#Santo Di Bella
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gaysessuale · 2 years ago
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in classe due svedesisti e un norvegesista seguiti da una prof altrettanto svedesista; la domanda ma il parziale di traduzione domani sarà in danese vero? è quasi superflua. scandinavistica ha davvero detto: nessuna pietà per voi, stronz*
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siamodiamantirari · 5 months ago
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Sono stata fin troppo calma negli anni a nascondere tutto questo schifo, senza mai pubblicare o dire nulla a riguardo. Pensavo che prima o poi finisse, e invece mi sbagliavo. Siete dei viscidi.
Visto che mi sono rotta il cazzo di leggere queste schifezze, da oggi in poi non nasconderò più nulla e non starò più zitta. E prima che mi facciate la morale, vi consiglio di farvi un esame di coscienza, perché qui su Tumblr nessuno è "santo".
Concludo dicendo che importunare le ragazze così, non arriverete mai da nessuna parte, se non una bella denuncia.
Buona Giornata.
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raccontidialiantis · 2 months ago
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Vieni qui
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Stasera non scappi, bella: guardacaso stasera ho voglia di te e ho bisogno di trattarti da puttana. Andiamo in camera e fammi godere. Cammina, muoviti e non protestare. Ti inginocchierai e me lo prenderai in bocca. Zitta e docile. Perché sei il mio personale passatempo, fino a prova contraria. Sono tuo marito e ti posso usare quando voglio. Stasera ho voglia del tuo corpo, di scoparti senza troppe smancerie.
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Ecco: con la tua bocca per ora ho finito, perché ti voglio venire dentro, rimarcare quello che è il mio esclusivo territorio e per questo ora desidero scoparti. Spero tu al solito abbia preso le dovute precauzioni da sola, perché non voglio plastica, ostacoli o interruzioni, mentre ti fotto. E ti fotterò in modo selvaggio, davanti e dietro. Sii preparata.
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Tanto, le buone maniere, le gentilezze e soprattutto l'esserti stato sempre fedele, con te non sembrano essere serviti a nulla: ho scoperto purtroppo proprio oggi che te la fai con quel cazzo di istruttore di pilates che francamente mi sembra una checca. A lui penserò domani. Per ora voglio scopare la mia puttana. Ne ho bisogno.
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E poi dimmi: da quando hai iniziato a scopare con lui? E già che ci siamo: ne hai presi molti altri, di cazzi in questi ventun'anni di matrimonio? Quanti hanno conosciuto la tua gola e ci hanno sborrato dentro? Che coglione: non mi sono mai accorto di nulla! Imbecille e pure innamorato! “No, sai mia moglie… No grazie: sono veramente lusingato, ma sono sposato…” Idiota puro, fatto e finito! Che cazzo di vero scemo, a non approfittarne! Mai. E allora adesso muoviti.
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Stenditi: girati a pancia sotto e apri bene le chiappe, che ti devo trapanare per bene, stasera: di dritto e di rovescio. Inizierò dalla tua fregna completamente spanata e poi a seguire ti sborrerò nel culo. Me l'hai sempre fatto sudare, ‘sto cazzo di culo tuo, come fosse il Santo Graal: una volta l'anno, se m'andava bene.
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Invece le foto dell'investigatore ti fissano mentre te lo stai facendo sfondare senza troppe esitazioni, dal merluzzetto giovane. Roba forte: collare e lacrime di dolore! Porca miseria! Per un'ora intera! Ti piace, fare la troia in giro, eh? Cose da pazzi: che numeri da bordello fa, la mia sposa puttana. Che cazzo piangi, adesso? Sei mica un coccodrillo…
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RDA
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kon-igi · 11 months ago
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LA FESTA DEL PAPÀ È DIVISIVA
Ma oramai non credo che esistano argomenti di condivisione comune sui quali poter fare affermazioni nette e aspettarsi che tutti siano d'accordo.
Il cielo è blu? Ma va'... il cielo è celeste! No, guarda che è nero ed è un fenomeno di rifrazione dei raggi solari sull'atmosfera. Ti sbagli, è giallo! Sì, però togliti quel sacchetto dell'Esselunga dalla testa. Basta! Il cielo è marrone con radici che penzolano. Zitto tu che sei morto!
La scelta del giorno della festa del papà, poi, coincide con quel santo del calendario che credo abbia avuto il peggiore martirio fra tutti, cornuto, mazziato e ringrazia pure. Cioè, come papà sfigato il primo posto se lo prende di sicuro Darth Vader ma perlomeno aveva una spada laser e il suo arco di redenzione è stato più appassionante.
Insomma, la festa del papà è divisiva per due ragioni, una sociale e l'altra personale.
Da una parte, è una ghiotta occasione perché alcuni frignino che non esistono più i papà di una volta, tutti pipa e cinghiate, e che anzi, se andiamo avanti così non esisterano più nemmeno gli uomini, dall'altra è che al netto di tutto, i padri molte volte più che festeggiati spesso vanno perdonati.
Adesso come adesso, i papà sul mercato sono figli o nipoti del patriarcato, nel senso che difficilmente non avranno assorbito per osmosi familiare e sociale l'idea di quello che deve essere il ruolo di un genitore maschio all'interno della famiglia.
In sintesi il pater familias.
[maledetto genitivo ellenico ma sono cose mie]
Quando io e la mia compagna dobbiamo fare cose importanti che implichini decisioni tecniche, burocratiche, meccaniche, matematiche o notarili, il mio gesto preferito è questo
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perché tutte le volte il venditore di auto parla rivolgendosi a me che distinguo le macchine solo per il colore, l'avvocato quando io risolverei tutto con il trial by combat e la commercialista dove io opterei per il baratto.
Io sarei il pater familias, quindi automaticamente il detentore delle decisioni familiari e è invece è la mia compagna quella che prende le migliori, senza spargimenti di sangue o una pila di conchiglie che l'enel non accetta come forma di pagamento.
Sì, vabbè... non sa accendere la motosega o da che parte si impugna un coltello da lanciare e se proprio dobbiamo dirla tutta non riesce neanche ad accendere il fuoco nel camino (cosa che le rimprovero sempre ricordandole che erano le vestali ad accudire il Fuoco Sacro del focolare domestico). Poi però c'è quell'altra che disegna tubi e motori idraulici usando termini strani tipo 'valvola di massima' o 'dislocamento positivo' e quell'altra ancora che snocciola a memoria le caratteristiche di ogni macchina o moto e parla per due ore di maderizzazione e di vendemmia in neve carbonica.
Questo per dire che i ruoli sono solo ruoli ed è solo questione di abitudine... le abitudini cambiano e ci si abitua al nuovo.
Quindi buona festa a quella persona alla quale dovrebbe essere solo chiesto, dopo la fornitura di migliaia di gameti scodinzolanti, di amare in modo vasto e profondo chi non ha mai chiesto di essere portato su questa spaventosa e bella terra, ricordando che amore non è mai possesso, conferma od orgoglio.
L'amore per i propri figli è essere partecipe della gioia che abbiamo insegnato loro a conquistarsi da soli.
E per concludere, si può essere padre amorevole pure senza aver mai partecipato con un singolo spermatozoo.
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sciatu · 1 year ago
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CERAMICA SICILIA
Chi jè l’amuri, s’amuri nun è? Picchi l’amuri è vuliri dari pi du santu beni chi tra dui c’è ma c’addiventa quannu poi scumpari?
Quannu l’amuri nostru sinni mori cu iddu si potta u to passatu tu votiti, sduvaculu du cori a vita nun è sulu u lassatu.
a idda ommai, lassala stari u beni i ieri, no fari raggia nun vuliri cuntu, nun ci spiari non fari du passatu na jaggia.
