#Studio Medico Milano
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ttrdl · 8 months ago
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Negli anni vi ho fatti disperare con la scuola, rispondevo sempre dicendo che avrei voluto studiare per qualcosa di più utile, con un utilità più “diretta”. Al terzo/secondo anno di superiori venne un maresciallo dell’aeronautica nel nostro istituto per una sorta di incontro con gli studenti.. trasmesse delle slide e io me ne innamorai subito e pensai “che figata! ma sai che quasi quasi quando finisco i miei cinque anni..”. Di studiare non avevo voglia e tutto quello che facevo era soltanto per un numero scritto in una casella accanto a delle materie. Arrivato al quinto anno decisi di non continuare con l’università, mia madre al tempo sola non era per niente d’accordo “tu devi diventare un dottore! devi diventare qualcuno!” ma la mia testardaggine era più forte del mio senso di colpa dato dalla sua disperazione. Comincio a lavorare, un ragazzo della mia età pensava solo allo svago, scarpe, vestiti e mettere qualcosa da parte MA sempre con quel pensiero nella testa. Negli anni succedono tante cose e poi arriva l’11 aprile 2021. Quel giorno salii a milano e con il cielo grigio e la mia ansia data dal fatto che era tutto nuovo per me (non avevo mai preso un treno e non mi ero mai spostato così lontano da casa) mi dirigo in questo Boutique calais hotel “vicino” alla metro wagner (e chi mi conosce da più tempo sa che feci un video sul vecchio blog dove mostravo quella piccola ma accogliente stanza). Il giorno dopo senza aver chiuso occhio mi diressi per le prove in questa caserma.. all’entrata c’erano questi militari con una faccia di culo esagerata che non promettevano bene. Entrai e mi ritrovai ammassato con tutti gli altri ragazzi i quali erano stati accompagnati quasi tutti dai propri genitori. Svolgo tutte le prove ed esco, il medico mi aveva differito per delle analisi riguardanti l epatite B e un holter ecg e tra me e me pensavo “ma quindi una volta portate queste analisi sarà tutto ok? sarò idoneo? ma è ovvio che non ho l epatite!… è se invece fosse solo una scusa per scartarmi..?” il giorno dopo scendo a Napoli e rifaccio le analisi previste. Una settimana di ansia e la mia mente che viaggiava maledettamente. Per non dilungarmi, alla fine mi giudicano idoneo. Causa covid i tempi si allungarono di parecchio ma il 6 dicembre 2021 arrivai a capua per il RAV e da lì cominciò tutto. Tutto questo per dire.. spero solo di ripagare tutti gli anni in cui vi ho fatto davvero disperare. Questo è un lavoro che premia tanto e tu sai tutti i traguardi che sto raggiungendo mano mano. Oggi alla mia età mi sento realizzato e il tutto in pochi anni. Quando studiavo per il concorso arrivai al punto che eri tu a dirmi di fermarmi con lo studio, che tutti quei mesi su quella banca dati non mi avrebbero fatto bene ma io pensavo sempre e solo ad una cosa e ogni giorno che passava si alimentava in me quella convinzione, perché io ero convinto già dall’inizio di aver vinto quel concorso nonostante non avessi nemmeno fatto la prima prova. Oggi ho 24 anni e ancora tanti anni davanti ma posso dire che questa sarà la scelta migliore di tutta la mia vita.
#me
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rideretremando · 2 years ago
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Se avete figli o figlie adolescenti che non studiano, insistete.
Vi racconto una storia.
Ho passato un'adolescenza difficile, costellata di interruzioni scolastiche. Avevo la sensazione di vivere in una nebbia fitta, umida, insalubre, ogni mia cellula era immersa nel disagio.
Non vedevo a un palmo dal naso e gli adulti mi parlavano del futuro, dell'importanza di finire un liceo. Futuro. Una parola inconcepibile per un adolescente nella nebbia. Mi piaceva solo leggere poesie tristi, scrivere pensieri tristi e ascoltare la Ballata degli Impiccati di De André. Mi è sempre piaciuto scrivere.
A 17 anni non avevo finito nessun liceo, continuavo a cambiarli.
Mia madre, provvidenziale, trovò una strana scuola a Genova, si chiamava Leopardi come il poeta.
Questa scuola, creata apposta per ragazzi nella nebbia, preparava, “cinque anni in uno”, a un esame di maturità per Assistenti alle Comunità infantili. L'esame sarebbe stato esterno, in una scuola di Lucca che prendeva sul serio la formazione per maestri d’asilo e non faceva sconti.
Al Leopardi i professori non erano professori di liceo, erano professionisti nella loro materia. Una era medico, un’altra maestra d’asilo, quello di matematica era ricercatore di matematica all'università. Amavano il loro mestiere. Ci appassionavano.
Non so come, mi ritrovo a essere tra i primi della classe. I miei temi prendono voti alti.
Per l'esame di Lucca partiamo in macchina all'alba con due care amiche che mi ero fatta nella scuola, Adria e Chiara. Lasciamo Genova alle spalle e ricordo, sull’autostrada, una sensazione di sole improvviso. Per la prima volta la nebbia si era diradata. Non sapevo come sarebbe andato l'esame, ma sentivo fiducia. Era una cosa calda dentro le vene, qualcosa che aveva a che fare col futuro. Anche io adesso potevo avere un futuro.
Su 19 studenti della mia classe siamo passati in due.
Mi sono iscritta a Lettere e Filosofia. Ero curiosa di sapere se qualcuno avesse trovato delle risposte a questa cosa stranissima che è la vita.
A Filosofia ho scoperto, non un interesse, ma una passione per lo studio. Non mi interessava più nulla delle risposte sulla vita. Era solo bello studiare fino a notte tarda con Adria. Divorare libri e idee.
Mi sono laureata con 110 e lode con il professor Angelino, che nella foto vedete parlare con entusiasmo dell'oggetto della mia tesi, la percezione delle immagini nel Monsieur Teste di Paul Valéry.
Ogni volta che ho un piccolo successo professionale, come quando la settimana scorsa sono stata invitata a insegnare Storia dell'illustrazione alla Cattolica di Milano, traballo.
Mi viene il dubbio che si siano sbagliati. Invece no, sono proprio io. È la mia storia.
Auguro a tutti i ragazzi e le ragazze nella nebbia di trovare un Leopardi, e ai loro genitori di avere fiducia.
Anna Castagnoli
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sensitivadrpamelaplowden · 4 months ago
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www.sensitivamedium.it
LA SENSITIVA MEDIUM PARAPSICOLOGA CARTOMANTE MENTALISTA DR. PAMELA PLOWDEN
Sono la Parapsicologa, Sensitiva, Medium metafonica, Cartomante mentalistica, per eccellenza, mi definiscono così in quanto per me le carte sono solo uno strumento...ma è il mio cervello che fa il vero lavoro ! Da più di vent'anni studio la parapsicologia attraverso maestri e testi importanti, Mesmer e Frank Rudolph Young sono le mie più grandi fonti di ispirazione. Attraverso Frank, ho studiato la Ciclomanzia che è una pratica divinatoria basata sul far roteare un oggetto o successivamente formulare profezie e trarre conclusioni sulla base del posizionamento e della direzione dell'oggetto a riposo, una volta esauritosi il moto rotatorio. In base a questi miei studi, analizzerò le vostre date di nascita e vi dirò tutto. Chiedetemi ogni cosa che vi passa per la mente, non fatemi solo domande sulla salute, per quello andate dal vostro medico. Per tutto il resto, mi metto a piena disponibilità attraverso la mia passione per questa mia grande missione di vita.
Con me scoprirete la potenza energetica attraverso gli spiriti intelligenti, il potere del colore verde e della quinta musicale applicato alla ciclomanzia del mio amato Frank Rudolph Young e dei miei amati angeli guida di Eusapia Palladino e Tavino del mio cuoricino, ovvero il grande e unico precursore del concetto di sincronicità, Gustavo Adolfo Rol. Analizzando le vostre date di nascita e ascoltando il vostro timbro vocale, solo con me sarà possibile una VEGGENZA VERA, senza eguali.
Chiamatemi e prenotate il mio famoso aiuto telefonico al 370/1349094. Mi trovate tutti i giorni dalle 10.00 in poi.
Grazie mille.
