#Proclamazione Impero
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italianiinguerra · 6 months ago
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9 maggio 1936, l’Italia ha finalmente il suo Impero.
Il 9 maggio 1936, alle ore 22.30, il Duce Benito Mussolini pochi giorni  dopo aver annunciato la vittoria nella guerra d’Etiopia, dal balcone di Palazzo Venezia proclamava: “L’Italia ha finalmente il suo Impero.” Chi volesse leggere il testo integrale del discorso che segnò l’apice del consenso del Fascismo e di Mussolini e il decreto che sanciva la sovranita’ piena ed intera del Regno d’Italia…
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ibrahimalbadriroleplay71 · 2 years ago
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Good event/nasty event: Good event per Germania e Stati Uniti, nasty event per il regno dell'anticristo e il dominio sciita-ebraico
Germania:
Con la proclamazione del ennesimo Sacro Romano Impero e del quarto reich attraverso l'approvazione degli Stati Uniti,Unione europea e cattolici tedeschi,Heinrich Ludwig assume il nome Heinrich III, il partito Nazionalsocialista tedesco viene fatto ritornare attivo, Adolf Hitler,Reinhard Heydrich e Josef Mengele poterono ritornare nel partito perché il ban è stato rimosso nei loro confronti tuttavia chiariscono che nessuno di loro sarà il leader del partito perché già occupati nei loro lavori quindi come leader del partito venne scelto Otto Von Bolschwing, noto per aver supportato gli ebrei sionisti nella Palestina britannica, noto per aver lavorato nelle SS di Adolf Hitler e per aver lavorato come agente segreto della CIA, egli è stato riportato in vita dal Purgatorio attraverso la grazia di Dio e unico creatore dell'universo.
I neo nazisti continuano ad essere arrestati dalla polizia di Berlino perché sono bande criminali che erano collegate in precedenza con il presidente russo Vladimir Putin.
Il Sacro Romano Impero attraverso il suo esercito invade prima l'Austria e l'Italia annettendole entrambe così l'anticristo non occuperà nessuno delle due nazioni.
Il Vaticano ha preso Heinrich III come un liberatore e protettore, di conseguenza i falsi preti e i falsi cristiani vennero scomunicati perché falsi profeti e vennero anche arrestati per pedofilia quindi rimangono solo i reali cristiani e i reali preti nel Vaticano.
Il Vaticano parla nuovamente tre lingue: Latino,Italiano e tedesco come era successo in passato con Ottone I.
Vennero messe in tutto il Sacro Romano Impero restrizioni contro i musulmani e gli ebrei per motivi che entrambi potrebbero fare attacchi terroristici.
Regno dell'anticristo:
Abu Qasim Muhammad è irritato che è stato bloccato nei piani di conquistare Roma perché come temeva è spuntato un nuovo Sacro Romano Impero e il quarto reich quindi il suo esercito conquista la Giordania e l'Egitto ed è anche arrabbiato per il fatto che Hassan al-Douri, il Mahdi sunnita non è interessato all'Europa ma soltanto al Medioriente e che custodisce le terre ereditate a Ismaele tramite il patto di Dio con Abramo.
Abu Qasim Muhammad essendo l'anticristo in persona e molto arrogante con la conquista dell'Egitto fece tante azioni cattive,inique,malvagie,degne di un ladro e arriva anche mettersi al di sopra di Dio:
"Condurrà in Egitto i loro dei con le loro immagini e i loro preziosi oggetti d'oro e d'argento, come preda di guerra, poi per qualche anno si asterrà dal contendere con il re del settentrione"
Daniele 11: 8
"il re dunque farà ciò che vuole, s'innalzerà, si magnificherà sopra ogni dio e proferirà cose inaudite contro il Dio degli dei e avrà successo finché non sarà colma l'ira; poiché ciò che è stato determinato si compirà.  Egli non si curerà neppure delle divinità dei suoi padri né del dio amato dalle donne, né di altro dio, poiché egli si esalterà sopra tutti.  Onorerà invece il dio delle fortezze: onorerà, con oro e argento, con gemme e con cose preziose, un dio che i suoi padri non hanno mai conosciuto.  Nel nome di quel dio straniero attaccherà le fortezze e colmerà di onori coloro che lo riconosceranno: darà loro il potere su molti e distribuirà loro terre in ricompensa".
