#attirava
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abr · 6 months ago
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La frociaggine a me non dà noia, ero ragazzo negli '80, quando la serata queer in discoteca si faceva non per "testimonianza" ma perché attirava tutta la regione; figuriamoci se mi formalizzo.
Quello che non accetto è il ditino alzato, i costumi che mi vogliono imporre. Fossero almeno eleganti! E invece: brutti, volgari, culturalmente ignobili e ignoranti. È un brutto mondo quello woke.
Vieppiù brutto quello di stampo parigino, son cascati malissimo: tipo l'haute couture che celebrano in quella piazza modaiola oramai del tutto erosa da Milàn: inguardabile, se non come pvovocazzione fine a se stessa.
elaborato e personalizzato da https://x.com/VittorioBanti/status/1816929154572358013
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valentina-lauricella · 5 months ago
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Letture femminili
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Il binge reading non ha senso. Io direi: a meno che non sia per doveri di studio, non divorateli, i libri. Non dovete dimostrare niente a nessuno. Io ho vissuto tranquillamente anni senza toccare un libro, leggendo solo Grazia e TuStyle, e non mi sentivo più o meno giustificata nella mia esistenza rispetto a ora. Sapevo, confusamente, che nella mia vita avrei incontrato Leopardi e Pavese, e ne rimandavo continuamente la conoscenza reale attraverso le opere, perché li consideravo due sicurezze, due capisaldi del mio destino. Razionalmente, non mi piace sostenere la tesi della reincarnazione o della conoscenza pregressa di un "programma di vita"; credo, semplicemente, che da bambini ci accadano delle cose di cui poi ci dimentichiamo, e che vanno a costituire bagaglio inconscio: sarebbe questo, in definitiva, il presunto ricordo di vite passate o conoscenze fatte in un mondo spirituale. È stato detto, da qualche anima, che l'aldilà è il mondo dell'inconscio: rivelazione e conferma di una verità o di un'illusione? Lungo discorso.
Dunque, come avrei conosciuto Leopardi e Pavese nella mia infanzia? Posso azzardare la ricostruzione delle circostanze. I miei acquistavano, quasi settimanalmente, L'Espresso. Al fondo dell'Espresso c'era la famosa rubrica di Umberto Eco, La bustina di Minerva: la leggevo per prima perché m'ingolosiva quel modo succoso, allusivo e sagace di parlare di cultura. Mi attirava, del suo autore, quell'aria di "saperla lunga". Allora, fu probabilmente durante la lettura di uno o più di questi articoli, che venne solleticata la mia curiosità sui poveri e incolpevoli Leopardi e Pavese. Probabilmente Eco, da vecchio volpone, avrà concesso ai suoi lettori qualche indiscrezione pruriginosa, velata di sadismo, sulla vita sessuale dei due scrittori, notoriamente faticosa. Bastò questa curiosità, suscitata nella mia mente di bambina/preadolescente, a gettare le basi della sensazione di una conoscenza pregressa e del mio grande interesse per loro.
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bludichartres · 10 months ago
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incipit
Aveva uno sguardo intenso, come quello di certe opere di Modigliani. Da quelle pupille dense non veniva luce, un fuoco fatuo, un istante, un guizzo e poi ti attirava nel suo baratro.
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ophelia-northwood · 6 months ago
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"I do believe in fate and destiny, but I also believe we are only fated to do the things that we'd choose anyway. And I'd choose you; in a hundred lifetimes, in a hundred worlds, in any version of reality, I'd find you and I'd choose you."
ophelia&helys
accademia 10 p.m
Ophelia non era mai stata quel genere di persona a cui piaceva essere al centro dell'attenzione. Al contrario, preferiva stare ai margini, tra le pieghe sbiadite delle pagine, tra storie che non si sarebbero mai soffermare a riflettere su di lei.
Era sempre stata così fin da bambina, forse aveva aiutato l'avere un marchio tanto assurdo stampato sull'epidermide dell'avambraccio che, inevitabilmente, attirava il vociare altrui sospeso tra biasimo e repulsione.
Ophelia stessa aveva contribuito alla propria emarginazione chiedendo a sé stessa sempre più rispetto a ciò che era in grado di dare. Aveva poi imparato a convivere con la parte ferale di sé, trovando un certo equilibrio. Ora Ophelia aveva rapporti cordiali con la maggioranza delle persone presenti in accademia ed era ben lontana dallo stigma che aveva sentito gravare su di sé da bambina.
Era così, almeno in apparenza.
Ophelia lottava senza tregua con la parte animale che divorava la sua anima costantemente. Così, alla fine, ella aveva dovuto trovare un modo per mettere a tacere il caos. La musica.
Il violino, Ophelia aveva iniziato a studiarlo dalla tenerissima età, si era smarrita nella complessità dei volteggi, nell'inseguimento infinito della perfezione. Ophelia era brava, impeccabile nelle esecuzioni, ma non aveva mai suonato per puro diletto. Quando l'archetto accarezzava le corde, Ophelia sentiva la quiete sopraggiungere sulla sua anima frammentata.
Ed era meraviglioso, come se le due metà di sé stessa tornassero a respirare, in quel lasso di tempo, all'unisono.
Ophelia era in piedi su un piccolo rialzo nel salone immenso dell'Accademia. Il ricevimento era iniziato da un po' ormai e qualcuno degli organizzatori le aveva domandato la gentilezza di suonare. Inizialmente Ophelia era stata molto restia ad acconsentire, ma poi aveva riflettuto sul fatto che la sua presenza in quell'occasione mondana sarebbe stata strettamente connessa al suo violino e ciò le avrebbe tolto un po' dell'imbarazzo che altrimenti avrebbe dovuto fronteggiare nel vagare tra la gente a disperdere sorrisi di circostanza.
Indossava un abito dalle tinte azzurre pastello. Era un abito semplice di raso che scendeva sulla figura esile di Ophelia, i capelli erano legati in alto così che non le creassero impiccio nell'atto di suonare.
