#Ray Connett
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lamilanomagazine · 2 years ago
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Milano: dal 22 marzo al Mudec i surreallisti del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam
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Milano: dal 22 marzo al Mudec i surreallisti del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Si apre al pubblico il 22 marzo al Mudec - Museo delle Culture la mostra “Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen”, che presenta oltre 180 opere tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti provenienti dalla collezione di uno dei più importanti musei dei Paesi Bassi, in dialogo con alcune opere della Collezione Permanente del Museo delle Culture. Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, la mostra è stata realizzata grazie ai prestiti del Museo Boijmans Van Beuningen (Rotterdam, Paesi Bassi) e a Fondazione Deloitte, partner della mostra. La curatela è affidata alla storica dell’arte Els Hoek, curatrice del Mfhduseo, con la collaborazione di Alessandro Nigro, professore di Storia della critica d’arte presso l’Università di Firenze. “Il Mudec prosegue nel lavoro di tessitura che collega la creatività moderna e contemporanea alle diverse culture del mondo – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Il particolare taglio curatoriale della mostra connette infatti un movimento artistico, capace di conquistare artisti che hanno contribuito a scrivere la storia dell’arte italiana ed europea, alla creatività di popoli lontani nello spazio e nel tempo, andando all’origine della ‘necessità dell’arte’, che è diversa ma simile in ogni luogo e in ogni epoca”. Era il primo dicembre 1924 quando a Parigi il poeta André Breton pubblicava la sua raccolta di prose “Poisson Soluble”, la cui introduzione sarebbe diventata il Primo Manifesto del Surrealismo, inaugurando ufficialmente la più onirica tra le avanguardie del XX secolo. I Surrealisti cercarono di esplorare la realtà oltre i limiti imposti dalla ragione, espandendola oltre i suoi confini fisici per attingere a una dimensione più piena dell’esistenza: la “surrealtà”. Il Museo Boijmans Van Beuningen possiede una collezione di arte surrealista famosa in tutto il mondo, che annovera tra gli altri artisti come Salvador Dalí, Max Ernst, René Magritte e Man Ray. Oltre a dipinti, oggetti e opere su carta, la collezione comprende numerosi libri rari, periodici e manifesti di artisti e scrittori surrealisti. La mostra fornisce quindi al pubblico una visione a 360 gradi dell’universo surrealista, proponendo opere di artisti famosi ma anche meno conosciuti, pubblicazioni e documenti storici. La scelta di curare una mostra per il Mudec ha portato Els Hoek, la curatrice del Museo olandese, a una selezione mirata della collezione con un focus particolare sull'interesse dei surrealisti per le culture native. La loro critica alla cultura e alla società occidentale industrializzata spinse infatti questi artisti a cercare modelli alternativi, e questa ricerca portò Breton e i suoi a studiare e collezionare gli oggetti etnografici, che entrarono a far parte dell’orizzonte concettuale del movimento. Alessandro Nigro, co-curatore della mostra, ha quindi sviluppato il fil rouge del percorso espositivo sul rapporto tra il surrealismo e le culture native, al quale è dedicata un’ampia sala in cui sono esposte opere della Collezione Permanente del Mudec provenienti da Americhe, Africa, Artico canadese e dalla Papua, in dialogo con artisti quali Tanguy, Masson, Carrington e Lam. Ogni sezione è introdotta da una scultura chiave o un oggetto iconico, che parla al visitatore evocando il tema a cui la sezione stessa è dedicata, e da una citazione che racconta e ricorda al pubblico come il surrealismo fu anche manifesto filosofico, pensiero poetico, sguardo incantato su una realtà ‘altra’. Le sezioni sono arricchite da un apparato multimediale che completa il quadro del racconto. Nelle sale verranno proiettati anche spezzoni di film d’epoca che hanno rivisitato la poetica surrealista contribuendo a formare nella società un nuovo modo di approcciarsi alla realtà: da capolavori come Entr’acte (1924), cortometraggio di Rene Clair, a Spellbound di Alfred Hitchcock, del 1945.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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andreait · 3 years ago
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SONY Lettore BDP S6700 Supporto 3D Upscaling 4K WiFi
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larissanegreli-blog · 6 years ago
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Game Analysis: Mystic Messenger: Another Story
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Another Story è il prequel, rilasciato l’otto settembre 2017, del franchise di Mystic Messenger, sviluppato dalla compagnia sud coreana Cheritz, nota sviluppatrice di videogiochi narrativi con target femminile, vincitore del premio come miglior Indie Game ai Korea Game Awards.