PhD. Pamela Plowden
#sensitiva #parapsicologia #amore #instagood #destino #meteo #lavitaindiretta #lotto #risate #tiktok #parlamento #ansa #recensionipamelaplowden #fashion #rai #sport #testimonianzepamelaplowden #astrologia #tarocchi #grandefratello #love #karma #chakra #guerre #la7 #elezioniamericane #dio #superenalotto #BreakingNews
Sono famosa, pubblicizzata e ricevo telefonate da tutte le città italiane: Chieti, Aquila, Matera, Potenza, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Avellino, Benevento, Caserta, Napoli, Salerno, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ferrara, Rimini, Piacenza, Ravenna, Parma, Forlì, Cesena, Trieste, Gorizia, Pordenone, Udine, Roma, Latina, Frosinone, Rieti, Viterbo, Genova, Imperia, La Spezia, Savona, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza, Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, Ancona, Pesaro, Urbino, Campobasso, Termoli, Isernia, Torino, Novara, Alessandria, Asti, Cuneo, Vercelli, Biella, Verbania, Bari, Taranto, Foggia, Andria, Lecce, Barletta, Brindisi, Cagliari, Sassari, Olbia, Oristano, Nuoro, Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, Trapani, Firenze, Prato, Livorno, Arezzo, Pisa, Pistoia, Lucca, Grosseto, Massa, Siena, Perugia, Terni, Foligno, Aosta, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, Trento, Bolzano
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drpamelaplowden · 4 months ago
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scienza-magia · 1 year ago
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Fumare marijuana in età avanzata favorisce l'infarto
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La cannabis fa male al cuore, oltre al portafoglio, degli over 65. Due nuovi studi mostrano un maggior rischio di attacchi di cuore e problemi cardiaci negli uomini over 65. La cannabis non fa bene al cuore, soprattutto degli over 65. Gli adulti che, pur non fumando tabacco, consumano marijuana corrono un maggior rischio di attacchi di cuore e infarto, mentre chi usa quotidianamente la cannabis ha il 34% in più di probabilità di andare incontro a uno scompenso cardiaco. A dirlo sono due nuovi studi, presentati dall’American Heart Association (AHA) riunita nella sessione scientifica a Filadelfia, negli Stati Uniti. Attenzione al cuore L’AHA, dunque, mette in guardia dagli effetti collaterali del fumo, ma non si limita a quello tradizionale: il monito degli esperti cardiologi americani riguarda anche lo svapo e soprattutto la marijuana, ritenendola una fonte di pericolo, sia per uso ricreazionale che medico: «Le più recenti ricerche sull’uso di cannabis indicano che fumare o inalare questa sostanza aumenta la concentrazione nel sangue di carbossiemoglobina (monossido di carbonio) e catrame (frutto della combustione) almeno quanto il tabacco. Entrambe le sostanze sono state associate a malattie del muscolo cardiaco, dolori al petto, disturbi nella frequenza cardiaca, infarti e altre condizioni analoghe», ha spiegato alla CNN Robert Page, professore presso il Dipartimento di farmacia clinica, medicina fisica e della riabilitazione alla University of Colorado Skaggs School of Pharmacy and Pharmaceutical Sciences. «I risultati non dovrebbero stupire e anzi vanno presi in seria considerazione, soprattutto ora che si studiano maggiormente gli effetti della cannabis, anche grazie al fatto che c’è una maggiore legalizzazione nei consumi, specie in molti stati degli Usa. Va anche considerato che la sostanza che oggi si trova in commercio non è più quella di 10 anni fa, è molto più potente.  Un report appena pubblicato dall’EMCDDA (l’Osservatorio europeo per le droghe e le dipendenze) ed Europol indica che la potenza media dell’erba è cresciuta del 57% tra il 2011 e il 2012 e quella della resina di cannabis addirittura di poco meno del 200%», spiega Riccardo Gatti, psichiatra e già direttore del Dipartimento Dipendenze presso la Asl di Milano. Boom di cannabis negli over 65 L’appello dei cardiologi americani, infatti, arriva di fronte a un vero boom nel consumo di marijuana, soprattutto tra gli over 65. Secondo uno studio condotto nel 2020 in America, tra il 2015 e il 2018 si è assistito a un raddoppio nel fumo di cannabis negli over 65. Da un altro lavoro del 2023, invece, emerge un incremento del 450% di binge drinking (il consumo di alcolici in modo compulsivo) e marijuana nel periodo tra il 2015 e il 2019, sempre negli ultra 65. A preoccupare è anche l’effetto dipendenza che ne deriva: in circa 3 persone su 10 si verifica il cosiddetto “cannabis use disorder”. «È interessante il campione di over 65: le preoccupazioni, infatti, finora si erano concentrate sui giovanissimi e sui danni psichici. Nella popolazione più adulta, invece, emergono effetti collaterali legati a fragilità diverse, come quelle cardiovascolari», aggiunge Gatti. La dipendenza da marijuana, spesso sottovalutata Secondo l’istituto nazionale per gli abusi statunitense, gli effetti collaterali della dipendenza da marijuana possono andare dalla fame compulsiva alla mancanza di appetito, irritabilità, irrequietezza, difficoltà a prendere sonno o disturbi dell’umore. Ma i problemi possono aumentare in caso di ultra 65enni, come emerge dall’analisi delle cartelle cliniche di chi viene ricoverato per altri motivi ed è un fumatore di marijuana. I ricercatori hanno condotto una serie di analisi su un campione di pazienti ricoverati per problemi come alta pressione, diabete di tipo 2 o colesterolo alto, tipici dell’avanzare dell’età. Cosa può provocare la cannabis negli over 65 Si è scoperto che su 8.535 adulti che avevano fumato erba, il rischio di attacchi di cuore o problemi cerebrali era maggiore del 20% rispetto agli oltre 10 milioni di pazienti che non avevano mai usato marijuana. Il consumo di erba, infatti, aumenterebbe sensibilmente la pressione del sangue, che è uno dei maggiori fattori di rischio per le malattie cardiache. Un secondo studio, condotto su 160mila persone di età media di 54 anni, ha invece mostrato un maggior rischio (+34%) di scompenso cardiaco nei fumatori di marijuana, mentre a inizio 2023 un ultimo lavoro, realizzato a Baltimora (Maryland), ha indicato una maggiore probabilità (33% circa) di problemi coronarici rispetto a chi non ha mai fumato cannabis. Attenzione anche in Italia In Italia la cannabis non è legalizzata, ma è comunque considerata una “droga leggera”: «È un mantra che si ripete da sempre, ma che non ha alcuna base scientifica che lo avvalli.  Anche se non si muore per overdose, rimane una sostanza stupefacente, non innocua e ora gli studi mostrano come nelle persone avanti con l’età possa provocare danni anche gravi», spiega ancora Gatti, che coordina il Tavolo tecnico sulle Dipendenze della Regione Lombardia. L’esperto, infine, non trascura un ultimo aspetto: «Oltre agli effetti del monossido di carbonio sprigionato dalla combustione, che di per sé può incidere sulla pressione arteriosa, negli over 65 la cannabis si può sommare all’assunzione di farmaci legati ad altre patologie tipiche dell’età, come colesterolo, diabete o la stessa alta pressione sanguigna. Il risultato finale può portare a un ulteriore aumento dei rischi», conclude Gatti. Read the full article
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tarditardi · 2 years ago
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Ross Roys: Tour Music Fest a Milano... E poi dj set ad Ibiza
La dj producer toscana Ross Roys attiva in un universo musicale di techno e tech house sta partecipando alla 15esima edizione di Tour Music Fest, contest dedicato a chi canta, suona, rappa, mixa, scrive o produce musica. Ha passato la prima selezione e parteciperà "live" a Milano,  il 24 agosto. Ovviamente nella sezione dj producer. 
"Per partecipare alla selezione ha dovuto inviare un video con un dj set fatto solo con mie produzioni, cosa che per me non è stata difficile… Di dischi pubblicati e/o in cantiere ormai nei ho un bel po' ", racconta Ross Roys. "Ho inserito nella scenografia anche Ping, il mio super Pinguino... che infatti mi ha portato fortuna!"
E che succede dal 25 agosto? L'artista toscana è a Ibiza per alcuni giorni di relax... e ovviamente pure di musica. "Porterò il mio sound in alcuni locali. Non farlo sarebbe davvero un peccato visto che Ibiza è l'isola della musica", racconta. 
//
Ross Roys Su Instagram.com/ross_roys
Ross Roys Su Spotify https://bit.ly/3DDj40m 
Rosaria Giudice, al mixer Ross Roys, vive di ritmo. Ha iniziato a farlo in discoteca, come ballerina per mantenersi mentre studiava come medico veterinario. Ama gli animali e la natura alla follia, ma dopo la laurea l'amore per la musica è prevalso ed è diventata dj. Con il suo sound techno / tech house da tempo fa scatenare i club tra Toscana, Liguria e ovviamente pure a Ibiza. 
Vive a Luni, un piccolo paese in Provincia della Spezia e ha iniziato a suonare in un piccolo locale a Bocca di Magra. Poi pian piano ha iniziato a spostarsi di club in club: Fusion Club a Marina di Massa (MS), Supersonic Club a Lucca (dove ha diviso la console con leggende come Francesco Zappalà, Roland Brant e Roberto Francesconi), Mambo Studio, Hush e Decibel ad Ibiza… 
Tra le sue produzioni discografiche ci sono "Take" e Zwong", pubblicate da K-Noiz e "Waves" uscita su DVS Records. Il brano a fine novembre 2020 viene poi pubblicato in un nuovo remix curato da Luca Guerrieri. Ecco poi la sua label, Ross Roys Records, dove da tempo pubblica la sua musica.
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giancarlonicoli · 2 years ago
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20 mag 2023 19:00
“STUDIO FARMACI DA UNA VITA MA NON PRENDO MAI NEANCHE UN’ASPIRINA” – A QUASI 95 ANNI SILVIO GARATTINI, FONDATORE E DIRETTORE DELL'ISTITUTO MARIO NEGRI, SI RACCONTA: "LA PREVENZIONE EVITEREBBE IL 50% DELLE MALATTIE CRONICHE E DEI TUMORI - PRATICO LA RESTRIZIONE CALORICA DA UNA VITA: TÈ E SPREMUTE DI GIORNO, MANGIO SOLO LA SERA. NON CONCEPISCO I MEDICI FUMATORI O OBESI" - E POI LA PENSIONE DI 2MILA EURO, LE DROGHE LEGGERE (“NON ESISTONO”), I DATI “SOTTOSTIMATI” SULLA COCA A MILANO E I MAGLIONCINI DOLCE VITA: “SI VOCIFERA CHE..." -
Estratto dell'articolo di Stefano Lorenzetto per il “Corriere della Sera”
Silvio Garattini indaga da 60 anni: «Con l’Istituto Mario Negri cominciai il 1° febbraio 1963». Le ricerche del fondatore non si sono mai estese ai maglioncini bianchi dolcevita, di lana in inverno, di lino in estate, divenuti la sua divisa d’ordinanza: «Si vocifera che li indosserei per sciogliere un voto o per nascondere una deformità del collo». Glieli compravano in blocco le mogli: la prima fu uccisa da un’auto a Milano nel 1992, la seconda è morta di malattia nel 2018. Recano tutti l’etichetta di Schostal, negozio viennese a Roma dal 1870.
Il medico, 95 anni a novembre, non ha bisogno di aggiornare il guardaroba. È sempre lo stesso peso?
«Sì, fra i 60 e i 62 chili. Pratico da una vita la restrizione calorica. Tè e spremute di giorno, mangio solo la sera».
La cena non appesantisce?
«No, se ci si corica a mezzanotte. Mi alzo verso le 8. Devo mettere la sveglia, altrimenti dormirei a oltranza».
(...)
Quanti dipendenti avete?
«Più di 900. L’istituto costa 32 milioni l’anno».
Dove trova i soldi?
«Bandi dell’Ue e di enti, fondi ministeriali, lasciti, donazioni, 8 per mille».
Che cosa fa il suo istituto?
«Ricerca sui medicinali e formazione. È la più grande fondazione di farmacologia che esista al mondo».
E se un prodotto fa male?
«Pubblichiamo. Nel 1993 feci togliere 3.000 miliardi di lire all’industria farmaceutica.
La spesa pubblica calò da 12.000 a 9.000 miliardi».
Sa come farsi molti amici.
«Per mantenerci indipendenti, non brevettiamo. Eliminando la metà delle medicine in commercio, per i malati non cambierebbe nulla e risparmieremmo 4-5 miliardi di euro su un’uscita annua di 22. Basterebbe rivedere il prontuario terapeutico, mai aggiornato dal 1993».
A che prodotti si riferisce?
«Dimagranti, antiossidanti, epatoprotettori, immunostimolanti, vasodilatatori, antiradicali liberi, vitamine per la memoria, integratori alimentari a base di minerali, amminoacidi ed erbe».
In farmacia ho visto 50 perle di Coenzima Q10 a 84 euro.
«Anche a 100 euro. Ma non ci sono studi che ne dimostrino l’efficacia. Il mercato punta solo sui volumi. Ogni anno muoiono 180.000 italiani. La prevenzione eviterebbe il 50 per cento delle malattie croniche e dei tumori».
(...)
È giusto lavorare a 94 anni?
«Beh, certo, se coincide con i propri interessi. È triste sentir dire da alcuni: “Mi manca solo un anno alla pensione”».
Lei è pensionato?
«Sì, a 2.000 euro al mese».
Non è un assegno da ricchi.
«Un mio ricercatore appena assunto guadagna 1.500 euro, a fine carriera arriva a 3.000».
Che farmaci prende?
«Neppure l’aspirina. In caso di tumore accetterei la chemio, nonostante i danni collaterali che provoca».
Ci siamo liberati dal Covid?
«Apparentemente. Nessuno può dirlo in modo definitivo. Il virus circola ancora in molti Paesi, il che ci espone ad altri rischi. Io ho fatto le tre vaccinazioni e la bivalente contro le varianti di Omicron».
Sconfiggerete il cancro?
«Penso di sì. Progrediamo, ma non è il giorno prima».
A che le serve studiare le medicine se non le prende?
«Serve a chi ne ha bisogno».
Lei è contro l’omeopatia.
«Senza dubbio. Chi acquisterebbe l’Amarone omeopatico? Conosciamo tutti la differenza fra l’acqua e il vino».