Spiati si ci dasti u giustu si ci dasti u dovutu rispettu: l’amuri non è piaciri o gustu è impegnu, sacrificiu, affettu
Picchì si sulu pigghi ma non dai si ogni cuppa è sulu a soi si a ragiuni sulu tu l’ hai nun è l’amuri chi d’idda tu voi
Voi na criata, chi mai si lagna chi sempri t’avi diri sulu si muta e mansa tu voi na cagna chi mai spia, mai voli un picchì
Voi sulu na fimmina i pezza fatta i rasta e tutta pittata chi mai ridi mai parra o schezza fossi bedda, cu anima stutata
Nuddu ni zigna ad amari nuddu sapi vuliri beni ma na cosa tu t’ha nzignari nun ama cu dugna peni
nun ama cu si fa patruni cu giusta tuttu nzuttannu cu voli sempre ragiuni cu voli fari sulu dannu
L’amuri è semi da giustizzia in nomi soi nun si po' mazzari non si dugna lacrimi e malizia quannu poi ni veni a mancari
Lassa a sciarra o a to ragiuni non ti luddari i mani du so sangu l’amuri mossi? finiu na stagiuni u mali chi senti ti fa liuni.
Cos’è l’amore se amore non è? Perché l’amore è volere dare, per quel santo bene che tra due c’è, ma cosa diventa quando scompare? Quando l’amore nostro se ne muore, con lui si porta il nostro passato, tu voltati, svuotalo dal tuo cuore, la vita non è quello che hai lasciato. A lei ormai lasciala stare, non far diventare il bene di ieri rabbia, non volere spiegazioni, non chiedere, non far diventare il tuo passato una gabbia. Chiediti se le hai dato il giusto, se le hai dato il dovuto rispetto, l’amore non è piacere o gusto, è impegno, sacrificio, affetto. Perché se prendi solo senza dare, se ogni colpa è solo sua, se la ragione ce l’hai solo tu, non è l’amore che vuoi da lei Vuoi una serva che non si lamenta mai, che ti deve dire solo di si, muta e mansueta vuoi una cagna, che non chiede mai, che non vuole mai un perché. Vuoi solo una donna di pezza, fatta di coccio e tutta dipinta, che non ride mai, mai parla o scherza, forse bella, ma con l’anima spenta. Nessuno ci insegna ad amare, nessuno sa voler bene, ma una cosa devi imparare, non ama che dona sole pene. non ama chi si fa padrone, chi aggiusta tutto insultando, chi vole sempre ragione, chi vuol fare solo danno. L’amore è il seme della giustizia, in suo nome non si può ammazzare, non si da lacrime e cattiveria, quando poi ci viene a mancare. Lascia la guerra o la tua ragione, non ti sporcare le mani di sangue: l’amore è morto? È finita una stagione, il male che senti, ti renderà un leone.
What is love if it isn't love? Because love is wanting to give, for that holy good that exists between two, but what does it become when it disappears? When our love dies, it takes our past with it, turn around, empty it from your heart, life is not what you left. Leave her alone now, don't let yesterday's love become anger, don't want explanations, don't ask, don't let your past become a cage. Ask yourself if you gave her the right love, if you gave her due respect, love is not pleasure or taste, it is commitment, sacrifice, affection. Because if you only take without giving, if everything is to blame only her, if only you have the reason, it's not the love you want from her. You want a servant who never complains, who only has to say yes, silent and meek, you want a bitch, who never asks, who never wants a why. You just want a rag woman, made of earthenware and all painted, who never laughs, never speaks or jokes, perhaps beautiful, but with a dull soul. Nobody teaches us to love, nobody knows how to love, but you have to learn one thing, it's not love if you gives only pain. you doesn't love if you make yourselves masters, if you fix everything by insulting, if you always want to be right, if you only want to cause damage. Love is the seed of justice, in its name one cannot kill oneself, one cannot give tears and malice when it then fails in us. Leave the war or your reason, don't get your hands dirty with her blood: is love dead? A season is over, the evil you feel will make you a lion.
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susieporta · 4 months ago
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QUANDO FRANCESCO MORÌ
Frate Rufino consegnò a Chiara, che restò con il Santo fino all’ultimo, la sua bisaccia. Quando Chiara l’aprì, all’interno c’era la sua ciotola di legno, il suo cucchiaio, alcuni semi, una penna, un piccolo vaso d’inchiostro, e poi una pergamena più volte ripiegata, tutta accartocciata. Con le mani che le tremavano Chiara dispiegò la pergamena e decifrò le goffe lettere che Francesco aveva faticosamente vergato negli ultimi istanti della sua vita… e non potè mai più dimenticarne il contenuto!
**************************************
All’anima che sa leggere nella mia,
e che ne comprende le gioie e i dolori,
voglio confidare queste parole:
all’alba della mia dipartita, al crepuscolo del sentiero che ho scelto,
posso finalmente affermare, completamente in pace,
che la nostra ferita, in questo mondo,
non sta nè nella ricchezza nè nella povertà,
ma nella nostra dipendenza da uno di questi due strati,
nel fatto di immaginare che l’uno o l’altro possano offrirci gioia e libertà.
Sta anche nel fatto di essere convinti che l’Altissimo Signore
abbia bisogno delle sofferenze di noi creature, per aprirci la porta della sua luce.
La nostra ferita, infine, è il convincimento
che Egli abbia bisogno di sacrificarSi sotto forma di suo Figlio,
o sotto forma umana al fine di salvarci.
Chi mai, tranne noi stessi,
per mezzo della purezza del cuore, potrà salvarci?
In verità il Buon Signore mi ha mostrato
che non vi era alcun riscatto,
alcun sacrificio da perpetuare.
Mi ha insegnato, in silenzio,
che sarebbe bastato uscire dall’ignoranza, dall’oblio, e amare.
Amare la vita in ogni forma,
e con tutti i mezzi che la rendono bella,
amare la sua Unità in ogni cosa e in ogni essere.
Possa tutto questo venir detto, un giorno,
tanto alle donne come agli uomini;
possa venir detto e insegnato meglio di quanto io abbia saputo fare,
senza nulla respingere dell’Acqua nè del Fuoco.
Il mio augurio è che non ci siano più nè Chiese,
nè preti, nè monaci, niente di tutto questo:
che vi sia soltanto l’Altissimo e noi,
perchè sta ad ognuno incontrarlo in se stesso…
Ora che il velo si squarcia,
voglio andarmene nudo come sono venuto al mondo.
E non parlo della nascita del mio corpo,
ma della vera nascita della mia anima,
del giorno in cui ha trovato il coraggio
di scendere più a fondo nella carne
per offrirsi all’Eterno,
così in Alto come in Basso.
- San Francesco
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libero-de-mente · 3 months ago
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Ognègnèssanti
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1° novembre libera tutti, come "tana libera tutti" di quando si era piccoli. Oggi ogni onomastico vale.
Santi canonizzati e non, santi di Serie A fino a quelli di Serie inferiore Scapoli & Ammogliati.
Tutti oggi festeggiano il proprio onomastico.
Anche quelli che hanno nomi di cose, oggetti e funghi.
Tutti. Quasi tutti.
Io no.
Gnè gnè gnè...
Non ho un santo che mi rappresenti, San Rino non esiste.
In realtà esistono dei San Rino nei detti e usanze popolari, ma sono dei diminutivi di nomi ben più lunghi. Vittorio, Cesare o Piero per citarne alcuni.
Quattro lettere: due vocali e due consonanti. Tutto qui.
Probabilmente al club dei santi nell'aldilà, quando un Rino si presenta all'ingresso, l'usciere usa una frase del genere. "Ma te de preciso, chi catzo sei?".
Pensate che il mio nome non viene menzionato nemmeno quando si sbatte il minolo, il mignolo del piede, contro lo spigolo di un mobile.
"Sai, ieri ho tirato giù tutti i Santi"
"Davvero? Tutti, ma proprio tutti?"
"Te lo giuro"
"Anche Rino?"
