#apiazzaleloretceancoraposto
Explore tagged Tumblr posts
Text
Walter Audisio (conosciuto anche col nome di battaglia di Colonnello Valerio o Colonnello Giovanbattista Magnoli) era al tempo capo di un raggruppamento delle forze partigiane con funzioni di polizia. La sua figura emerse, direttamente con riferimento a questi fatti, negli anni ’60, quando il quotidiano “L’Unità” (organo del PCI, per il quale Audisio fu poi deputato) diede notizia del suo coinvolgimento. Metà della notizia non era in verità nuovissima, essendo il nome del Colonnello Valerio già circolato nell’immediato, ciò malgrado non se ne conosceva l’identità e l’Audisio non aveva mai dato modo di parlare di sé, solo essendo noto in qualche ambiente di militanza; tutti “sapevano” che Mussolini era stato fucilato dal colonnello Valerio, ma nessuno avrebbe detto che si trattasse di Audisio. Identificandosi con quel Valerio, Audisio sostenne, non senza qualche contraddizione fra le sue stesse versioni, di essere in pratica il responsabile e l’autore materiale della fucilazione di Mussolini.
Nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945, affermò, ricevette dal generale Raffaele Cadorna l’ordine di uccidere Mussolini. Si trattava comunque di un ordine che contraddiceva le clausole dell’armistizio di Cassibile e gli accordi sottoscritti dal CLNAI secondo i quali Mussolini doveva essere consegnato vivo agli Alleati. Secondo alcuni storici parte delle forze partigiane temevano che una volta consegnato agli alleati sarebbe stato rimesso al potere nell’arco di qualche anno, da qui la decisione di non rispettare gli accordi dell’armistizio e di procedere alla sua condanna a morte. Alle 7 del mattino successivo, un convoglio guidato dal Colonnello Valerio partì alla volta di Como, ove si trattenne fino alle 12.15, per poi spostarsi a Dongo, dove arrivarono alle 14.10. Qui Valerio e i suoi uomini avrebbero comunicato ai partigiani locali che avevano in custodia Mussolini ed i gerarchi dal pomeriggio avanti e di voler fucilare i prigionieri. Di fronte al rifiuto dei partigiani locali di rivelare dove si trovasse Mussolini, che essi volevano portare a Como, Audisio ricorse ad un espediente ed alle 15.15 poté partire con una Fiat 1100 nera verso Giulino di Mezzegra, distante 21 km, più a sud, dove – in frazione Bonzanigo l’ex dittatore era tenuto prigioniero presso una famiglia di Antifascisti (casa De Maria).
Da questo punto la narrazione diviene meno chiara. Audisio fornì ben quattro differenti versioni della sua presentazione a Mussolini. Ciò provocò in seguito polemiche e dubbi sul modo in cui effettivamente si svolsero i fatti. Molti testimoni affermarono che, usciti di casa, Audisio, i partigiani e Mussolini si recarono alla macchina. Nessuno dei testimoni ha però saputo dire con esattezza quanti fossero i partigiani di scorta e come fossero vestiti i prigionieri. Mussolini e la Petacci, saliti dietro, furono fatti scendere in un angusto vialetto (via XXIV Maggio) davanti a Villa Belmonte, un’elegante residenza della zona situata in posizione assai riparata. Quello che lì accadde è ancora oggi poco chiaro, complici le diverse versioni di Valerio così come di Guido e Michele Moretti, gli altri 2 partigiani che si trovavano con lui in quel momento (l’autista dell’auto e l’altro passeggero sul sedile anteriore).
Sempre secondo Valerio, apprestandosi ad eseguire la fucilazione, gli si incepparono il mitra e la pistola. Per sparare a Mussolini usò perciò l’arma di Moretti, il quale però, dopo la morte di Audisio, affermò di essere stato lui a sparare perché le armi di Audisio non funzionavano. Inoltre Guido affermò d’aver sparato il colpo di grazia, che però venne rivendicato anche da un altro partigiano azzanese.
Alle 17 il colonnello Valerio ritornò a Dongo per fucilare gli altri gerarchi, dopo aver lasciato alle 16.20 Guido e Moretti di guardia ai corpi davanti a Villa Belmonte. Alle 17.48, a Dongo, tutti i 16 gerarchi erano morti. Caricati i loro cadaveri su un camion, Valerio partì per Milano verso le 20, passando a recuperare anche i corpi di Mussolini e della Petacci. Durante il viaggio di ritorno la colonna si imbatté in altri partigiani e in posti di blocco alleati che le diedero qualche problema. Tuttavia alle 3.40 di domenica 29 aprile giunse in Piazzale Loreto.
