#achille c. varzi
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There are two main motivations [for Whitehead’s method of extensive abstraction] worth highlighting. One relates to Whitehead’s endorsement of the relational theory of space (and, eventually, time and spacetime), i.e., the view that geometric entities are not among the fundamental constituents of reality but rather emerge entirely from relations between concrete objects and events, which he took to be inconsistent with the simplicity of sizeless points. The other lies in Whitehead’s overall epistemology, and particularly his radical empiricist methodology in the philosophy of science. The first motivation is already present in the 1906 memoir, where the relational theory is identified generically with ‘Leibniz’s theory of the Relativity of Space’. … … … According to Whitehead, science is ‘the thought organization of experience’ (Whitehead, 1916c, p. 411). It is ‘founded upon observation’ and all scientific constructions are ‘merely expositions of the characters of things perceived’ (CN, pp. 57, 148). Since the points of Euclidean geometry appear to be ‘a metaphysical fairy tale by any comparison with our actual perceptual knowledge of nature’ (PNK, p. 6), it follows that geometry itself, for all its scientific usefulness, cannot be taken at face value. It must involve some sort of abstraction, a ‘fiction’ of sorts (Whitehead, 1917, p. 163), and a proper investigation into its foundations must fully expose the abstract character of this fiction. Here is where Whitehead’s philosophical stance may be seen as continuous with traditional anti-indivisibilist views. But, more importantly, here is where his account is meant to fill the holes left open by his predecessors. For Whitehead is not only rejecting the indivisibilist ontology of classical geometry; he is also giving us an actual method for recovering its truths on empirically acceptable grounds. His goal is to provide a fully-fledged point-free foundation of geometry. It is worth emphasizing that for Whitehead this is not a peculiar task, as if geometry were in some sense unique in delivering a misleading picture. On the contrary, it is an instance of what Whitehead considered the primary task of scientific philosophy at large: to exhibit the systematic connection between the neat and tidy ‘world of ideas’ with which science ends and the untidy, ill[1]adjusted field of ‘sensible experiences’ from which it begins (Whitehead, 1916c, p. 41). Whitehead discussed many examples of this task, and of the ‘fallacy of misplaced concreteness’ that arises whenever the ‘abstract logical constructions’ used in science and mathematics are mistaken for ‘concrete facts’ out of which they arise (Whitehead, 1926, p. 64). The abstractions involved in geometry are no exception, and the method of extensive abstraction is intended to provide the relevant connection in such a way as to avoid the fallacy.
Achille C. Varzi, “Points as Higher-Order Constructs: Whitehead’s Method of Extensive Abstraction,” The History of Continua: Philosophical and Mathematical Perspectives
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The legendary Tazio Nuvolari an his Auto Union Type C. This car won more than 25 times between 1936-37 with Nuvolari himself and Bernad Rosenmeyer, Achille Varzi, Ernst von Delius and Hans Stuck behind the wheel. . #formulaone #wotd #AEROLUFT #style #design #relojes #montres #uhren #orologi #vintagewatches #wristwatches #racingcars #vintagecars #uhr #classiccar #classiccars #ferrari #astonmartin #mercedesbenz #porsche #bugatti #car #racecar #racingcar #autounion #audi #silver #germany #deutschland #alemania (en Zaragoza, Spain) https://www.instagram.com/p/CIfkLF-rTBq/?igshid=rgntvvxkhwre
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SIFESTOFF 2019 / IL MANIFESTO #10FF Ways of Worldmaking: modi di costruire il mondo. “Non c’è un mondo; ci sono tanti mondi, nessuno dei quali onnicomprensivo. Più precisamente, c’è un mondo per ogni diverso modo di combinare e costruire sistemi simbolici”. - N. Goodman, Vedere e costruire il mondo, dall'Introduzione di Achille C. Varzi. Progetto grafico: Sara Pizzinelli
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Roberto Casati, Achille C. Varzi
Un CV davvero completo
Lui. Adesso basta, non sono mica fesso!
