chiedi leggendomi dentro
mi avvicino a te, tra le lenzuola bacio la tua bocca sento il tessuto delle tue labbra sulle mie, morbide come piccole bocche di pesca. Sento i tuoi denti, e il profumo di te, e sussurro nel tuo orecchio piano come se parlassimo di segreti ultimi, vuoi fare l’amore?, domando con gli occhi mi fissi in silenzio con quegli occhi scuri come la notte non rispondi e mi guardi dolcemente, parlo piano alla tua bocca umida infilo la mia mano sotto la tua canottiera la tua camicia candida, la pelle chiara, il seno bianco; tu non parli e mi carezzi la nuca con tenerezza femminile e con un fremito sul viso sotto le mie dita sento il tuo capezzolo, che sporge quasi vergine sei tu?, penso E ti lasci baciare mentre ti tocco e mi dici, sì facciamo l’amore? ripeti muovo il mio corpo su di te, e sento me dentro di te lentamente, dentro le tue carni dolci, l’unica cosa che percepisco oltre la tua sete è il profumo fresco dei tuoi baci. sì (baciami dentro, mi dici)
sento il profumo di appartenerti, di essere tuo, che mi entra nell’anima come una seduzione priva di parole le nostre labbra si staccano con un leggero schiocco impercettibile come il fremito di una farfalla. i tuoi occhi colore del tuoi capelli corvini e corti, si stagliano sul profumo chiaro dell’amore; la tua parola dentro di me “l’amore si fa con l’anima”, mi sussurri nell’orecchio e sento le tue fresche labbra sul mio collo, la tua lingua calda, e con le parole umide piene di paura, ci baciamo ancora. e ancora
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Da Rekamety a Gianfranco
Salut les amis d’Italie,
Je m’appelle Rekamety, j’ai 13 ans. Je suis un garçon qui aime rire aussi. Les jeux vidéo pourront bien m’intéresser malheureusement nous n’avons pas les matérielles nécessaires pour y jouer à la maison. Voici ma description : j’ai les yeux noirs, je suis mince, j’ai des cheveux courts et frisés. Je suis assez petit et je ne m’aime pas comme je suis. J’aime jouer au football et faire du vélo, mais je n’ai pas de vélo. A la maison, je joue au bille, nous n’avons pas de télévision. Du coup pendant le week-end, j’étudie ou je joue avec mes amis.
J’ai deux sœurs et un frère. Je suis en classe de 4ème B (3ème année au collège, c’est la classe avant de rentrée à la dernière année). Mes matières préférées sont les mathématiques, physique, Malagasy et l’EPS. Ici, à Jangany, la plupart des élèves marchent à pieds pour aller à l’école. Je pense qu’un jour à la fin de mes études je deviendrai ingénieur.
Au revoir, Gianfranco. Joyeuse pâques.
Ciao amici italiani,
Mi chiamo Rekamety, ho 13 anni. Sono un ragazzo che ama ridere. I videogiochi potrebbero interessarmi molto, purtroppo non abbiamo l'attrezzatura necessaria per giocare a casa. Ecco la mia descrizione: ho gli occhi neri, sono magro, ho i capelli corti e ricci. Sono abbastanza piccolo e non mi piaccio come sono. Mi piace giocare a calcio e andare in bicicletta, ma non ho una bicicletta. A casa, gioco alle bocce, non abbiamo la televisione. Quindi durante il fine settimana, studio o gioco con i miei amici. Ho due sorelle e un fratello. Sono in classe di 4° B (3° media). Le mie materie preferite sono Matematica, Fisica, Malagasy e l'Educazione Fisica. Qui a Jangany, la maggior parte degli studenti va a scuola a piedi. Penso che un giorno, alla fine dei miei studi, diventerò ingegnere. Arrivederci, Gianfranco. Buona Pasqua.