Oggi possiamo dire con assoluta convinzione che se Mussolini non fosse stato ucciso probabilmente sarebbe stato riabilitato in qualche ruolo di potere, come purtroppo è accaduto per molti altri fascisti
19 notes
·
View notes
Photo
Posted @withrepost • @supercalifragilistiche Torino, maestra insultò i poliziotti a corteo contro casapound: confermato il licenziamento Respinto il ricorso per Flavia Lavinia Cassaro. Per il giudice «si è insegnanti anche fuori dalla classe. I docenti hanno compiti non solo legati all’istruzione ma anche educativi» La Buona Scuola è quella Antifascista! Solidarietà a Lavinia #antifa #fuckfascism #apiazzaleloretceancoraposto #acab #laviniacassaro https://www.instagram.com/angrybeargram/p/Bw6hOs3FSzz/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1tlrtirl96cgh
0 notes
Text
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato della Kascina di Bergamo dopo l'attacco intimidatorio fascista subito qualche giorno fa. In seguito il testo.
Nella notte tra mercoledì e giovedì, baldi giovani del movimento neofascista hanno imbrattato la Kascina con una celtica all'entrata dello spazio firmandosi come Bergamo Fascist Crew.
Quest'azione è solo l'ultima di una serie: nelle ultime settimane infatti sono varie le scritte di minaccia verso il collettivo della Kascina e inneggianti al fascismo, comparse in quartiere in diverse occasioni.
Per domani CasaPound ha lanciato un'iniziativa dal titolo "La rotta degli schiavi: tra immigrazione e interessi umanitari".
La risposta e la pressione degli/delle antifascist@ li ha costretti, per ben due volte, a cambiare le diverse location scelte dal movimento neofascista.
Alla fine sono stati costretti a ripiegare sulla loro sede in via Nazario Sauro. La presentazione del libro vede la presenza di Andrea Tremaglia che ricordiamo essere consigliere comunale a Bergamo con Fratelli d'Italia, Francesca Totolo autrice del libro "Inferno spa" e Nicola Piscopello, membro di CasaPound e consigliere comunale di Isso.
Nelle foto allegate potete vedere proprio Nicola Piscopello mentre si vanta della sua "Fascist Crew" insieme ai suoi camerati.
Pretendiamo che il Comune di Isso prenda immediatamente posizione: non è accettabile avere in consiglio comunale una persona che fa del braccio teso la sua posa preferita per qualsiasi foto ricordo e imbratti edifici come la Kascina che, oltre ad essere un edificio storico, è anche uno spazio aperto, sociale e antifascista.
Per lo stesso motivo "invitiamo caldamente" Tremaglia a disertare la presentazione: chi accetta i fascisti nel dibattito pubblico è complice della loro violenza. Stesso discorso per chi amministra la città, ovvero il PD, che fa dell'indifferenza la sua arma migliore.
Nessuno spazio ai fascisti, chiudiamo insieme la sede di CasaPound in via Nazario Sauro!
25 notes
·
View notes
Text
In queste ore su Telegram sono stati aperti numerosi gruppi che promuovono l’iniziativa “25 aprile ORE 17:00 scendiamo in strada chat nazionale #ilnuovo25aprile”. Tra coloro che sui social aderiscono a questa iniziativa ci sono anche i fascisti di Forza nuova che dopo la fallimentare uscita di Pasqua a Roma ci riprovano. Molto anomala la modalità di inserimento delle persone in queste chat che sono state aperte sia a livello nazionale che regionale. Non tragga in inganno la grafica e il riferimento al 25 aprile. Oltre ai fascisti, nella chat, ci sono persone che promuovono teorie complottiste che circolano in rete merito sulla propagazione del Coronavirus. Dopo la solita uscita di Ignazio La Russa ecco un altro tentativo di manipolare la ricorrenza del 25 aprile che resta la festa della Liberazione dal nazifascismo.
#antifa#apiazzaleloretceancoraposto#fuckfascist#fuckfascism#chiudereicovifascisti#25aprile#bellaciao
4 notes
·
View notes
Text
A Verona, neofascisti uccidono Nicola Tommasoli.
Forse la sua colpa fu quella di avere il codino o forse rispose con fare seccato alla richiesta di una sigaretta ma certamente il suo omicidio maturò nell’humus fascio-alcolico che spesso la sera trabocca nelle strade e nelle piazze della “città dell’amore”. Cinque ragazzi, tutti molto giovani, in giro per i vicoli del centro, ne incontrarono altri tre, un po’ più anziani e probabilmente “non conformi”. La richiesta di una sigaretta, negata, e poi quattro urla, uno spintone, schiaffi e pugni. Una violenza che ebbe conseguenze pesantissime. Nicola Tommasoli, 29 anni, di professione grafico, uno dei tre aggrediti, morì dopo cinque giorni di coma.
I cinque, quella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2008, fuggirono tutti, lasciando Nicola a terra.
La città si svegliò attonita, interrogandosi sui propri figli ma ci fu anche chi non si stupì, perché dal 2001 quello era “soltanto” il quindicesimo episodio di violenza, contando solo i fatti più gravi, compiuto da gruppi od esponenti del mix esplosivo ultras Hellas-destra radicale.