Vorrebbe radiare dall’Ordine i medici fumatori.
«Radiare è un verbo un po’ forte. Però quelli che fumano, bevono e sono obesi diventano un alibi per gli assistiti».
E se vanno a prostitute?
«Altro cattivo esempio, considerate le malattie veneree».
Perché diede del cialtrone al professor Luigi Di Bella?
«Quello fu il termine che colse Enzo Biagi, a me pare d’aver usato un altro sostantivo. Comunque resto del mio parere: quel medico diffuse informazioni sbagliate, che impedirono a molti pazienti oncologici di sottoporsi alle terapie più appropriate».
Esistono le droghe leggere?
«No. Tutte creano dipendenza. Sono una schiavitù».
Su 100 persone che incontra per strada, quante secondo lei snifferanno cocaina?
«I dati sulle acque reflue di Milano parlano di 12 abitanti drogati ogni 1.000, ma a mio parere sono sottostimati».
Lei è nel Comitato nazionale per la bioetica. La sedazione profonda non è diventata sinonimo di eutanasia?
«È certamente un modo per porre termine alla vita. Purtroppo non abbiamo cure palliative buone e diffuse. Il Mario Negri è gemellato con la Fondazione Via di Natale, che ad Aviano ha un hospice per malati terminali di tumore. In 20 anni ne abbiamo accolti 2.800. Nessuno ci ha mai chiesto di morire, perché era assistito dai volontari e liberato dal dolore. Quando non è possibile togliere la sofferenza, la sedazione profonda diventa un atto d’amore».
Ha firmato la dichiarazione anticipata di trattamento?
«No. Ho cinque figli, di cui uno medico. Sono medici anche due dei miei sei nipoti. Lascio decidere a loro».
Utero in affitto o gestazione surrogata? Che nome usare?
«Mah, è una faccenda complicata. Non ho ancora un’idea precisa. Devo studiare».
In Cnb non ne parlate?
«Il nuovo comitato è operativo solo dal 26 gennaio».
Nel frattempo che fare?
«Non mi pare giusto condannare i bambini per le scelte dei genitori».
Avere un figlio è un diritto?
«No. Si può adottarlo».
Alle coppie gay è vietato.
«Meglio avere due genitori che stare in orfanotrofio».
(…)
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personal-reporter · 2 years ago
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Una mostra ricorda Franco Garelli
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Il Museo Ettore Fico di Torino, fino al 2 luglio,  presenta una mostra monografica e antologica su Franco Garelli, una tra le personalità più conosciute  dell’arte italiana del secondo Dopoguerra definito da Lionello Venturi come il maggior rappresentante dell’Informale del Novecento. Si tratta di una retrospettiva composta da oltre 100 opere tra pittura, sculture in ferro, bronzo e lamiera, ceramiche e gli innovativi Plamec, cioè del quadri tridimensionali in materiale plastico. Franco Garelli nacque a Diano d’Alba,  in provincia di Cuneo nel 1909 e, trasferitosi con la famiglia a Torino al termine della Prima Guerra Mondiale, vi frequentò prima il liceo classico Massimo d’Azeglio e successivamente la Facoltà di Medicina e Chirurgia, oltre a dedicarsi contemporaneamente al disegno e alla realizzazione di terrecotte. Nel 1927 Franco esordì alla Promotrice di Torino, conobbe il secondo futurismo torinese e partecipa a diverse mostre regionali e sindacali, distinguendosi soprattutto come illustratore e caricaturista. Conseguita la laurea in Medicina e Chirurgia, Garelli visse per circa un anno a Firenze, svolgendovi il servizio di leva. Nel 1936 venne inviato in Africa Orientale con il grado di sottotenente medico e al ritorno in patria tenne  la sua prima personale a Torino, esponendo i disegni realizzati durante questa esperienza militare nel corpo degli Alpini, poi collaborò con diverse testate in qualità di illustratore, non tralasciando la realizzazione di opere in terracotta di grandi dimensioni. Garelli nei primi anni Quaranta divenne amico di Luigi Spazzapan, punto di riferimento per le nuove generazioni di artisti torinesi e ad Albisola contattò Arturo Martini, il cui esempio influenzò la sua ricerca scultorea. Tra il 1941 e il 1943 partecipò come ufficiale medico alla Seconda Guerra Mondiale, realizzando una serie di dipinti, poi cominciò  a insegnare come libero docente di otorinolaringoiatria presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Torino, senza tuttavia interrompere l’attività artistica. Nel 1947 partecipò alla prestigiosa rassegna Arte italiana d’oggi – Premio Torino 1947 e sempre a Torino fu protagonista alla Quadriennale presso la Promotrice di Belle Arti e nel 1948 alla XXIV Biennale di Venezia e alla Galleria La Bussola di Torino. Ma fu nel 1949 che, grazie a Carlo Cardazzo, Franco esposta alla Galleria del Naviglio di Milano e alla Galleria del Cavallino di Venezia, suscitando l’attenzione della critica, e nel 1950 tenne la prima mostra  di sculture in metallo presso la milanese Galleria del Naviglio e l’incontro con Picasso a Vallauris. Dal 1951 al 1963 tenne la cattedra di Anatomia Artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Torino, oltre a prendere parte a numerose rassegne, tra cui la mostra Italian Artist of To-day (1951), la VI Quadriennale di Roma del 1951-‘52, la XXVII Biennale di Venezia del 1954, dove ebbe una nuova attenzione per il dialogo scultoreo tra materia e spazio, ricorrendo prima alla ricerca di materiali inconsueti assemblati con cera e spago e fusi nel bronzo, e successivamente all’uso del ferro e della saldatura diretta. Fu alla VII Quadriennale romana del 1955-‘56 che Garelli espose per la prima volta opere in ferro saldato. Nel 1957 tenne una personale alla Galleria del Naviglio di Milano, presentata dall’amico Michel Tapié, ed espose alla Galerie Rive Droite di Parigi. Da questo momento prese  parte alle principali rassegne di confronto dell’arte informale in Europa, Stati Uniti e Giappone dove entrò in stretta sintonia con il Movimento Gutai. Con gli anni cinquanta e sessanta realizzò grandi opere, come la decorazione della parete nord della Biblioteca Civica di Torino (1963), il mosaico per il lungomare di Albisola (1963), il monumento ai Caduti per la città di Beinasco e il rilievo in ferro per la sede Rai di Torino (1969). Intorno al 1962 abbandonò la professione medica e trasferisce lo studio da Torino a Beinasco,  trasformandolo nel 1967 in museo privato. A partire dal 1963 propose i Plamec, realizzati con resine industriali e materiale plastico, sintesi tra pittura e scultura in una chiave di rilievi bidimensionali e nel 1964 creò i Tubi, lamine di ferro piegate su se stesse, colorate con vernici industriali, presentate in una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia del 1966. Franco Garelli morì a Torino nel 1973. Read the full article
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danilacobain · 2 years ago
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Ossigeno - 26
26. Proviamoci
Era pomeriggio quando Zlatan arrivò a Milano. Aveva telefonato ai suoi ex compagni del Milan per avvisarli che era in città e che il giorno dopo sarebbe passato a salutarli a Milanello. Era trascorsa già una settimana dal suo trasferimento a Parigi e nel frattempo aveva raggiunto i nuovi compagni in ritiro in Austria. Aveva chiesto ed ottenuto un permesso di due giorni e ora eccolo lì, a Milano, diretto verso la clinica dove sapeva avrebbe trovato Sveva. Non le aveva detto che fosse a Milano, voleva farle una sorpresa. Quei giorni lontano da lei aveva avuto modo di pensare alla loro storia appena nata e aveva deciso che non gli importava se la distanza che li separava era considerevole e che probabilmente non si sarebbero visti più di due volte al mese, lui voleva provarci. Sveva suscitava in lui delle emozioni troppo forti, non poteva e non voleva rinunciare a lei. Il taxi che aveva preso in aeroporto lo lasciò sotto la sua abitazione. Zlatan non salì nemmeno, si diresse in garage; prese la macchina e raggiunse la clinica di Sveva.
Sveva accolse il ritorno a Milano e alla solita routine con grande entusiasmo. Andare a lavoro l'aiutava a tenere la mente impegnata, così poteva accantonare, per un po', i pensieri che giravano sempre intorno a Zlatan. Perché, dannazione, Zlatan le mancava. Quando parlavano al telefono, la sera, sentiva disperatamente il bisogno di accoccolarsi tra le sue braccia di accarezzargli il volto e di sentire le labbra morbide e calde di Zlatan sulle sue. E tutto questo la spaventava a morte. Erano bastati pochi giorni insieme a lui per farle perdere la testa? Come avrebbe fatto una volta ritornata a New York? Uscendo da una stanzetta dove aveva appena visitato un paziente, incontrò il suo collega Sandro. «Ehi, Sveva.» «Sandro. Hai finito il giro di visite?» «Quasi. Tu?» «Sì, io sì. Stavo andando in laboratorio...» «Non ti fermi mai, eh? Non eri venuta qui per riposarti? Lavori più di tutti noi.» Sveva sorrise al collega. Era un illustre cardiologo, molto più grande di lei, e oltre a lavorare in clinica, aveva uno studio privato e prestava servizio anche in ospedale. «Più di te? Non credo» rispose ridendo. «Non so come faccia tua moglie a stare ancora con te, non ci sei mai a casa!» Sandro le rivolse un sorriso. «Mia moglie ama i miei soldi.» Sveva scoppiò a ridere. «Ma smettila! Se non sbaglio lei è un avvocato, giusto? Sai cosa se ne fa dei tuoi soldi! Ne guadagna molti di più.» «Già, infatti. Mi sa che ho sbagliato mestiere.» Proprio mentre Sveva stava per rispondere con una battuta, la porta d'ingresso che dava sul corridoio si aprì e lei si ritrovò a guardare Zlatan che le andava incontro. Zlatan? Sì, era proprio lui. «Ciao Sveva.» «Zlatan...» sorrise, felicissima. Lui le accarezzò un braccio, coperto dal camice. «Quando sei arrivato?» «Adesso.» «Bè, Sveva io vado. Ci vediamo domani» li interruppe Sandro. «Oh, perdonami. Lui è Zlatan. Zlatan, lui è il dottor Gunci.» «Molto piacere» disse Zlatan, stringendo la mano del medico. «Salve, signor Ibrahimovic. Scusatemi se non mi trattengo, ma devo finire il mio giro di visite. Buona serata.» «Ciao Sandro, buona serata anche a te.» Lui strizzò l'occhio a Sveva e andò via. Rimasti soli, Sveva condusse Zlatan nel suo ufficio, troppo emozionata per esprimere quello che stava provando. Zlatan entrò e lei chiuse la porta. Lui rimase al centro della stanza, voleva abbracciarla e baciarla ma non mosse neanche un muscolo. Sveva lo guardava e scuoteva piano la testa, appoggiata di schiena alla porta, ancora incredula. Fu lei la prima a muoversi, gli si avvicinò e lo abbracciò. Il suo profumo le solleticò le narici e le sue braccia forti la strinsero immediatamente. Con il volto sul suo petto riusciva a sentire il cuore di Zlatan battere fortissimo, a ritmo col suo. Alzò il volto per guardarlo negli occhi e Zlatan lo racchiuse tra le mani. Le sorrise felice mentre le sfiorava il labbro con il pollice. Lentamente si chinò e sfiorò le labbra con le sue. Sveva chiuse gli occhi e accolse quel dolce bacio. «Mi sei mancata. Mi sei mancata tanto» le sussurrò Zlatan quando si staccarono. «Anche tu.» «Stasera ti porto a cena fuori.» «Ma tu non dovevi essere in ritiro?» «Ho chiesto un permesso. Per vederti. E per salutare i ragazzi.» «Loro sono in ritiro, adesso...» «Lo so, domani andrò a Milanello.» «Quanti giorni resti?» Zlatan le diede un altro bacio. «Domani sera parto.» «Domani? Di già?» «Di già... però tra qualche giorno torniamo a Parigi e potrai venire a trovarmi...» Sveva sorrise. «Okay, vedremo.» «Vedremo? Vuoi farmi morire, ho capito.» «Non mi sembra che tu ti sia annoiato a Parigi.» Zlatan rise. «Ti riferisci ad Annette? È la seconda volta che tiri fuori l'argomento. Non sarai mica gelosa?» «Gelosa? Io? Ma per favore!» «Bene. Hai finito qui?» «Sì, però devo passare a casa a cambiarmi.» «No.» «No?» «No, Sveva. Se andiamo a casa adesso rischieremmo di non uscire più.» Lei rise e gli accarezzò il volto. «Non sarebbe male, però.» «Se è quello che vuoi...» «Hai già prenotato?» «Sì» «Oh, bè... sarebbe da maleducati se non ci presentassimo...» «Chiamo subito e disdico.» Sveva gli diede un bacio. «No, andiamo a cena. Ti prometto che faccio subito a casa.» Zlatan sospirò e la lasciò andare. «E va bene. Come vuoi.»