Ophelia aveva adagiato il mento sullo strumento accostato sulla propria spalla, ondeggiava con leggerezza sulle corde con l'archetto stretto tra le dita di una mano.
Le note solinghe di una melodia di Bach echeggiavano tra il tintinnio dei flute di cristallo e nel chiacchiericcio sommesso dei commensali.
Ed Ophelia sentiva di non aver proprio alcun pensiero, solo i ricordi delle prossima nota e poi ancora una ed una di nuovo.
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@ash-t0-ash
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jaykeycharlie · 23 days ago
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Quel figlio di puttana così tenace, carismatico ed affascinante attirava su di sé l'invidia degli uomini e l'amore delle donne.
Mai stato fedele, mai, ed era proprio questa sua incallita infedeltà a rendere la sua presenza ancora più preziosa.
- Possibile che proprio io meriti la sua attenzione ? -
Le lacrime di chi giaceva al suo capezzale erano autentiche ed irrefrenabili.
E quando Il suo ultimo respiro chiuse il più grande e longevo capitolo della mia vita capii, a malincuore, di essere diventato grande.
Grazie di tutto C.B.
Grazie per essere stato il mio più grande amico
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al-sapore-di-sigarette · 8 months ago
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"Ma io ero abituato a trovare qualcosa di mortale in tutto quello che mi attirava; qualcosa di mortale incombeva sempre in tutto quello che desideravo, che amavo. E quando non c'era, [...], ce lo mettevo io."
Pace separata — John Knowles
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pollicinor · 7 months ago
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“È davvero sorprendente la capacità delle zanzare di individuarci”, afferma Diego Giraldo, neuroscienziato della Johns Hopkins e coautore di un nuovo studio sui profili olfattivi umani che attraggono l’Anopheles gambiae, una specie di zanzara africana che trasmette la malaria. Il lavoro mostra, per la prima volta, che sono in grado di distinguere una persona dall’altra in un gruppo presente in un’area ampia e spaziosa, grande come una pista di pattinaggio. Le ricerche precedenti erano state svolte in luoghi molto più piccoli e mettendo a confronto solo due soggetti. Nello spazio utilizzato per l’esperimento di Giraldo sono state posizionate otto tende, collegate tramite condotti dell’aria, che convogliavano gli odori degli occupanti su un disco nero riscaldato. Le telecamere a infrarossi registravano i movimenti delle zanzare che atterravano su ciascuno di loro. Nel corso dell’esperimento, il numero di zanzare che sono atterrate su quello associato al soggetto che ne attirava di più è stato quattro volte maggiore rispetto a quello del soggetto meno “appetibile”. “Questo dimostra che anche in situazioni complesse, con molteplici fonti di odore, le zanzare sembrano comunque preferire alcune persone rispetto ad altre”, spiega Giraldo.
Dall'articolo "Perché le zanzare ci scelgono tra la folla?" di Connie Chang
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comprate--na--personalita · 1 month ago
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Ma perché tagghi sempre @fallimentiquotidiani?
Peerchè siamo su tumblr e funziona così tumblr (ehm)
@fallimentiquotidiani Era il 2013 la gente rebloggava 100 200 post al giorno, si taggava a vicenda e si sccazzaava o amava , e grandi polemiche e il porno e la comuntà lgbt che aveva praticamente eletto tumblr come proprio social. e ragazzine assurde che parlEvano di sesso senza sapere niente, ma boh. decine di influencer (e io pure) Poi e' arrivato il 2017. hanno bannato il porno. giusto. peccato che il porno erano come le canne, attirava per il sesso ma poi la gente rimaneva per altro, per la totale libertà. per la community fuori dagli schemi soliti 2017 dicembre, hanno bannato il porno e le tette. le ragazzine hanno smesso di venire a cercare su T,
la comunità LGBTQ è scomparsa (le mie tette fanno scandalo?!! wtf me ne vado!), gli influencer sono emigrati, tornati e poi scomparsi per sempre
io e nico, semo rimasti noi due e...
anche @myorizuru e @atomicabionda e @caropollo
etc
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mccek · 2 years ago
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Se l'anima può volare, quella di Mirko adesso ha un mantello da Supereroe.
Magari proprio la tuta rossa e blu di Superman.
Mamma Graziella e papà Alessio l'hanno messo anche sull'annuncio funebre.
Mirko è sempre stato un Supereroe, nonostante i suoi sette anni di vita.
Un anno fa gli hanno trovato un tumore incurabile ai polmoni: è stato strano cambiare la vita così, e passare i giorni nell'ospedale Regina Margherita di Torino.
Ma per quanto la vita sia stata dura con il piccolo Mirko, gli ha fatto capire chi era veramente: un eroe.
Dall'ospedale sono passati tanti supereroi a trovarlo: Superman, l'Uomo Ragno, Batman e tanti altri.
Gli hanno fatto una festa speciale tutti insieme per dirgli forza che ce fai.
A Mirko piacevano tutti, ma era Superman che lo attirava di più.
Perchè Superman vola tra i palazzi, Superman se indossa il mantello rosso e blu può uscire dalla finestra dell'ospedale Regina Margherita e volare su Torino, e salvare un cagnolino, o aiutare un altro bambino come lui.
«Ha lottato fino all’ultimo, ma purtroppo non ce l’ha fatta – ha comunicato il padre -: ora si è spento, adesso è libero di volare e giocare».
Se l'anima vola, allora quella di Mirko sta volando.
E magari sta già aiutando qualcuno, proprio come fa Superman.
Chissà, anche un piccolo gesto invisibile.
Quelle cose che dici: mi è andata bene per miracolo!
Ma i miracoli non esistono.
Cioè, noi li chiamiamo miracoli perchè non sappiamo come sono potuti succedere.
Eppure, ora Mirko lo sa.
Succedono grazie ai Supereroi come lui.
Ogni giorno.
Per ogni vita.
Piccole anime che insegnano ad altre anime che l'amore rimane per sempre.