Lei. Che ti prende?
Lui. È tutto il giorno che leggo curricula, e non ce n’è uno che non riporti soltanto cose belle e positive. Ho studiato qui, ho lavorato là, ho pubblicato questi articoli, ho vinto quel premio��� Sempre e solo successi di cui vantarsi.
Lei. Non ci vedo niente di strano. I curricula si scrivono così, senza falsa modestia. Si elencano gli studi effettuati, le esperienze di lavoro, i risultati conseguiti. Che altro vorresti leggere?
Lui. Vorrei leggere almeno qualcosa che riguardi il resto.
Lei. Il resto?
Lui. Non vorrai farmi credere che la vita di questo candidato si riduce alle belle cose che ha elencato? Va bene, ha conseguito la maturità al Manzoni; ma chi mi assicura che prima non l’abbiano bocciato al Da Vinci? Quest’altra elenca tre articoli pubblicati su riviste scientifiche di un certo calibro. Bene. Però magari ne ha scritti altri cinquanta che sono stati cassati ripetutamente e che non è riuscita a pubblicare nemmeno sul bollettino dell’oratorio. Come faccio a saperlo? Questo ha addirittura vinto un premio. Ottima cosa. Ma quanti erano i concorrenti? Quanti altri concorsi ha fatto, magari arrivando ultimo?
Lei. Non capisco. Vorresti che i candidati elencassero anche queste informazioni? Lui. Certamente. Si chiama «curriculum vitae». Non si chiama «albo d’oro». Te l’immagini il curriculum di un allenatore di calcio in cui si riportano soltanto le partite vinte e i trofei conquistati? È ovvio che prima di assumerlo per la mia squadra voglio sapere anche quante partite ha perso e quanti trofei si è lasciato scappare.
Lei. Mi sembra un caso diverso. Non puoi generalizzare. Lui. Assumeresti un elettricista che per errore ha fatto saltare in aria un condominio? Una imbianchina che ha rovinato il parquet perché si è dimenticata di stendere la carta da giornale? Un meccanico che si vanta conoscere le Ferrari in ogni dettaglio ma non ti dice di aver rovinato tutte le Fiat che ha avuto in consegna? Una chef che dichiara di essersi specializzata a Parigi ma che tace sui ripetuti avvelenamenti dei suoi clienti al ristorante che gestisce a Vercelli? Un’avvocatessa…
Lei. Fermati. Credo ci sia un equivoco. Tu non vuoi un CV. Vuoi una biografia completa dei candidati. E per di più mi sembri poco disposto a valutarne meriti e qualità sorvolando sugli inevitabili errori di percorso. Nessuno è perfetto, questo lo si sa. Tutti fanno fatica e nessuno è così bravo da inanellare soltanto un successo dopo l’altro. Quello che è importante, quando si valutano le attitudini di un candidato, non è dove ha fallito ma quello che ha saputo fare. È per questo che i CV si scrivono così. Si elencano le cose di cui si va fieri perché sono indicative del proprio potenziale, delle proprie abilità.
Lui. Io voglio valutare anche i rischi a cui vado incontro. Lei. Per questa strada finisci col giudicare la persona sulla base di criteri che possono essere irrilevanti o comunque fuori luogo, e soprattutto dai troppo peso al passato.
Lui. I curricula riguardano il passato, non certo il futuro.
Lei. Solo se li leggi come semplici pagelle. E poi ti conosco, sei permaloso. Se passiamo una giornata insieme, e tutto va alla perfezione tranne una mia frase poco felice, tu ti arrabbi per quella e ignori il resto. Dai più peso a una piccola svista che a cento attenzioni. Se i curricula fossero scritti come dici tu, non assumeresti mai nessuno. E poi, scusa…
Lui. Che altro c’è adesso? Mi stai facendo innervosire.
Lei. Se davvero vuoi informazioni complete, accanto ai dati positivi e a quelli negativi dovresti richiedere che un CV fatto bene contenga anche informazioni neutre.