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Nonostante sia conosciuta come la terza modalità di gioco, tratta di fatti avvenuti un anno prima della trama originale, che comprende due modalità di gioco: Casual e Deep Story. Al contrario di queste ultime difatti, dove l’unica differenza è rappresentata dai personaggi romanzabili, la storia racconta vicende avvenute intorno a tre personaggi che fanno da sfondo al plot line principale, ovvero V, Ray e Rika.
Al rilascio l’unico personaggio romanzabile era V, tuttavia la route di Ray è stata aggiunta il trentuno gennaio 2018.
Il prologo del gioco esordisce con un cosiddetto story mode, passaggi del gioco che seguono le stesse modalità di un visual novel, dove viene introdotto l’antefatto della presunta morte di un personaggio, Rika.
Segue una chatroom dove viene introdotta la storia: un invito a essere la beta tester di un gioco chat based integrante delle intelligenze artificiali si sussegue ad un altro story mode, preceduto da una chiamata.
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Game (frontend)
Strengths
 ◆ Vengono trattati argomenti delicati però profondi, quali la depressione, l’ansietà e l’abbandono
◆ Qualità delle illustrazioni migliorata rispetto al gioco originale
◆ Narrativa più consistente, vengono risolti buchi di trama lasciati nel gioco precedente
◆ Soundtrack consistente che concilia l’immersività del giocatore
Drawbacks
 ◆ Destinato a un pubblico prettamente femminile
◆ Progredire lento della storia
◆ Storie non estendibili/espandibili nel tempo
◆ La mancanza di animazione nei passaggi story mode potrebbe l’aspetto visuale ripetitivo
Platform (backend)
Strengths
◆ Il gioco si connette all’orologio del telefono del giocatore, in maniera da organizzare le chat nell’arco della giornata
◆ Grazie a questa struttura non si corre il rischio di cadere nel fenomeno del binge gaming e l’avanzare della storia diventa più spontaneo
◆ Se si desidera esiste la possibilità di acquistare di giornata in giornata il diritto di partecipare in tutte le chat quando al momento desiderato
◆ Buon bilancio tra i passaggi chat based e story mode
◆ Features quali chiamate, messaggi privati, profili dei personaggi con tanto di immagine di copertina e stato che vengono costantemente aggiornati durante il gioco
◆ Diversamente dal gioco originale le story mode dell’Another Story sono tutte completamente doppiate
◆ Esiste la possibilità di guadagnare clessidre con l’avanzare del gioco, senza dover per forza spendere soldi per ottenere nuovi contenuti
◆ Si può inoltre comprare il privilegio di fare quante chiamate si voglia senza dover pagare di volta in volta
◆ Il sistema di chat log e album fotografico permette rivivere determinati momenti o ritrovare particolari illustrazioni con facilità
◆ Vengono costantemente aggiunti nuovi contenuti quali after story, DLC ed eventi periodici
Drawbacks
◆ Le chatroom vanno giocate nell’orario prestabilito, altrimenti si deve pagare un tot di clessidre (la valuta del gioco) per potervi partecipare - sebbene sia possibile leggere il chat log senza poter interagire con i personaggi senza alcuna spesa
◆ Servono clessidre per effettuare chiamate e non sempre si viene risposti
◆ Il totale di clessidre che servono per recuperare chatroom e chiamate perse o fare nuove chiamate è più alta nell’Another Story
◆ Manca il doppiaggio in inglese
◆ Se non si risponde per tempo ai messaggi privati non viene più data la possibilità di rispondervi
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pangeanews · 4 years ago
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“Creo mondi inaspettati, dove Mad Max si mescola a elfi in completo elegante”. Dialogo con David Fivoli, che ha scritto il romanzo che unisce molti generi, unico nel suo genere
“La fantascienza finge di guardare dentro il futuro ma in realtà guarda il riflesso della verità che è davanti a noi” diceva Ray Bradbury. Leggendo “Hunter. Disconnettiti o muori”, romanzo d’esordio di David Fivoli uscito per Rizzoli, non si può che sentire la potenza di questo aforisma, specie da quando la quarantena ci ha resi un po’ più allenati alla solitudine introspettiva e alla virtualità sociale. Un romanzo veloce, senza tregua, sempre tra realtà e immaginazione, cinematografico, ricco di citazioni letterarie e musicali, vera promessa per un genere storicamente sottovalutato e invece in continuo rinnovamento, come quest’opera prima dimostra.