"Chi?!"
Un classico.
Questa cosa la percepii fin da quando ero un ragazzino. Un giorno, che ero in visita da mia nonna materna, le dissi: "Nonna Filomena c'è qualcosa che non va. Io non ho un santo. Come è possibile?".
Mia nonna, con il suo solito sorriso saggio, mi guardò e disse: "Rino mio, tu sei un caso a parte. Sei talmente speciale che i santi ti invidiano e non vogliono condividere il tuo giorno con nessuno".
Questo mi bastò. Per una parte della mia vita credetti alle sue parole, salvo disilludermi nello stesso periodo in cui capii delle fake news su Babbo Natale e compagnia bella. All'incirca sei o sette anni fa, per capirci.
Rino con le sue varianti di Rinetto (al nord), Rinuccio (al sud) e Rinello (nelle zone di produzione del Tavernello) risulta comunque meno strano di Godefrido, Corbiniano o Archippo. Eppure questi ultimi hanno un santo che li rappresenta.
A volte penso: e se fosse che nell'arco della storia dell'uomo tutti i "Rini" si son fatti gli affari loro, facendo vite da associali quindi poco eroiche? Può essere, credo.
A meno che la Chiesa non aspetti la mia dipartita per creare un nuovo santo, San Rino. Protettore di... già di cosa?
Breve considerazione, se San Noè è protettore degli ubriachi e San Acario dei caratteri difficili, due categorie a cui ambivo, potrei avere il protettorato sulla pizza DOP? Del resto il mio nome è il diminutivo di Gennaro, il protettore della città in cui la vera pizza ha visto i suoi natali.
Jamm bell, cominciate la raccolta di firme per beatificarmi e se un giorno sarò santo, ve lo prometto, vi proteggerò dai chili di troppo.
Per ora mi limito a farvi gli auguri di buon onomastico, a tutti voi.
Gnè gnè gnè.
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t-annhauser · 1 year ago
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In teoria io sarei anche mezzo di Scalea ma me ne dimentico sempre perché guardandomi allo specchio ho un aspetto tipicamente veneto-lombardo, che è poi l'altra mia metà; la tua vera casa, dicono, è il tuo dialetto e io parlo il mantovano-veneto, una volta con spiccato accento emiliano, sembravo Don Camillo, tanto che zia di Scalea mi prendeva in giro perché fischiavo le s e dicevo "siarpa" e "simmia". Ora dopo vent'anni di vita in Brianza presento uno spiccato accento comasco con inflessioni femminee alla Stefano d'Onghia ("oh santo cielo!"), il mercante di Cash or Trash, che è attualmente il nostro programma preferito. Sarà perché ho bevuto il latte di soia, sarà che ho riscoperto il mio lato femminile, la voce mi esce così, in altre epoche mi sarei anche preoccupato, scavallati i cinquanta me ne fotto. Comunque quando c'era il covid io mi trovavo a Cosenza e scherzavamo tra di noi, che se andavano fuori io non aprivo bocca, parlavano gli altri, erano i tempi della caccia ai settentrionali scesi al sud per diffondere la peste (gli studenti del sud che ritornavano a casa portando il virus!), tutto molto bello, con il covid ci abbiamo fatto proprio una bella figura come genere umano, proprio una figura di merda.
Ciao.
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deliriumtropos · 5 months ago
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r18❗️ parte seconda di una fan fiction in revisione; 🇮🇹
capitolo incompleto!
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— Allora che si fa, eh? O Planetario, ma che si fa?
Pistonai fuori dall'autobus alla fermata del Center col sole sulla biffa e i fari schermati dalle travegghie scure, da vero duro della ti vù tipo. Poi con un bel dito centrale verso l'autista e il suo tentativo d'acciuffarmi in tempo per la collottola, e controllarmi così le gaioffe come in caccia della solita bella maria che mai gli avrei dato, manovrai quasi volando sulla strada nella speranza che questo non volesse insistere oltre. E forse questo martino mi lesse nel cardine, O fratelli, perché il poldo autista - un tipo bigio stagionato col corpo tutto molle e tarchiato e con una certa sguana nella sudata - agitò le granfie verso il sottoscritto, proprio noncurante dei passeggeri imburianati dall'attesa, e provò a scendere coi fari tipo su tutte le furie contro di me. Ma questo era appunto un poldo bigio e grasso da fare invidia a Orwell coi suoi porci nel porcile, e anche assai lento.
Allora gufai, accompagnando perbene il misero teatrino e la ciangotta affannata e stanca dell'autista con un po' di musica labiale: brrrrzzzzrrrr.
Il poldo del porcile prese la rincorsa più friggibuco del secolo. — Ora ti acchiappo, ora ti acchiappo! —, sborgnò. Ma, più che acchiappare il vostro Umilissimo narratore, acchiappò il marciapiotte inciampando come un sacco di letame sguanoso e io fui pronto, tipo, a un tanti egregi saluti alla tua vecchia fattoria lerciosa, e nemmeno a dirlo lo seminai allampo.
— Ma io Ti conosco, ma tu sei quello sui giornali! — abbaiò il poldo, ancora più imburianato di prima e col grosso biffone sgarrettato e rosso. — Non credere che non ti conosco! ti conosco, hai capito che ti conosco? —
Gli gufai sopra con una gufata più grassa di lui. — Senti, amico, io non ho tempo, — dissi facendo flash flash coi zughi di fuori e il labbro tipo a scimmione per imitare quanto più fedelmente possibile la biffa sguanosa che continuavo a locchiare come a volerlo provocare o ca cate simili. — C'è una questione di vita o di morte al varco, afferri il concetto? Ma che ne puoi capire tu? Amico, senti, perché non prendi un respiro? —
Il poldo martino Santo Martire degli autisti digrignò i zugh festati perbene e ecco che esce il sangue per lo scapriccio del marciapiotte senza farci flash flash come il sottoscritto faceva. E fu uno spettacolo cinebrivido, compagni miei, una vera bellezza. Poi il mio stomaco cominciò come a voler protestare, e allampo e senza apparente ragione rovellai di voltarmi e di lasciarlo lì. Strano, pensai in un primo momento. Ma, come dicono, non tutto deve sempre averci del significato, e così attribuii il mio distacco dalle sue macerie al pensiero di cosa ci avrei trovato di friggibuco per il Van, e cominciai a non darci chissà quale peso. Manovrai via dalla fermata e dal Martire festato dal marciapiotte, imboccai la strada per il Taylor Place e continuai per la Missione.
Fu proprio una volta che il sottoscritto si trovò di fronte alle insegne della disco-butik che mi fermai con le patte, e sempre lì che il mio planetario suggerì alla svelta di far retro marcia e baracca e burattini, mica molto convinto d'aver fatto cosa buona e giusta nel lasciar casetta, o casa dolce casa. Ma ormai ero lì, e nonostante il pizzicore e la sguana e l'ira coi coltelli dentro, per com'ero fatto le cose lasciate a metà non mi si facevano.
Dissi al planetario, tra sottoscritto e sottoscritto:
— E allora si entra o si entra? O no? Sei un malcico fatto e finito, e coi venti e sette anni sul groppo pure. E allora che sguana di cosa t'aspetti, se indugi e non ti ci smuovi? Ci entri alla disco-butik oppure no? — E gli ci aggiunsi che gli sarebbe pure convenuto di darsi una mossa e di agire sul punto. Ma, nel mentre, le mie patte avevano preso come sù il peso del puro piombo, come se la figura del bebbeotto indeciso fosse già poca cosa, e non mi veniva idea d'un rimedio o una trucca qualsiasi dalla soluzione immediata che potesse, con ogni mezzo, sbrogliare la faccenda. Nemmeno un lampo che suonasse di genio alla Ein e Stein! Non mi garbava di sentirmi le granfie mezze date alla voglia di darsi a gran festoni sui primi martini a tiro di biffa in pieno giorno, O fratelli: con Zio e Tutti gli Angeli a locchiarmi e ammonirmi, e magari a suon di cerini e auto-pol.