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Ho le gambe magre. La pancia in dentro. Le guance scavate. Ho gli occhi scuri. Le ciglia lunghe. Il viso pallido. Respiro il fumo da una sigaretta che non finisce mai e tingo l'aria di grigio scuro. Il vento scompiglia i miei capelli ed il sole riscalda le mie mani. Aspetto, sempre in attesa di niente. Ho promesso di scriverti, di aggiornarti su quel che sto diventando, ma non posso. Rovino il tuo lavoro, la tua opera d'arte. Mi hai creata modificando ogni parte di me a tuo piacimento, ma non sono io e tu non capiresti. Sarà passato un anno o forse due e continuo a piedi la via verso me stessa che ho smarrito. Ti penso. Ogni tanto i tuoi tratti nella mia mente prendono forma, ma poi li scordo. I tuoi capelli biondi, corti. Gli occhi stanchi. I sbadigli mentre mi perdevo nei miei lunghi monologhi, prima parlando del mio passato per perdermi in qualche futuro non mio. Aiutami. Davanti a me una folla inesistente, ma esistente solo in testa, mia. Mi inumidisco le labbra screpolate e mi smarrisco in sguardi estranei. Cerco. Cerco fino a vomitare sangue. Ho il collo pieno di lividi lasciati da qualche amante a me ignoto. Non mi ricordo mai, l'unica cosa che memorizzo è l'intensità dei loro respiri che vorrei smorzare. Un colpo netto al petto, il cuore strappato e poi mordo, mastico brandelli. Il sapore del sangue riscalda il mio palato e come al solito mi sono morsa le guance. Disastro, ma tu ammiravi il disastro che sono. Ogni volta che aprivo la porta blu in fondo al corridoio tu mi aspettavi, ma ti trovavi davanti qualcosa di impreciso, indefinito, sconosciuto al tuo sguardo. Poi capivi, ma solo poi. Ero io. Ogni volta la stessa creatura, ma in vesti diverse dall'ultima volta. Mi nascondevo sotto maschere diverse. Oggi labbra dipinte di rosso e abiti neri e dopo una settimana ti trovavi davanti una bambina con i fiocchi tra i capelli ricci e con un vestito verde smeraldo. Ho buttato quel vestito come ho tentato di buttare me stessa e quel che finalmente ero diventata. Mi spaventava. Capisci? Certo che non capisci. Tu non mi hai mai capita come d'altronde non mi sono mai capita nemmeno io. Il mio marchio erano le scarpe alte e gli occhi rossi. Non sono mai stata lucida o sincera con te. Ho preferito le bugie. Tu mi chiedevi come stavo ed io dicevo bene. Tu mi chiedevi di raccontarti di me, di dirti come era andata la mia settimana ed io ti raccontavo di qualcuno che non ero io, che non mi toccava in nessuna maniera. L'ultima volta mi hai fatta piangere. Le lacrime scorrevano e la mia voce tremava, però ero tranquilla. Era una cosa fuori di me, estranea a ciò che ero io. Lasciavo le lacrime bagnarmi il viso con un sorriso stampato in faccia come se fosse una cosa divertente. Tu mi guardavi impaurita, oh cara, eri spaventata. Avevo i polsi marcati da lividi e tagli sconosciuti, ma tu sapevi, capivi bene che la colpevole era la vita e non io. Ora mi manchi. A volte per strada, a testa alta incontro gente felice, ci parlo, tocco tutto ciò di buono in loro e lo trasformo in odio, attendo il loro macabro, penoso suicidio in una stazione di servizio alle 3 del mattino o nella propria camera un giorno qualunque. Attendo. Tu sai fermarmi. Tu sai porre fine a tutto ciò di male c'è in me, ma non farlo, non togliere la mia unica arma, il mio unico scudo contro questo mondo mio strano e confuso. Parlo con loro. Ancora. Ascolto le loro voci che rimbombano nella mia testa come colpi di campana, ed anche oggi ho fatto le 4 del mattino, ed anche oggi penso a te, ma non ti voglio, non voglio il bene. Io sono nata sotto vesti del male, incubo dei miei che ancora non capiscono e urlano dicendomi di smettere, dicendo che mi distruggo, ma io non penso, io agisco d'impulso. Mi strappo gli occhi e il dolce buio è la mia casa. Io so muovermi, io so distruggerti. Ed ora svegliami che sto sognando che è un altro incubo che solo tu puoi fermare. Fammi male e fammi aprire gli occhi. Spezza tutto.
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23 novembre 2014 : Ama’s. Tacchi a spillo neri e capelli lisci corti con orecchini a brillante.
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Io e i miei sogni: Stanotte ho sognato una ragazza che non ho mai visto in vita mia, ma lei mi conosceva bene. Stavamo in spiaggia insieme, ci abbracciavamo, mi sorrideva e scherzava. Era davvero bella. Capelli corti neri, tipo un caschetto, labbrone e sorriso meraviglioso. Qualche tatuaggio sulle mani e sui piedi, con smalto rosso carminio. Un corpo atletico. Non so, mi sentivo proprio a mio agio. È come se stessi a casa con lei. Infatti per quanto breve questo sogno, è stato intenso. Mi sono svegliato felice e col suo sorriso stampato nella mente
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Le 5 sfumature di donne
https://youtu.be/USXHxgWoS9g?si=YkJD9uZ1QandJBtX
⚫neri
Le donne con i capelli neri hanno una bellezza unica e distintiva. I loro capelli scuri possono illuminarsi sotto la luce, creando riflessi riflettenti e incredibili. Le donne con i capelli neri spesso emettono un'aura di mistero e fascino, che le rende affascinanti e intriganti agli occhi degli altri.