Usciti dalla clinica, ognuno prese la propria macchina. Zlatan non andò da Sveva, ne approfittò per passare a prendere un po' di indumenti nel suo appartamento e la raggiunse quando era già pronta. Però entrambi non seppero resistere e finirono per fare l'amore in salotto, sul divano. Zlatan l'abbracciò forte e la riempì di baci, quando ebbero finito. «Sono contento di passare un po' di tempo con te. Io... sto veramente bene quando stiamo insieme. Volevo solamente dirtelo. Volevo dirti che non mi importa se siamo lontani, io voglio provarci.» Sveva rimase qualche secondo in silenzio, persa nel suo sguardo. «Zlatan» gli diede un bacio carico di passione. Le mancarono le parole ma lui capì che anche Sveva provava lo stesso per lui. Fecero di nuovo l'amore, questa volta lentamente, gustandosi ogni singolo respiro, ogni singolo sguardo. Quella notte era solo per loro due. Per i loro baci e per le loro carezze. Il resto poteva attendere.
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insidesophiesmind · 3 years ago
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12 luglio 2022, Milano anche se queste parole risalgono ad aprile
questo post si chiama autoconvincimento. non sarai un medico peggiore se rimandi un appello, non sei una cattiva studentessa se non prendi sempre voti alti, non sei stupida se sbagli ad impostare lo studio di un esame o ti è capitato di arrivare agli sgoccioli con la preparazione, non vali meno se ci sono degli argomenti che fai più fatica a capire, non sei peggiore degli altri se hai delle tempistiche diverse, non sei incapace se non ripeti sempre tutto, se rimandi uno o più esami a settembre, se ti capita di essere bocciata. nessuno ti giudicherà se accetti un 18, un 20, un 21, un 22... e nessuno ti giudicherà se rifiuterai un 18, un 20, un 21, un 22... e se verrai giudicata, sarà un problema di chi lo fa e non tuo. essere in pari con gli esami non farà di te una persona migliore o peggiore, non ti renderà più o meno intelligente, più o meno brava. così come lasciare uno o più esami indietro non ti renderà automaticamente incompetente o stupida, ma nemmeno più furba o equilibrata. ognuno ha il proprio ritmo, le proprie priorità, le proprie modalità di seguire le lezioni e di studiare. il tuo percorso di studi non ti renderà una persona migliore o peggiore, ma solo una persona che ha preso la decisione di frequentare quella precisa università. una persona. e l'università non corrisponde alla tua identità, e nemmeno all'idea che gli altri si fanno di te. i tuoi voti non ti assicureranno il futuro così come non te lo strapperanno di mano. il tuo ritmo non definirà la tua intelligenza e nemmeno la tua stupidità. e chi dice il contrario sbaglia. ricordalo. un giorno qualcuno che ne sa un po' più di te ti ha detto: chi vuole prendere sempre 30 e lode, dopo ogni esame dovrebbe porsi una domanda; sono da trenta e lode anche come amica? e come fidanzata? come figlia? come persona? è sempre questione di priorità; a chi non interessa il resto della vita può andar bene sacrificare tutto per i voti alti accontentandosi di "prestazioni" mediocri nel resto, ma a te no. quindi cerca di andare dritta per la tua strada. ciò non significa che avere una vita al di fuori dell'università impedisca di performare al meglio a livello accademico, o che un trenta ad un esame equivale necessariamente a un 18 come essere umano, ma significa che l'equilibrio e il dosaggio delle energie viene prima ancora di iniziare a studiare. trovato l'equilibrio e trovata la tua strada, nulla potrà ostacolarti. tieni a mente queste parole e ricorda anche che chi corre una maratona partendo in sprint, andando avanti farà sempre più fatica.
da rileggere al bisogno.
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sensitivadrpamelaplowden · 4 months ago
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www.sensitivamedium.it
LA SENSITIVA MEDIUM PARAPSICOLOGA CARTOMANTE MENTALISTA DR. PAMELA PLOWDEN
Sono la Parapsicologa, Sensitiva, Medium metafonica, Cartomante mentalistica, per eccellenza, mi definiscono così in quanto per me le carte sono solo uno strumento...ma è il mio cervello che fa il vero lavoro ! Da più di vent'anni studio la parapsicologia attraverso maestri e testi importanti, Mesmer e Frank Rudolph Young sono le mie più grandi fonti di ispirazione. Attraverso Frank, ho studiato la Ciclomanzia che è una pratica divinatoria basata sul far roteare un oggetto o successivamente formulare profezie e trarre conclusioni sulla base del posizionamento e della direzione dell'oggetto a riposo, una volta esauritosi il moto rotatorio. In base a questi miei studi, analizzerò le vostre date di nascita e vi dirò tutto. Chiedetemi ogni cosa che vi passa per la mente, non fatemi solo domande sulla salute, per quello andate dal vostro medico. Per tutto il resto, mi metto a piena disponibilità attraverso la mia passione per questa mia grande missione di vita.
Con me scoprirete la potenza energetica attraverso gli spiriti intelligenti, il potere del colore verde e della quinta musicale applicato alla ciclomanzia del mio amato Frank Rudolph Young e dei miei amati angeli guida di Eusapia Palladino e Tavino del mio cuoricino, ovvero il grande e unico precursore del concetto di sincronicità, Gustavo Adolfo Rol. Analizzando le vostre date di nascita e ascoltando il vostro timbro vocale, solo con me sarà possibile una VEGGENZA VERA, senza eguali.
Chiamatemi e prenotate il mio famoso aiuto telefonico al 370/1349094. Mi trovate tutti i giorni dalle 10.00 in poi.
Grazie mille.
PhD. Pamela Plowden
#sensitiva #parapsicologia #amore #instagood #destino #meteo #lavitaindiretta #lotto #risate #tiktok #parlamento #ansa #recensionipamelaplowden #fashion #rai #sport #testimonianzepamelaplowden #astrologia #tarocchi #grandefratello #love #karma #chakra #guerre #la7 #elezioniamericane #dio #superenalotto #BreakingNews
Sono famosa, pubblicizzata e ricevo telefonate da tutte le città italiane: Chieti, Aquila, Matera, Potenza, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Avellino, Benevento, Caserta, Napoli, Salerno, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ferrara, Rimini, Piacenza, Ravenna, Parma, Forlì, Cesena, Trieste, Gorizia, Pordenone, Udine, Roma, Latina, Frosinone, Rieti, Viterbo, Genova, Imperia, La Spezia, Savona, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza, Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, Ancona, Pesaro, Urbino, Campobasso, Termoli, Isernia, Torino, Novara, Alessandria, Asti, Cuneo, Vercelli, Biella, Verbania, Bari, Taranto, Foggia, Andria, Lecce, Barletta, Brindisi, Cagliari, Sassari, Olbia, Oristano, Nuoro, Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, Trapani, Firenze, Prato, Livorno, Arezzo, Pisa, Pistoia, Lucca, Grosseto, Massa, Siena, Perugia, Terni, Foligno, Aosta, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, Trento, Bolzano
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drpamelaplowden · 4 months ago
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scienza-magia · 2 years ago
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Nel 1953 veniva scoperto "Il segreto della vita"
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70 anni fa scoprivamo la struttura del dna: ecco come ci ha cambiato la vita. Ripercorriamo le tappe che hanno preceduto questo importante risultato e il modo in cui ha rivoluzionato il futuro della genetica con l’aiuto dello storico della medicina. La scoperta della struttura del dna ha 70 anni. Il 28 febbraio 1953 è passato alla storia come il giorno in cui un inglese e un americano entrarono in un pub e annunciarono di aver risolto un enigma su cui buona parte della comunità scientifica dell’epoca si scervellava ormai da decenni. I due uomini in questione erano naturalmente James D. Watson e Francis Crick e la scoperta a cui si riferivano riguardava nientemeno che “il segreto della vita”. Erano più di cinquant’anni che medici, fisici e biologi si interrogavano riguardo l’esistenza e la natura dei geni. Perciò, quando i due studiosi avanzarono una teoria che contemplava un codice della vita basato su un “alfabeto” di quattro “lettere” disposte in una struttura a doppia elica (scoperta che valse loro e al fisico Maurice Wilkins il premio Nobel per la medicina nel 1962), si posero le basi per una vera e propria rivoluzione copernicana nel campo della biologia e per un cambio di paradigma che avrebbe orientato il futuro della ricerca biomedica, aprendo la strada a possibilità di intervento terapeutico fino ad allora impensabili. I passi della scoperta La scoperta del Dna ha 70 anni e noi ripercorriamo le principali tappe che hanno preceduto e reso possibile questo risultato e il modo in cui esso ha cambiato la storia della medicina insieme ad Andrea Grignolio, docente di storia della medicina presso l’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano e di bioetica presso il Cnr, Centro Interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca CID-Ethics. “All’inizio del Novecento vennero riscoperte le leggi di Mendel sull'ereditarietà dei caratteri e la comunità scientifica iniziò perciò a interrogarsi sulla natura del gene e, eventualmente, su quale fosse il suo sostrato chimico”, racconta Grignolio. “Nei primi anni del secolo scorso vennero condotti, in particolare, due importanti esperimenti che indirizzarono biologi, medici e chimici nella giusta direzione. Il primo fu quello del biologo Thomas Hunt Morgan che grazie allo studio della drosofila (il moscerino della frutta) dimostrò come i geni fossero disposti sui cromosomi; il secondo fu quello di Hermann J. Muller, che scoprì che l’esposizione ai raggi X aumentava il tasso di mutazione di alcune cellule riproduttive”. Nonostante questo, fino all’inizio degli anni Cinquanta, ovvero pochissimo tempo prima della scoperta di Watson e Crick, ancora si discuteva per capire se i geni fossero composti dalle proteine o dagli acidi nucleici (come di fatto è, ndr). Com’era già noto allora, i “mattoni” che formano le proteine, ovvero gli aminoacidi, sono di venti tipi differenti, al contrario degli acidi nucleici, che sono costituiti dalla combinazione di sole quattro basi azotate. In altre parole, un alfabeto di venti lettere sembrava più adatto a codificare progetti di sviluppo di interi organismi complessi, rispetto a uno di quattro. I momenti chiave Per dirimere la questione fu rilevante l’esperimento di Avery del 1944. Il medico canadese Oswald T. Avery intervenne su alcune cellule infettate dal batterio dello pneumococco privandone alcune delle proteine, altre dei polisaccaridi, e altre del dna. Appurò quindi che fosse quest’ultimo a detenere la capacità che lui chiamò “principio trasformante”, ovvero quella di ricevere il materiale genetico proveniente dal batterio. Infatti, solo nelle cavie le cui cellule ancora contenevano dna