Più che Melodia – questo il nome del commerciante di musica in padellami dei miei tempi d'oro e argento –, già friggibuco come nome a quell'epoca, e poi Van (e questa era cosa buona e giusta, amici rari), l'ennesimo cambio di gestione alla cassa e alla vecchia maria suonava come un rutto meschino e intollerabile. Vogue era adesso il suo nome, e era proprio un nome da bigia, di quelle che ci passano intere ore a rifarcire il truglio raffazzolettato con la trucca del trucco, e coi specchi tutti rotti per la vergogna tipo, se capite cosa intendo. Al solo pensiero mi ci scardinavo tutto al centimetro quadro, e tutta quella sguana. Nessuna precedente insegna pareva superare in mielestrazio questa qua nuova, a cominciare da quel tanto di logo friggibuco del Van che adesso si chiamava Vogue, perché era una gran schifo d'insegna e di situazione, potete starne certi, né il sottoscritto amante dei compromessi e del porgi-la-guancia-amico. Allora i miei fari tornarono frappè, e per una volta pensai che in fin dei conti ogni sosto sarebbe stato cento sguane meglio d'un locale ormai ridicolo come questo sostaccio, anche un sosto sgualcito come la rozzeria centrale, per esempio. Ed era tutto dire.
Mentre ancora scricciavo al planetario di trovare una maniera per farmi coraggio, stupendomi instupidito di quanto certe volte certi sogni dicano il vero (e potevo anche confermarlo, fratellini), e che non trarne poi tutta quella tragicomica da gedia avrebbe migliorato in parte il bel pome che tutto sommato era sereno e spumante, le mie granfie pigliavano a rovellarsi tra di loro e ci facevo pochi passi che quasi subito mi rovellavo di nuovo di non oltrepassare la soglia con le patte a un metro dalle porte della friggi-butik, sguana and company. O locchiavo a destra e a manca per tutta Taylor Place, e anche per diritto nel caso, coi fari cinebrivido e severi.
Ci passò molto altro tempo, tipo lo scorrere in stile un-due-tre-stalla o giù di lì. Poi le mie gambe e le mie patte reagirono, si fecero finalmente di forza in avanti e il vostro Umilissimo narratore si decise a procedere verso il rivenditoriale che pensavo di conoscere come le mie gaioffe sacre, o fratelli, e ecco che superai l'insegna buzzurra e mielestrazio del Van che ora si chiamava Vogue del porco mondo, e ci entrai con i zughi da finto ghigno perbene: tutto sorridente, insomma, come un malcico tranquillo tranquillo, sbarbato e lavato. E almeno sulle ultime due c'era del vero, mi ero lavato cioè.
Le mode, anche se poco cinebrivido, cambiano. Ma Vogue era proprio un nome sguanoso, e mai mi sarei pentito di definirlo in questo modo, e era pure peggio del primo nome di Melodia, e Van-non-più-Van-ma-Vogue a questo punto leggenda da tramandare ai figli dei figli dei figli e amen, da tramandare, dico, coi fari da piagnisteo e condoglianze vivissime, cari.
Delitto! In cinque o sei anni d'assenza del VUN, tutti mi ci avevano tipo ballato alle spalle alla maniera dei ratti che ballino alla scomparsa del Gatto, e la rabbia mi prese un piccolopoco. Locchiai male il primo capitato a tiro, scapricciando di prenderlo davvero a tiro con l'aire d'un festone sulla sua biffa coi zughi da coniglio, altro che indugiare per il pugno dei rozzi e dei cerini coi parazzucchi! Ma gli evitai il buon giro tipo quarto d'ora di porco diciannove ultraviolento del sottoscritto, non so come né perché, e nel portarmi lontano dal martino coi zughi da coniglio senza la sua carota m'infilai a dar di perlustrazione per gli scaffali dandogli un'ultima locchiata di fari minacciosi per evitarmi, almeno, la figura del Bamba che si pigli la coda tra le gambe come i cagnacci. Certo, Bamba ormai non era più così Bamba, ma nel mio planetario speravo ancora che il nuovo bamba col parazzucca da rozzo fosse una qualche genere di trucca tipo fantascientifica o un clone.
Le mode cambiano, anche i soma a quanto pare, ma la musica no. Ci si deve accontentare nella vita, perché Zio ha da fare e non può sempre starsene lì a soffocarti la granfia con la sua salda d'acciaio e vino e ostie per dirti di ritentare che la prossima volta sarai un malcico fortunello. E almeno la bella musica (quella vera, se capite), non era cambiata, ma nemmeno di poco, e locchiato alla buona un dieci o poco più di scomparti di dischi affloscia-plotto con le solife biffe del malcichi friggibuco di turno, suggerendo al plantetario di darci fuoco in onore dello Zio, per quanto assente come sempre, abbracciai le sezioni della Classica coi fari appannati dalla gioia e col cuore pronto a far di nuovo bumbumbum.
Rovistai subito alla ricerca del grande e insuperabile Ludovico Van. Perché la musica non cambia, se sapete dove andare e cosa cercare con la dovizia di un tedesco spia della galassia galattica e compagnia bella, fratelli; e poi, una volta guarito, potevo permettermelo un certo esercizio di sacrosanto potere.
Mentre il mio planetario tornava alla contemplazione massima della biffa del Grande Ludovico Van stampata sulla copertina del bel padellame che avrei acquistato senza rovellarci sú due volte, e il mio plotto si drizzava ritrovando l'amicizia molto lecita con Lui, la mia attenzione si distaccò allampo dal vinile prescelto e la locchiai. Una bella mammola da urlo. E anche lei vide me, tutta sorrisi e battiti di ciglia o da cerbiatta mammolosa.
Era la mia occasione, dissi tra me e me. Non potevo mica sapere di tutti quegli effetti collaterattivi o quel tipo di sguana lì, del tipo sguane dei disturbi di traumi o postumi, O fratelli, anche perché ormai l'avevo locchiata, ci eravamo l’occhiati l’un l’altra, e avevo già deciso pure sul da farsi e non c'era freno che potesse fermarmi — proprio no — e, come sempre, nemmeno il Bog innominato. Nemmeno me medesimo.
Londra, O fratelli, quel certo fascino d'antico – non di bigio, sia chiaro – l'aveva sempre avuto, e come sosto c'era da dire che avesse, pure, un non so che di Misterioso. Ma quando i fari del vostro Umilissimo narratore locchiarono ancora una volta e con dovizia la mammola a poca distanza da lui, con sù quei capelli di miele come a carati e lisci lisci come ultimamente era circa di mio gusto, dovetti allampo averci da ricredere in fatto di fascino londinese. Poi le locchiai perbene la trucca leggera sopra i fari delicati, e sul truglio lo stesso, e quando mi ci posai ad analizzare come s'era tappata, amici, mi sentii festato per il senso buono, convinto difatti di averci a che fare con una francesina. Altro che Londra e soliti soma e solite soma! La mammola in questione, infatti, era quel genere di mammola diversa dalle altre ormai fatte quasi a stampino, —o omologazione se preferite, con quelle maglie vomitosamente colorate e gommose,— ed era tutta tappata all'ultimo grido del vestire come ai bei tempi gotici a partire dalla Francia, ma che in quei giorni aveva preso piede anche in poche periferie di Londra – tra cui il Palace, il Churchill e il New Creston e basta. Il suo tappo consisteva in quelle palandrine lunghe, rigorosamente nere di cui sù, nella parte tuberosa, motivetti a lacci, neri uguali, e la presenza d'altri motivi a rete che lasciavano intravedere la pelle diafana delle braccia (erano tutte mammole color latte, comunque, quelle poche tappate in questo modo; ma non si locchiavano purtroppo quasi mai al Korova, quelle volte in cui ci tornavo).