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victory-raven · 1 year ago
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5 PM ╱ Cimitero delle auto
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Il cielo accoglieva le prime sfumature di tramonto e Blaze sapeva che, ormai, mancava davvero poco al rientro. Era il momento più triste delle sue giornate tutte uguali, l’istante in cui era costretto a lasciarsi il mondo esterno alle spalle per far ritorno alla casa coloniale.
Come tutte le volte, Blaze aveva passato le ultime ore del pomeriggio al grande piazzale delle auto abbandonate, ormai colmo di vegetazione incolta. Lì erano state raccolte le autovetture approdate in città, di volta in volta, ed ormai prive di un padrone… e tra tutte c’era quella che era appartenuta a sua madre, l’auto con la quale Blaze era giunto in quel posto maledetto, in quella prigione dimenticata. Non badava più al tempo che passava, aveva smesso da tempo di contare i giorni, le settimane, i mesi… ma dovevano essere passati una decina d’anni, da che si era smarrito in quell’incubo atroce.
Blaze era uno degli abitanti più vecchi di quella cittadina, uno dei pochi che continuavano straordinariamente a sopravvivere alle notti che si susseguivano senza una tregua e probabilmente doveva essersi rassegnato a restare chiuso in quella realtà distorta. Probabilmente, Blaze non aveva più nemmeno memoria di come si vivesse, prima che iniziasse l’incubo. Per Blaze doveva essere sparito tutto, doveva forse non essere mai esistito null’altro all’infuori di quella cittadina tetra e colma di morte.
Per qualche momento se ne stette ancora disteso, di schiena, contro la carrozzeria dell’utilitaria rossa, reggendo con una mano un vecchio taccuino e tracciando quel che doveva essere un disegno con l’altra mano. Blaze disegnava continuamente, disegnava ciò che i suoi occhi coglievano intorno a sé perché l’idea di poter dimenticare qualcosa lo terrorizzava. Ripetutamente, Blaze disegnava il volto di sua madre e, comparandolo ai vecchi ritratti di lei, trovava sempre di averne dimenticato un tratto, un dettaglio che doveva essere stato importante e che, adesso, non lo era più.
Ma si fermò, batté le palpebre e disperse completamente la sua attenzione altrove, attirato d’un tratto dal rumore inconfondibile di copertoni che sfregavano velocemente l’asfalto. Blaze si alzò, scivolò giù dall’auto malmessa e volse lo sguardo nella direzione sonora, era davvero tanto tempo che la città non attirava nuove vittime… ma quel tempo, era evidentemente finito.
@sam-cherry
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sottileincanto · 1 year ago
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Lo ammetto, io certe volte mi perdo, forse perché diventa davvero troppo difficile interpretare opinioni che poi diventano fazioni, che poi diventano partiti e di qui tutta una valanga di annessi senza fine. Parlando solo ed esclusivamente di preferenze sessuali (escludendo quindi argomenti con altre implicazioni come genitorialità, diritti a livello legale e legislativo etc) perché deve fare così tanta differenza chi decido di amare e con chi mi piace andare a letto, finché tutte le parti coinvolte sono felici e liberamente consenzienti? Vengo da una famiglia conservatrice, sono stata cresciuta in un collegio cattolico, eppure una volta raggiunta "l' età della ragione" (che non è per tutti uguale e che per alcuni non arriva mai), nel momento in cui mi sono sentita più a mio agio con la sessualità, non ho avuto remore nell' esplorare quello che mi incuriosiva e attirava. Perché deve essere una questione così centrale con chi decido di andare a letto, convivere, sposarmi o se decido di non andare a letto proprio con nessuno, finché questo non lede la libertà di nessun altro? Perché la o le persone con le quali scelgo di fare o non fare sesso o fare o non fare l'amore, deve necessariamente essere una questione tanto centrale nella mia rappresentazione a livello sociale? Io sinceramente non riesco a capirlo.
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vogliediprimavera · 2 years ago
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Chimica
La chimica scatta al primo sguardo, soprattutto se accompagnato da una risata. E tra loro era andata così, potevi vederlo anche se provavano loro stessi a non crederci. Eppure dopo quella presentazione veloce, quella frase storpiata e la conseguente risata, i loro occhi non si sarebbero mai più visti come quelli di due conoscenti qualsiasi.
Marco e Monica non si erano mai incontrati, vivevano nella stessa città, lavoravano nello stesso settore, pochi anni di differenza eppure le loro anime non si erano mai incrociate. Poi la vita ti mette davanti a vari cambiamenti e una mattina ti porta anche la persona che forse era destinata a te.
Si vedevano poche volte al lavoro, ma era come se volessero far durare quei pochi minuti ore, si studiavano per capire il loro vero carattere, si guardavano per captare se davvero anche l'altro sentisse quella vibrazione nel sangue.
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E continuavano a cercare il contatto fisico. Con la scusa di passare il caffè si sfioravano le dita, quando Marco si alzava casualmente passava troppo vicino alla sedia di Monica sfiorandole i capelli, Marco faceva una battuta e Monica appoggiava la mano sul suo braccio come ad enfatizzare il fatto che l'avesse fatta ridere. Scherzavano continuamente su qualsiasi cosa ed un po' si stuzzicavano con battutine, senza andare troppo sul pesante per non far intuire agli altri come in realtà si stessero studiando.
Una mattina, appena finito di prendere il caffè, Monica si era alzata: "È ora di cominciare a lavorare, vado giù in magazzino a prendere una risma di carta perché ieri sera non avevo voglia di scendere". Marco si era alzato dieci secondi dopo: "Vado, se no non comincio più il giro, ci vediamo tra qualche giorno per la prossima consegna". Aveva preso la borsa ed era sceso velocemente dalle scale entrando poi in magazzino. "Ciao, sto andando, ci vediamo venerdì mattina, volevo salutarti".
Monica si era girata, si erano guardati negli occhi e subito bloccati. Non era un ciao che volevano dirsi. Non era solo un ciao che vibrava tra loro.
