#ammetto che lontana anni luce da come volevo venisse fuori ma ci ho provato
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unaperiko · 6 years ago
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metamoro fanfiction
note: okay, ‘sta roba nasce dopo aver letto l’intervista di Fabrì in cui parla del periodo sanremese e di come si sentisse responsabile per Ermal, soprattutto nel caso di una loro possibile sconfitta. È ambientata in un momento futuro quando cominceranno una nuova collaborazione assieme. Doveva essere un momento, un flash di loro due assieme, ma invece è uscita fuori così, amen. Ringrazio @bluebandit16 e @flickres per essersela sorbita in anteprima: tanto bene davvero. <3
You make a fool of death with your beauty
And for a moment
I forget to worry
 Se ne stanno seduti su una terrazza di un hotel da qualche parte di Roma. Ermal sente l’intreccio di vimini della sedia sfregargli le scapole, quando aggiusta la postura poggiando i gomiti in avanti. Fabrizio sta invece con il capo chino sui fogli spiegazzati davanti a sé, la penna in bocca che dondola in sincrono con il groviglio dei suoi pensieri. Sembrano entrambi due naufraghi e il tavolo là davanti l’isola deserta che li ha fatti incontrare. Deja-vù.
Rispetto a più di un anno e mezzo fa, oggi fa quasi caldo se non fosse per il vento che si insinua tra le maniche della camicia di Ermal: sta arrivando l’estate, pensa. In realtà con la mente si sta perdendo in quello che ormai sembra essere un filo conduttore di vita. Nei suoi ricordi, si ripete sempre la stessa identica scena: loro due che si trovano da qualche parte, in un punto fisso e irraggiungibile, a condividere l’anima e pungolarsi la mente. Come quella volta all’Ariston.
<< Non ti devi preoccupare, capito? >>
Fabrizio continuava a ripeterglielo tra una serata e l’altra del festival.
<< Guarda che sono tranquillissimo >>
A quel punto lo attirava a sé circondandogli il collo con un braccio e con la mano che tamburellava piano sul suo petto. << Non ti preoccupare >>.
 Solo mesi dopo aveva capito che in realtà stesse cercando di rassicurare se stesso. Al tempo continuava a respingere le sue attenzioni più per timore di non essere in grado di riuscire a fare altrettanto, che per presunzione.      
Gli ritorna in mente un qualcosa di simile, eppure così lontano dall’essere circoscrivibile a una sola realtà: quando erano rimasti da soli al dopo party del festival, in bilico sulle scale dell’hotel con il premio tra le gambe e le braccia a sorreggersi a vicenda.
Ermal non sapeva davvero quantificare la percentuale di alcol in corpo, non è abituato come Fabrizio, ma al tempo quello che riusciva a fare era poggiarsi all’altro condividendo l’euforia. Se ne stavano in silenzio dopo l’ennesima risata. D’un tratto Fabrizio prese a stringergli i riccioli con una mano muovendo piano le dita. Ermal rimase immobile a sentire il solletichio del movimento espandersi per tutta la cute. Avrebbe voluto scostarsi e dirgli di piantarla, così lo spettinava e basta, invece non fece nulla. Non faceva mai nulla.
<< Stai a scintillà tutto >>. Fabrizio gli tirò via un lustrino incastrato tra i capelli mentre sorrideva e ritirava via la mano. Ermal avrebbe voluto rapire il calore di quel gesto ancora per un po’, anche un momento solo, ed è forse proprio questa realizzazione a fargli scrollare le spalle di riflesso.
<< Dà qua, non te lo fregare >>.
Ma Fabrizio lo allontanò dalla sua presa mettendoselo dietro un orecchio a mo’ di fiore.
<< Sta meglio a me >>.
Ermal guardò i riflessi oro e fucsia che facevano capolino tra l’ammasso di onde nere che erano i suoi capelli. Poi si soffermò sugli occhi di Fabrizio che ridevano di lui in maniera quasi bonaria. Ancora, poco più sotto, le lentiggini si stendevano tirate dalla smorfia semi-trattenuta del suo gioco: non le aveva mai notate prima, rifletté, con un ennesimo pensiero che sapeva di bugia.