Particolarmente originale il commento sull’accaduto del sindaco Flavio Tosi, intervistato da Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa” (3 maggio 2008): “Non fa storia, capita una volta su un milione”. Una frase evocata ancora oggi, che offende la memoria della città.Il 4 maggio Raffaele Dalle Donne, 19 anni, di San Giovanni Lupatoto, studente del liceo classico Maffei ed ex attivista di Blocco Studentesco, propaggine di CasaPound, si costituisce e finisce in carcere con l’accusa di “lesioni gravissime”. Il Dalle Donne è già noto alle forze dell’ordine, in quanto colpito dal Daspo, il provvedimento che allontana gli ultras violenti dagli stadi e implicato nelle indagini della Procura veronese su un gruppo di 17 giovani ritenuti responsabili di vari pestaggi avvenuti tra il 2006 e il 2007, per i quali si ipotizza il reato di “associazione a delinquere con l’aggravante della Legge Mancino”. La Digos comunica anche di aver individuato altri due del gruppo aggressore, che però sarebbero fuggiti in Austria.
Lo stesso giorno, il solerte sindaco Flavio Tosi, che meno di cinque mesi prima aveva sfilato con Piero Puschiavo ed altri simpatici elementi in un corteo neonazista con codazzo di pestaggio ai danni di tre militari “terroni”, dichiara che “Verona non è una città fascista né neofascista, la matrice politica non c’entra” e chiede “pene severe” per i colpevoli (L’Arena, 5 maggio 2008). Non contento, in un’intervista al Corriere della Sera, anche questa pubblicata il 5 maggio 2008, alla domanda della giornalista: “Sindaco Tosi si dice che siano suoi elettori i ragazzi che hanno aggredito Nicola. Gente dell’estrema destra ��”, il primo cittadino risponde: “Mi viene da ridere. Pensi che nella nostra coalizione abbiamo bandito tutto ciò che ha a che fare con l’estrema destra, a cominciare dai simboli. Ci sono milioni di persone che ci hanno votato. Può anche darsi che qualcuno sia un criminale …” (vedi il capitolo sulla Lista Tosi). Dal canto suo l’avvocato di estrema destra Roberto Bussinello, che ha assunto la difesa di Dalle Donne, fa una sviolinata sul dramma in cui – sostiene – “ci sono solo vittime …, il giovane disegnatore in coma, i suoi genitori e i genitori di questi ragazzi” (L’Arena, 5 maggio 2008), un assaggio di quella che sarà la sua linea di difesa in tribunale al processo per l’omicidio di Nicola.
Alle 18 del 5 maggio 2008 Nicola Tommasoli viene dichiarato morto. L’accusa di “lesioni gravissime” si trasforma per Raffaele Dalle Donne in quella di omicidio. E non solo per lui. Nella notte tra il 4 e il 5 maggio la Digos preleva dalle loro abitazioni altri due giovani implicati nell’aggressione, ambedue di Illasi: Gugliemo Corsi, 19 anni, operaio, tifoso dell’Hellas e fondatore di un gruppo di supporter, e Andrea Vesentini, 20 anni, promotore finanziario, del tutto sconosciuto sia nell’ambiente calcistico che politico. Il dirigente della Digos Luciano Iaccarino comunica che i due giovani fuggiti all’estero sono stati individuati, volti e nomi noti per la loro militanza in gruppi di estrema destra e nella tifoseria ultras, i loro soprannomi sono “Peri” e “Tarabuio”. Uno dei due, come Dalle Donne, è nella lista dei 17 indagati e perquisiti dalla Procura per le violenze 2006/2007. Iniziano le prime ricostruzioni dell’accaduto, la serata al bar Malta e poi in giro per il centro fino all’incontro con Nicola e i suoi amici a Porta Leoni: “Codino, dame na sigareta”, il rifiuto, le parole, gli spintoni, l’intervento degli altri, Nicola a terra, la fuga. E le reazioni dei cinque, il silenzio di Vesentini e Corsi, apparsi “strani” ai genitori, il tentativo di fuga di Dalle Donne, fermato dal padre e convinto a presentarsi in questura, gli altri due che spariscono. Notti insonni per la polizia e per il magistrato Francesco Rombaldoni. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio i due ricercati, che erano fuggiti a Londra, tornano in Italia. Sono Federico Perini, “Peri”, 20 anni, di Boscochiesanuova, e Nicolò Veneri, “Tarabuio”, 19 anni, già indagato nella lista dei 17; ambedue sono ultras dell’Hellas, colpiti da Daspo. Perini è stato candidato di Forza Nuova alle ultime amministrative per la seconda e l’ottava Circoscrizione.