I capelli neri sono noti per essere intensi e ricchi di pigmento, conferendo così una profondità e una lucentezza che catturano l'attenzione. Questo colore può creare un contrasto straordinario con il colore della pelle, mettendo in risalto le caratteristiche del viso e donando un aspetto elegante e sofisticato.
Le donne con i capelli neri possono sperimentare una vasta gamma di stili e acconciature. La loro chioma scura offre una tela perfetta per sperimentare con tagli di capelli diversi, come i lunghi ricci, i tagli corti o i look medi. Possono anche giocare con le sfumature e i riflessi, aggiungendo profondità e dimensione ai loro capelli.
Inoltre, le donne con i capelli neri spesso hanno occhi che risaltano in modo sorprendente. Essendo un contrasto naturale al colore scuro dei capelli, gli occhi possono sembrare più luminosi e penetranti, creando uno sguardo magnetico e seducente.
La bellezza delle donne con i capelli neri è stata celebrata attraverso la storia e la cultura. Questo colore di capelli è associato a una certa sensualità e allure misteriosa, e molte icone di stile e bellezza sono state famose per i loro capelli neri.
In conclusione, le donne con i capelli neri portano con sé un fascino e una bellezza unica. La loro chioma scura dona un carattere sofisticato e intrigante, mettendo in risalto le loro caratteristiche e facendole risplendere.
the 5 shades of women
⚫ black
🇬🇧
Black haired women have a unique and distinctive beauty. Their dark hair can glow under the light, creating reflective and incredible highlights. Black-haired women often exude an aura of mystery and charm, making them charming and intriguing in the eyes of others.
Black hair is known to be intense and rich in pigment, thus imparting an eye-catching depth and shine. This color can create a stunning contrast to your skin tone, highlighting your facial features and giving you an elegant and sophisticated look.
Black haired women can experiment with a wide variety of styles and hairstyles. Their dark mane provides a perfect canvas for experimenting with different haircuts, such as long curls, short cuts, or medium looks. They can also play with shades and highlights, adding depth and dimension to their hair.
Also, women with black hair often have eyes that pop in a striking way. Being a natural contrast to dark hair color, the eyes can appear brighter and more penetrating, creating a magnetic and seductive gaze.
The beauty of women with black hair has been celebrated throughout history and culture. This hair color is associated with a certain sensuality and mysterious allure, and many style and beauty icons have been famous for their black hair.
In conclusion, women with black hair bring with them a unique charm and beauty. Their dark hair gives a sophisticated and intriguing character, highlighting their features and making them shine.
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cioè, non so neanche se riesco a scriverlo perché non so se è esattamente quello che penso sia. so di non essere innamorato di Gia. non voglio una relazione con lui e soprattutto non voglio del sesso.
Però quando è sera e sono solo a letto e non riesco a dormire e vorrei tanto che qualcuno mi stringesse e mi baciasse le labbra, le guance e la testa lui è il primo che mi viene in mente.
in realtà non è lui che torna in mente, è l'onda che mi sono fatto di lui nella notte e nel freddo della sera. più una nuvola pesante di baci con braccia esili e forti con capelli corti e neri che mi stringe e che posso stringere senza sentirmi in colpa.
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sogno del 12 giugno 2024
Mi sorprendo che andando, verso l'ingresso del parco, al cancello che è sempre aperto, anzi forse non c'è neanche un cancello, c'è solo il muro di cinta che è alto, in un paese dell'Umbria, forse, mentre un ragazzo che vorrebbe passare da dentro mi vede e passa da fuori, ma chissà, firse ci riprova. Il giardino di questa villa, il parco, è nel paese, sembra tipo la villa comunale del paese. Piove, e per strada all'ingresso incontro lei, mi sorprende la sua presenza, le prendo il viso tra le mani e anche lei ci sta che ci fai qui lei sorride le do un bacio sulla guancia prendendole il viso fra le mani. Trovo un fumetto forse una nuova edizione su un secchio lì per strada del libro di cui ora parliamo nella villa. Lei dice non sapevo fossi collezionista di fumetti non me l'hai mai detto intanto immagino mio nipote filippo lui sì che lo è, mi interessano ma non li colleziono. La pila di cinque sei copie è bagnata forse la dovrei lasciare lì, forse la dovrei portare dentro. Forse sono copie messe lì insieme ad altro e riviste per democrazia per doffusione gratuita tipo book sharing dalla tipa bionda della villa. La ragazza è molto giovane e carina esiste nella realtà avrà ora 17 anni la guardo da un po' ha attraversato uno di quei periodi in cui mi ha sorriso molto, giovane pallavolista. Mi sono stupito che mi abbia riconosciuto che sia così in confidenza con me, che ci stesse. È come se volesse entrare anche lei nella villa.