e rna avveniva il contagio veicolato dal batterio. Dopo pochi anni, nel 1950, il celebre biochimico austriaco Erwin Chargaff condusse alcuni esperimenti che dimostrarono che il rapporto tra le quattro basi azotate che compongono il dna fosse molto più sofisticato di quanto sembrasse. Scoprì infatti che in ogni molecola di dna il numero di basi A (Adenina) corrispondeva a quello del numero di basi T (Timina) e che il numero di basi C (Citosina) corrispondeva a quello delle basi G (Guanina), nonché che la composizione in basi del DNA variava da una specie all'altra e non era modificata in base all'età. Alcuni conclusero che le 4 basi potessero costruire un “codice” con le istruzioni necessarie per portare le informazioni genetiche”. Parallelamente a tutte queste ricerche condotte nell’ambito della biologia, traguardi altrettanto importanti furono raggiunti grazie al lavoro dei fisici, che a partire dagli anni Trenta contribuirono a gettare le prime basi per lo studio della biologia molecolare. “Uno dei protagonisti di questo filone di studi fu il fisico austriaco Erwin Schrödinger che nel 1944 scrisse What is life, il primo best seller della biologia molecolare”, prosegue Grignolio. “In quest’opera Schrödinger ipotizzava, in maniera geniale, che il gene assomigliasse a un “cristallo aperiodico”, la cui struttura chimica doveva essere molto stabile (proprio come quella di un cristallo) ma allo stesso tempo irregolare, e che contenesse al suo interno una sorta di “codice morse” composto di pochissimi elementi di base in grado però, combinandosi, di trasmettere molte informazioni”. La svolta (e una grossa scorrettezza) E arriviamo così a Watson e Crick. “Negli anni Cinquanta in Inghilterra vi erano due laboratori in cui si lavorava con la spettroscopia a raggi X, una tecnologia sviluppata durante la rivoluzione industriale per analizzare i tessuti artificiali e successivamente applicata all’indagine della materia vivente”, spiega Grignolio. “Il primo era quello del King's College di Londra, dove sotto la direzione di Maurice Wilkins lavorava anche Rosalind Franklin, la chimica che per prima sarebbe riuscita a fotografare con precisione una molecola di dna; l’altro era il Cavendish laboratory dell’università di Cambridge. Fu qui che si incontrarono e iniziarono a collaborare James D. Watson, che si era da poco trasferito dal King’s College – continuando le sue ricerche di dottorato dirette dal medico e genetista italiano Salvatore Luria – e Francis Crick”. Watson e Crick si misero al lavoro per cercare di mettere insieme, come i pezzi di un puzzle, tutti quei risultati scientifici cui abbiamo accennato e che erano stati acquisiti nel corso degli ultimi decenni in ambiti di ricerca differenti. È interessante ricordare che i due studiosi riuscirono a costruire il loro modello sulla struttura del dna senza condurre alcun esperimento. Ciò non toglie nulla alla loro genialità, che permise loro di unire tutte quelle informazioni “sparse” in un’unica teoria coerente”. Va anche ricordato, però, che la conferma definitiva della loro teoria avvenne in seguito a una delle più famose scorrettezze ai danni di una donna nella storia della scienza. Fu infatti Wilkins a rubare a Franklin la celebre fotografia 51, in cui la chimica era riuscita a immortalare una molecola di dna di cui era possibile distinguere la struttura a doppia elica, e a mostrarla a Watson. “La mossa di Wilkins fu certamente scorretta”, commenta Grignolio “e altrettanto sbagliato fu non riconoscere fin da subito a Franklin il dovuto merito per il suo lavoro – ciò invece avvenne solo dopo il 1968, grazie al racconto autobiografico della scoperta da parte di Watson con il suo best seller La doppia elica. Detto ciò, va comunque rimarcato che la fotografia in questione, la famosa 51, fu senza dubbio molto utile, ma comunque non essenziale alla scoperta di Watson e Crick, i quali, oltre alla foto, raccolsero e riordinarono i risultati tratti da almeno altre otto ricerche per completare quel rebus”. Nell’articolo che pubblicarono su Nature il 25 aprile del 1953 per comunicare la loro scoperta, Watson e Crick avanzarono, con una elegante frase tipica dell’understatement britannico (“Non è sfuggito alla nostra attenzione”) anche l’ipotesi che l'alternanza delle basi azotate probabilmente nascondesse la complessità dell’informazione genetica. Questo, però, fu dimostrato in seguito: fu infatti nel 1961 che i biochimici Marshall W. Nirenberg e J. Heinrich Matthaei scoprirono l’esistenza dei codoni, ovvero di quelle triplette di basi azotate che codificano i diversi aminoacidi. Le basi per il nostro futuro Nei decenni successivi, la scoperta del codice genetico, identico dalle drosofile sino ad Einstein, ha permesso l’esplosione della biologia molecolare e anche dell’ingegneria genetica. Quando infatti venne scoperta all’inizio degli anni Settanta l’esistenza degli enzimi di restrizione, capaci di tagliare e sostituire pezzetti di dna, si iniziò a discutere della possibilità di intervenire sul genoma umano per alterare artificialmente la trasmissione dell’informazione genetica. Per la prima volta nella storia si apriva per gli esseri umani la possibilità di modificare a proprio piacimento il piano di sviluppo di un organismo vivente e nel 1975, durante la Conferenza di Asilomar, la comunità scientifica si ritrovò per discutere i possibili pericoli e le sfide etiche che si prospettavano all’orizzonte. Oltre ai pericoli derivanti dalle possibilità di applicazione dell’ingegneria genetica, fu presto chiaro anche il potenziale terapeutico di una tecnologia in grado di manipolare il dna. “All’epoca era già ben nota l’esistenza di quelli che il medico ottocentesco Archibald Garrod aveva definito inborn errors (“problemi congeniti”), ovvero di determinate malattie ereditarie la cui frequenza familiare non poteva essere altro che genetica”, ricorda Grignolio. “Nel 1949 la scoperta delle basi genetico-molecolari dell’anemia falciforme da parte di Linus Pauling, premio Nobel per la chimica nel 1954, lasciò intuire che l’individuazione delle cause genetiche delle malattie ereditarie avrebbe permesso, in futuro, di applicare l’ingegneria genetica a fini terapeutici per cercare di correggere a monte le mutazioni del dna associate all’insorgenza di alcune patologie. Diverse scoperte successive confermarono questa idea che a metà anni Ottanta prese il nome di Progetto genoma umano, il cui ambizioso obiettivo era quello di mappare l’intero codice genetico degli esseri umani per cercare di individuare e di eliminare i geni difettosi e di comprendere i maccanismi di molte altre malattie, tra cui il cancro. Non a caso, con un celebre articolo del 1986 su Science, uno dei promotori del Progetto genoma umano fu l’italiano Renato Dulbecco, premio Nobel nel 1975 per gli studi sugli oncogeni. “Come sappiamo, ci sono voluti quindici anni per portare a termine la prima fase dell’impresa, ma il sequenziamento del genoma umano ha consentito, negli ultimi decenni, lo sviluppo delle più avanzate terapie geniche, cellulari e tissutali (specialmente quelle a base di cellule staminali) attualmente disponibili. Grazie ad esse è oggi possibile trattare malattie che fino a pochi anni fa erano incurabili, come molti tumori del sangue infantili e malattie genetiche, e ricostruire e rigenerare interi tessuti in pazienti in vita”. Read the full article
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corallorosso · 3 years ago
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Sono i primi giorni di settembre del 2009, Teresa se n'è appena andata a 63 anni per un tumore al pancreas, dopo una lunga malattia. Teresa è un'insegnante, un’attivista, e ha trascorso gli ultimi 15 anni letteralmente a creare e a seguire progetti di cooperazione umanitaria internazionale in Africa e in Medioriente. La notizia della sua morte arriva a Renzo, che di mestiere fa l'architetto e ha passato tre quarti della sua vita a costruire bellezza. Non ha mai conosciuto Teresa, ma sa tutto di quei due coniugi milanesi che, anni prima, hanno immaginato una organizzazione non governativa che curasse gratuitamente e ad altissimo livello le vittime delle guerre più sanguinose del pianeta. È per questo, forse, che Renzo sente l'urgenza di prendere il telefono e scrivere a Gino, che è il marito di Teresa e di professione fa il medico, il chirurgo. Renzo e Gino sono già in quel momento due tra i giganti italiani viventi del nostro tempo. Eppure, per qualche strana ragione, non si sono mai parlati, né scritti prima d'ora. Nel giorno in cui Gino dice addio per l'ultima volta al grande amore della sua vita, conosce Renzo. Prima un messaggio, poi a voce. Ed è proprio durante una telefonata tra Londra e Milano che nasce l'idea di costruire un ospedale. Un ospedale pediatrico. A Entebbe, in Uganda, in uno degli angoli più poveri e straziati al mondo. "Un ospedale scandalosamente bello" chiede Gino, e Renzo annota. Poche settimane dopo sono uno davanti all'altro a Genova, nello studio di Renzo, il quale comincia a tracciare su un foglio le prime linee della struttura con un pennarello verde. Anni dopo quegli schizzi sono diventati muri e pareti di argilla rossa, circondati da 2600 pannelli solari, e tutt'attorno meravigliosi fiori viola di Jacaranda, a 1200 metri di altitudine, a due passi dal lago Vittoria. Tutto al 100% sostenibile, locale e, soprattutto, gratuito, dalla prima pietra all’ultima visita. Ci sono voluti anni di sopralluoghi, studio e lavoro, ma alla fine quella "scandalosa bellezza" ha preso vita. “Un luogo dove si curano i bambini deve avere una sua bellezza non cosmetica ma profonda” dice Renzo. Quella stessa bellezza che Gino ha sempre messo al centro di ogni cura, ogni terapia. Lui si chiama Gino Strada, l'altro Renzo Piano. E non lo faranno mai, non è nel loro stile, ma quest'ospedale dovrebbe essere intitolato a Teresa. Teresa Sarti. Perché, senza saperlo, è nato quel giorno triste di inizio settembre in cui se n'era appena andata e Renzo ha alzato il telefono. E perché senza di lei oggi forse non esisterebbe. Ecco cos’è stato, cos’è e cosa sarà sempre Emergency, anche ora che Gino ha seguito e raggiunto la sua Tere: la forma più pura, profonda e “scandalosa” di bellezza. Lorenzo Tosa
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fondazioneterradotranto · 4 years ago
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Uno sguardo alle prime scriptae salentine
di Giammarco Simone
Introduzione
Per introdurre il tema del presente articolo, vorrei partire dalla definizione di ‘linguaggio’ del vocabolario Treccani, secondo cui esso è “la capacità e la facoltà, peculiare degli esseri umani, di comunicare pensieri, esprimere sentimenti, e in genere di informare altri esseri sulla propria realtà interiore o sulla realtà esterna, per mezzo di un sistema di segni vocali o grafici”.