Di cosa parla Hunter?
Hunter è un romanzo ambientato nel 2050, in un mondo in cui buona parte dell’umanità vive connessa a New Life, un sistema di realtà virtuale dove tutto è reale, morte compresa. Nel sistema ci sono diversi scenari, e ogni scenario ha dei requisiti di accesso e un’abilitazione specifica per armi, tecnologia e magia. All’interno di questo universo si muove il protagonista, in una classica avventura di ricerca e crescita, ricca di colpi di scena e condotta con una narrazione dal ritmo serrato.
Quando si parla di fantascienza è d’obbligo citare i padri nobili del genere: Asimov, Dick, Bradbury, Gibson… quali di questi autori ti hanno ispirato, e come?
Da un punto di vista squisitamente narrativo, pur apprezzando molto il genere ammetto che le mie influenze letterarie sono più orientate verso il fantasy che la fantascienza. Non il fantasy classico (Tolkien, per intenderci) quanto a un fantasy più favolistico o di cappa e spada. Per il favolistico, è impossibile non citare La storia infinita di Ende (che definirei un fantasy favolistico “bianco”) e Universo Zotique di C.A. Smith (decisamente più “nero”); per quanto riguarda il fantasy di cappa e spada, l’inarrivabile Il mondo di Newhon di Fritz Leiber, autore tedesco dello scorso secolo più noto per i suoi romanzi di fantascienza che per le incursioni nell’universo fantasy, e La torre nera di Stephen King, che per me rappresenta un caposaldo del genere. Se invece si parla di influenze concettuali, dirette o indirette che siano, tra i grandi autori sci fi citerei senz’altro Asimov e Gibson. Ma questo credo sia fisiologico, perché Asimov è stato il primo a confrontarsi compiutamente con il concetto del rapporto uomo-AI, e a porsi domande sulle AI che risultano attuali anche oggi; Gibson, invece, con Neuromante (romanzo comunemente e universalmente riconosciuto come il manifesto del cyberpunk) si è dimostrato un precursore di quella che poi sarebbe diventata la fantascienza 2.0. Nessun genere come la fantascienza restituisce il “senso del presente”. Sembra paradossale, ma è così.
Che cosa intendi?
La prima fantascienza proiettava l’uomo verso la scoperta e la conquista di mondi lontani. Non solo perché erano tempi di grande speranze per il futuro dell’umanità, ma perché il progresso stesso era “proiettato all’esterno”. In fondo, non si era fatto altro che proiettare il mito della frontiera oltre i confini non solo degli Stati Uniti, ma della Terra stessa. Questa fenomeno ha avuto il suo apice sia nella narrativa fantascientifica che parlava di viaggi spaziali e di conquista di nuovi mondi che al cinema, con Guerre Stellari. Poi, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, è iniziato a cambiare qualcosa. Il progresso ha iniziato a guardare non più verso l’esterno, verso l’infinito, verso il cielo, verso mondi lontani da immaginare o conquistare, ma verso l’interno, verso i processori, i computer. La nuova fantascienza non proietta l’uomo oltre i confini dell’universo conosciuto, ma lo fonde con i sistemi digitali, lo upgrada, in un certo senso, e si pone sempre più spesso domande proprie di nuovi movimenti culturali o discipline filosofiche, come il transumanesimo.