Daniele 11: 36-39
Stati Uniti d'America:
Nel frattempo Richard Stuard è stato incriminato per tutte le accuse che aveva fatto:
-interferenza russa
-frode elettorale
-supporto per il neo nazismo
-evasione fiscale
- supporto per l'anticristo
-stupro contro le donne e bambini
Al momento, Richard viene sbattuto in ergastolo e la pena di morte attraverso la corte internazionale criminale deve essere ancora decisa attraverso l'unione europea perché si trattava di una persona che aveva supportato Vladimir Putin, Bashar al-Assad e voleva invadere la Cina in modo irragionevole piuttosto che attendere che è il popolo cinese se rovesciare i communisti in qualsiasi momento quando vedranno le prove che il communismo non funziona ed è un ideologia che vuole uccidere cristiani e musulmani della Cina*
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olitaly · 2 years ago
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amicidomenicani · 2 years ago
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Quesito Caro padre, potrei avere qualche supporto per quanto riguarda il primato di Roma? Era veramente il vescovo di Roma il capo o comunque il primo tra tutti gli altri vescovi? Entrando in contatto con alcuni ortodossi, mi sono stati mostrati alcuni scritti pre-scismatici sulla poco accettata predominanza del vescovo di Roma/papa in particolare per quanto riguarda i padri orientali. Come ciò è possibile?  Ti ringrazio Ti auguro buona celebrazione della Santa Messa.  Martin Risposta del sacerdote Caro Martin, 1. la vicenda dello scisma d'oriente è semplicemente penosa. Si tratta prevalentemente di intrighi politici. Per non farla troppo lunga, te ne presento i prodromi così come li riportano due studiosi di Storia ecclesiastica, Bihlmeier - Tuechle. 2. Fino al secolo nono non ci furono problemi tra Roma e Costantinopoli. Bisanzio riconobbe sempre apertamente il primato del Papa e per risolvere le controversie a lui si ricorreva tanto da parte civile quanto da quella ecclesiastica. Poi sono sorti i problemi di cui ti riferirò, fatti però di intrighi e di manovre di potere. Quando ormai si vide che di fatto ci si trovava in una situazione di scisma, sì cercò di giustificarla. Sotto il profilo politico si diceva che l’impero romano d’Occidente era crollato (anno 476), la vecchia Roma era decaduta ed era sorta la nuova Roma: Bisanzio, Costantinopoli. Dunque anche il vescovo di Roma che doveva governare tutta la Chiesa doveva essere il vescovo della nuova Roma e cioè di Costantinopoli. A questa affermazione è sufficiente ricordare che era crollato l’impero romano d’occidente, ma non era crollata la Chiesa di Roma. Sotto il profilo teologico si trattava di inezie, come quelle che potrai leggere. La stessa questione del Filioque non era difficile da risolvere. 3. Nella storia del I millennio va ricordato quanto dissero i padri conciliari all’unanimità nel concilio di Calcedonia (città dell’Asia minore di fronte a Bisanzio) nell’anno 451. Papa Leone Magno non era presente. Ma inviò al vescovo di Costantinopoli un importante testo dottrinale, il cosiddetto Tomo a Flaviano, che venne letto a Calcedonia. Tutti i Vescovi presenti, in la maggioranza orientali, dopo la lettura di quel testo proruppero a una sola voce dicendo: “Pietro ha parlato per bocca di Leone”. 4. Non va dimenticato inoltre che a Costantinopoli si era mal digerita la proclamazione di Carlo Magno come re del Sacro Romano Impero avvenuta nell’anno 800. Che bisogno c’era, si diceva, di proclamare un nuovo imperatore, se questo c’era già ed era a Costantinopoli? 5. Ma ecco come i nostri due autori descrivono che cosa successe nel secolo nono. “1. Nella seconda metà del secolo 9° dure lotte colpirono di nuovo la chiesa greca, lotte che furono come i prodromi della sua definitiva separazione dall'Occidente. L'occasione venne offerta da una nomina controversa del nuovo  titolare della sede vescovile di Bisanzio. DaIl'847 questa era occupata dal patriarca Ignazio, un figlio dell'imperatore Michele II, che prima era stato monaco, persona pia ma politicamente un conservatore radicale. La sua posizione era molto difficile.  Oltre alcuni vescovi, egli aveva come nemico politico Cesare Barda,  zio dell'imperatore Michele III «l'Ubriaco», il quale dominava completamente il giovane nipote, dopo che questi fu dichiarato maggiorenne e l’imperatrice madre Teodora fu allontanata dal governo (856).  Nell'Epifania dell'858 Ignazio rifiutò pubblicamente la comunione a Barda, causa la sua vita immorale - in realtà l'accusa non era del tutto giusta. Per questo fatto e per il suo atteggiamento politico, nel novembre 858 venne costretto ad abdicare ed al suo posto fu nominato Fozio, il quale non s'era ancora messo in vista come fautore dell'uno o dell'altro partito: era amico dell'apostolo degli Slavi Cirillo, originario d'una famiglia molto distinta e imparentata con la casa imperiale, segre