Monica aveva deciso di spezzare il silenzio: "Non possiamo stare da soli in una stanza così piccola, non ce la faccio, mi manca l'aria a stare qui con te, potrei non riuscire a stare ferma solo a guardarti, potrei non dirti semplicemente ciao".
Marco le aveva sorriso: "Speravo non mi dicessi solo ciao, anche se mi fa impazzire quel tuo ciao squillante quando entro in ufficio".
Si sarebbero baciati in quel preciso momento, sembrava che nell'aria ci fosse una calamita che li attirava. Ma erano riusciti a non andare oltre, i loro doveri li avevano tenuti fermi ancora un attimo.
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Monica si era mossa verso la porta per uscire, sfiorando la spalla di Marco. Mentre si girava, Marco le aveva accarezzato la guancia con il dorso della mano. Lei non era riuscita neanche a guardarlo, quasi assecondando il gesto le era uscito solo in modo molto sensuale: "Ciao Marco".
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tulipanico · 1 year ago
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Ciao! Mi piacciono molto le tue foto ( ⁠ ⁠•͈⁠ᴗ⁠•͈⁠) perché riesci sempre a mettere in risalto quei piccoli dettagli che spesso passano inosservati, volevo chiederti come hai imparato a fare foto cosi belle e se quindi avessi qualche consiglio per un principiante. Inoltre sono curioso di sapere quale macchinetta fotografica usi. Grazie! ✿
Ciao!!
Intanto grazie mille, per la domanda e per il fatto che ti piacciano, mi fa tanto piacere!!
Io non lo so, ne parlavo qualche settimana fa con un amico che mi chiedeva la stessa cosa. A me è venuto naturale, è come se avessi sempre fotografato. Solo che, prima, lo facevo attraverso le parole non avendo la macchina fotografica: scrivevo ciò che attirava la mia attenzione, ci ricamavo storie, pensieri, emozioni. È come se quelle parole fossero diventati scatti, immagini tangibili. Le basi le ho imparate facendo un corso, il gusto guardando tante foto, ma poi di base scatto ciò che mi emoziona. Mi piace pensare che la fotografia sia una sorta di esercizio quotidiano alla meraviglia, sicuramente ora sono moooolto più reattiva a ciò che mi circonda.
Come macchina ho una Canon (2000d) con su una lente fissa (50mm, 1.8). Per qualsiasi domanda o per due chiacchiere son qua 🍬
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solobrividiecoraggio · 1 year ago
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Mentre portavo fuori Lucky, all'andata c'era un camion della spazzatura fermo accanto al marciapiede, con il meccanismo che solleva i cassonetti apparentemente a metà, sembrava bloccato in alto, non al lato. Il camion sembrava parcheggiato, in modo stabile, senza niente che facesse pensare che stesse per cadere o chissà cosa; in mezzo al marciapiede c'erano un cono arancione e una busta, non sapevo perché. Sono passato a sinistra del cono, perché non avevo motivo di andare a destra e ho scelto di lasciare spazio aggiuntivo al camion e a chi c'era dentro. Più avanti, ai cassonetti, c'era un rettangolo di sabbia.
Sto tornando verso casa facendo il percorso al contrario. Più avanti, sulla destra del marciapiede secondo il mio punto di vista, vedo un cane che Lucky sopporta a malapena, ma è piccolino, e di solito non gli risponde. Decido quindi di non attraversare la strada e rimanere semplicemente sulla sinistra, per avere comunque una distanza di sicurezza. Quando arrivo vicino al camion il conducente mi urla di non passare sotto, e aggiunge "cazzo ma almeno guardare". Io mi adeguo alle informazioni che mi ha appena dato e non rispondo al suo commento.
Molto probabilmente era in un momento di stress, sta di fatto che il suo commento è stato inutile e ha dato per scontato che io non fossi attento, in modo non comprensivo. Ero attento ad altro, e per me non era così chiaro che quel singolo cono significasse "state alla larga". Poteva anche significare "non toccate questa busta qui vicino". Nel caso avesse avuto più coni, non so se li avesse con sé, avrebbe potuto disegnare un semicerchio che sarebbe stato molto più esplicativo. Nel frattempo lui se ne stava seduto nell'abitacolo, non attirava l'attenzione con la propria presenza sul marciapiede. Evidentemente almeno con un occhio guardava chi e come passava.
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sheislosingherself · 1 year ago
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ah e il (penso) tatuatore con cui abbiamo fatto due chiacchiere oggi mi attirava come non mai aahhhhhhh l’astinenza
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kivrinlaroche · 2 years ago
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IL FUOCO CHE CI NUTRE
"Una volta che hai fatto qualcosa, non lo dimentichi mai. Anche se non riesci a ricordare."
LA SCINTILLA (capitolo quattro)
La sveglia sul comodino squillò e un braccio uscì dal lenzuolo per spegnere quel fracasso. Il sole faceva già capolino dalla finestra esposta a est. “Avevi detto che avresti cambiato la suoneria della sveglia Non ne posso più di quel gracchiare!”
Una massa di capelli color argento si mosse. “Uhm…Buongiorno anche a te…Domani lo farò, te lo prometto.”
L’uomo girò la testa. “Dobbiamo alzarci, prima che si faccia tardi. Io vado a preparare la colazione.” Scostò la coperta e si buttò giù dal letto. “Forza bambolina, alzati.”
“Ancora un minuto.” sospirò la ragazza stiracchiando le braccia per poi girarsi dall’altra parte.
“Ok, un minuto, non uno di più. E non riaddormentarti!” fece lui indossando un paio di pantaloni e una maglietta.
Andò in bagno per urinare poi si sciacquò il viso con l’acqua fredda per svegliarsi. Si guardò allo specchio, indeciso se farsi la barba o no.
Quasi quarantenne, aveva un viso molto gradevole, il mento forte gli dava un’aria da duro che le donne, e anche molti uomini, avrebbero definito sexy.