Sui media locali i commenti si sprecano, dai paesani dei giovani in carcere, compresi sindaci e parroci, a sacerdoti, capi scout, psicologi, pedagogisti, educatori, scolastici e non, e, ovviamente, politici di ogni ordine e grado. L’emergenza “educativa” e la “crisi dei valori” diventano pane quotidiano, qualcuno si azzarda anche a nominare gli ultras e a criticare l’ex ministro Castelli (Lega Nord) che, in una trasmissione radiofonica andata in onda il 5 maggio ha stigmatizzato l’accaduto come “statisticamente irrilevante”. Ma il più divertente, seppur nella tragedia, resta il presidente della Provincia ed ex rettore della locale università Elio Mosele, il quale afferma (L’Arena, 6 maggio 2008) che quanto successo dipende dal venir meno della “figura materna, intesa come principio di organizzazione familiare e certezza relazionale”. Intanto, sul luogo dell’aggressione, uomini e donne, giovani e anziani, portano fiori, lasciano biglietti e poesie, si fermano in raccoglimento. La città è presa d’assalto dai media nazionali e non, al presidio antifascista che si svolge nel pomeriggio del 6 maggio partecipano centinaia di persone come centinaia sono le lettere di cittadini e cittadine alla rubrica del quotidiano locale “L’Arena di Verona”. L’assedio dei media, in particolare l’attenzione sulle frequentazioni e alleanze politiche del primo cittadino, produce strani effetti persino sul quotidiano storico dei veronesi, da sempre schierato dalla parte dei “potentati” cittadini. Stavolta neanche “L’Arena” può esimersi dal pubblicare notizie e interviste che smentiscono le dichiarazioni di chi intende minimizzare l’accaduto o escludere la matrice politica.
Il 7 maggio il quotidiano dedica nove pagine al delitto Tommasoli, dieci con quella delle “Lettere”. A p. 7 troviamo la notizia della seduta straordinaria del Consiglio comunale e della manifestazione silenziosa previste per il giorno successivo, con la richiesta al sindaco del presidente dell’assemblea Pieralfonso Fratta Pasini (Fi) di proclamare il lutto cittadino nel giorno dei funerali di Nicola Tommasoli. Il Fratta Pasini, collega di partito delll’ex sindaca Michela Sironi (2 mandati, 1994-1998 e 1998-2002), la prima a sdoganare i fascisti nelle istituzioni comunali, ci tiene a far sapere di voler mantenere “il profilo istituzionale di questo Consiglio straordinario, non entrando nel merito delle polemiche politiche …”. Polemiche peraltro già in atto, visto che il capogruppo dei Comunisti italiani, Graziano Perini, si è rifiutato di sottoscrivere il documento comune contro la violenza firmato da tutti i consiglieri comunali. Non bastasse, a p. 10 c’è un’intervista con un ragazzo massacrato dai fascistelli un anno prima in centro storico, che denuncia come i suoi aggressori siano ancora in giro “da un bar all’altro in cerca di risse”, tanto che lo stesso giornalista è costretto a rintuzzare il commento del sindaco Tosi sull’aggressione a Tommasoli “è un caso isolato”, ricordando le decine di pestaggi avvenuti in città nell’ultimo anno e mezzo e l’allarmante rapporto del Viminale (marzo 2007) sull’estremismo politico a Verona, in cui veniva scritto chiaro e tondo che i gruppi dell’ultradestra avevano intensificato le iniziative di impronta razzista.
Il procuratore Guido Papalìa, che aveva già parlato di una “nuova area dell’estrema destra disomogenea che si è aggregata spontaneamente” (L’Arena, 5 maggio 2008), rincara la dose parlando di “matrice nazifascista” del delitto; secondo il magistrato, passato alla storia della città non solo per aver condotto tante scomode inchieste ma anche per essere stato prematuramente “sepolto” in una aiuola di piazza Bra durante la manifestazione che la Lega organizzò nel 2005 proprio per “difendere” i suoi militanti accusati di violazione della legge Mancino in relazione alla campagna del 2001 “contro gli zingari”, dall’ideologia nazifascista questi ragazzi hanno preso “la caratteristica razzista, nel senso che si è voluto colpire il diverso. Ma non solo il diverso per razza, bensì il diverso perché si comporta in modo diverso, la pensa diversamente, perché ha un atteggiamento diverso, si veste in modo diverso e secondo questa ideologia non può convivere nel centro storico della mia città. Sono scuse per colpire chi non è omologabile a me”. Chi ha orecchie per intendere intenda. Non è il caso di un certo numero di esponenti politici, dai prudentissimi Pd che fanno sapere di non voler strumentalizzare politicamente la vicenda ma invitano il sindaco Tosi a “smarcarsi definitivamente da certe