Tra i segni grafici utilizzati dall’essere umano, la scrittura alfabetica diventa espressione culturale di un popolo che utilizza un sistema di lettere per comporre, comunicare e conservare per iscritto pensieri, racconti, leggende, canzoni e poesie.
La scrittura diventa testimonianza linguistica di una civiltà ed è affascinante conoscerne e studiarne le origini, in quanto custodisce le chiavi di accesso per comprendere l’attuale panorama linguistico. Il fine di questo viaggio attraverso i secoli è quello di riscoprire alcuni testi antichi che hanno fatto la storia del salentino e che si conservano nelle prestigiose biblioteche d’Italia (Padova, Milano, Firenze, Perugia e Roma, per citarne alcune) ma anche in quelle inglesi, francesi e austriache. Ho deciso di attingere le notizie dalle ricerche fatte negli anni dagli studiosi interessati all’argomento e, consapevole della quantità degli studi effettuati e dei ritrovamenti, per motivi di spazio ne ripropongo solo alcuni sotto forma di breve raccolta.
edizione degli Epigrammi del 1490 custodita nell’Archivio del governo di Aragona, in Spagna (immagine tratta da http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Marcial._Epigrammata._1490.jpg?uselang=it)
  Le prime scriptae salentine
Ancora prima dell’inizio del Medioevo, l’odierno Salento era abitato dapprima da tribù autoctone, come gli Iapigi, ed in seguito da popolazioni straniere provenienti dalla Grecia, ovvero i Messapi[1]. Posteriormente al dominio messapico, i Romani arrivarono da conquistatori nel I a.C. e vi rimasero fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., anno convenzionale per l’inizio del Medioevo.
  Dopo i Romani, la Terra d’Otranto fu desiderio di conquista da parte dell’Impero Romano d’Oriente, con i Bizantini che imposero la loro egemonia per molti secoli, soprattutto per l’importanza che ricopriva il Salento nelle rotte commerciali con l’Oriente. Di lì a poco, si susseguirono varie popolazioni e domini stranieri (Saraceni, Longobardi, Angioini, Aragonesi, Francesi) lasciando notevoli tracce del loro passaggio. In questo via vai di popoli, tradizioni, culture e lingue, il nostro idioma è andato formandosi assorbendo tratti e caratteristiche che nel corso dei secoli si sono modellate, fino a consolidarsi e a dar vita al salentino attuale.
Tuttavia, per conoscere le prime testimonianze scritte dobbiamo percorrere un viaggio a ritroso nei secoli quando ancora in Salento si parlava il volgare salentino, un parente non troppo lontano dell’attuale dialetto salentino, ma che con parole più tecniche si potrebbe definire un discendente strettissimo del latino volgare[2].
La documentazione dei testi in latino volgare è abbastanza esigua. Negli studi di storia della lingua italiana, l’esempio più conosciuto di testo dove compaiono forme in latino volgare è l’Appendix Probi (L’appendice di Probo) risalente al VI-V secolo a.C., contenente una lista di ben 227 parole scritte dal grammatico Probo, il quale riporta il corretto nome in latino classico affiancato dalla sua corrispettiva voce in volgare ritenuta ‘scorretta’. Una storia completamente diversa si ha per quanto riguarda le prime attestazioni in volgare italiano, con la maggior parte degli studiosi che concordano sul fatto che le sentenze giuridiche dei Placiti Campani, databili X secolo d.C., sono tra prime testimonianze sul territorio nazionale. Scritte in latino classico, contengono però stralci di italiano antico, in quanto le deposizioni dei testimoni (di madrelingua volgare) venivano riportate nella loro lingua parlata:
Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.[3]
Sao cco kelle terre per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro que ki contene et trenta anni le possette[4].
Kella terra per kelle fini que bobe mostrai Sancte Marie e et trenta anni la posset parte sancte Marie[5].
Sao cco kelle terre per kelle fini que tebe monstrai trenta anni le possette parte Sancte Marie[6].
Se già a partire dal X secolo d.C. nel territorio nazionale si attestano in testi scritti espressioni e vocaboli in volgare italiano, si può dire lo stesso per il volgare salentino? La risposta è sì, seppur meritevole di qualche precisazione.
In passato, l’elaborazione e la stesura di libri e testi era compito solo di alcune persone erudite (gli amanuensi) che grazie alle loro conoscenze grafiche e linguistiche potevano scrivere e persino tradurre testi antichi di altri idiomi e volgarizzarli nella nuova lingua. Dalle attestazioni in volgare italiano si evince che la grafia utilizzata dagli eruditi fu quella latina, mentre per quanto riguarda le parlate regionali e locali (nel nostro caso il volgare salentino) assistiamo ad una lunga tradizione di testi redatti in alfabeti diversi dal latino, e cioè in ebraico e greco. La spiegazione di tale comportamento è da ricondurre alla situazione socio-linguistica del nostro territorio in quei secoli. Come affermato da Maggiore (2015)[7]:
Il primo elemento di specificità è legato alla presenza, in un arco di tempo che supera i confini cronologici del Medio Evo, di scritture redatte in alfabeti diversi da quello latino, segnatamente i caratteri israelitici e greci. La presenza dei primi è legata alle vicende storiche della comunità ebraica salentina, mentre la ricchezza dei secondi chiama direttamente in causa la durevole vitalità dell’esperienza culturale italo-greca di Terra d’Otranto, che pervenne anche a esprimere personalità letterarie di primissimo piano come quella di Nettario di Casole, poeta bizantino vissuto a Otranto tra il XII e il XIII secolo.
Casole presos Otranto
  La comunità ebraica si stabilì nel Salento già dai primissimi secoli successivi alla Diaspora Ebraica iniziata con la conquista dei Romani della Terra d’Israele intorno al VIII-VI secolo a.C. E’ proprio uno scritto in alfabeto ebraico, datato intorno al X secolo d.C., ad essere stato redatto in Terra d’Otranto. Si tratta di un importante trattato di farmacologia risalente al 965 d.C. scritto dall’astronomo, filosofo e medico ebreo (nato ad Oria nel 913 d.C.) Shabbetai Donnolo.
L’importanza di questo testo risiede nel fatto che, secondo Cuscito[8](2018), è “ritenuto il più antico testo farmacologico ebraico, se non il più antico testo medico scritto in questa lingua dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente”. Il Sèfer ha­–yaqar (Libro prezioso), così si intitola l’opera, nonostante sia un testo innovatore nel panorama medico e scientifico di quell’epoca, dal punto di vista linguistico fornisce esempi di salentino, in quanto ricco di toponimi meridionali e termini botanici greci, latini e volgari che sono arrivati fino ai giorni nostri. Un esempio è il cocomero asinino (scritto QWQWMRYNA secondo la traslitterazione di Treves)[9], che ritroviamo a Lecce con il nome di cucummaru sputacchiaru o riestu[10].
Sempre in alfabeto ebraico e con rilevanza linguistica ancora più notevole sono le 154 glosse ritrovate all’interno di un antico codice ebraico, il Mišnah, datato 1072 e studiato attentamente da Cuomo[11](1977), dove compaiono parole salentine pervenuteci fino ad oggi: lentikla nigra, meluni rutundi, iskarole salβateke, kukuzza longa, sciroccu, kornula, làuru e voci verbali come pulìgane, sepàrane, assuptìgliane.
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C, e con l’arrivo dei Bizantini provenienti da Oriente, la tradizione scritta salentina si sviluppa anche in alfabeto greco. Infatti, si registra una attività greca molto forte tra il XIII e il XVI, che porta la lingua greca ad essere parlata e scritta nelle scuole e nelle case. Tale fu l’impatto greco-bizantino sul nostro territorio che ne conserviamo l’eredità linguistica (mi riferisco alla Grecia Salentina e al griko, un dialetto della lingua greca parlato nel Salento). Esempi in alfabeto greco sono due brevi liriche amorose databili tra un arco temporale che va dal 1200 al 1300. Di seguito, ripropongo la traslitterazione in grafia latina fatta da De Angelis[12](2010), a cui si deve anche l’importante studio linguistico che ne conferma la salentinità, nonostante a prima impressione il testo possa essere definito di tipo siciliano:
Amuri amuri
1. Αμουρι αμουρι δ’αμουρι λα μια [μ]ουρτί σε αλτρου ομου τε κουλ-
2. κόου λα ρουφιάνα κουτραρα β[4]σζαϊ λου βανου κόρε:-
3. πρέγαρὲ βόλλου λί μεϊ ουργανατούρι κούιστέ παρόλε δεϊσζα-
4. νου <μ>βεζαρε σζ’αννου<ν>ζου ε δαδρι όττα περ μιου αμόρε· ρουσζίερ
5. κου[35]β…
6. τα δέισζαλα καντάρε δε[ισ]ζα μανδάρε περ τόττα λα κου[ν]-
7. τράτα κούεϊστα βαλλάτὰ σζι ε φάττα νυβέλλα δα σζοι
8. σε αππέλλα νικολα δεττορε:-
9. λου δεττορε
1. amuri amuri d’amuri la mia murti se altru omu te
cul-
  2. cóu la rufiana quatrara b[vacat] ci hai lu vanu còre
3. pregare vogliu li mei urganaturi quiste parole diggia-
4. nu mbezzàre c’annunciu e dadri otta per miu amore;
  5. [†]
6. cierta (?) diggiala cantare diggia mandare per totta la cun-
7. trata quista ballata ci è fatta nuvella da ci
8. se appella Nicola Dettore
9. lu dettore
  In questo breve componimento, l’autore, un tale Nicola Dettore dice che, nel caso in cui la sua amata (v.2 la rufiana quatrara) lo tradisca (v.1 se altru omu te culcòu), egli morirà a causa del mal d’amuri. Per questo, si augura che i cantori (v.3 urganaturi) possano imparare queste sue parole (vv.3-4 quiste parole diggia-nu <m>bezzàre c’annu<n>ciu ) e che si diffondano per tutta la contrada (v.6 diggiala cantare diggiala mandare totta la cuntrata), affermando che la ballata è una novella (v.7 quista ballata ci è fatta nuvella) scritta proprio da colui che si chiama Nicola Dettore (vv.8-9 se appella Nicole Dettore).