E infatti il tuo romanzo parte proprio da questo concetto, anche se poi durante la narrazione quasi ci scordiamo di essere all’interno di un sistema di realtà virtuale.
Credo che questa sia l’originalità del romanzo. Essere partito da un classico dell’immaginario fantascientifico e averlo poi contaminato in ogni modo possibile. C’è sicuramente sapore di Urban Fantasy, visto che maghi e magie sono presenti e importanti. Ma non definirei il romanzo un Urban Fantasy: si spazia da scenari post apocalittici a scenari con gli zombie, da scenari gotici a scenari western, da scenari futuristici a scenari fiabeschi e neri. Lo stile e il ritmo rimangono gli stessi, ma ogni diversa ambientazione ha in sottofondo un richiamo alla cinematografia di genere, ai fumetti, ai giochi di ruolo, alla narrativa. Anche la musica è importante. Il protagonista ha scelto di chiamarsi Deb Aser perché, come me, ama quel brano dei Pixies. E porta sempre con sé un vecchio iPod, unico ricordo del padre, sul quale sono caricate le canzoni della vecchia era. Quelle che ascolta durante il romanzo sono presenti in coda al libro. Si va dai Beatles ai Pink Floyd, dai Clash ai Rancid.
Sembra un esperimento tanto interessante quanto azzardato. In un mercato dove predomina la tendenza a specializzarsi in un determinato genere in modo quasi ossessivo per arrivare al target di riferimento, non rischi di scontentare tutti?
In effetti, sono riuscito nella formidabile impresa di aver scritto un romanzo che di generi ne unisce molti, riuscendo a fare torto a tutti. Vi piace solo la fantascienza classica? Bene, non c’entra nulla. Vi piace solo il fantasy classico? Scappate a gambe levate. Qui ci sono elfi in completo elegante dietro scrivanie di agenzie immobiliari, vampiri psicopatici alla presidenza di importanti team sportivi, punk che guidano l’auto di Mad Max ascoltando Nevermind The Bollock dei Sex Pistols. La forza del romanzo, però, è proprio questa. A suo modo, Hunter è unico nel suo genere. Da questo punto di vista, lo considero un romanzo d’avanguardia, e credo la sua uscita con Rizzoli sia un segnale importante. Certo, in Italia c’è ancora tanto, tantissimo da lavorare per riuscire a farsi notare e farsi prendere sul serio scrivendo narrativa di genere. Qui se scrivi qualcosa che odora di fantastico hai un grande handicap in partenza. È come correre i cento metri partendo dagli spogliatoi, mentre gli altri partono dai blocchi. La narrativa di un certo genere è sempre vista come narrativa di serie B.
Sbaglio o c’è un tono polemico, in quest’affermazione?
Non sbagli. Sono fermamente convinto che in quanto a fantasia e a capacità narrativa non siamo secondi a nessuno. Siamo semmai culturalmente schiavi di certi cliché autoimposti. Fantasia e italianità non sembrano più convincere nessuno. Il che è paradossale, considerando che abbiamo dato i natali a Dante e Calvino. E così i nostri scrittori di genere, anche i più capaci, continuano a essere visti con diffidenza sia dalla grande editoria che dagli addetti ai lavori. Eppure negli Stati Uniti nessuno si vergogna di scrittori come Poe e Lovecraft: autori di genere conosciuti soprattutto per i racconti. E tanto per fare un esempio narrativo… qualche settimana fa stavo leggendo una raccolta di racconti di Stephen King. Lui ha questa pregevole abitudine (almeno, io la adoro) di presentare i racconti con qualche riga che ne spiega la genesi; da scrittore, trovo meraviglioso sbirciare nella mente dell’autore attraverso le sue parole. Ora, nella prefazione di un certo racconto spiegava che quel racconto era uscito la prima volta per uno dei più grandi quotidiani di New York e… stop. Mi sono dovuto fermare. Ho chiuso il libro. Sono stato cinque minuti immobile, a riflettere. Uno dei più letti quotidiani americani che presentava un racconto di genere, per di più a tinte horror. Da noi sarebbe semplicemente impensabile. Ecco, io credo che dovremmo sprovincializzarsi, perché la narrativa di genere può essere grande narrativa. Non sempre, ma può esserlo.