forze” (Stefania Sartori, capogruppo Pd in consiglio comunale) allo stesso Tosi, che, oltre a prendersela con Perini, reo di “strumentalizzazione politica”, si produce a p. 15 in un’imbarazzante intervista. Prima invoca per le persone coinvolte nel pestaggio “una condanna durissima e pesantissima”, poi, quando gli viene ricordato (durante la trasmissione radio “Unomattina”) che i giovani fermati sono indicati come vicini alla destra più estrema, ricorda che lo stesso procuratore capo (!) ha detto che non facevano parte di un partito organizzato, sono dei disgraziati, tra l’altro non sono neanche di Verona, ma della provincia”. Dopo essersela presa con Paolo Ferrero (Prc, ministro uscente) per “l’uso fatto del tragico e brutale assassinio di Nicola Tommasoli” dichiara che tale uso “assomiglia molto alla richiesta della sigaretta fatta dal branco alla povera vittima: un puro pretesto per massacrare mediaticamente la città”. E poi avanti tutta con il “caso Marsiglia”, il professore di origine ebraica che denunciò falsamente di essere stato picchiato, mettendo la città sotto una luce ingiustamente negativa, il “disagio giovanile e l’emergenza educativa” e, infine, la replica al consigliere regionale Franco Bonfante (Pd), reo di ricordare la visita fatta da Tosi nel 2005, insieme ad Andrea Miglioranzi e Federico Bricolo, ad altri cinque giovani di estrema destra, in carcere in attesa di giudizio per il pestaggio e l’accoltellamento di Volto san Luca (2005, vedi Cronologia). Da questo momento in poi la posizione del sindaco Tosi e dei suoi sodali resterà inalterata. Verona e la sua fama di “città dell’amore” va difesa a tutti i costi e nonostante qualsiasi evidenza. Quindi nonostante la costituzione di parte civile del Comune di Verona al processo Tommasoli e la richiesta di 150mila euro di risarcimento per i danni patiti dall’immagine della città (il tribunale fisserà la cifra a 50mila euro), nonostante il successivo pestaggio di Francesca Ambrosi da parte dei soliti “disgraziati” della Curva, nonostante i raid in Veronetta di Marcello Ruffo (CasaPound e Lista Tosi) , nonostante l’approvazione in consiglio comunale di ordini del giorno ributtanti come quello proposto da Zelger sul “numero verde” per denunciare chi parla di “gender” nelle scuole.
Nonostante tutto Flavio Tosi, convenientemente aggiustato dal suo addetto stampa, partecipa a miriadi di talk-show sulle tv nazionali, dove fa la parte del gigione di famiglia, tanto amante del calcio ma in fondo dotato del tipico buonsenso della casalinga veneta. Del resto, non è il solo. La città ha dimenticato, la città dimentica in fretta.
Ma c’è ancora chi la memoria la coltiva, e sono gli estremisti tanto invisi a Tosi e ai suoi, quelli che Vittorio Di Dio vorrebbe fossero “sistemati” per la strada, gli unici che tutti gli anni, da quel 30 aprile 2008, organizzano manifestazioni, presidi, spettacoli teatrali (tra i tanti ricordiamo “Verona caput fasci” scritto e interpretato da Elio Germano ed Elena Vanni), reading, invitano madri di altri ragazzi uccisi dalla violenza di destra, intellettuali, esponenti politici, musicisti per ricordare Nicola.
Nicola, poteva essere qualsiasi di noi.
1 note
·
View note
Text
Gianluca Casseri, 50 anni iscritto a Casapound, compie un’esecuzione razzista facendo strage di migranti senegalese, aprendo il fuoco al mercato di piazza Dalmazia, e poi al mercato di San Lorenzo.
A cadere in terra senza vita sono stati due migranti senegalesi. Diop Mor, Samb Modou sono morti sul colpo.
Un altro Moustapha Dieng, 38 anni, è stato gravemente ferito. Tutti erano venditori ambulanti che frequentavano abitualmente la zona.
3 notes
·
View notes
Text
Il Parlamentare Galeazzo Bignami e il Consigliere Comunale di Bologna Marco Lisei con un cellulare inquadravano i campanelli degli inquilini delle case Acer per mostrare quelle assegnate a stranieri. Abbiamo superato ogni limite. Questo è un incitamento all'odio razziale. Devono dimettersi.
4 notes
·
View notes
Text
1 note
·
View note
Photo
a Piazzale Loreto solo fasci appesi!
28 notes
·
View notes
Text
Il calciatore del Brescia Mario Balotelli non è uno che, nella vita, si tira indietro. Soprattutto contro il razzismo e i razzisti.
Non solo calcio: su Balotelli e gli insulti razzisti a Verona
Il numero 45 delle Rondinelle ha scelto i social per tornare sui fatti di domenica 3 novembre, con gli insulti razzisti che lo hanno bersagliato durante la partita di calcio tra Hellas Verona e Brescia, partiti dalla curva scaligera e ai quali ha risposto tirando rabbiosamente il pallone.