Dovrei dare una spuntatina anche ai capelli pensò afferrando le ciocche che ormai gli arrivavano alle spalle. Anzi, dovrei rasarli totalmente, darei meno nell’occhio. Oppure tingerli...
Il colore dei capelli, platino con sfumature dorate, e il fatto che li avesse così lunghi attirava l’attenzione della gente. Così come gli occhi grigi dai riflessi viola, molto particolari, non mancavano di catturare gli sguardi di tutti.
Si pettinò e legò i capelli in una coda poi andò in cucina a preparare la colazione.
La donna entrò, ancora assonnata, in un assurdo pigiama verde fluo, e gli sparò un bacio sulla guancia. Magrissima e slanciata aveva i capelli corti neri, in quel momento tutti scarmigliati, e gli occhi scuri che tradivano le sue origini asiatiche.
“Uova e bacon?” chiese mentre si avviava ciabattando verso l’ingresso.
“No, faccio i pancakes.” rispose lui mentre poggiava sul tavolo gli ingredienti.
Lei rientrò con un quotidiano tra le mani. Sedette al tavolo in cucina e iniziò a sfogliarne le pagine. Mentre leggeva commentava le notizie a voce alta.
“Sempre le stesse cose, guerre, crimini di tutti i tipi, addirittura un ministro del governo beccato con una prostituta. Mai una bella notizia…”
“Ti aspettavi forse qualcosa di diverso? Viviamo in un mondo violento e siamo crudeli quanto basta.”
Finì di cucinare, portò i pancakes in tavola e iniziarono a mangiare.
“Stasera probabilmente farò tardi.” le disse. “Quando esco dal lavoro devo passare da Jordan per aiutarlo a rimontare la moto.” Jordan Porter era uno dei suoi più cari amici.
“Ma... Per stasera avevo programmato un po' di shopping. Con te! Perché non me l’hai detto prima?!” chiese la donna iniziando ad irritarsi.
“Te lo sto dicendo adesso… Ti avevo accennato al fatto che aveva dovuto controllarla per riparare un guasto… Prima o poi doveva pure rimontarla, no? Io e Jo abbiamo dovuto incastrare il poco tempo libero che abbiamo..." Con un sospiro aggiunse: "Tu non mi hai detto che volevi uscire con me!… L’idea dello shopping ti è venuta in mente quando, esattamente? Cinque minuti fa?" "Potresti anche rimandare, se ci tieni tanto...”. Mentalmente si augurò che non cambiasse idea perché fare compere con lei significava trascinarsi per i negozi di mezza città fino all’ora di cena.
“Io e te abbiamo grossi problemi di comunicazione, mio caro…In ogni caso te ne avrei parlato più tardi." Fosse solo la comunicazione... pensò lui. "Comunque… Al solito i tuoi impegni vengono sempre prima di tutto…Va bene, fai come vuoi. Io esco da sola!”
Evitò di ribattere per non impelagarsi in infinite discussioni. Fecero colazione in silenzio.
Finirono di prepararsi e lei, col muso lungo, a malapena lo salutò.
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“Mammina, dove stiamo andando?” chiese il bambino seduto nel seggiolino posteriore dell'auto.
“Doveva essere una sorpresa, tesoro, ma…” disse la donna mentre allacciava la cintura di sicurezza del piccolo “…te lo dico in un orecchio…”
Si avvicinò alla testa del bambino e sussurrò: “Al parco…”
Il bambino iniziò a strillare e abbracciò la mamma, tutto contento. Lei gli baciò la testa poi sedette al posto di guida. Mise la cintura e avviò il motore.
Era il pomeriggio di una bella giornata di inizio primavera. Aveva in programma di dare una sistemata al garage e fare una cernita di cose da buttare. Quel sole luminoso le aveva fatto cambiato idea: poteva rimandare tutto e stare all’aperto con Lucas. Così ne aveva approfittato, con l’intenzione di portare suo figlio al parco a giocare con gli altri bambini e lei a godersi la lettura di un libro nell’aria tiepida.
Accese la radio per ascoltare un po’ di musica, inforcò gli occhiali da sole e partì.
Lucas canticchiava a modo suo una canzone trasmessa dalla radio e lei, divertita, ogni tanto gli lanciava uno sguardo dallo specchietto retrovisore. Aveva percorso circa mezzo chilometro quando una grossa macchina nera sbucò da una strada laterale alla sua destra e prese in pieno il lato del passeggero. Due finestrini andarono in frantumi e gli occhiali da sole volarono da qualche parte. L’urto violento fece scoppiare gli airbag e trascinò il veicolo nella corsia opposta dove si fermò. Il bambino urlò dallo spavento. L’autista dell’auto, con le mani sulla testa, scese di corsa, si diresse allo sportello della donna e lo spalancò. Chi aveva assistito all’incidente si avvicinò velocemente alle macchine danneggiate e qualcuno chiamò la polizia.
“Oddio! Mi dispiace signora... Mi sono distratto un attimo… Tutto bene? Come si sente?”
“Il bambino! Il mio bambino. Lukeee!” gridò la donna, sotto shock.
Il tizio diede un’occhiata al retro dell’abitacolo e aprì lo sportello posteriore. “Chiamate un’ambulanza, presto!” urlò.
Il bambino nel seggiolino stava piangendo e chiamava la mamma. La donna, accasciata sul volante, sull’airbag sgonfio, si lamentava, ancora confusa.
Subito dopo arrivò una pattuglia della polizia insieme ai soccorsi. I poliziotti fecero allontanare i curiosi mentre gli infermieri valutavano le condizioni del bambino che, a parte il grosso spavento, non aveva necessità di cure immediate. Ad un primo esame la mamma sembrava quella messa peggio.