La locchiai di nuovo, lei inclinò il collo, poi mi decisi e le mie patte si mossero nella sua direzione e la voglia di far numero crebbe. Smisi così di rovellarmi il cardine una volta per tutte ed ebbi un guizzo volpino.
Dissi: — La mia fama mi precede o mi son sporcato il ceffo, sorellina?— con la ciangotta quatta quatta e accomodante. Ci feci di flash flash coi zughi, o meglio fissai i fari svicci verso di lei, e i suoi erano fari del tipo grigio grigio da gattona, e ci sorrisi da malcico baccagliatore. Allora seppi d'averla incuriosita in buona parte, piuttosto che inquietata, e allungai il truglio con fare un piccolopoco beffardo quando intravidi il bagliore di un sorriso. Eppure, fu un'ombra soltanto dell’antico brio. — Ma no, ma no, sicuramente hai letto il mio pensiero, come in quegli sceneggiati fantascientifici che ci vanno giù pesante con le più strane tramuccole e vorresti riavere il Van, vero? —
La mammola d'urlo socchiuse il truglio come per rispondere, ma fui ancora io a precederla, e aggiunsi:
— Ma no, certo che no, Sorellina. Né temi le brutture della nostra epoca, ora che entrambi ci troviamo in un luogo pubblico, tipo, e di certo non ambisco a destare altri scandali alla pubblica opinione di figli cinti di fiori alla porta. Dopo tutti questi anni ne faccio anche a meno, fidati di un drugo perbene. Lo sono diventato, lo prometto.—
— Ma non mi pare d'averti mai visto, né di averti dato il consenso di chiamarmi in questo modo, lo sai? Forse ti confondi con qualcun'altra, temo sia così— disse la mammola dal tappo gotico, ma con un sorriso lungo il truglio che suggerì bene al sottoscritto d'aver fatto mirino in qualche modo dalla forosa. — Però lo ammetto, mi pari simpatico.— A quel punto era diventata tipo un piccolo poco rossa, di un rosso gradevole a locchiarsi.
Si lasciò a una gufatina divertita. — Ma il tuo modo di parlare…— si portò le granfie snelle a trattenere la melodia labiale del truglio sottile e calò la biffetta, e fu quel genere di trucca sana e favorevole che, per una volta, il vostro Umilissimo narratore trovò spontanea e gradevole.
Più la mammola sorrideva e rideva con quella ciangotta cristallina e innocente, più quell'innocenza mi portava il cardine a rovellare imagini non proprio caste nel sottoscritto. poi, tipo subito, lo stesso planetario -non si sa come o perché- si rimangiò la parola data, e dagli intestini arrivò una nota non poco chiassosa di dissenso per ogni pensiero che ci facevo.
Per un poco rovellai allora che potesse trattarsi, come in passato, di quei pensieri che gli erano stati inculcati dalla Cura Ludovico. Poi me la gufavo col cardine imponendogli dimettersi a tacere.
La mammola mi guardò un po' confusa.
— Hai un nome, oltre agli occhi azzurri? Sto parlando con te, sicuro che va tutto bene? Io, comunque, mi chiamo Jennì— disse dopo un po'. E aveva tutte le ragioni dalla sua, o fratelli, perché sicuramente dovevo esserle apparso un po' fané, e non volevo proprio immaginare che razza di biffa da stronzo friggibuco dovessi averle tirato fuori.
— Alex DeLarge, Alexander per le anagrafi, amica— dissi allampo, riportandomi al qui-e-fottuto-ora. — Ma basta Alex, per i soma e i vicini, Sorellina. Sì, nient'altro che Aleuxo Bello. Con modestia—. Poi mi fissai profondamente nel grigio dei suoi fari, come se granfie invisibili ci uscissero dai fari (questavolta miei) per agganciare quelli di lei, e la mammola rosseggiò più di prima. — Jennì come nome è proprio carino, in ogni caso, o dolce pulzella. E sei pure francese, magari? Come la Giovanna che accende cancerose.—
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Continua ~~~~>
Spero vi piaccia. per quanto riguarda il primo capitolo, ovvero Latte di Suocera, appartiene a un testo cominciato se non erro nel lontano 2021/2022, quindi aveva bisogno di sul serio ancora pochi accorgimenti; questo qua, la seconda parte insomma, è già più recente e mi sembra come di averci perso la mano con il linguaggio moschetto/Nadsat.
il mio sogno è quello però di portare avanti la fan fiction e di riprendere la mano con lo stile adottato da Burgess! Fatemi sapere la vostra!
gif a caso.
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esuemmanuel · 2 years ago
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Todos los santos ya se murieron…
y quedan muy pocos hombres para querer revivirlos.
All the saints have already died...
and there are too few men left to want to revive them.
Una muy corta colaboración entre E.V.E (primera línea) & Esu Emmanuel (segunda linea).
A very short collaboration between E.V.E (first line) & Esu Emmanuel (second line)
Gracias por las bellas y muy fructíferas conversaciones.
Thank you for the beautiful and very fruitful discussions.
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ama-la-mente · 2 years ago
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Non puoi togliere Trapani da un trapanese.
Misteri compresi. Per alcuni processione ormai retrograda per altri intoccabile. Perfetto esempio di commistione tra sacro e profano, tra devozione personale e tradizione di comunità.
Il portone che si apre e tutto inizia, chi già in centro e chi ancora a casa preparandosi per scendere (in centro non si va, si scende) con la tv rigorosamente su Telesud volume 80.
Per quelle 24 ore tutti ci fermiamo, tutto è organizzato in funzione della processione.
“Ma a che ora scendiamo? Io scendo a piedi”, “attenta alla cera”, “ma che giro fanno?”.
I drappi bordeaux che scendono dai balconi, mia nonna che utilizza i merletti migliori per la chiesetta di famiglia che oggi va aperta e con i fiori freschi.
Le marce funebri che ti rimbombano nel petto, le stesse che ti accompagnano dalla nascita e ti cullano quasi fossero ninne nanne. E qualcuno che mangia “caccavetta e simenza”.
- “Ma a che gruppo siamo?
- 10, fornai
- grazie”
I sorrisi accennati da chi è in processione che valgono come saluto, la cera per terra e sotto le scarpe, le donne a piedi scalzi con il capo coperto dal lutto.
Il tramonto che si avvicina, ritrovarsi a cena in quaranta e “ricordatevi che oggi non si mangia carne”.
“A cira squagghia e a processione un camina”
Arriva la notte e i misteri si fermano a piazza Vittorio, la gente si ferma nei bar dove siamo tutti amici, qualcuno dorme un’oretta per ripartire alle 3 dove si sente un leggero rumore di gente e poi solo i tamburi. Camminiamo tutti insieme verso un’unica direzione, con la testa un po’ bassa, “hai una sciarpa?/ mi porti una felpa/ bevi questo che ti riscaldi”, tappa da Oddo per la pizzetta.
Arrivando a Via Corallai il fuoco dei ceri proietta le ombre delle statue sui palazzi, la gente è affacciata dai balconi in silenzio alle 5 del mattino, segno della croce.
I portatori di notte sono i volontari, sotto le aste troviamo uomini e donne che portano pesi ben superiori a quello fisico della vara.
Alba sulle mura, veloce colazione alle Barracche e ricompaiono le bande, si tolgono le sciarpe e ci si riappropria del contegno dovuto. La mattina passa, i gruppi cominciano lentamente ad entrare, qualche amico ti apre casa sul corso per offrirti la "seconda" colazione e i misteri si riguardano dal balcone. Di nuovo, con minuzia e stupore per la loro bellezza.
“Mamma guarda questa decorazione floreale che bella, riconosco la mano... è sicuramente Peppe”.