“Qua amici miei non c’entra più il calcio, state facendo riferimento a situazioni sociali e storiche più grandi di voi, piccoli esseri. Qua state impazzendo ignoranti… Siete la rovina. Però quando Mario faceva, e vi garantisco farà ancora gol per l’Italia vi stava bene vero? Le persone così vanno ‘radiate’ dalla società, non solo dal calcio. Basta mandare giù ora, basta lasciare stare”.
Queste le parole di Balotelli su Instagram, dopo che la società dell’Hellas Verona ha detto di “non aver percepito che ci siano stati insulti”. Sulla stessa linea il sindaco di Verona, Federico Sboarina, che accusa anche Balotelli di aver “messo alla gogna il buon nome della città”. Da segnalare infine che uno dei referenti della curva sud scaligera, ma soprattutto coordinatore per il Nord Italia del partituncolo neofascista forza nuova (e tra le mille cose pure ex candidato sindaco…a Brescia), luca castellini, ha ottenuto un altro quarto d’ora di…celebrità, sostenendo in un’intervista radiofonica che “Balotelli non potrà mai essere del tutto italiano”.
1 note
·
View note
Text
Dal 13 maggio 2000 al 16 febbraio 2018, ogni volta che Roberto Fiore e i fascisti di Forza Nuova hanno provato di mettere piede a Bologna migliaia di antifasciste e antifascisti sono scesi in piazza, non sottraendosi, quando è stato necessario, alla battaglia di strada.
Quelli di Forza Nuova sono fascisti della peggior specie, seminatori di odio razziale, di sessismo, omofobia e catto-integralismo. Promuovono orgoglio nazionalista e mantenimento della “purezza etnica”, fanno campagne per il blocco dell’immigrazione, la costruzione di muri e reticolati per impedire la libera circolazione delle persone. Si battono per distruggere i diritti di cittadinanza universali, il divorzio e l’aborto. Sono contrarissimi alle “teorie del gender” e allo ius soli che, secondo loro, avvierà la “sostituzione etnica”.
Predicano e praticano un’ideologia violenta che si fonda sulla repressione e sulla sottomissione delle donne, degli omosessuali, delle persone che seguono religioni diverse da quella cristiana, di quanti non hanno il “bianco” come colore della pelle.
Il loro “matrimonio indissolubile” si basa sul lavoro delle donne tra le mure domestiche e una specie di cottimo per chi sforna figli, chiamato “reddito di maternità”, erogato a “tutte le madri che dimostreranno di essere impegnate esclusivamente nell’ambito familiare”.
Come i fascio/leghisti e come Casa Pound fabbricano a ciclo continuo false paure, producendo bufale diversive, nemici fittizi e capri espiatori. Quando intercettano pulsioni e malcontenti sociali, li incanalano in una squallida guerra tra poveri, in un conflitto basato sull’egoismo sociale dove la miseria di persone in difficoltà verrebbe intaccata dalla povertà di altri esseri umani.
Il loro luogo ideale sarebbe l’Alabama della segregazione razziale e dell’aborto considerato come delitto da carcere a vita, ma si accontentano dello sdoganamento ricevuto dagli editti salviniani e dalle politiche antimigratorie del governo “lega/stellato”.
Nelle porcate che hanno messo in campo in questi mesi si sentono politicamente coperti dal “fascismo istituzionale” che li spalleggia. Se non fosse così non ci sarebbero state le false barricate contro l’arrivo dei profughi (spesso bambini) in qualche quartiere di periferia. Non ci sarebbe stata la vergognosa vicenda del pane calpestato a Torre Maura o l’assedio alla famiglia rom di Casal Bruciato per l’assegnazione di un alloggio popolare. Non si sentirebbero legittimati a negare il diritto all’esistenza per migranti e rom e a minacciare persone, come Mimmo Lucano o volontari di associazioni che lavorano sull’accoglienza e sulla solidarietà.
PER TUTTE QUESTE RAGIONI
LUNEDI’ 20 MAGGIO ALLE ORE 17.00
SAREMO IN PIAZZA MAGGIORE,
PER NON LASCIARE NEANCHE UN CENTIMETRO DI SUOLO PUBBLICO ALLE “TESTE DI FASCIO” DI FORZA NUOVA!
Non dobbiamo lasciare che i fascisti guadagnino terreno. Dobbiamo avere ben chiaro che se non si è attivamente e convintamente contro fascisti e nazisti, si è loro complici.
Tacere di fronte alle violenze fasciste, minimizzarle o derubricarle a elementi di nostalgico folklore, significa esserne conniventi.
Essere antifascisti vuol dire praticare la (più che legittima) difesa contro chi predica queste nuove forme intolleranti e discriminatorie di totalitarismo.
Molte delle strade di questa città sono dedicate ai caduti della Resistenza, più di duemila sono le formelle con i ritratti e i nomi dei caduti partigiani di Bologna raccolte al Sacrario di Piazza Nettuno; quei ragazzi e quelle ragazze che diedero la vita per liberare il nostro paese dalla dittatura mussoliniana non lo fecero per permettere oggi alle carogne fasciste di uscire dalle fogne.