Caricarono madre e figlio e l’ambulanza partì mentre i sanitari prestavano le prime cure alla donna. Aveva sicuramente riportato una frattura della gamba destra e il forte dolore al torace fece sospettare la frattura delle costole. Il dolore alla gamba e al torace le fece perdere i sensi un paio di volte e quando si svegliava, la nausea le faceva ingarbugliare lo stomaco. Lucas era seduto accanto all’infermiera che lo aveva fatto scendere dall’auto. Cercava di rassicurarlo e di distrarlo ma lui lanciava continue occhiate alla madre, sdraiata lì accanto, poi ricominciava a piangere.
Li portarono all’ospedale più vicino. Alla donna fecero le radiografie e il medico diagnosticò, oltre alla frattura composta del perone, l’incrinatura di tre costole nella parte destra del torace, dovute allo scoppio degli airbag mentre al bambino programmarono una risonanza magnetica per l’indomani.
Dopo qualche ora, la donna era sdraiata sulla barella con la gamba già immobilizzata. Con voce rassicurante coccolava il bambino e gli accarezzava la testa. “Ascolta Luke, adesso devi fare il bravo.” Avevano gli occhi arrossati dal pianto. Era arrivato il momento tanto temuto. “Mamma dovrà andare in una stanza e tu in un’altra tutta colorata dove ci sono altri bambini. Devi far finta che siamo a casa e che stiamo dormendo nelle nostre camer...”
“Ma mamma, non voglio lasciarti da sola!” fece Luke affranto, di nuovo prossimo alle lacrime.
“Non sono sola, amore mio. Forse più tardi verrà Chlo insieme a Matty. E poi, tu sei nella tua cameretta... Siamo nella stessa casa, giusto? Stanotte ti addormenti e domani vieni a trovarmi, va bene? La signora qui ti accompagnerà da me.” Indicò l’infermiera pediatrica con la divisa a pupazzi e lei annuì.
“Sei il mio splendido bambino coraggioso!”. Lui annuì, non troppo convinto e la madre gli baciò il viso.
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La sveglia suonò alle prime luci dell’alba. La ragazza con i capelli neri si mosse, automaticamente tirò fuori il braccio da sotto la coperta e la spense.
“Oggi tocca a te, Bea.” disse l’uomo coricato accanto a lei.
“Ancora un minuto poi mi alzo.” rispose lei sbadigliando.
Il minuto passò poi ne passarono due. “Uff! Ho capito…” borbottò lui alzandosi dal letto.
Affrontò la solita routine quotidiana. Si fece velocemente la barba e andò in cucina a preparare la colazione.
Dopo un po’ la donna entrò stiracchiando le braccia e gli diede un bacio sulla guancia. Uscì in pigiama all’esterno per prendere il giornale.
“Non ci crederai, Daemon.” disse la donna rientrando in casa con lo sguardo su una pagina del quotidiano che aveva in mano. “Un altro incidente d’auto, a due passi da qui.” “Uhm… qualcuno che conosciamo?” chiese lui.
“Non hanno scritto il nome, solo le iniziali: ‘Ieri pomeriggio, intorno alle 15,30, la berlina della trentenne R.T. è stata investita da un suv che non ha rispettato il segnale di stop. La donna, che in quel momento si trovava in auto col figlio di sei anni, ha riportato lesioni al torace e a una gamba. Il bambino è rimasto illeso ed entrambi sono ricoverati al Westcross, il bambino per accertamenti…’” Lesse la donna.
“Proprio dove lavoro io. Accidenti! Per fortuna il bambino non si è fatto niente…” commentò.
“Ok, è tutto pronto, ora mangiamo, Bea. Per favore prendi il succo di frutta.” disse portando a tavola il piatto con uova e bacon.
Dopo aver fatto colazione, finirono di prepararsi e uscirono per andare nei rispettivi posti di lavoro.
Daemon entrò in ospedale, si infilò un camice pulito e sedette in una sala con i colleghi e gli infermieri per il briefing mattutino. Dopo mezz’ora, con una decina di cartelle cliniche sottobraccio, iniziò il lavoro di routine. Verso le tredici un collega, Samuel Fielding, entrò trafelato nella stanza dove Daemon stava compilando una lista di esami.
“Ti devo chiedere un favore, collega!”
“Uhm… Il tosaerba è rimasto fulminato dalla tua bellezza? Un meteorite ha colpito uno degli orrendi nani da giardino che fanno la guardia a casa tua?”
“Dai, non scherzare, amico!” ribatté Sam ridacchiando. “Mia madre è caduta e sembra si sia fratturata una caviglia, devo proprio scappare da lei e portarla qui. Ti chiedo solo se puoi dare un’occhiata alla donna dell’incidente d’auto di ieri, non sono riuscito neanche a vederla in faccia… Ti giuro! E' l’ultimo favore che ti chiedo…”
Daemon si scusò: “Oh! Mi dispiace per tua madre, Sam. …" "Va bene, dimmi in che stanza è… Conoscendoti non sarà l’ultimo favore che mi chiedi… E la prossima volta che ci incontriamo non dimenticare il paio di birre che mi devi dall’ultimo favore che ti ho fatto.”
“E’ nella dodici. Grazie fratello, sei un vero amico! E il miglior internista che conosca, quei due sono in buone mani! Questa è la sua cartella clinica e questa è quella del bambino.” disse, indicandole. “Ah! E mettine in conto altre sei. Ciao, io vado!" fece Sam mentre usciva dalla sala.
Sei un gran leccaculo, fratello! pensò Daemon scuotendo la testa e facendo un cenno di saluto con la mano.
Ultimò la lista e la consegnò alla postazione degli infermieri. Diede altre disposizioni e si diresse nella stanza dodici con le due cartelle cliniche in mano.
Aprì la porta della camera ed entrò, gli occhi ancora posati su un foglio della cartella del bambino. Si girò e la richiuse.
“Buongiorno, sono il dottor Daemon Targaryen, medico internista. Oggi sostituisco il dottor Fielding che l’ha presa in cura.”
La donna non rispose e non restituì il saluto.
Lui sollevò lo sguardo e si avvicinò al letto.