Se un lettore di questa intervista ti dicesse che vuole regalare il tuo romanzo a qualcuno, quale categoria di lettore consiglieresti?
A un ragazzo. Bisogna regalare i libri ai giovani. Bisogna sommergerli di libri, libri che li facciano viaggiare e sognare. Libri di fantascienza o fantasy… per il mainstream ci sarà sempre tempo dopo, se diventeranno lettori forti. Che poi sia il mio o un altro poco conta, quello che risponderei è: comprate romanzi di questi generi per i giovani. E quando li scarteranno e rimarranno un po’ sorpresi a osservarli, cercando magari una porta USB o il pulsante d’accensione, voi dovete essere lì a spiegare che quello strano oggetto di carta è un supporto che si connette direttamente al più grande e potente processore che esista: la mente umana. Basta sfogliarlo e leggerlo. E si apriranno mondi inaspettati.
Viviana Viviani
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soplibrarydirector · 5 years ago
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Why do libraries matter?
They enlighten. They transform. They inform. They teach. They delight. They transport. They are democratic spaces where all are welcome and where difficult questions are asked and wrestled with. They celebrate and promote the written word and the power they have. They take no sides. They are safe, neutral spaces.
“Without libraries what have we? We have no past and no future.’’ -- Ray Bradbury
 Why our library matters
 For over 150 years, our library has been at the heart of our community’s civic life. The library is open 66 hours a week and every day about 450 people walk through its doors. Every year over 76,000 items are taken out, more than half of them children’s material. Its lone meeting room is almost always booked, frequently unavailable to those looking to use it.  In addition, the library hosts over 500 events and meetings every year.
Why our library needs expansion and renovation
The current library dates to 1968. The Connett building, the original library, stands vacant and dates to before the turn of the 19th century. They have served the community well and are part of the history of the library and building blocks for the future. But both buildings need major overhauls and to be re-envisioned into the library the town needs and deserves.  
 What’s the plan?
 Build a new connection between the two buildings, a link that will serve as the main entrance and will feature a gallery and public spaces. Renovate the outside and inside of the Connett building, bringing it back to life and significantly expanding the size of the library. Renovate the current building with the goal of ultimately providing the community a 21st century library filled with more space for adults, children and programming.
 What’s happened so far?
 The Connett’s roof has already been restored in keeping with its historical architecture  and soon work will begin on the restoration of the exterior.  The library in partnership with the village successfully applied for a $500,000 capital grant from the New Jersey Historical Trust for the restoration work.  
 The library and the village have been collaborating for more than a year in preparation for applying for a New Jersey Library Construction Bond grant.   We are working with H3, a firm of architects who are specialists in both libraries and historic buildings.  
 How a library helps the entire town
 Every dollar invested in public libraries yields contributes five to six dollars to the economic prosperity of their communities, according to a 2014 analysis by the University of South Carolina.
Our library is one of the most-frequented sites in downtown South Orange, but many patrons have mentioned choosing to go to other libraries in Livingston, West Orange, or elsewhere, for reasons of lack of space or lack of appropriate space.  Our downtown merchants are losing custom from those patrons, as they leave our village for the day.
Thriving library spaces attract new residents to a community.
Libraries with appropriate computer and meeting spaces can serve as incubators for small businesses and entrepreneurs.  https://www.citylab.com/life/2013/02/why-libraries-should-be-next-great-startup-incubators/4733/ 
Proximity to a library increases home values and translates into increased tax revenue.  See Fels Institute of Government at the University of Pennsylvania analysis of the economic impact of the public library, finding an almost $10,000 increase in home value within ¼ mile of a branch library.
The majority of a library’s value, however, is difficult to quantify.
Libraries bring people together
In person, through meetings, lectures, movies, activities, storytimes, and informally
Providing an opportunity to engage, learn, help each, spread awareness, and deepen our community’s ties
 Libraries are a cornerstone of our democracy:
Our right to read, seek information, and speak freely are defended by libraries and librarians, as they actively defend this most basic freedom as guaranteed by the First Amendment.