 Bellu missere
01. ββέλλου μισσέρε ασσάι δουρμιστι
02. κουμμίκου νον γγαυδίστι ζζο
03. μι [ν]κρίσζι κα λ’αλβουρι αππα-
04. ρεισζε πάρτ<ε>τε αμουρι πρε[σ]του
05. α κουρτεσία ελλάλβουρι αππα-
06. ρεισζε ε κουι νο [σ]τάρε οννει
07. ββρίγα ε δουλενζια τι κου<μ>βένε
08. νον σίτι αμαντε δε δοννα ακουι-
09. σταρε νι ννα [δ]’αζζιρε ε νι δ’άβιρ[ε]
10. [δ]εποι κα νσζι βουλι[σ]τι α[δ]ουρμενταρε
11. σζε μι σζε[ρ]κάστι α μ[ε]ντ[ι]ρε π[ε]ρ
12. ομου σζι τενε ουνα ταλε σζο-
13. για σζε λλι αννογια.
01. bbellu missere assai durmisti
02. cummicu non gaudisti ciò
03. m’incrisci ca l’alburi appa-
04. risce partete amuri prestu
05. a curtesia e ll’alburi appa-
06. risce e qui no stare onni
07. bbriga e dulenzìa ti cunvene
08. non siti amante de donna acqui-
09. stare ni nn’a d’aggire e ni d’avire
10. depoi ca nci vulisti adurmentare
11. ce mi cercasti a mentire per
12. omu ci tene una tale gio-
13. ia ce gli annoia
  Il testo è considerato da Distilo (2007)[13] appartenente al genere di canzone di malamata, ovvero quei componimenti nei quali le donne raccontavano la loro insoddisfazione coniugale. Nel testo, la donna dice al suo uomo (v.1 bellu missere) che a causa del suo troppo dormire (v.1 assai durmisti) non si dilettò con lei (v.2 cummicu no gaudisti). Per questo, la donna si dispiace che sia già giorno (v.4 m’ncrisci ca l’alburi apparisce) e lo esorta ad andarsene (vv.4-5 partete amuri prestu, a curtesia) e a non rimandare le fatiche e le preoccupazioni del nuovo giorno che gli spetta (vv.6-7 e qui no stare onni bbriga e dulenzia ti cunvene). Poi accusa l’uomo di non saperla conquistare, né di saper agire né tantomeno tenerla a sé (vv.8-9 non siti amante de donna acquistare, ni nn’a d’aggire e ni d’avire) visto che preferisce addormentarsi (v.10 depoi ca nci vulisti adurmentare). La donna chiude il suo componimento quasi con una domanda dal sapore amaro, in quanto non capisce il comportamento dell’uomo che preferisce addormentarsi invece di godere dei piaceri da lei offerti (vv-12-13 per omu ci tene una tale gioia ce gli annoia).
Un altro importante ritrovamento, sempre in alfabeto greco, ma questa volta di lunghezza più estesa e di carattere religioso, è la Predica salentina risalente alla seconda metà del 1300. Si tratta di un commento alla Divina Liturgia di S.Giovanni Crisostomo, il testo liturgico utilizzato in quel tempo dai Cristiani d’Oriente. Il testo fu studiato da Parlangeli (1958)[14], il quale lo trascrisse in alfabeto latino. Ne presento uno stralcio[15]:
“Veniti addunca cun pagura de ddeu e cun fide e cun pace a rrecìpere lu corpiu de ristu secundu ammonisce e séumanda a Santu bbasiliu e sse alcun omu non ave cun se quiste tre cause chi avimu ditte, zzoè pagura de Ddeu, fede e ppitate, non dive venire sé ancostare a rrecìpere quistu prezziosu corpu, ca dice Santu Paulu: quillu chi mangia e bbive lu corpu e sangue de Gesu Cristu indignamente, si llu mangia e bbive a ggiudizziu ed a ccondannazione soa. Venimi addunca cun pagura, fede e ppitate e ppuramente recipimu da li spirduali patri nostri lu dittu corpu e ssangue de lu nostru signore Ggesu Cristu, azzò séchi sse fazza e ssia a nostra salvazione spirduale….”
Da quanto visto finora, le prime scriptae medievali in lingua salentina furono redatte in alfabeti diversi da quello latino, ed infatti, secondo Bernardini (2010) “dalle fine del IX secolo fino alla fine del XVI secolo, troviamo 400 codici greci contro i 30 latini risalenti allo stesso periodo”[16]. Lo studio dei documenti in caratteri ebraici e greci costituisce una fonte importante per studiare l’oralità di quell’antico salentino, in quanto, come afferma Maggiore (2013) “offrono spesso testimonianze linguisticamente più aderenti alla realtà del parlato rispetto a quanto avviene normalmente nella scripta in caratteri latini, maggiormente soggetta a fenomeni di conguaglio dei tratti diatopicamente marcati”[17].
Tuttavia, dobbiamo sottolineare che anche l’alfabeto latino veniva utilizzato nella scrittura ma ciò in epoca più tardiva, ovvero a partire dal XV secolo, quando, secondo gli studiosi, il volgare salentino aumentò il suo status di lingua locale diventando una vera e propria koinè (κοινὴ διάλεκτος “lingua comune”), cioè una lingua a carattere regionale (da non confondersi con l’intera Puglia, ma solo riferito alla regione Salento) che riuniva i tratti tipici dialettali, quelli della lingua letteraria toscana ed altri comuni a tutto il Meridione. La lingua comune salentina nel suo nuovo status di lingua regionale si utilizzava non solo per redigere lettere mercantili e trattati notarili ma divenne lingua di corte ed impiegata in campo letterario nelle illustrissime corti di Maria D’Enghien a Lecce, di Giovanni Antonio del Balzo Orsini a Taranto e di Angilberto del Balzo Orsini a Nardò.
  Esempi di koinè sono le cinque lettere commerciali, studiate da Stussi[18](1982), scritte tra il 1392 ed il XV secolo tra un mercante ebreo tale Sabatino Russo e suo socio d’affari il veneziano Biagio Dolfin, con il quale fondò una società per il commercio in Oriente. In una di queste lettere, Sabatino avverte il suo socio che una nave fu depredata dai pirati “intru lu portu de Nyrdò”. Tale evento, però, fu smentito da una sesta lettera scritta da un altro commerciante ebreo, tale Mosè de Meli, il quale informò Biagio Doffin di essere stato truffato da Sabatino che finse il furto per appropriarsi egli stesso del bottino:
Sery Byasi Dalfyn hio Mosè de Meli vi fazo assavery chy my sa mullto mali de la gabba che ve à ffatto Sabatyno judeo de Cobertyno chy sta mò in Leze de li besanti C”‘ de oro che pellao delu vostro et addusseli in Leze et guadannò dela ditta moneta vostra ducaty CL chy contao in vostra party de lu guadanno…
Nella corte di Lecce, il cappellano della contessa Maria D’Enghien, tale frate Nicolao de Aymo scrisse la grammatica latina Interrogatorium constructionum gramaticalium (1444) dove si avvalse proprio del volgare salentino come lingua di traduzione per fornire esempi delle regole grammaticali. Di quest’opera ci rimangono due manoscritti che son utili dal punto di vista linguistico, in quanto sono presenti parole tipicamente dialettali come suggerisce Maggiore (2015): nusterça (nusterza), groffolare (cruffulare), insetare (nsitare), scardare pissi (squamare pesci)
 Nel Principato di Taranto di Giovanni Antonio del Balzo Orsini troviamo il Librecto de pestilencia (1448) scritto dal “cavaliero et medico” galatinese Nicolò di Ingegne, il quale conversa con altri due medici di corte, tali Aloysi Tafuro de Licio e Symone de Musinellis de Butonto, e con lo stesso Giovanni Antonio riguardo la peste e sui possibili rimedi e cure. Inoltre, nell’opera si menzionano alcuni nomi di vini, tra cui uno tipico tarantino, il Gaglioppo, come si legge in Maggiore[19] (2013): “ma più in lo tempo de la peste, sincome sonno malvasie, greco, guarnaze, [..] et da nuy tarentini ‘galioppo’ chyamato, lo quale in questa città più che in parte del mundo perfecto se fa”.
La corte di Angilberto del Balzo Orsini, conte di Ugento e duca di Nardò, annoverava nella sua una ricca libreria copie di libri in latino e volgarizzamenti delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio. Ad essa appartiene lo Scripto sopra Theseu re, un ricco commento al Teseida di Boccaccio redatto da un anonimo salentino, probabilmente nella seconda metà del Quattrocento nella scuola di Nardò, una scuola di amanuensi domenicani molto attiva in quel periodo.
Il commento al Teseida, oltre che fornire prove sulla circolazione delle opere toscane nel Salento, dimostra la varietà linguistica della koinè salentina che abbraccia sia i toscanismi letterari, sia i termini più vernacolari e i meridionalismi generalizzati, come riporta Maggiore (2015): amochare ‘coprire’, annicchare ‘nitrire’, ganghe ‘guance’, lucculare ‘urlare’, magiara ‘strega’, nachiro ‘nocchiero’, sghectata ‘spettinata’, rugiare ‘borbottare’, ursolo ‘piccolo recipiente per liquidi’.
Inoltre, appartenente alla libreria di Angilberto, il Libro de Sidrac che merita una considerazione speciale. Si tratta di un trattato filosofico in stile “domanda e risposta” tra il re Buctus e il filosofo Sidrac. Quest’opera, scritta originariamente in lingua francese d’oil tra il 1270 e il 1300, potrebbe essere considerata un best seller di quell’epoca, in quanto nei secoli successivi fu tradotta in ben sessanta versioni romanze tra cui anche in volgare salentino. Si tratta, indubbiamente, di un testo che ci fornisce esempi di koiné salentina, come nell’incipit del testo “Ore Sidrac incomenza a respondere a lo re Botus ad tucte le sue addimande, et a chascaduna responde di per sé. La prima ademanda si è si deu pòy essere veduto. Deu si è visibile et non visibile, cà illu vede tuctu et non pote essere veduto”[4r 32-35]. Secondo gli studi linguistici fatti da Sgrilli[20](1983), il Sidrac salentino fu scritto per mano di un autore brindisino, mentre quelli fatti in precedenza da Parlangeli (1958)[21] dicono che “il nostro testo sia scritto in un dialetto del tipo salentino settentrionale, quale, a un dipresso, doveva essere parlato nella zona di Nardò”.
Le attestazioni del salentino volgare non provengono solo da testi e manoscritti ma anche nelle epigrafi come quella nella Cattedrale di Nardò all’interno di un affresco risalente alla metà del XV secolo e raffigurante San Nicola, la Madonna col Bambino e Santa Maria Maddalena orante (nella navata sinistra). La riscoperta dell’attestazione è da attribuire al dott. Gaballo e al prof. Polito e recita:
O tu chi ligi, fa’ el partisani:
chi ley fey fare, Cola è ’l sua nome,
filliolu de Luisi de Pephani.
Secondo Castrignanò[22] (2016), la parafrasi reciterebbe: Oh tu che leggi, prendi la mia parte/ chi la fece fare [la pittura], Nicola è il suo nome/ figlio di Luigi di Epifanio. Se a prima impressione l’epigrafe sembrerebbe una captatio benevolentiae, in quanto l’autore chiede ai chiunque guardi il suo affresco di parlarne bene (fa’ el partisani) in realtà sembra rievocare il verso dantesco If IX 61-63: O voi ch’avete li ’ntelletti sani, / mirate la dottrina che s’asconde / sotto ’l velame de li versi strani.