Era semi seduta, col viso rivolto verso la finestra dove le tende chiare schermavano la luce del giorno. Indossava la camiciola d’ordinanza dell’ospedale.
I cavi del monitor e il deflussore di una flebo uscivano dal suo corpo. La gamba destra, ingessata fin sotto il ginocchio, poggiava su un cuscino. I suoi capelli risplendevano anche in quella luce smorzata. Girò la testa e puntò su di lui un paio di incredibili occhi azzurri con sfumature viola.
“Rhaenyra Targaryen. Buongiorno dottore.” rispose lei dopo qualche secondo.
Rhaenyra guardò stupita quell'uomo. Poi si scosse, cercando di dissimulare la sorpresa: “Come sta oggi mio figlio, dottore? Nessuno mi ha ancora dato notizie.”
“Suo figlio sta benissimo, signora, non c'è da preoccuparsi.” fece lui dopo un attimo di esitazione.
“Stamattina ha fatto la risonanza magnetica ma va tutto bene e non ha niente di rotto. A breve verrà dimesso.” continuò automaticamente Daemon avvicinandosi ancora di più e fissando Rhaenyra.
“Mi perdoni se… Per caso… ci conosciamo? Mi sembra di averla già vista da qualche parte. O magari è un’artista famosa? Abbiamo lo stesso cognome e mi chiedevo se…”
Aveva una bellezza eterea e allo stesso tempo sensuale. La pelle del viso non aveva alcuna imperfezione e gli occhi, dal taglio nord-europeo, erano orlati da ciglia chiare. I capelli lunghi e un po’ mossi, color platino con sfumature dorate, identici ai suoi, incorniciavano un ovale perfetto, così come era perfetta la linea delle sopracciglia di una tonalità più scura delle ciglia. Aveva una piccola gobba sul naso delicato che lo rendeva particolare e molto gradevole.
Anche lei non riusciva a staccare gli occhi dal suo viso. Le somigliava tantissimo, era come vedere un parente lontano. Un Targaryen come me. Aveva gli occhi grigi con le stesse sfumature viola dei suoi e una bellezza particolare. Qualche ruga gli segnava la fronte e i lati della bocca ma a parte questo non doveva avere più di quarant’anni.
Avevano in comune gli stessi inusuali colori e persino la pelle color latte. Ma soprattutto c’era qualcosa di familiare nel modo in cui lui si muoveva, nel tono della voce bassa e calda, nel corpo asciutto e muscoloso sotto il camice da dottore ed emanava qualcosa che istintivamente la faceva sentire a proprio agio.
“No, dottore, non ci conosciamo e non sono famosa.” lo interruppe Rhaenyra sorridendo e cercando di darsi un contegno. “Effettivamente abbiamo un cognome insolito e a quanto pare anche i nostri nomi non sono molto comuni.”
Daemon le chiese come si sentisse e se avesse dolori. Poi si concentrò sulla flebo e spostò la mano per accertarsi che la cannula fosse ben posizionata. Le sfiorò inavvertitamente il polso. Una scintilla percorse i loro corpi e i loro cuori accelerarono il battito. Il monitor di Rhaenyra registrò l’aumento della frequenza cardiaca. Ritrassero la mano di scatto e Daemon la guardò di nuovo. “Mi scusi… Dev’essere l’elettricità...”
All’improvviso la porta si spalancò ed entrò un bambino in pigiama, i capelli scuri e riccioluti, seguito da un’infermiera con la divisa tutta colorata del reparto pediatrico e si precipitò vicino al letto gridando “Mamma! Mamma!”
“Oh! Luke! Tesoro mio!” fece Rhaenyra allungando le braccia per abbracciare il bambino. Con una smorfia di dolore cercò di tirarsi su ma le costole incrinate glielo impedirono.
“Vieni qui, luce dei miei occhi, fatti abbracciare! Come stai? Come hai dormito?”
“Mammina mi sei mancata tanto!” disse il bambino strofinandosi gli occhi pieni di lacrime.
“Dottor Targaryen, lui è Luke, Lucas. Mio figlio.”
“Piacere di conoscerti Lucas detto Luke. Vuoi salire sul letto?”
Il bambino annuì e Daemon lo sollevò per farlo sedere accanto alla madre. Luke le posò la testa su una spalla e lei gli baciò il nasino.
“Mammina, lo sai che il dottore mi ha fatto entrare in una macchina dove c’era un tubo lungo lungo? E mi ha messo le cuffie dove c’era la musica e io dovevo stare fermissimo. Poi mi ha detto che ero stato coraggioso e poi mi ha dato una caramella alla frutta!”
“Oh, tesoro! Ma io lo so che sei un bambino bravo e coraggioso, sei il mio ometto.” rispose lei sorridendo e accarezzandogli la testa.
“Signora, ora verrà il dottor Carter, il medico radiologo, per informarla di tutto" Intervenne l’infermiera. "Lucas è stato veramente bravo, non ha fatto i capricci, ha mangiato e giocato con un altro bambino della camera. Stamattina chiedeva continuamente di lei quindi l’ho portato qui... Bene, io vado Luke. Ora starai un po’ con la tua mamma. Ci vediamo dopo, va bene?” Rhaenyra la ringraziò e il bambino le sorrise. Gli mancavano due incisivi inferiori e uno superiore. Era adorabile.
Mentre aspettavano il medico, Daemon fece scendere Lucas dal letto e visitò Rhaenyra, le auscultò il torace e le chiese alcuni dati per completare l’anamnesi e aggiornare la sua cartella clinica.
Dopo un po' arrivò il dottor Phil Carter e spiegò a Rhaenyra che la risonanza magnetica di Luke era negativa. Nonostante l’urto violento, il bambino non aveva riportato traumi di alcun genere e che la dimissione era prevista per l’indomani.