Vorremmo per una volta che ci fosse risparmiata la retorica del “non sono d’accordo con le tue idee ma farò di tutto perché tu le possa esprimere”.
IL FASCIMO NON E’ UN’OPINIONE, E’ UN CRIMINE.
E, come diceva Buenaventura Durruti, «Al Fascismo no se le discute, se le destruye»
NO PASARAN!
4 notes
·
View notes
Text
5 notes
·
View notes
Text
#blob #casottopound #apiazzaleloretoceancoraposto #antifa #fuckfascism
4 notes
·
View notes
Text
youtube
0 notes
Text
Una nota del Centro Sociale Bruno dopo i fatti del 30 ottobre, quando in concomitanza con la conferenza - nella facoltà di Sociologia - che aveva ospite Fausto Biloslavo, un gruppo di neofascisti ha presidiato l'appuntamento aggredendo chi era lì per contestare la presenza del giornalista de “Il Giornale” ed ex militante neofascista del Fronte della Gioventù.
I gravi fatti avvenuti a sociologia nella serata del 30 ottobre mostrano, a chiunque la voglia vedere, la strategia che la Lega ha messo in campo per umiliare l’Ateneo trentino e far pesare su di esso il controllo del potere provinciale. Una strategia che, in quest’ultimo episodio, si è avvalsa anche della presenza di picchiatori squadristi reclutati all’interno del neofascismo trentino e veneto.
Da mesi ormai la Giunta provinciale ha allungato i suoi tentacoli anche sulla nostra Università e sul mondo della cultura in generale, come dimostra la nomina di Divina a presidente del Santa Chiara.
Il caso di Trento non è l’unico nel suo genere: alcuni mesi fa, quando il governo giallo-verde era ancora in carica, a Bologna la Lega è insorta contro la facoltà di Scienze Politiche, rea di aver adottato all’interno di un programma di studi un libro a loro non gradito, arrivando persino a ridurre il ruolo di accademico a mero “dipendente pubblico e come tale obbligato alla lealtà verso lo Stato”. Nello stesso periodo a Pisa vennero stanziati 3000 euro per consentire a esponenti di primo piano della Lega, quali Matteo Salvini, Susanna Ceccardi, Armando Siri e Gian Marco Centinaio di portare avanti propaganda elettorale in università.
Ma ritorniamo in Trentino.
A fine luglio in Consiglio Provinciale erano stati presentati due emendamenti simili, uno della consigliera leghista Dalzocchio, l’altro del consigliere di “Agire” Cia. Entrambi prevedevano che il presidente dell’Opera Universitaria fosse scelto dalla sola amministrazione provinciale e non più con un accordo tra questa e il rettore dell’Ateneo. Ciò avrebbe significato rafforzare di fatto il controllo politico della Provincia sull’Università di Trento.
Evidentemente i tempi non erano ancora maturi e la giunta provinciale si è rivelata impreparata ad un simile scontro, tanto che il 28 luglio l’emendamento di Dalzocchio è stato ritirato e quello di Cia bocciato. Bisesti, che ricopre il ruolo di assessore all’istruzione, università e cultura aveva auspicato - con l’amarezza di chi non accetta una condizione di parità con un’istituzione al di fuori del suo controllo tentacolare - di voler “trovare un accordo con il rettore” in attesa di cogliere una palla al balzo.
La palla attesa dall’assessore è arrivata circa due mesi dopo, grazie alla scelta assurda da parte di un’associazione studentesca “formalmente” di sinistra di invitare Fausto Biloslavo come relatore ad un’iniziativa dal titolo «L’Odissea libica – Fra il conflitto civile, i lager e la disperazione dei migranti». Biloslavo è un ex-militante dell’MSI, un reporter “embedded” al seguito dei peggiori tagliagole contro-rivoluzionari di mezzo mondo, un soggetto che collabora alle pubblicazioni della casa editrice di Casa Pound “Altaforte”, la stessa esclusa dal salone del libro di Torino oltre ad essere il principale narratore giornalistico della criminalizzazione delle ONG che salvano vite umane nel Mediterraneo. È stato lui infatti nell’estate 2017 a dare il via all’attacco mediatico e nello specifico ad accanirsi contro la nave “Iuventa”. Queste calunnie hanno contributo a criminalizzare la solidarietà, al sequestro della nave e alla messa sotto accusa del suo equipaggio che rischia fino a decenni di carcere.
Ancora non è noto quale arricchimento avrebbe potuto portare un soggetto che fa del giornalismo - basato non su fatti bensì calunnie - un mezzo per propagare il più becero razzismo dei nostri tempi. Per quale motivo un’organizzazione studentesca di “sinistra” avverte la necessità del confronto con tale personaggio? Per sentirsi dire cosa, esattamente?