Libraries provide us with the resources to be informed citizens, and the knowledge to be effective, active participants in our community and beyond it.
And, of course, libraries maintain their traditional role of providing books on a dizzying array of topics to the public.
Contrary to the naysayers, reading of physical books is not being replaced by ebooks or audiobooks, and libraries continue to meet this need.  
See: https://www.inc.com/glenn-leibowitz/heres-why-an-ebook-can-never-live-up-to-joy-of-reading-an-old-fashioned-hardcover.html
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pangeanews · 5 years ago
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“Vorrei distruggere tutto ciò che ho scritto e ritirarmi sull’isola deserta con un’enciclopedia”: Borges compie 120 anni! Auguri con inedito
Vorrei dire: bye bye Borges. Vorrei dire, per dare altro gas al fausto anniversario, chiudiamo Borges nel mausoleo dei grandi, releghiamolo tra le mummie, possiamo farne a meno. Imitato, criticato, adorato, pubblicato fino all’infima filastrocca cucita sul calzino sinistro, salutiamo Borges come qualcosa di passato, di spassionatamente vecchio. Invece. Borges ha inventato una formula narrativa semplice & perfetta, cristallina, come un proiettile di diamante – direbbe Marlon Brando/Kurtz – che perfora il cranio del Novecento ma pure quello del nuovo millennio. Comunque sia, non ne puoi fare a meno: Borges ti frega sempre, i suoi racconti sono sciarade circolari, sono rebus salutari, e a me capita di rileggerli per ritrovare una postura letteraria adatta, per ricongiungermi a una disciplina, come si entra in monastero e il silenzio, grato, ci fa camminare più eretti, cuce le labbra, rende avidi gli occhi.
*
Scrittura limpida, lucida, da moralista francese, ed erudizione, enigmistica trascendentale. Machiavelli nel corpo di un bramino, Montagne nella sfera di un sufi, Hemingway con un cervello da talmudista, Kafka incrociato a Fozio. Borges è talmente originale che quando si tratta di parlare di sé, rimanda sempre ad altri, i suoi santi – un gesto che non ha nulla dell’umile protervia, ma è gratitudine. Così, grazie a Borges, sono sinceramente andato a Henry James e all’Edda, a Ray Bradbury e a Stevenson e a Plotino, a Marcel Schwob e a Beowulf, a Dante, al Corano, a Walt Whitman, a Kafka e a Thomas Carlyle, a Melville e a Mark Twain, e anche se ciascuno di questi, in fondo, non ha alcuna parentela letteraria con Borges, che li evoca per sovranismo enciclopedico, poco importa, perché il verbo è tutto e tutti, dice il grande cieco di Buenos Aires, stiamo scrivendo lo stesso poema, a cui siamo avvinti e di cui non siamo padroni.
*
Poi, bisogna andare a Buenos Aires per capire che dietro ogni vicolo puoi trovare il solido platonico e nel frinire delle lame, nel tubare delle automobili, si cela la cifra che svela il cosmo e lo fa diventare un granello di sabbia sotto l’unghia del pollice. Penso sia anche una questione di spazi: l’ossessione dell’infinito, degli specchi, dell’implacabilità eterna, del libro sconfinato, è coltivata dal figlio di una austera arpia che traduce la Mansfield e Faulkner, in una città ‘parigina’ cresciuta sulla melmosa foce del Rio della Plata, in una terra sconfinata, patagonica, tra tango e florilegio di ghiacciai, nella feconda nostalgia di un passato europeo.
*
Ciascuno ha i suoi. Certamente L’Aleph (uscito 70 anni fa) è la quintessenza dell’opera di Borges, per alcuni lo è Finzioni: qualcuno preferisce La biblioteca di Babele, altri Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, c’è chi ama alla follia La casa di Asterione e chi L’immortale. Borges da un incendio purificatore avrebbe salvato Il libro di sabbia. Io ammetto la mia passione per un racconto che si intitola Tigri azzurre, anche se, alternativamente, Borges mi piace da ogni lato, anche quel libro che si chiama Atlante. Le sue poesie non vanno lette come poesie – altrimenti modeste – ma come peculiari appendici ai suoi racconti, chiose, chiodi lirici, nodi che fanno dei libri di Borges un’unica grande opera.