<< Narciso è morto affogato, per la cronaca >>.
Fabrizio portò la lingua tra le labbra in un gesto che a Ermal suonava come un campanello fin troppo familiare nella memoria.
<< Sei bono pure te >>.
Ermal avrebbe voluto replicare che non era quello il punto cardine della questione, però c’era un calore che cominciava a risalire lungo il collo e carezzare il pomo d’Adamo in una stretta impietosa.
<< Bizio, s’è fatto tardi >> riuscì solo a dire. Era sempre un rincorrersi di secondi mancati e modi condizionali tra di loro.
A quel punto Fabrizio si era alzato facendo leva sul suo ginocchio arrivando poi ai capelli.
<< A domani, cespugliè >> gli augurò come buonanotte stringendogli un’ultima volta i riccioli. Quella notte Ermal sognò di tocchi lievi e brividi sulla pelle.
 Ora si sfrega il dorso di una mano sulle labbra e in parte lo fissa dall’altro capo del tavolo, in parte ha lo sguardo rivolto verso il panorama di cemento immaginando il mare. Quando è con lui ha un tale mondo di parole e richieste e silenzi in testa da non riuscire a trovare spazio per il reale.
<< C’è troppa calma >> si lamenta Fabrizio mettendo da parte gli spartiti abbozzati.
<< Vado a prendere la chitarra >>
<< No, non è quello >>
Ermal sapeva a cosa si stesse riferendo. La loro prima collaborazione aveva preso vita tra un letto a castello e disegni appiccicati ai quattro muri di una cameretta.
<< Dovrei avere un paio di peluche nella valigia >>
<< Ancora coi peluche? Vai pe’ i quaranta, eh >>
<< Li ho vinti tutti per te, non te lo ricordi? >>
Ermal sente lo sguardo di Fabrizio su di sé: gli sembra di stare sull’orlo di un precipizio altissimo e i suoi occhi sono il peso che cerca di spingerlo nel baratro.
<< Seh, te piacerebbe >>.
Fabrizio sorride in maniera aperta ora ma una mano va a dargli un buffetto sulla guancia. Ermal piega la testa di lato prima che le sue dita scivolino via intrappolandole tra la guancia e la spalla, tentando di mordergli il dorso con la bocca. Fabrizio lascia che i denti gli sfiorino le nocche mentre la sua risata riempie l’aria tutt’attorno.  << Sei proprio un ragazzino >>.
Lo dice senza malizia e più come se volesse sfuggire da qualcos’altro. Ma Ermal non gli concede tregua: poggia le labbra sul tatuaggio del sole, quasi a mo’ di baciamano, più e più volte. La consapevolezza dell’intimità di quel gesto lo investe in ritardo, quando sente il battito rimbombare frenetico dalle orecchie in fiamme. È un continuo stare in bilico tra l’assedio delle proprie emozioni e la facilità che ha di lasciarsi andare, per lui. Così è capitato a Lisbona, poi all’olimpico, poi ancora e ancora e ancora all’inizio di autunno: ogni volta sa sempre più di una promessa lasciata in sospeso.
Alla fine Ermal si scansa.
<< D’accordo, chitarra >> ripropone facendo per alzarsi ma la mano di Fabrizio ora gli stringe la spalla, in una sorta di richiesta implicita. Potrebbe scrollarsela di dosso facilmente. Potrebbe scusarsi e fare finta di aver frainteso. Potrebbe cominciare a straparlare del niente e prenderlo in giro di qualunque cosa.
Potrebbe potrebbe potrebbe.
Invece stavolta aspetta. Aspetta che Fabrizio si avvicini e cerchi i riccioli con le dita. Aspetta che ricambi il suo sguardo e veda il caos emotivo che gli imperversa nella testa, nel cuore, fin dentro le viscere. Aspetta che, finalmente finalmente, copra il viso con il suo.
Per la prima volta da tanto tempo, Ermal è in pace.
 note bis: la strofa iniziale è presa da Hunger, di Florence + the Machine. Ci rivedevo tantissimo Ermal che guarda Fabrizio e trova la calma di tutto.
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