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Lotta di contrasto alla corrosione da inchiostro ferro-gallico nelle stanze dell’archivio del Castello di Thiene!
Dal 10 giugno al 5 luglio 2019, il tesoro di Archiporto si schiude ai partecipanti della Summer School di aggiornamento e perfezionamento in conservazione del patrimonio archivistico promossa dall’ Associazione Villa Fabris, Centro europeo per i mestieri del patrimonio in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici, corso di laurea magistrale in Storia e gestione del patrimonio archivistico e bibliografico dell’Università Ca’ Foscari, Venezia.
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Giovanni Domenico Dall’Acqua e l’arte del catasticatore
“Quel perito è un vero artista!”. Se oggi sentissimo pronunciare una frase di questo tipo, nella nostra testa si creerebbe uno strano cortocircuito. Eppure nel 1700 arte e professioni tecniche erano indistinguibili di sicuro lo sono state nel caso di Giovanni Domenico Dall’Acqua, catasticatore e cartografo, raffinato disegnatore di mappe e di particolari architettonici e del paesaggio urbano, incaricato da Giovanni Battista Orazio Porto per la creazione di una parte dell’archivio di famiglia. Discendenti di una famiglia nobile e possidente che nel 700 aveva già visto tramontare la sua ricchezza, ma da sempre attivi e dotati di particolare talento nelle arti, i fratelli Dall’Acqua misero a frutto ben altra ricchezza: il loro ingegno.
Giovanni Domenico gira in lungo e in largo le terre venete al servizio dei più importanti signori del tempo per fare rilevazioni, disegnare confini e ritrarre minuziosi dettagli delle costruzioni. Un archivio composto da mazzi di pergamene arrotolate denominate “catastici”, autentici tesori di informazioni che non sacrificano la bellezza della forma.
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Francesco da Porto e i restauri del ‘500
Le famiglie nobiliari, si sa, usavano tramandare insieme ai patrimoni materiali, anche i nomi degli antenati. Ricevere un nome, soprattutto nei secoli passati, significava acquisire anche un’altra eredità: morale, politica e intellettuale. Accade così che quasi un secolo dopo la costruzione del castello di Thiene da parte di Francesco da Porto, un suo discendente ne raccoglie, insieme al nome, la missione di fare del castello un luogo di bellezza, arte e magnificenza.
Francesco, animato da uno spirito in cui si fondono cultura cavalleresca e interessi artistici e letterari, avvia quindi nella prima metà del ‘500 un possente restauro.
Il poeta Giovanbattista Dragonzino da Fano lo descrive così: «dilettossi sopra modo delle statue, e figure antiche delle pitture, delle fabbriche, e giardini, facendone testamento il superbissimo Palazzo suo da Tiene da lui riordinato tutto di dentro di figure eccellentissime di pitture rarissime, et altre notabili cose, et fuori di sopra humani giardini, et barchi tutt’intorno di mura cinti, et di aranzi, cedri, limoni, et arbori di tutte le sorti fruttiferi, et di salvaticine di varie specie pieni, cose tutte d’imperatoria grandezza». I lavori richiedono grandi investimenti economici che non si chiudono con il cantiere: un’altra straordinaria spesa di 800 scudi l’anno si rende necessaria solo per offrire ospitalità a tutti i personaggi dell’epoca che assiduamente si recano al Castello di Thiene per visitare questi “splendidissimi luoghi”.
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Una buona pendenza
Tra i temi più interessanti che stanno emergendo dal lavoro del nostro gruppo di studio sui catastici dell’Archivio Porto c’è la ricerca di segni di attività proto-industriali.
Un elemento sicuro in questo senso è la presenza di mulini per i quali si possa escludere uno scopo alimentare diretto. Esistono dei criteri che distinguono un comune mulino da grano da un mulino proto-industriale: se questi ultimi fossero documentati nelle carte le nostre indagini potrebbero dare un contributo alla storia dello sviluppo industriale del vicentino.
Siamo sicuri del fatto che i da Porto detenessero nelle proprie terre il controllo delle acque di molte rogge, e con esse dei mulini. Tutti i mulini ad acqua erano di origine signorile, perché servivano ingenti capitali per la loro costruzione e manutenzione.
Il mulino non da cereali dell’età moderna nel vicentino poteva essere almeno di due tipi: da guado e da seta. I primi servivano a triturare la foglia per colorare i cosiddetti panni da guado. I secondi erano impiegati nella lavorazione della seta e in particolare nelle operazioni di filaturia e torcitoria.
Affinché un mulino proto-industriale dell’età moderna funzionasse non bastava aggiungere una ruota a un edificio e far scorrere l’acqua lungo un canale. Il procedimento era molto complesso. Servivano una buona pendenza e del legno di quercia per le assi. E, fattore discriminante, un buon flusso d’acqua. Per far funzionare al meglio i mulini a ruota verticale di pianura, occorreva trattenere l’acqua prima che giungesse sotto la ruota, convogliandola in una condotta inclinata che dirigesse tutta la forza idrica contro le pale in legno. La velocità serviva per evitare intoppi e trasformare la forza idrica in energia.
