#balthur
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gzeidraws · 10 days ago
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You are hereby invited to Hilda & Claude’s wedding! 💒
Commission for Anonymous
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lovehotelreservation · 5 years ago
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thosegloriouspancakes replied to your post “LOOK AT!!!!!!!!!!! HIS BOOBS!!!!!!!!!!!!!!!!!! HIS CAMILLA-ESQUE TIT...”
god i am so thirsty. it's pouring rain where i am and i'm just thinking about ALL. THAT. WHITE. IN THE RAAAAAIN. I MEAN HE'S ALREADY SHIRTLESS, HOW MUCH MORE LE WD CAN MY BRAIN GO
WHEN IT’S RAINING AND BALTHUR’S AREOLAS SHOW UP THRU HIS SHIRT
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shipper-trash-bag · 6 years ago
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Sam: wait. If Chuck is GOD and made everything, what did Amara make?
Gabriel: the other gods. Odin, Balthur, Odisis-
Dean: Kali
Gabriel: you don’t see ME listing YOUR exes
Dean: well, my aunt never made any of my exes so what does that make the two of you?
Sam: (staring up at the ceiling) just one day of peace, please dear Chuck. Just one day!
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Storia di Jin I Il villaggio 1
STORIA DI JIN E DELLA BARONIA DI MORPURG CAPITOLO I Il villaggio 1 Jin si sollevò da tavola, il pasto era finito. Non rivolse nessuno sguardo alla moglie che cominciava a sparecchiare. Uscì. Il freddo mattutino lo costrinse ad arricciarsi nel giubbone, le nuvole del giorno prima, ancora presenti, iniziavano a diradarsi. La terra bagnata e dura, calpestata per secoli, gli trasmetteva l’umidità su per i piedi e da lì risaliva le gambe, fino alla schiena. Il villaggio cominciava a svegliarsi. Lui, sempre primo, sentiva le voci dei compaesani levarsi dalle abitazioni. Voci secche, che davano ordini alle mogli, e le risposte insolenti delle stesse, che reagivano. Le donne! Tanto necessarie, quanto fastidiose. Le trovava eccitanti, ma riconosceva che imbruttivano presto. Scherzava con le giovinette del villaggio, ma sapeva di non potere andare oltre lo scherzo, pena gli sguardi torvi e gli atti ostili dei padri delle stesse e le maldicenze dei suoi compaesani. Non che, sotto sotto, tutti non pensassero la stessa cosa, ma gli obblighi della tradizione gli impedivano di fare il filo alle giovani nubili. Per quelle appena sposate, c’era il coltello del marito a frenare gli impeti più incontrollabili. Se voleva sfogarsi c’era il bordello in paese, e Jin lo usava non appena poteva. Venti soldi erano tanti per lui, che faticava sotto il sole e al freddo della pioggia, ma la Natura chiamava e la moglie non bastava: per questo esistono le donne, per Balthur! si diceva, e che, allora, gli uomini si dessero da fare a prendersi le proprie soddisfazioni! Col pensiero aveva conosciuto tutte le giovinette del villaggio, mentre lo faceva con Alixi, anche se lo trovava un difficile esercizio perché i mugolii e i sospiri di lei lo riportavano alla cruda realtà, ma se lo faceva bastare: conosceva tutte le loro preferenze sotto le lenzuola e sapeva che, alla fin fine, erano tutte disponibili. Bastava solo insistere. Peccato ci fossero i padri, i fratelli e i mariti… Se non fosse stato così, perché sarebbero esistite le puttane? Non erano forse delle donne troppo esigenti in fatto di sesso, da non poter resistere con un solo uomo? Eh, sì, ne parlava spesso dopo la zappatura o mentre si dava da fare… Da dietro il monte Fernon, si intuiva il sole fare il suo corso e il tempo passare. Non poteva indugiare oltre e smise di attardarsi con simil pensieri: aprì la porta di rami intrecciati che chiudeva gli attrezzi in un vano ricavato nel muro della capanna, prese la zappa, e si avviò ai campi. Percorse il vecchio sentiero che passava accanto al bosco e sul sentiero cominciò a pensare: “Il barone sta per morire, che ne sarà di noi? Il figlio non è adatto al compito.” Guardò a est verso le montagne lontane e inalò una bella boccata d’aria. Questa era immobile, perché il vento mattutino, proveniente dal mare, non riusciva a penetrare la querceta e il sottobosco. Affrettò il passo e arrivò al ruscello. Questo scorreva, in quel punto, frizzante