La villa è di una donna bionda sono credo il suo amante è popolata da ragazzi che passano da una dépendance all'altra fino alla casa principale, è immersa in un parco con alberi alti. Io ero uscito dalla casa principale per andare in una dépendance e mi sono trovato in un bagno in cui entrava un po' della pioggia esterna. I vialetti del parco sono bordati da siepi basse e curate. L'erba è tagliata. Gli alberi sono alcuni grandi cedri del libano. La padrona bionda capelli corti sorridente lascia fare aii ragazzi che corrono da tutte le parti. Sono liberi, si fida. Parliamo del nuovo numero di un libro, una graphic novel, con un disegno sulla copertina.
È un sogno che ho vissuto con buon animo, non riesco ad identificare la proprietaria della villa sembra la madre di una mia alunna che fa la cassiera al supermercato tigre. Ho una relazione affettiva con questa donna bionda così attiva democratica e fiduciosa nei ragazzi e nel prossimo, anche se comunque sono un ospite anch'io. Potrebbe essere la mia amica, anche se mi ci sono scannato recentemente, Giada. Come atteggiamento ma non le assomiglia affatto. La villa ha grandi stanza vetrate ampie di sviluppa in orizzontale non ha scale solo singoli scalini e dépendances nel parco circostante. Riconosco invece la ragazza pallavolista molto giovane e maschiaccia capelli lisci neri gran sorriso e labbra carnose che mi piace nella realtà. Mi stupisco che mi abbia corrisposto anche se non penso sia dalle parti della villa per me. Come fanno tutti i giovani che sono lì per qualcosa che mi sfugge sempre, magari qualcosa che non è importante per me e poco importante, se non al momento, per loro.
cosa è successo nella realtà: la scuola è finita stiamo facendo scrutini, Giada la devo evitare visto che non mi saluta anche se è sempre più magra e agile, visto che è arrabbiata con me perché l'ho trattata da pezza da piedi. E come al solito non ha riconosciuto pubblicamente il mio lavoro. L'unico compenso per quel che si fa collaborando. Ma ieri dopo un paio di settimane ha trovato il modo di rivolgermi la parola. Siamo stati fuori in una villetta per Gabriele. Siamo stati ad una cena di classe in campagna di sera e faceva fresco con i ragazzi che correvano da tutte le parti.
ps non ho corretto né ripetizioni né l'esposizione della trama mi rendo conto di aver scritto più volte le stesse cose ma avevo paura di perdere le sensazioni e la memoria.
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perché non mi baci? mi chiedi
la stanza è ampia e non siamo soli la tua testa nera riposa sul cuscino bianco e gonfio, le lenzuola morbide e pulite, i tuoi vestiti freschi, bianchi e neri. porti un gilet da uomo su una camicia candida
perché non mi baci? mi chiedi leggendomi dentro
mi avvicino a te, tra le lenzuola bacio la tua bocca sento il tessuto delle tue labbra sulle mie, morbide come piccole bocche di pesca. Sento i tuoi denti, e il profumo di te, e sussurro nel tuo orecchio piano come se parlassimo di segreti ultimi, vuoi fare l’amore?, domando con gli occhi mi fissi in silenzio con quegli occhi scuri come la notte non rispondi e mi guardi dolcemente, parlo piano alla tua bocca umida infilo la mia mano sotto la tua canottiera la tua camicia candida, la pelle chiara, il seno bianco; tu non parli e mi carezzi la nuca con tenerezza femminile e con un fremito sul viso sotto le mie dita sento il tuo capezzolo, che sporge quasi vergine sei tu?, penso E ti lasci baciare mentre ti tocco e mi dici, sì facciamo l’amore? ripeti muovo il mio corpo su di te, e sento me dentro di te lentamente, dentro le tue carni dolci, l’unica cosa che percepisco oltre la tua sete è il profumo fresco dei tuoi baci. sì (baciami dentro, mi dici)
sento il profumo di appartenerti, di essere tuo, che mi entra nell’anima come una seduzione priva di parole le nostre labbra si staccano con un leggero schiocco impercettibile come il fremito di una farfalla. i tuoi occhi colore del tuoi capelli corvini e corti, si stagliano sul profumo chiaro dell’amore; la tua parola dentro di me “l’amore si fa con l’anima”, mi sussurri nell’orecchio e sento le tue fresche labbra sul mio collo, la tua lingua calda, e con le parole umide piene di paura, ci baciamo ancora. e ancora
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