*
Sylvia Iparraguirre, maestra della letteratura argentina, già allieva di Borges all’Università, amica, lo ricorda nel suo libro autobiografico, La vida invisible, “la genuina, esemplare modestia di Borges posso testimoniarla in prima persona e riguarda uno degli argomenti borghesiani per antonomasia: lo scrittore che vuole scomparire, che vuole essere inghiottito nell’oblio. Quando suo padre gli diede da leggere The Invisible Man di H.G. Wells, Borges gli disse che voleva diventare così, l’uomo invisibile; quell’invisibilità si connette al desiderio di occultarsi nel nulla, di ‘smettere di essere Borges’. Il tema lo portava a raccontare la storia, che ho ascoltato direttamente da lui, di quell’andaluso che quando gli chiesero il nome rispose: ‘Sempre lo stesso, il problema è il tempo che passa’, risposta che, secondo Borges, contrastava tutti gli affanni della fama”. Mi sembra interessante, e in qualche modo analogo, ciò che Borges rivelò intervistato da Liliana Heker: “Quando ero giovane ero incline alla tristezza, a teatralizzare me stesso; volevo essere Amleto o Raskol’nikov, e ora non più”.
*
Lego la nada a nadie: è l’ultimo verso di una poesia, Il suicida, raccolta in La rosa profonda. “Lascio il nulla a nessuno”, traduce Domenico Porzio, inevitabilmente perdendo l’assonanza mistica tra nada e nadie – dove il nulla ha sempre un nitore mistico (gola-caverna di Dio), e nessuno l’esito di una nitidezza (lo è Ulisse, dopo la verifica del mostro). Quando scavi nell’opera di Borges ne trovi molteplici, un Borges per ogni giorno, per ogni comodino. Condannato a non sparire, ci ha consegnato un’opera, però, alla fine della quale non scopriamo altro che il nostro smarrimento, un enigma in scroscio. (d.b.)
***
Susan Sontag amava Jorge Luis Borges, lo riteneva lo scrittore più influente del secondo Novecento, un rivoluzionario. “Mi manchi. Continui a fare la differenza. Alcuni di noi non abbandoneranno la Grande Biblioteca. Continuerai a essere il nostro eroe”, gli scrive, nel 1996, in una lettera oltremondana, che celebra i dieci anni dalla morte del grande scrittore. Nel 1985 i due si incontrarono, dialogando pubblicamente nel contesto della “Feria del Libro di Buenos Aires”. La trascrizione del dialogo, inedita in Italia, è stata pubblicata su El Clarin per festeggiare i 120 anni dalla nascita di Borges (tra le tante manifestazioni in atto in Argentina, segnalo il ciclo di convegni organizzato dalla Fundación Internacional Jorge Luis Borges). Eccone alcuni stralci.
Forse sono solo un impostore. Involontario. “Non sono modesto, sono semplicemente lucido. Mi stupisce essere conosciuto. Sono trascorsi cinquant’anni, la gente mi nota, ho smesso di essere un uomo invisibile. Eppure, questo è per me uno sforzo terribile. A volte penso di essere una specie di superstizione, ora piuttosto diffusa. In ogni momento puoi scoprire che sono un impostore, in ogni caso, un impostore involontario”.
Se non ci fossero Emerson, Melville, James, non esisterei. “Se penso alle personalità che il New England ha dato al mondo – forse gli astrologi possono aiutarmi – e comincio ad elencare, Emerson, Melville, Thoreau, Henry James, Emily Dickinson, penso che se non ci fossero non esisteremmo, penso che siamo una proiezione di quella costellazione nata in New England”.