e brioso, verso nord, ma poi piegava a est per ricongiungersi al fiume, che bagnava Morpurg prima di gettarsi nel mare. Si chinò e si sciacquò la faccia. Poi bevve. “Acqua fresca,” pensò. Si diresse a nord, lungo il ruscello, per raggiungerne il gomito, dove avrebbe attraversato senza bagnarsi i piedi. Suo cugino, Alem, aveva abbattuto un albero, avendo l’abilità di farlo cadere nella giusta posizione, a fare da ponte. Sul tronco si mantenne in equilibrio e attraversò. Arrivò ai campi del barone, che si estendevano lungo tutta la piana fino al Reeve, da dove cominciavano i terreni della contea. Cominciò a zappare. Gli piaceva muoversi e darsi da fare, ma, quel giorno, era preoccupato per le sorti della baronia: se il barone fosse morto anzitempo – aveva solo trentasette anni – il figlio diciassettenne sarebbe riuscito a contrastare le mire del conte? Il barone era un uomo forte e amato dai suoi contadini, se fosse successo qualcosa lo avrebbero seguito fino alla morte e così il conte avrebbe perso molti dei suoi cavalieri, in caso di battaglia. Per questo, finora, si era trattenuto. Il re era lontano e, quassù, non contava nulla. I nobili! Pretendevano sempre dal contadino che lavorasse, sulla terra e nelle opere pubbliche: la costruzione di un ponte o migliorie stradali, che di tanto in tanto si facevano, e che poi andasse in guerra per fare la fortuna de’ Signori, che erano gli unici a guadagnarci. Si soffermò a pensare: questa era ribellione, il solo pensiero lo era. Voleva essere un ribelle? E a cosa gli sarebbe giovato se non a finire nel pozzo o ricevere qualche frustata o, peggio, finire alla gogna, dove tutti facevano quel che credevano? Smise di pensare. Era questa una cosa riservata ai nobili e ai religiosi e a qualche borghese, giù in città. Ma lui, un povero contadino, che ne voleva sapere? Che pensasse a muovere le braccia per zappare, dunque. Quando il sole arrivò a spuntare da dietro il monte Fernon, arrivarono gli altri. “Alla buon’ora!” li rimproverò scherzoso. “Ti svegli troppo presto, Jin. Prenditela comoda… Di avena ce ne spetta solo il quarto. E siamo più del triplo dei Signori, che non lavorano.” Jin non rispose e tornò a faticare. Gli uomini piegarono le schiene e cominciarono a dissodare il terreno, lasciato incolto per qualche anno. E su e giù, e su e giù, in continuazione. Ripetitivamente. Gli zoccoli immersi nel terreno nero, ricco, fertile. Quando il sole fu alto nel cielo, gli uomini si alzarono, stanchi ma consapevoli che avevano faticato per vivere, e arrivarono le mogli col pasto di medio giorno. Avanzavano festanti in gruppo e chiacchieravano ad alta voce, spesso ridendo. Jin le guardò con secchezza perché, a lui, il riso delle donne infastidiva. Quando arrivarono vicine agli uomini, Alixi disse: “Jin, ecco il pane e le rape. Mangia.” “Tu hai già fatto?” “Io ho fatto. Ti lascio il cesto, ché vado in paese.” “No, aspetta!” disse con la bocca piena. “Prendo tutto e ti riporti il cesto.” “Non ti va proprio di fare niente, uomo!” “Non mi va di girare con il cesto, donna!” “Tu e le tue fissazioni!” Alixi mise i pugni sui fianchi e lo guardò con aria di finto rimprovero. “Che te ne stai a fare piantata, lì, rigida come uno stoccafisso?” “Io me ne sto piantata dove mi pare.” “Ah, le donne! Solo guai! Sempre a cercare la polemica.” “E tu?” “Aah, taci!” Alixi tacque e lasciò correre. “Quando vai in paese, chiedi notizia del barone. Voglio sapere tutto: se ha cacato, mangiato, se si è alzato e si è affacciato… Tutto.” “Vado, vado, chiedo, chiedo, riferisco, riferisco.” Prese il cestino, fece una mossa col culo rivolto verso il marito e se ne andò. “Donna stupida,” pensò Jin. “Ho preso una donna stupida, come moglie.” Finito di mangiare, ricominciarono a zappare e Jin pensò alla moglie. Stava cominciando a invecchiare e non gli aveva dato dei figli: che fosse sterile? Le sue sorelle avevano tutte figliato e sapeva che questa della sterilità era una faccenda di famiglie, perciò non sapeva che dire. La forza di lasciarla non l’aveva, perché, in fondo, ci si trovava bene, ma l’aveva tradita spesso. Con prostitute. ‘Ma quelle non contano’, si disse. Avrebbe voluto farlo con qualcuna di città: una di quelle borghesi, insoddisfatte dalla fiacchezza