Alla fine, sempre dopo le 14, la Madonna entra, con il suo manto nero che sembra coprire e reggere le sofferenze di un intero popolo, anche se solo per 24 ore.
Ora è il momento, inizia già la malinconia e il conto alla rovescia, l’annacata continua come una madre che non vuol lasciare andar via il proprio figlio.
Le lacrime, le mani che stringono, il cuore pieno.
Rumore di ciaccola, applausi...
- testo e foto web
Venerdì Santo, a Trapani il giorno dei Sacri gruppi dei Mister, la processione lunga un giorno
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omarfor-orchestra · 1 year ago
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Oddio vero!!! su Nudes erano tutti inguardabili ahaha e concordo sul salto di qualita' della fiction italiana, secondo me e' una bella soddisfazione. Vuoi per piu soldi in produzione grazie alle piattaforme nuove e che anni fa non c'erano, o per questa nuova generazione di talenti ma la fiction e' migliorata TANTISSIMO rispetto a 10-15 anni fa. Mi ricordo i telefilm italiani che guardavo io quando avevo 13-14 anni, sia crime che medical drama o 'romcom' appunto, facevano davvero davvero piangere... sia a livello di recitazione (tipo Branciamore le cui scene drammatiche venivano fuori da una puntata di The Lady di Lori del Santo) sia a livello di tematiche/svolgimento. Alcuni prodotti italiani degli ultimi anni sono addirittura superiori alle serie americane/inglesi a mio avviso e il merito e' secondo anche degli attori che ci recitano. Se serie come Mare Fuori, Suburra, Gomorra o Doc per dire, venissero dall'America con cast americano/inglese farebbero i miliardi
Sì ci sono ancora alcune cose discutibili (vedi Lea che nonostante un cast non malissimo fa veramente pietà, ma anche la prima stagione di un profe se proprio vogliamo) però vedo un miglioramento anche piuttosto repentino nella qualità. Hanno finalmente capito che non tutto deve essere soap e forse è anche merito del mescolamento e dell'esperienza che tanti fanno all'estero, vedi ad esempio Simona Tabasco che con il percorso che ha fatto si ritrova per forza di cose nelle condizioni di pretendere di più. C'è anche da dire che la fiction ora non è più considerata l'ultima ruota del carro ma un gran bel trampolino di lancio (e secondo me qui Mare Fuori deve prendersene il merito) spronando a fare il massimo con le risorse a disposizione e non il minimo indispensabile alla Occhi del Cuore come si faceva fino a poco fa. È bello che almeno adesso se prendono gente con un seguito lo fanno anche perché sono bravi, non solo perché sono bellocci.
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valentina-lauricella · 2 years ago
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Leopardi a Bologna
«Il mezzo più efficace di ottener fama è quello di far credere al mondo di esser già famoso» (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, Bologna, 21 novembre 1825)
Duecentoventicinque anni fa nasceva a Recanati uno dei più grandi poeti della letteratura italiana: Giacomo Leopardi. A lui dobbiamo liriche intense e penetranti quali “L’infinito”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” e “Il sabato del villaggio” e riflessioni filosofiche estremamente attuali come quelle che troviamo nelle “Operette morali” e nello “Zibaldone di pensieri”.
Il poeta marchigiano fu a Bologna per quattro volte: dal 18 luglio al 27 luglio 1825, dal 29 settembre 1825 al 3 novembre 1826, dal 26 aprile al 20 giugno 1827 e infine dal 3 al 9 maggio 1830. In omaggio alla sua permanenza più prolungata (oltre un anno tra il 1825 e il 1826), il comune di Bologna pose una lapide in via Santo Stefano 33 (dove Leopardi alloggiò a lungo) per ricordare «che in questa città dall’ammirazione universale, da care amicizie e da teneri affetti, ebbe conforto il poeta del dolore».
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Da Bologna, Leopardi scrisse alla famiglia e ad alcuni amici, annotando impressioni e riflessioni sulla città interessanti tanto dal punto di vista biografico quanto dal punto di vista storico, sulle quali sono stati scritti numerosi saggi e persino un volume interamente dedicato al rapporto dell’autore de “L’infinito” con la città delle Due Torri, curato dall’editore Massimiliano Boni. Il titolo del libro, “Questa benedetta Bologna” è tratto da una lettera che Leopardi scrisse il 5 giugno 1826 all’amico, oltre che medico di famiglia, Francesco Puccinotti.
I soggiorni bolognesi di Leopardi furono per lui piuttosto piacevoli. A Bologna era presente l’amico Pietro Giordani, ex segretario dell’Accademia di Belle Arti e già ospite a Recanati della famiglia Leopardi, con cui intratteneva scambi epistolari dal 1817. Grazie a lui Giacomo fece alcune conoscenze importanti e fu accolto con favore nei salotti letterari cittadini. A Bologna, Leopardi frequentava spesso il Caffè del Corso, tuttora esistente in via Santo Stefano, dove amava consumare quasi ogni giorno una colazione di cioccolata e biscotti.
Nelle sue lettere descriverà Bologna come una città «quietissima, allegrissima, ospitale», «piena di letterati nazionali, e tutti di buon cuore, e prevenuti per me molto favorevolmente». Ed al fratello Carlo dirà: «Mi sono fermato nove giorni e sono stato accolto con carezze ed onori ch’io era tanto lontano d’aspettarmi, quanto sono dal meritare.» Positivo è anche il giudizio complessivo: «Bologna è buona, credilo a me che con infinita meraviglia, ho dovuto convenire che la bontà di cuore vi si trova effettivamente, anzi vi è comunissima.» Il 31 luglio 1825 Leopardi scriveva al fratello Carlo: «in Bologna nel materiale e nel morale tutto è bello e niente è magnifico.»
Nel 1825 un decreto del cardinale e arcivescovo Carlo Oppizzoni ripristinò l’usanza delle Processioni generali, che coinvolgono ogni dieci anni, a turno, le parrocchie cittadine, secondo un regolare calendario. La prima Festa degli Addobbi, dopo il ripristino, si svolse nell’estate del 1826 nelle parrocchie di Santa Maria Maggiore in via Galliera e di San Giuliano in via Santo Stefano. Su quest’ultima festa vi è il ricordo di Giacomo Leopardi, che la descrive come «una cosa bella e degna di essere veduta, specialmente la sera, quando tutta una lunga contrada, illuminata a giorno, con lumiere di cristallo e specchi, apparata superbamente, ornata di quadri, piena di centinaia di sedie tutte occupate da persone vestite signorilmente, par trasformata in una vera sala di conversazione.»
Nel 1826 Francesco Orioli, professore di Fisica all’Università di Bologna, e Filippo Miserocchi, ingegnere comunale, curarono l’installazione di un impianto parafulmine sulla torre degli Asinelli: i condotti metallici sulla torre ispireranno alcune considerazioni di Leopardi sulle invenzioni del suo tempo, appuntate nello Zibaldone durante il suo soggiorno.
Nello stesso anno il pittore Luigi Lolli di Lugo vinse un concorso per un dipinto a fresco, da eseguire presso l’ingresso della Pinacoteca dal lato dell’Accademia di Belle Arti. L’amico e stampatore Pietro Brighenti, dopo molte insistenze, riuscì a convincere Leopardi a farsi fare da Lolli un ritratto, da allegare alla sua raccolta di poesie: sarà l’unico documento originale della fisionomia del poeta in vita e servirà da base per molti suoi ritratti postumi.
Il 27 marzo del 1826, lunedì di Pasqua, Giacomo Leopardi venne invitato da Vincenzo Valorani a leggere pubblicamente nella sede dell’Accademia dei Felsinei l’“Epistola al conte Carlo Pepoli”, dedicata al vice-presidente dell’Accademia e suo caro amico. Lo stesso Pepoli ricorderà l’argomento nel suo poemetto “L’Eremo” del 1828.