Per noi è ancora presto per dire se riusciremo a trovare mulini con queste caratteristiche. Per il momento, abbiamo preso nota di cosa dobbiamo cercare.
Per leggere e studiare:
Per i mulini proto-industriali: Edoardo Demo, L’«anima della città». L’industria tessile a Verona e Vicenza (1400-1550), Unicopli, Milano, 2001, pp. 127-130.
Mauro Pitteri, Mulini e mugnai, in: Ulderico Bernardi e Giovanni Luigi Fontana (a cura di), “Mestieri e saperi fra città e territorio”, Neri Pozza, Vicenza, 1999, pp. 59-60
Mauro Pitteri, “Segar le acque. Quinto e Santa Cristina al Tiveron. Storia e cultura di due villaggi ai bordi del Sile”, Zoppelli, Dosson di Treviso, 1984)
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Un archivio da scoprire
Abbiamo messo il naso dentro le carte dell'archivio: è quello della famiglia Porto, uno dei punti di riferimento della nobiltà vicentina. Al suo sviluppo lungo molti secoli a dire il vero hanno contribuito anche altre famiglie, di cui vi parleremo a tempo debito.
Dopo aver starnutito un bel po', siamo pronti per cominciare a raccontarvi cosa c'è dentro. Molte storie di uomini ispirati, indaffarati e a volte attaccabrighe, di matrimoni complicati, di eserciti teutonici affamati, di mulini adibiti a usi non chiarissimi e di case scomparse.
Le carte oggi sono conservate al Castello di Thiene, ma in realtà questo archivio ha mosso i primi passi in una stanzetta al pian terreno di Palazzo Porto in contrà Porti (ahem) a Vicenza. Che fosse una stanzetta lo sappiamo per certo: e a quanto pare è una circostanza poco comune. Gli archivi dei palazzi vicentini erano quasi sempre conservati nel "mezzanello", un ambiente ribassato situato di norma tra piano terra e primo piano, o in prossimità del tetto. In ogni caso, la stanzetta per ora possiamo solo immaginarla: i Porto di Palazzi ne avevano molti in città e dintorni, e quindi non sappiamo con precisione dove fosse questo luogo.
Probabilmente lo scopriremo, durante il nostro lavoro - e anzi un'ipotesi l'abbiamo già: potrebbe essere il Palazzo Iseppo Porto, costruito da Palladio, che vedete in foto.
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(Il quale Iseppo, leggendo queste carte, prende corpo come personaggio veramente fuori dalle righe....ma ve lo presenteremo più avanti)
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Da leggere e studiare:
M. L. De Gregorio, G. Marcadella, Vicenza, 1810. La misura della città, popolarissima e poco estesa, in "Per Franco Barbieri. Studi di storia dell'arte e dell'architettura", a cura di E. Avagnina e G. Beltramini, Venezia 2004, p. 171
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Una stanza al pianterreno
Una stanza al pianterreno dell’antico palazzo, chiusa da molto tempo. Due chiavi per aprirla, consegnate dall’illustrissima Signora Contessa Angelica Porto e dal Conte Bernardino ad un uomo, Giovanni Marcantonio Gotti, incaricato di aprirla e mettere ordine. È il 2 luglio del 1727 e l’archivista si trova davanti ad armadi, pile e mucchi di carte alla rinfusa “disperse per tutta essa stanza”. Decifrare le pergamene, dare loro un ordine e una collocazione per strapparli al caos che sempre si impossessa - come per una legge di natura – delle stanze destinate ad alloggiare documenti.
Un bel respiro (piano, per non inalare troppa polvere) e comincia il suo lavoro, Giovanni Marcantonio, infilando le mani negli armadi, disseppellendo un contratto, recuperando un testamento di qua e un contratto di là. Ogni carta è un tassello di ricchezza secolare, ed è solo l’istantanea che lascia intuire o immaginare quel che c’è stato prima e quel che segue: l’acquisto di un cavallo, la costruzione di una dimora sono la manifestazione di qualcosa di molto più ampio… incontri, discorsi, viaggi, alleanze, strategie di potere, diatribe familiari. Documenti come tasselli di un puzzle sulla cui complessità, Giovanni Marcantonio ha una visuale privilegiata. Deve affrettarsi perché l’incarico assegnatogli ha breve durata. Il suo lavoro difatti si interromperà e altri due archivisti continueranno la sua opera di archiviazione.
Ma è il 2 luglio 1727 e il caos è ancora tutto lì. Fai un bel respiro (non troppo profondo, ricorda) e buon lavoro, Giovanni Marcantonio.
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