tario di stato e comandante della guardia del corpo imperiale ed il più notevole dotto del suo tempo. Essendo ancor laico, ricevette nel giro di cinque giorni tutti gli ordini sacri, compresa la consacrazione episcopale, che gli fu conferita dall'arcivescovo di Siracusa Gregorio Asbesta, il quale era stato scomunicato da Ignazio, e da altri due vescovi, a quanto pare seguaci di Ignazio. Quest'ultimo, che aveva sacrificato i propri interessi a quelli della chiesa, contava molti sostenitori, specie tra i monaci: questi non erano d'accordo con la sua abdicazione e con la politica di Fozio, anche se costui s'era impegnato a un contegno di deferenza verso Ignazio.  Sotto la direzione dell'arcivescovo Metrofane di Smirne gli avversari di Fozio si radunarono nella chiesa di s. Irene e dichiararono Fozio usurpatore del patriarcato, deposto e scomunicato.  In seguito a ciò i foziani in un sinodo tenuto nella chiesa degli Apostoli (primavera dell'859) lanciarono la scomunica e la deposizione contro i seguaci di Ignazio, e contro questi stesso, qualora volesse riprendere il suo posto quale patriarca. Così le opposizioni politiche condussero anche ad una profonda divisione nella chiesa bizantina. 2. L'imperatore Michele invitò il Papa ad inviare legati per un concilio che doveva pronunciare un giudizio definitivo sulla questione delle immagini.  Contemporaneamente Fozio partecipò al Papa la notizia della sua nomina. Allo sguardo acuto di papa Niccolò I non potevano sfuggire i difetti occorsi nell'intronizzazione di Fozio (nomina di un laico, consacrazione da parte dell'arcivescovo Gregorio, la cui posizione non era ancora stata decisa da Roma), come anche il fatto che la sede era occupata da Ignazio.  Per un esame della situazione il Papa mandò due legati in Oriente e sollecitò nello stesso tempo la restituzione dei diritti e dei possedimenti che l'imperatore Leone III aveva confiscati alla Chiesa di Roma.  I legati oltrepassarono le loro facoltà e pronunciarono la sentenza che il Papa si era riservata. Riconfermarono la deposizione d'Ignazio, pronunciata ancora una volta da un grande sinodo a Costantinopoli, mentre Ignazio dal canto suo dichiarava invalida la sua abdicazione e si rifiutava di riconoscere i legati quali suoi giudici. I suoi fautori inviarono un rapporto a Roma, in seguito al quale il Papa, in un sinodo romano dell'863, decretò che i legati erano destituiti dal loro ufficio, che Fozio era privato di ogni dignità ecclesiastica: nel caso di ulteriore disobbedienza sia Fozio che i suoi partigiani erano minacciati di scomunica; infine venne ordinato il ripristino di Ignazio e dei suoi fautori, nella speranza di un atteggiamento favorevole alle richieste papali circa la giurisdizione sull'Illirico. Ma la sentenza non ebbe in un primo tempo alcun effetto pratico, perché Fozio era appoggiato dalla corte. L'imperatore Michele arrivò addirittura al punto di chiedere drasticamente il ritiro della disposizione. Contro di lui papa Niccolò difese intrepidamente i diritti della Sede Apostolica, ma si dichiarò pronto a riesaminare ancora una volta a Roma tutta la vertenza circa Ignazio e Fozio, se questi gli avessero mandato dei legati (865). Poco dopo (866) i Bulgari vennero annessi alla Chiesa di Roma: questo fatto sollevò gravi malumori a Bisanzio e Fozio passò ad una lotta aperta contro Roma. In una enciclica dell'867 agli altri tre patriarchi d'Oriente egli sollevò forti accuse contro l'invadenza dei missionari romani in Bulgaria e contro la disciplina occidentale ivi introdotta: il digiuno del sabato, l'uso dei latticini nella prima settimana di quaresima, il celibato ecclesiastico e il non riconoscimento della cresima amministrata dai preti greci. Combatté anche come una esecrabile eresia la dottrina degli Occidentali circa la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, senza però nominare come tale l'aggiu