Nello “Zibaldone”, Leopardi si espresse anche riguardo i dialetti del Nord Italia, e in particolare sul bolognese: «Il detto altrove dell’incontrastabilmente maggior numero di suoni nelle lingue settentrionali che nelle nostre, causa, in parte della lor mala ortografia, per la scarsezza dell’alfabeto latino da loro adottato; è applicabile ai dialetti dell’Italia superiore, perciò difficilissimo ancora a bene scriversi. [Giuseppe] Mezzofanti diceva che al bolognese bisognerebbe un alfabeto di 40 o 50 o più segni.»
Il rapporto di Leopardi con Bologna comincò in realtà ancor prima delle ripetute visite del poeta. Nell’agosto del 1824 la tipografia Nobili di Bologna stampò le “Canzoni” di Leopardi. Si tratta della prima edizione collettiva dei suoi versi, realizzata anche grazie all’amico Pietro Brighenti che, oltre a trovare lo stampatore, riuscì ad evitare la censura pontificia. Questa edizione bolognese comprende dieci canzoni, composte tra il 1818 e il 1823: “All'Italia”, “Sopra il monumento di Dante”, “Ad Angelo Mai”, “Nelle nozze della sorella Paolina”, “A un vincitore nel pallone”, “Bruto Minore”, “Alla primavera o delle favole antiche”, “Ultimo canto di Saffo”, “Inno ai patriarchi o de’ principii del genere umano”, “Alla sua donna”.
Il capoluogo emiliano non risparmiò però al poeta recanatese le delusioni d’amore, che sfoceranno in alcune splendide (anche se sconsolate) riflessioni in linea con la sua concezione pessimistica della vita. L’incontro del maggio 1826 con Teresa Carniani, moglie di Francesco Malvezzi de’ Medici, donna coltissima e animatrice di uno dei più importanti salotti letterari della città, regalò a Leopardi inedite emozioni.
«Nei primi giorni che la conobbi, vissi in una specie di delirio e di febbre», confida al fratello Carlo. E ancora: «questa conoscenza forma e formerà un’epoca ben marcata della mia vita, perché mi ha disingannato del disinganno, mi ha convinto che ci sono veramente al mondo dei piaceri che io credeva impossibili, e che io sono ancor capace d’illusioni stabili, malgrado la cognizione e l’assuefazione contraria così radicata, ed ha risuscitato il mio cuore, dopo un sonno, anzi una morte completa, durata per tanti anni». Poco meno di due anni dopo le convinzioni del poeta saranno nettamente in contrasto con quelle maturate inizialmente: «Come mai ti può capire in mente che io continui d’andare da quella puttana della Malvezzi? Voglio che mi caschi il naso, se da che ho saputo le ciarle che ha fatto di me, ci sono tornato, o sono per tornarci mai».
Fonti: Nerio Zanardi, Giacomo Leopardi e la dolce vita bolognese negli anni Venti del secolo XIX, in “Strenna storica bolognese”, 51, 2001; Giacomo Leopardi, “Questa benedetta Bologna”: Impressioni e annotazioni su Bologna tratte dall’epistolario con alcuni appunti tratti dallo Zibaldone, Massimiliano Boni, Bologna, 2002.
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scalpcollector · 1 year ago
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Vista la Alectopause, mi sto rileggendo tutti e tre i libri - ignorando tutti gli altri libri e giochi che devo finire - e sto sottolineando roba importante e mettendo post-it e note et cetera.
Questo è il momento di delirare, se non volete leggere un gran delirio non leggete!
Fa male ragazzi fa malissimo
Leggere Harrowhark che dice cose bruttissime. “Ti voglio vedere morire” cristo santo. Sapendo quello che succede dopo.
Che poi se ci pensi è perché Harrow è proprio così, perché se fosse stata gentile con Gideon credo che sarebbero state amiche, più o meno. Perché Gideon è buona, davvero. È tanto buona ma tutti alla nona sono dei maledetti e la trattano come un cane. Se fossi nei panni di Gideon mi sarei sgozzata davanti ad Harrow probabilmente, ma quello è perché io sono una terrorista. Ha, ha.
C’ha proprio ragione Harrow a dire che “morire tra le braccia di Gideon sembrava la cosa giusta”
Si, troia, è la cosa giusta, sei una maledetta. Anzi, Gideon già è tanto che alla scena della piscina l’ha trattata così bene. Pure Harrow voleva farsi ammazzare da Gid perché LEI LO SA CHE È UNA MALEDETTA.
Redenzione, Harrow.
È una cosa incredibile leggere Harrow che dice ste cose all’inizio del primo libro e poi vederla che
-conserva occhiali e spada di Gid
-si lobotomizza per salvare l’anima di Gid
-fa la disperata e comincia ad urlare che “LEI È MORTA PERCHÉ GLIEL’HO LASCIATO FARE VOI NON CAPITE”
E voi non dovete dire “ohoho Gideon useless lesbian lei crede che HARROW LA ODI!! Haha.” MA GRAZIE AL CAZZO CHE LO CREDE HARROW L’HA SEMPRE TRATTATA MALISSIMO, LE HA DETTO CHE LEI È LA SUA UNICA AMICA -che è una cosa bella, attenzione, ma non mi sembra che l’abbia dimostrato molto- PERÒ LE HA ANCHE DETTO CHE SI VUOLE FARE LA PUTTANA NEL SEPOLCRO.
Gideon, dal suo punto di vista, non ha nessuno oltre al bastoncino malefico. Ha avuto Cam e Pal come alleati (amici non saprei) e poi Ianthe in NTN, ma Ianthe è Ianthe.
Gideon è l’amore mio e io la amo e [inserire discorso delirante lunghissimo]
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gregor-samsung · 1 year ago
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“ A partire dal 1223 si apre il periodo che i biografi [di san Francesco d'Assisi] definiscono della «grande tentazione», tentazione di abbandonare tutto, di disinteressarsi completamente della comunità, forse di non avere più fiducia in Dio. Ma ci sono momenti di remissione: uno di questi è la grandiosa celebrazione del Natale nell'eremo di Greccio nel 1223. Francesco organizza una sacra rappresentazione corale che trasforma in attore anche il pubblico accorso ad assistervi. Chiama un nobile di nome Giovanni, «di buona fama e di vita ancor migliore» sul cui affetto e devozione sa di potere contare e gli ordina, quindici giorni prima di Natale, di preparare lo scenario adatto. Dice all'amico: «Voglio rappresentare quel Bambino nato a Betlemme come se in qualche modo avessi davanti agli occhi i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu posto in una greppia e come stette sul fieno fra il bue e l'asino». Dobbiamo immaginare che per evocare la grotta siano state adattate le rocce della montagna, magari allargando qualche cavità naturale, oppure che per accogliere anche i fedeli sia stata costruita con tronchi d'albero una grande capanna? Quindici giorni sono un tempo eccessivo, se dedicati soltanto a preparare un po' di fieno e a condurre sul luogo due animali. Il bue e l'asino non fanno parte del racconto evangelico della Natività, ma furono aggiunti dai Vangeli apocrifi. Francesco, sensibile al messaggio delle immagini, ritenne bue e asinello indispensabili al suo teatro sacro.