del marito cittadino, ben vestita e bella in carne, come piacevano a lui. Una di quelle che si mettevano profumi e si imbellettavano il viso per piacere agli uomini. Si immaginava di diventare padre di un bastardo, allevato da un cornuto. E s’immaginava vederlo giocare nella piazza di Morpurg, ignaro che il vero padre, vero in tutti i sensi, lo guardava compiaciuto dei suoi progressi e consapevole che, con la genia del contadino e i soldi e la cultura del borghese, avrebbe sicuramente fatto strada. Inspirò e si compiacque di tutto ciò. Poi si fece prendere dalla fatica, fino a quando fu il momento di rincasare. La sera, quando il sole cominciò a scomparire all’orizzonte, Jin e gli altri tornarono al villaggio. Il tramonto durava abbastanza a lungo prima di nascondersi dietro gli alberi e, quindi, nel mare, e gli dava il tempo di tornare ai focolari prima che scurisse del tutto. “Speriamo che anche quest’anno il raccolto vada bene,” disse Alem sulla via del ritorno. “Speriamo di sì, cugino di madre,” rispose Jin. Restarono in silenzio per il resto del tragitto, le orecchie cullate dalla brezza serale che passava le fronde. Alem camminava con la zappa in spalla e aveva un sorriso tranquillo, il sorriso proprio di coloro che tornano a casa stanchi ma soddisfatti del lavoro, mentre avanzava al fianco di Jin. Jin pensò che al cugino piaceva la vita del contadino. “È un sempliciotto,” si disse. Mentre a lui piaceva sempre meno… Si faticava troppo in cambio di nulla, in estate come in inverno, e si stava soli seppur in compagnia: quando si lavorava, lo sforzo era tale che solo qualcuno riusciva ad accompagnarlo con un mesto e ritmico canto e gli altri appresso. Questa era compagnia? Forse, ma a lui non piaceva. Avrebbe preferito stare in una casa borghese davanti al focolare e parlare con gli amici, o al caldo del letto, con un bel pellicciotto a scaldargli le spalle, a parlare con una bella, raffinata donna cittadina. Questo voleva, per Balthur!, e lo voleva da sempre. Arrivati al villaggio, si alzò un vento più forte. ‘Minaccia pioggia’, dissero. E rientrarono nelle capanne. Al freddo – poiché il focolare era spento - Jin aspettò la moglie, che non era tornata, e la rabbia cominciò a montare. Stava seduto sulla sedia, davanti al tavolo, e stringeva i pugni e digrignava i denti, senza muover muscoli per accendere il fuoco. Quando, quattro clessidre dopo, Alixi tornò, Jin l’accolse con urla e improperi: “Dove sei stata fino a adesso? Non hai lasciato da mangiare e io muoio di fame! Stupida donna!” La moglie non seppe reagire di fronte alla sfuriata e l’unica cosa che le riuscì fu il pianto. “Che ti succede?” urlò Jin, calmandosi un pochino, tuttavia. “Il barone è morto da una settimana e il figlio ha fatto atto di sottomissione al conte. Dipendiamo dalle leggi della contea, da adesso in poi.” Jin si calmò, perché cose più importanti del suo stomaco e della sua rabbia premevano la mente. “Ne vado a parlare con gli altri.” Uscì e cominciò a gridare: “Concilio, concilio!” Prese una torcia dal vano degli attrezzi, rientrò nella capanna e l’accese. Poi riuscì. Gli altri uomini stavano facendo lo stesso. “Che c’è, Jin?” dissero, assonnati. “Il barone è morto, siamo nelle mani del conte.” “Ma no, il baroncino ci difenderà…” “Il baroncino si è già accordato col conte. Dipenderemo dalle leggi della contea.” “Chi te l’ha detto?” fece qualcuno. “Mia moglie: è stata in paese, oggi.” “E cosa possiamo fare?” “Nulla,” disse Jin, stupendosene. Gli uomini abbassarono il capo. “Fa freddo, stasera,” dissero. “Bisogna coprirsi, io vado.” “Anch’io.” “Perché ci hai chiamati, Jin? Non possiamo nulla contro il conte.” Jin ci pensò. “Era per darvi la notizia.” “Grazie. Andiamo a dormire, ché siamo stanchi.” Il vento continuò a soffiare, e una leggera pioggerellina cominciò a bagnare il terreno. Si sarebbe calmata tardi, nella notte. Tutti tornarono alle capanne e anche Jin rincasò. Alixi aveva acceso il fuoco. “Che hanno detto?” gli chiese inquieta. “Non possiamo far nulla, moglie. Fammi mangiare e andiamo a dormire.” Jin mangiò il suo pasto a base di avena e ceci e andò a letto. Tutta la notte un gufo bubulò, e questo era un cattivo presagio.
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