Elogio del rileggere. “Penso che uno scrittore sia influenzato da tutto il passato, non solo di quello di un paese e di una lingua, ma anche da scrittori che non ha letto, che non appartengono alla sua lingua… Ho perso la vista nel 1955 e da allora mi dedico alla rilettura più che alla lettura. La rilettura è una attività importante, perché rinnova un testo: il libro è uno, ma noi non siamo mai gli stessi nel momento della rilettura. ‘Non ci si bagna due volte nello stesso fiume’, dice Eraclito. Il fiume scorre, Eraclito scorre, e io sono quel vecchio Eraclito che fa il bagno non nello stesso fiume, ma in un altro, e ringrazio la frescura di quelle acque”.
Forse non scriviamo altro che la stessa storia. “L’originalità è impossibile. Si può variare leggermente il passato, uno scrittore può avere una nuova intonazione, una sfumatura, nient’altro. Forse ogni generazione non scrive che lo stesso poema, non racconta che la stessa storia, ma con una piccola, preziosa differenza: l’intonazione, la voce, ed è sufficiente”.
Per l’isola deserta voglio un’enciclopedia. “Amo la letteratura scandinava, le saghe, l’Edda islandese… ma tutta la letteratura è stupefacente. Immaginare il mondo senza Verlaine, senza Hugo, sarebbe molto triste, sarebbe impossibile. Ma perché astenersi da qualcosa? Perché essere un asceta delle biblioteche? Le biblioteche ci danno una felicità continua, una felicità accessibile. Forse, se fossi Robinson Crusoe, il libro che mi porterei sull’isola sarebbe la Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell. Certo, se potessi trasportare una enciclopedia sarebbe meglio, dato che per un uomo curioso e ozioso come me la lettura dell’enciclopedia è quella migliore”.
Tutto è finzione. “La filosofia è una finzione, il mondo intero è una finzione, senza alcun dubbio, è una finzione”.
Voglio imparare il giapponese. “Sto cercando di studiare il giapponese, ma è una lingua così complessa che gli idiomi occidentali paragonati al giapponese sono come il guaraní rispetto allo spagnolo. È una lingua piena di sfumature, gli haiku sono saggiamente ambigui, come i libri di Henry James. Nell’haiku si vuole cogliere il momento. La totale assenza di metafore significa che ogni cosa è unica, che nulla può essere paragonato ad altro. Eppure, i contrasti abbondano. Un bellissimo haiku recita, ‘Sopra la grande campana di bronzo si è posata una farfalla’. La campana imperturbabile, duratura, e la farfalla soave, effimera: creano un contrasto senza confronto”.
Per dare autenticità, aggiungo un errore. “Tutto ciò che pubblico, per quanto appaia imperfetto, presuppone almeno dieci o quindici bozze. Non riesco a scrivere senza bozze, ma nell’ultima versione aggiungo un errore evidente, per rendere tutto spontaneo. Per me sarebbe impossibile non scrivere. So da sempre che il mio destino, come lettore o come scrittore, è connesso alla letteratura”.
Non mi importa vendere, voglio sognare. “Ammetto di essere stato conquistato dall’esempio di Emily Dickinson: scrivere senza pubblicare. Però ho commesso qualche imprudenza. In un’occasione ho chiesto ad Alfonso Reyes che senso avesse pubblicare: mi ha risposto, ‘Pubblichiamo per non passare la vita a correggere le bozze’. Penso che avesse ragione. Ogni volta che viene pubblicato un mio libro, non so cosa gli succede, non leggo nulla di ciò che è scritto intorno a lui. Non so se vende o meno. Cerco semplicemente di sognare altre cose, di scrivere un libro diverso, anche se di solito è molto simile al precedente”.
Vorrei distruggere tutto quello che ho scritto. “Come si può parlare di ‘edizione definitiva’? Come può un autore non lamentarsi di un aggettivo, di una virgola? Assurdo. Vorrei distruggere tutto ciò che ho scritto. Salverei soltanto un libro, Il libro di sabbia, e forse La cifra… il resto può essere dimenticato”.
Voglio fondare la Setta dei Lettori. “Scrittori ce ne sono molti, ma di lettori pochi, quasi nessuno. Dobbiamo fondare una Setta dei Lettori, una società segreta dei lettori”.
*In copertina: Jorge Luis Borges fotografato da Ferdinando Scianna, a Palermo, nel 1984
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