Il racconto di Tommaso da Celano sembra la descrizione di un meraviglioso presepio vivente: vediamo accorrere «molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte nella quale s'accese splendida la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. [...] Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali. La gente accorre e si allieta di una gioia mai assaporata prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutto un sussulto di gioia. [...] Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucarestia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima». Francesco è felice, profondamente commosso. Si riveste di paramenti diaconali e canta con la sua bella voce il Vangelo, predica con parole dolcissime, trascina ed entusiasma gli astanti rievocando la piccola città di Betlemme, il Bambino divino e poverissimo, con tale entusiasmo infuocato che un cavaliere, forse il medesimo Giovanni, ebbe una visione: «Gli sembrava infatti che un neonato giacesse esanime nella mangiatoia, che il santo di Dio si avvicinasse e destasse quel medesimo bambino da quella specie di sonno profondo. Questa visione non manca - conclude Tommaso da Celano - di un suo significato perché davvero il fanciullo Gesù giaceva dimenticato nel cuore di molti e per grazia di Cristo, tramite il servo suo Francesco, fu risuscitato e il suo ricordo impresso in una memoria di nuovo partecipe». Nella preghiera composta da Francesco per il Vespro di Natale, alla descrizione della nascita nella mangiatoia segue la citazione della lode angelica: «Pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2,14): Cristo è venuto a portare la pace, quella pace che gli uomini non sanno trovare proprio nei luoghi dove egli nacque, la pace che Francesco era andato ad annunciare prima ai crociati e poi al sultano, e vorrebbe accolta dai conterranei, dai frati, dalla Chiesa. “
Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d'Assisi, introduzione di Jacques Le Goff, Einaudi (collana ET Saggi n° 824), 2006⁶; pp. 112-113.
[Prima edizione: 1995]
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hits1000 · 2 years ago
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100 Songs in Italian from the 70s
100 Songs in Italian from the 70s 100 Songs in Italian from the 70s, including: Adriano Celentano - Chi Non Lavora Non Fa L'amore, Domenico Modugno - La lontananza, Lucio Battisti – Anna, Massimo Ranieri - Sogno d'amore, Mina – Insieme, Nicola di Bari - La Prima Cosa Bella and many more!!! Subscribe to our channel to see more of our content! 1. 1970 Adriano Celentano - Chi Non Lavora Non Fa L'amore 2. 1970 Domenico Modugno - La lontananza 3. 1970 Lucio Battisti - Anna 4. 1970 Massimo Ranieri - Sogno d'amore 5. 1970 Mina - Insieme 6. 1970 Nicola di Bari - La Prima Cosa Bella 7. 1970 Nino Manfredi - Tanto pè cantà 8. 1970 Orietta Berti - Fin che la barca va 9. 1970 Ornella Vanoni - L'appuntamento 10. 1970 Raffaella Carrà - Ma che musica maestro 11. 1970 Renato Dei Profeti - Lady Barbara 12. 1970 Sergio Endrigo - L'Arca di Noè 13. 1971 Bruno Lauzi - Amore Caro, Amore Bello 14. 1971 Equipe 84 - Casa Mia 15. 1971 Formula 3 - Eppur mi son scordato di te 16. 1971 Iva Zanicchi - Un fiume amaro 17. 1971 Lucio Battisti - Pensieri E Parole 18. 1971 Lucio Dalla - 4/3/1943 19. 1971 Mina - Amor mio 20. 1971 Nicola Di Bari - Il Cuore È Uno Zingaro 21. 1971 Nuovi Angeli - Donna felicità 22. 1971 Pooh - Tanta Voglia Di Lei 23. 1971 Raffaella Carrà - Chissa Chi Sei 24. 1972 Adriano Celentano - Un albero di trenta piani 25. 1972 Delirium - Jesahel 26. 1972 Gianni Nazzaro - Quanto È Bella Lei 27. 1972 I Dik Dik - Viaggio di un poeta 28. 1972 I Nomadi - Io Vagabondo 29. 1972 Loretta Goggi - Vieni via con me 30. 1972 Lucio Battisti - I giardini di marzo 31. 1972 Mia Martini - Piccolo Uomo 32. 1972 Mina - Grande, grande, grande 33. 1972 Mina & Alberto Lupo - Parole Parole 34. 1972 Pooh - Pensiero 35. 1973 Claudio Baglioni - Questo Piccolo Grande Amore 36. 1973 Gabriella Ferri - Sempre 37. 1973 I Camaleonti - Perchè Ti Amo 38. 1973 Lucio Battisti - Il Mio Canto Libero 39. 1973 Marcella Bella - Io domani 40. 1973 Massimo Ranieri - Erba Di Casa Mia 41. 1973 Mina - Eccomi 42. 1973 Patty Pravo - Pazza idea 43. 1973 Peppino Di Capri - Un grande amore e niente piu 44. 1973 Pooh - Io E Te Per Altri Giorni 45. 1974 Adriano Celentano - Bellissima 46. 1974 Claudio Baglioni - E Tu 47. 1974 Drupi - Piccola E Fragile 48. 1974 Gianni Bella - Più ci penso 49. 1974 Gigliola Cinquetti - Alle Porte Del Sole 50. 1974 I Cugini di Campagna - Anima mia 51. 1974 I Nuovi Angeli - Anna da dimenticare 52. 1974 Marcella Bella - Nessuno mai 53. 1974 Riccardo Cocciante - Bella senz'anima 54. 1975 Claudia Mori - Buonasera Dottore 55. 1975 Claudio Baglioni - Sabato Pomeriggio 56. 1975 Domenico Modugno - Piange il telefono 57. 1975 Drupi - Sereno è 58. 1975 Homo Sapiens – Tornerai tornerò 59. 1975 I Santo California - Tornerò 60. 1975 Mal - Parlami d’amore Mariù 61. 1975 Mina - L'importante è finire 62. 1975 Wess e Dori Ghezzi - Un Corpo e Un Anima 63. 1976 Adriano Celentano - Svalutation 64. 1976 Daniel Sentacruz Ensemble - Linda Bella Linda 65. 1976 Gianni Bella - Non Si Può Morire Dentro 66. 1976 Gianni Morandi - Sei Forte Papà 67. 1976 Lucio Battisti - Ancora Tu 68. 1976 Oliver Onions - Sandokan 69. 1976 Pooh - Linda 70. 1976 Riccardo Cocciante - Margherita 71. 1977 Angelo Branduardi - Alla Fiera Dell´Est 72. 1977 Claudio Baglioni - Solo 73. 1977 Collage - Tu Mi Rubi L' Anima 74. 1977 Daniela Goggi - Oba-ba-lu-ba 75. 1977 Homo Sapiens - Bella da morire 76. 1977 Matia Bazar - Solo tu 77. 1977 Oliver Onions - Orzowei 78. 1977 Umberto Balsamo - Angelo Azzurro 79. 1977 Umberto Tozzi - Ti Amo 80. 1978 Adriano Celentano - Ti avrò 81. 1978 Alan Sorrenti - Figli Delle Stelle 82. 1978 Anna Oxa - Un'emozione da poco 83. 1978 Antonello Venditti - Sotto Il Segno Dei Pesci 84. 1978 Elisabetta Viviani - Heidi 85. 1978 Lucio Battisti - Una Donna Per Amico 86. 1978 Patty Pravo - Pensiero Stupendo 87. 1978 Renato Zero - Il Triangolo 88. 1978 Rino Gaetano - Gianna 89. 1978 Umberto Tozzi - Tu 90. 1979 Adriano Celentano - Soli 91. 1979 Adriano Pappalardo - Ricominciamo 92. 1979 Alan Sorrenti - Tu Sei L'Unica Donna Per Me 93. 1979 Antonello Venditti - Buona domenica 94. 1979 Julio Iglesias - Se Tornassi 95. 1979 New Trolls - Quella carezza della sera 96. 1979 Pippo Franco - Mi Scappa La Pipì Papà 97. 1979 Pooh - Io Sono Vivo 98. 1979 Pupo - Forse 99. 1979 Renato Zero - Il Carrozzone 100. 1979 Umberto Tozzi - Gloria Related Hashtags #hitsof1970 #hitsof1970to1979 #hitsof1970s #hitsof1970songs #hitsof1970uk #hitsof1970australia #hitsofthe1970sand1980s #kannadahitsof1970 #bollywoodhitsof1970 #hitsof1969and1970 #tophitsofthe1970sbillboard #pophitsofthe1970s #hitsof1970sinmusic https://www.youtube.com/watch?v=9xETfkIyeu0
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