La notizia di una conferenza in cui questo soggetto avrebbe parlato ha portato alcune realtà studentesche ad annunciare la propria contestazione dell’iniziativa. Dal canto loro i responsabili dell’ateneo hanno deciso di annullarla affermando di aver riscontrato irregolarità nei permessi richiesti da UDU Trento per svolgerla.
La vicenda assume rilevanza nazionale e le flebili e balbettanti narrazioni di UDU in merito al solito e più che abusato richiamo a una non ben specificata libertà di espressione e confronto democratico, vengono travolti dalla grancassa del vittimismo reazionario che denuncia improbabili scenari “da anni di piombo”, criminalizzando di fatto il legittimo dissenso di una parte degli studenti e studentesse dell’ateneo.
Un’associazione che persevera nell’autocolorarsi di un rosso oramai sbiadito ha, più o meno consciamente, aperto la porta dell’ateneo ai tentacoli leghisti, servendo loro su un piatto d’argento l’occasione tanto attesa: l’università è stata costretta a organizzare una nuova conferenza con Biloslavo come guest star, appuntamento accompagnato da una campagna di criminalizzazione del dissenso a base di manifesti dal titolo «Fuori i brigatisti da UniTN» affissi nei giorni precedenti dai “giovani” della Lega Nord, fino ad arrivare all’agguato fascista (puntualmente coperto e facilitato da assessori e dalle forze dell’ordine presenti) con tubi e bottiglie nei confronti dei manifestanti che si sono nuovamente convocati.
Sebbene la vicenda sia già di per sè molto grave, lo è altrettanto il post: «Biloslavo, scontro Lega-Ateneo» titolava il primo novembre il Corriere del Trentino. Tutti i deputati leghisti trentini hanno infatti attaccato l’Università di Trento accusandola di consentire lo svolgimento al suo interno di «azioni illegali», quali occupazioni di aule, violenze anarchiche e contestazioni.
Una polemica a sè stante o l’annuncio di una nuova offensiva per il controllo dell’ateneo?
Intanto il Senato accademico sta sulla difensiva, scegliendo infatti di esprimere all’unanimità, con una mozione inviata per mail a tutti gli iscritti e le iscritte, “il pieno apprezzamento per il coraggio civile” espresso dal Rettore con le sue scelte. Condanna inoltre “Le azioni aggressive e violente che si sono registrare, in molteplici forme, in occasione della conferenza”. Mentre respingono “Le strumentalizzazioni pretestuose che hanno cercato di trasformare l’università, chiaramente parte lesa di tali prepotenze, da vittima in colpevole“.
Sebbene si possa cogliere un rifiuto dell’operazione propagandistica e speculativa della Lega Nord, la sterile condanna per una generica violenza è vuota e pericolosa se decontestualizzata, mettendo sullo stesso piano fascisti e antifascisti, contestatori e picchiatori richiamando l’odiosa categorizzazione di manifestanti buoni e cattivi.
Sovviene alla mente il caso degli ultimi giorni di Liliana Segre, in cui Salvini equiparava le minacce che subiva per la sua politica di odio a quelle ricevute dalla senatrice deportata ad Auschwitz da parte dell’estrema destra. Un abisso che, per una certa area liberale che ancora si fa portatrice del vuoto contenitore privo oramai di significato delle parole di libertà, democrazia e uguaglianza, diventa un ruscello ormai asciutto: equiparare tutto significa non essere in grado di differenziare alcunché e questo non può che andare a discapito di noi tutti e tutte. Infatti, sempre ritornando a Trento, le diverse soggettività che si etichettano come antifasciste, democratiche e “progressiste” hanno tutte cercato di differenziarsi le une dalle altre assumendo posizioni antitetiche, mentre i leghisti hanno agito con un’unica e pianificata strategia politica, mediatica e squadristica, priva di contraddizioni e di cedimenti. Assessori, consiglieri, “giornalisti di grande esperienza” e picchiatori hanno agito tutti secondo un medesimo obiettivo: la volontà di annichilire o comunque di mettere in difficoltà qualunque forma di “opposizione” al fine di accaparrarsi nuove e ghiotte fette di potere.
Fatto sta che i cosiddetti “Buoni” hanno dispensato fin troppi regali alla macchina da guerra leghista. Il fine è ancora misterioso, semplici “errori” o tentativi di accreditamento presso la giunta?
Per qualcuno è più facile prostrarsi rispetto ad alzare la testa, la storia ce lo insegna e in qualche modo si ripete: credere ancora che nel 2019 si possa “dialogare” con chi si fa scudo di posizioni xenofobe, sessiste e omotransfobiche e preoccuparsi più di dissociarsi da chi alza i toni del confronto rispetto al portare avanti una seria opposizione sono gli ingredienti principali per far raggiungere alla destra il proprio obiettivo di controllo e repressione totale.
Grazie, ma non ne avevamo proprio bisogno.
0 notes