Lui.Certo! Voglio vittorie, sconfitte, e pareggi! E anche gli allenamenti, per così dire.
Lei. E immagino il tuo CV sia scritto così?
Lui. Precisamente. Ecco, se vuoi dargli un’occhiata, l’ho appena stampato. [Le passa un plico di tremila pagine.]
Lei. Hmm… Interessante. Hmm… Però…
Lui [sempre più irritato]. Però cosa?
Lei. Hai mai letto il Tristram Shandy?
Lui. Il romanzo di Laurence Sterne? No, perché?
Lei. Tanto per cominciare, perché qui non c’è scritto. Mi sembra una grave omissione, visti i tuoi standard! E soprattutto perché se l’avessi letto sapresti che un CV come lo vuoi tu è impossibile. Tristram Shandy ci ha provato, e per riportare i fatti di una sola giornata della sua vita ci ha messo un anno intero.
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«L’Amor è il primo mobile, il principio
a penetrar le cose, la lor trama,
la lor natura, il fine, il loro incipio.
Ma luce o perdizione quel che s’ama
nasconde in onne cosa ch’è presente:
abisso e stelle stesso foco chiama.»
Incipit : Le tribolazioni del filosofare , Achille C. Varzi e Claudio Calosi
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How does the method [of extensive abstraction] work? The basic idea is simple, and in ‘The Organisation of Thought’ Whitehead summarizes it as follows: ‘A point is the class of extended objects which, in ordinary language, contain that point’ (Whitehead, 1916c, p. 418). Of course, this is too simple. If there really are no points in the sense of ordinary language, how can we identify the relevant class? The answer, as first articulated in TRE, is what the method really amounts to, and may be seen as an application of the general theory of convergent series presented in Volume II of Principia Mathematica, Part V, Section C. (We know from Russell, 1948b, p. 138, that it was indeed Whitehead who took charge of that section.) Think of a point as a converging class of extended entities. That is, think of a point as a series of nested regions or volumes growing indefinitely smaller and smaller so as to ‘converge toward a conceptual limit’ (TRE, p. 698/730), an infinite set of extended bodies ‘packed one within the other like the nest of boxes of a Chinese toy’ (CN, p. 61), but with no smallest box. The limit is never reached, it is a ‘nonexistent ideal’ (Whitehead, 1919b, p. 47), and in this sense there is no absolute minimum meeting the Euclidean conception of a point as something strictly partless. But insofar as the limit is uniquely identified, the series as a whole—called a ‘serial-inclusion class’ or an ‘abstractive class’—can do the job. We can treat the series itself as a point. And what goes for points goes for lines and surfaces, or any other putative lower-dimensional entities that we find in ordinary geometry: We do not have need for a logically simple definition of points, lines and surfaces, but for definitions which preserve the general and simple properties which are attributed to them in geometry. (TRE, p. 433/721)
Achille C. Varzi, “Points as Higher-Order Constructs: Whitehead’s Method of Extensive Abstraction,” The History of Continua: Philosophical and Mathematical Perspectives
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As Giangiacomo Gerla notes in the chapter devoted to such theories, a point-free geometry is not meant to provide an alternative to Euclidean geometry. Rather, the goal is an alternative foundation for geometry tout court, whether Euclidean or not, in which all basic notions are suitably redefined in terms of extended regions. The very notion of a point is subjected to this treatment. The intended models of the theory have no room for points as bona fide lower-dimensional entities, but points would nonetheless be recovered in some way as suitable higher-order constructs. Indeed, this is typically the main task; all other notions would be redefined accordingly. This is why it is customary to exclude from the range of point-free geometries theories such as, for instance, von Neumann’s continuous geometry (1960). A point-free geometry is not a geometry lacking points altogether; it is, rather, a geometry in which points are treated as derived, well-behaved ontological artifacts.
Achille C. Varzi, “Points as Higher-Order Constructs: Whitehead’s Method of Extensive Abstraction,” The History of Continua: Philosophical and Mathematical Perspectives
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