Per concludere con uno sguardo sulla società medievale e sulle relazioni interpersonali tra i cittadini di quell’epoca, mi piacerebbe menzionare le deposizioni presenti ne Il registro dei reati e delle pene, una raccolta giudiziaria di 607 denunce appartenente al resoconto fiscale de la Corte del Capitanio di Nardò[23] (1491) e redatte da Giampaolo de Nestore di Nardò, nelle quali si apprezza la lingua dei protagonisti che si lasciano andare a forme ingiuriose e minacciose come:
Marco de Sidero, denunciato per Gabrielj Caballone, che li dixe: «Levatinte davanti et portame li forfichi, ca le mecto le mano alli capillj»
Charella Malicore, denunciata per Hieronimo serviente, che li dixe: «Si marituma era cqua, te haveria dato cinquanta bastonate»
Uxor Giorgii Taurini, denunciata per la molliere de Francesco de Cupertino perché li dixe: «puctana, frustata, tu teni cento innamorati»
Francesco de Follica, denunciato per Gabrieli de Montefusco, perché li dixe: «yo trovai le terre allo culo de mammata»
 Conclusioni
Questo viaggio intrapreso lungo i più remoti secoli della storia ha portato alla luce alcune delle primissime forme di scrittura nella nostra lingua in epoca medioevale. Grazie agli studi di alcuni ricercatori in merito alla tradizione scritta salentina, in questo iter abbiamo messo in risalto non solo aspetti relazionati al lessico ma anche alle antiche vicende sociali e culturali che la nostra terra ha vissuto: mi riferisco alla forte presenza della comunità ebraica alla quale si deve una importantissima produzione sia in alfabeto ebraico ma anche in quelli greco e latino, all’evoluzione linguistica del volgare salentino che da lingua locale si trasformò in lingua comune grazie soprattutto alle figure dei primi mecenati in Terra d’Otranto che ne permisero la diffusione. In altre parole, un piccolo viaggio tra lingua, storia, cultura e società alla riscoperta del nostro passato.
  [1] Per maggiori dettagli: https://www.fondazioneterradotranto.it/2021/02/11/messapia-era-davvero-una-terra-tra-due-mari/ e https://www.fondazioneterradotranto.it/2021/02/17/messapia-chi-conio-questo-termine-e-perche/
[2] Per le definizioni di latino volgare e latino classico, vedi “Vocalismo e consonantismo del dialetto salentino”, https://www.fondazioneterradotranto.it/2021/02/13/vocalismo-e-consonantismo-nel-dialetto-salentino/
[3] Trad. ita: “Io so che quelle terre, che qui si dice, le ha possedute trent’anni la parte di San Benedetto”.
[4] Trad. ita: “So che quelle terre secondo quei confini che ti mostrai furono di Pergoaldo come qui si dice e le ha possedute per trent’anni
[5] Trad. ita: “Quella terra secondo quei confini che vi mostrai, è di Santa Maria e l’ha posseduta trent’anni.
[6] Trad. ita: “So che quelle terre secondo quei confini qui descritti le ha possedute per trent’anni la parte di santa Maria.
[7] Maggiore, Marco (2015), Manoscritti medievali salentini, in L’Idomeneo, n.19, pp. 99-122.
[8] Cuscito, Giuseppe M (2018), Il Sefer ha-yaqar di Šabbeṯay Donnolo: traduzione italiana commentata. Sefer Yuḥasin ספר יוחסין | Review for the History of the Jews in South Italy<Br>Rivista Per La Storia Degli Ebrei Nell’Italia Meridionale, 2, 93-106. https://doi.org/10.6092/2281-6062/5568.
[9] In Maggiore (2015:102).
[10] Garrisi, Antonio (1990), Il dizionario leccese-italiano, Congedo Editore. Sotto la voce cucummaru sputacchiaru o riestu: pianta ruderale, strisciante, con steli e foglie scabri, i cui turgidi frutti peponidi maturi, se toccati, lanciano (sputano) il succo e i semi all’intorno.
[11] Cuomo, Luisa (1977), Antichissime glosse salentine nel codice ebraico di Parma, De Rossi, 138, in «Medioevo Romanzo», 4, pp. 185-271.
[12] De Angelis, Alessandro (2010), Due canti d’amore in grafia greca del Salento medievale e alcune glosse greco-romanze, in Cultura neolatina, Anno 70, Fasc 3-4, pp.371-413.
[13] Rocco Distilo, Parole al computer. Dal genere al motivo d’‘alba’ (per un’ignota ‘alba di malamata’), in Atti del V convegno internazionale e interdisciplinare su testo, metodo, elaborazione elettronica (Messina-Catania-Brolo, 16-18 novembre 2006), a cura di Antonio Cusato, Domenica Iaria e Rosa Maria Palermo, Messina, Lippolis, 2007, pp. 101-115.
[14] Oronzo, Parlangèli (1958), La «Predica salentina» in caratteri greci, in Lausberg-Weinrich, pp. 336-360 [ristampa in Parlangèli (1960), pp. 143-173].
[15] La traslitterazione è presa da: Greco, V.,C., “Rimario letterario” (e non solo) Leccese e… Salentino.
[16] Bernardini, Isabella (2010), Greek Language and Culture in South Apulia. Proposals for teaching Greek, in The teaching of modern Greek in Europe: current situation and new perspectives (p. 132), Editum, Universidad de Murcia.
Ho riportato una traduzione dell’originale: “From the end of the ninth century through to the end of the sixsteenth century we find 400 Greek codices, compared to 30 Latin ones for the same period.”
[17] Maggiore, Marco (2013), Evidenze del quarto genere grammaticale in Salento antico, in Medioevo letterario d’Italia, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma .
[18]Stussi, Alfredo (1982), Antichi testi salentini in volgare, « Studi di filologia italiana », xxiii, 1965, pp. 191-224, ristampato in Id., Studi e documenti di storia della lingua e dei dialetti italiani, Bologna, il Mulino, 1982, pp. 155-181.
[19] Maggiore, Marco (2013), Italiano letterario e lessico meridionale nel Quattrocento, in Studi Linguistici Italiani, vol. XXXIX, Salerno Editrice, Roma.
[20] Sgrilli, Paola (a cura di), Il libro di Sidrac Salentino, Pisa (1983).
[21] Oronzo, Parlangèli (1958), Postille e giunte al Vocabolario dei dialetti salentini di G. Rohlfs, in RIL, XCII, pp. 737-798.
[22] Vito, L.,Castrignanò (2016), A proposito di un’epigrafe salentina in volgare (Nardò, entro il 1456), in Revue de Linguistique Romane, n°317-318, Vol.80, pp, 195-205, Strasbourg.
[23] Perrore, Beatrice (2018), Il discorso riportato ne La Corte del Capitanio di Nardò (1491): alcuni tratti sintattico-testuali, in Linguaggi settoriali e specialistici, Atti del XV Congresso SILFI Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana, (Genova, 28-30 maggio 2018). Vedi anche: Holtus, Günter; Metzeltin, Michael; Schmitt, Christian, (a cura di), Die einzelnen romanischen Sprachen und Sprachgebiete vom Mittelalter bis zur Renaissance, De Gruyter, Berlino (1995).
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spettriedemoni · 5 years ago
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Tua mamma è una potenza
Una mia carissima amica mi disse così un giorno dopo aver conosciuto mia madre, esattamente queste parole: "Tua madre è una potenza".
L'aveva colpita una certa vitalità che effettivamente contraddistingue mia madre.
Mia madre è la settima di otto fratelli. Dopo di lei c'è solo un'altra femmina a cui mia nonna materna mise nome (non ridete) Fina perché non ne poteva più di fare figli. A pensarci bene, a mia zia avrebbe potuto toccare anche "Basta" come nome come mi fece notare una mia amica quando le raccontai questa storia. Direi che tutto sommato le è andata bene.
A mia madre invece di nomi gliene toccarono ben due, Elisabetta e Margherita. Il primo glielo misero perché era la prima figlia femmina che i miei nonni ebbero dopo quattro figli maschi. La figlia maggiore di mia nonna si chiamava anche lei Elisabetta ed era morta parecchi anni prima della nascita di mia madre. Mi ha sempre colpito questa cosa che mia madre non ha mai potuto conoscere questa sorella maggiore. Mia nonna aveva avuto subito un'altra figlia che avevano chiamato Iolanda o Iole. Poiché era la più grande e pure donna le era capitato di dover aiutare tanto in casa. Poiché poi mio nonno aveva una mentalità da pastore o da contadino delle montagne abruzzesi mia zia Iole non poté andare oltre la terza elementare negli studi. Mia madre non fu mai chiamata Elisabetta in famiglia ma sempre e solo Margherita. Mi raccontava che i soldati americani che ancora giravano dal 1946 (anno di nascita di mia madre) in poi, la chiamavano Magrù, non so bene perché, forse perché non riuscivano a pronunciare il suo nome italiano magari pure storpiato dal dialetto dei miei nonni.
Mia madre fu più fortunata di sua sorella maggiore per quanto riguarda lo studio, perché uno dei fratelli maggiori insistette affinché lei e sua sorella minore studiassero contro il parere di mio nonno. Ha frequentato il primo anno di liceo classico che si chiama quarto ginnasio, mi pare, ancora oggi ricorda tutto l'alfabeto greco, ma non rimase in quella scuola e frequentò le magistrali nonostante il fratello abbia insistito per farla continuare con il classico. Successivamente mia madre frequentò la scuola per infermieri presso l'università di medicina e fece domanda per andare a lavorare in un ospedale di Milano e un'altra per andare a lavorare a Pescara. L'ospedale di Pescara fu più veloce di Milano e così mia madre si è trovata a prendere servizio qui in Abruzzo invece che in Lombardia. Un solo giorno cambiò il destino di mia madre che prese servizio di martedì 17 di non so quale mese e quale anno sfidando la scaramanzia e la superstizione.
Ha cambiato diversi reparti, è stata per anni in rianimazione e in sala operatoria e divenne caposala. Solo negli ultimi anni le era toccato il poliambulatorio, un reparto più tranquillo almeno per gli orari.
Ha lavorato tanto mia madre e non solo in ospedale. Anche in casa era sempre a pulire, sistemare, comprarci i libri di scuola a me e mia sorella, fare la spesa e cucinare.
Se ripenso a quegli anni è una presenza fissa, un punto di riferimento costante. Ricordo le baby sitter, certo, o le volte che siamo stati costretti a stare dai miei nonni perché lei lavorava ma nonostante questo non è mai stata assente. Assillante, sì timorosa che ci potesse succedere qualunque cosa; immagino per via del suo lavoro dove davvero le capitava di vedere di tutto. Deformazione professionale, insomma.
C'è sempre stata insomma e anche per chi tra i miei amici l'ha conosciuta lei trasmette questa vitalità e perfino gioventù, pur avendo molti più anni di loro.
Dati i miei problemi di salute spesso ha dovuto accompagnarmi in ospedale in questi 3 anni e ancora tutti gli ex colleghi che la incontrano continuano a chiamarla "caposala". Il medico che mi ha fatto l'ecografia mi disse, la prima volta che ci vedemmo: "Sua madre ha lasciato un bellissimo ricordo qui in ospedale, sa?" e mi riempì di orgoglio.
Anche oggi, che non è potuta venire di persona ad accompagnarmi, ha telefonato direttamente al medico che mi ha visitato, per sapere qualcosa in più.
Proprio vero: ho una madre che è un portento.
Mia madre è una potenza.
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