“Lei signora potrà essere dimessa tra un paio di giorni. Purtroppo per le costole incrinate non si può far niente, guariranno col tempo. Invece per la frattura al perone che fortunatamente è composta dovrà tenere il gesso per almeno sei settimane. Al termine tornerà qui e le faremo una radiografia di controllo; se va tutto bene lo toglieremo. In ogni caso le prescriverò anche degli antidolorifici. Se vuole avvisare suo marito…”
“Non c’è nessuno!” fece lei d’impulso stringendo il bambino al petto. “Mi scusi, dottore…” fece Rhaenyra contrita. “Mio marito è in Iraq da due anni ma non ho sue notizi… Ci siamo trasferiti da poco, siamo soli, io e Luke, e in questa città non ho familiari che lo possano accudire… Ho un’amica che forse… Dopo quello che è successo vorrei averlo con me…” “Sarebbe un problema rinviare la sua dimissione? Potrebbe dormire qui con me. La prego dottor Carter…”
“Ma certo, signora, non potremmo mai separare un bambino dalla madre... Se il dottor Targaryen è d’accordo chiederò di approntare un lettino in questa camera. Mi dispiace per quello che è successo e vista la situazione faremo di tutto per…”
“Si, sono d’accordo! Ci penserò io, signora!” rispose Daemon guardando Rhaenyra.
“Naturalmente se per lei non è un problema che me ne occupi io.” aggiunse in fretta.
Lei gli restituì lo sguardo. “Non vorrei disturbare nessun…”
“Non mi disturba affatto!” rispose lui. “Lo faccio volentieri. D’altronde sono circostanze… particolari… E poi, dobbiamo pensare a sistemare questo ometto, vero Luke?” continuò, scarmigliando i capelli del bambino che lo guardò e sorrise.
Quel pomeriggio e nei due giorni successivi Daemon andò più volte a trovare Rhaenyra per assicurarsi che il lettino per Lucas fosse stato portato in camera, che avesse dormito bene, che non avesse dolori, che i cuscini fossero sistemati a dovere. Ogni scusa era buona per starle intorno. Quando le procurò un paio di grucce e l’aiutò ad alzarsi dal letto per esercitarsi a fare qualche passo, valutò di sfuggita che doveva essere alta circa un metro e settanta. Lui la superava almeno di una decina di centimetri.
All’inizio quella ragazza lo incuriosiva, il perché fossero così simili fisicamente era il primo pensiero. Il secondo fu che nonostante i Targaryen sparsi nel mondo fossero pochissimi, loro due probabilmente provenivano da rami diversi della stessa famiglia. Che strane coincidenze... pensava. Due Targaryen che si sono conosciuti per un caso assurdo.
Pian piano il limite sottile della mera curiosità sconfinò in qualcosa di molto vicino all’attrazione. Non riusciva a capire il perché ma in lei c’era qualcosa di indefinito che lo stuzzicava e al contempo lo affascinava. Che fosse simpatica e sempre pronta a sdrammatizzare era una casualità. Rhaenyra era una donna forte, fiera e indipendente. I radicali cambiamenti che aveva dovuto affrontare nella sua vita ne erano la prova, così come l’aver cresciuto il bambino senza alcun tipo di supporto familiare. Era perfettamente conscio di queste qualità, eppure, contro ogni logica, quando la guardava c’era in lei un'aura di impercettibile vulnerabilità che attivava, senza che se ne rendesse conto, il suo istinto di protezione. Ribadendo fino alla nausea come lo strano e assurdo interesse verso quella donna fosse del tutto innocente, Daemon ingannava sé stesso.
Ma, inganno o no, alla fine non potè più evitare di pensare continuamente a lei. La notte, nel suo letto, tardava a prendere sonno rivivendo come in un film tutte le scene di quelle giornate. Gli tornava in mente Rhaenyra in quella ridicola camicia d’ospedale che a malapena nascondeva le sue forme. Chiudeva gli occhi e il bellissimo viso, il sorriso, i suoi occhi erano nella sua mente. Persino il nome gli faceva battere forte il cuore.
Che cazzo mi sta succedendo!? Sto per caso impazzendo?. Il tenore dei suoi pensieri era sempre lo stesso. Non ho più quindici anni! Ho una donna a cui voglio bene e io penso ad una sconosciuta? Dovrei farmi gli affari miei e lasciare Rhaenyra in pace!
Il giorno dopo si svegliava con Rhaenyra in mente e di nuovo non vedeva l’ora di andare da lei. I propositi della notte precedente regolarmente spazzati via.
La mattina in cui lei e il bambino sarebbero stati dimessi, Daemon si presentò in camera con una sedia a rotelle.
“Buongiorno a tutti! Siete pronti?” fece con entusiasmo.
“Ho portato questo drago per la tua mamma, piccolino. Ora si siede sulla sella e lo cavalca fino alla macchina.”
“Siii, ti stavo aspettando, zio!” rispose elettrizzato il bambino. “Mamma, guarda, lo zio Daemon ti ha portato un drago tutto rosso! Ma lo sai cavalcare, mammina?”
Aveva iniziato a chiamarlo ‘zio’ il giorno precedente. Daemon e Rhaenyra non capivano il perché ma sorridevano divertiti per quello strano appellativo.
Rhaenyra stava in piedi, sostenuta dalle grucce. Era già vestita con una gonna a disegni geometrici e un maglioncino in tinta e stava ridacchiando. “Vi prego, non fatemi ridere. Le costole…” disse lei poggiando una mano sul lato dolorante. Daemon la guardò in apnea. Aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia che le scendeva sul petto. Alcune ciocche erano sfuggite al pettine e ne incorniciavano il viso. La luce che entrava dalla finestra alle sue spalle faceva risplendere il corpo e quei capelli, come un alone luminoso. Sembrava un angelo moderno uscito da un dipinto rinascimentale.
Rhaenyra se ne accorse e si schiarì la voce: “Vogliamo andare, dottore?”
“Si, si, certo!” rispose annuendo e distogliendo lo sguardo. “Ora, mammina, se permetti, ti aiuto a sederti sul dorso del drago rosso.” scherzò Daemon avvicinando la sedia a rotelle.
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