nta del Filioque nel Credo, aggiunta che allora non era ancora comune nella liturgia romana. Invece si hanno buoni motivi per negare che Fozio sia autore della dottrina, secondo la quale il primato ecclesiastico sarebbe stato trasferito a Costantinopoli col trasferimento della residenza imperiale. La medesima enciclica convocava i patriarchi a un grande sinodo a Costantinopoli, per pronunciare un giudizio sul Papa. Il sinodo ebbe luogo nell'estate dell'867 alla presenza della corte. Contro ogni diritto, questo sinodo scomunicò e depose quale «eretico e devastatore della vigna del Signore» papa Niccolò, il quale moriva prima ancora d'essere informato di questa decisione. La rottura era ormai consumata. Quasi tutto l'Occidente stava dalla parte del papa: teologi franchi, come Enea di Parigi e Ratrammo di Corbie, respinsero gli attacchi dei Greci in appositi scritti”). 3. Il trionfo di Fozio però fu di breve durata. Nel settembre dell'867 Basilio I il Macedone (867-86), finora collega nell'impero, si impadronì di tutto il governo, dopo aver assassinato Michele. Come spesso avveniva nell'impero bizantino, al cambiamento politico si accoppiò anche quello ecclesiastico. Pochi giorni dopo l'incoronazione il nuovo imperatore costrinse Fozio ad abdicare, ripristinò Ignazio e riprese le relazioni con Roma. In consonanza con la severa decisione presa dal papa Adriano II (867-72) in un sinodo romano dell'869, si celebrò l'ottavo concilio ecumenico a Costantinopoli (ottobre 869-marzo 870) sotto la direzione di tre legati pontifici, ma con una frequenza piuttosto scarsa. Fozio fu condannato e scomunicato come un «intruso» e un «nuovo Dioscuro»; i suoi fautori vennero scomunicati e gli ecclesiastici ordinati da lui furono ridotti allo stato laicale.  Ma Fozio e la maggior parte dei suoi fautori non si sottomisero affatto. Siccome in una sessione successiva del concilio i Bulgari vennero annessi di nuovo al patriarcato di Costantinopoli, nonostante le energiche proteste dei legati papali, sopravvenne una nuova e seria tensione tra Roma e Bisanzio. Il papa Giovanni VIII (872-82) sollecitò Ignazio con inutili ammonimenti e perfino con la minaccia di scomunica e di deposizione, a restituire la Bulgaria, ma tutto fu invano. 4. Dopo la morte di Ignazio (877 o 878) Fozio ritorno per la seconda volta sul trono patriarcale di Costantinopoli. Egli infatti anche nell'esilio aveva mantenuto i suoi seguaci, si era riconciliato con Ignazio e già da tempo si era guadagnata la stima dell'imperatore, il quale gli aveva affidata l'educazione dei figli. (…) Il patriarca Fozio, giunto al culmine della sua attività, ebbe tuttavia ancora un tragico crollo: l'imperatore Leone VI il filosofo (866-912), per antipatia personale e per motivi di politica interna, depose subito dopo la sua intronizzazione, il suo vecchio maestro e conferì la dignità patriarcale al proprio fratello sedicenne, il principe Stefano. Fozio fu relegato in un monastero dove morì verso l'anno 892. I greci ebbero in grande onore la sua memoria. Dalla fine del secolo 10º viene onorato in documenti ufficiali addirittura come maestro apostolico ed ecumenico e come santo” (Storia della Chiesa, II, § 93,1-4).  6. Lo scisma, come si vede, si è cominciato con strappi. Quando poi gli orientali si erano allontanati del tutto, hanno cercato di giustificare la loro condotta. È quello che succede spesso e può succedere anche oggi. Ti auguro ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera. Padre Angelo
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istanbulperitaliani · 4 years ago
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Palazzo Dolmabahçe
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Il palazzo Dolmabahçe é il palazzo più grande di Turchia dell’epoca ottomana. Ha una estensione di oltre 14mila m², 285 camere, 44 sale, 68 toilette e 6 hamam. Situato nel quartiere di Besiktaş nel luogo dove Maometto il Conquistatore aveva fatto ancorare le sue navi per iniziare la presa di Costantinopoli del 1453, il palazzo Dolmabahçe é stata la residenza degli ultimi sei sultani dell’Impero Ottomano.
Dolmabahçe significa “giardino colmato“ perché prima vi era una baia che viene colmata dal diciassettesimo secolo e successivamente convertita in giardino privato per i sultani. In questo luogo il sultano Abdülmecid I ordina la costruzione del palazzo i cui lavori durano 13 anni e che furono visionati dagli architetti armeni Garabet Amira e Nigoğos Balyan. Al termine, nel 1856, Abdülmecid I abbandona con la sua corte il Topkapı, la residenza che per 400 anni aveva ospitato i sultani dell’Impero Ottomano, trasferendosi nel sontuoso e moderno Dolmabahçe.
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Il palazzo é diviso in varie parti destinate a diversi scopi tra queste la parte riservata all’erede al trono, la torre dell’orologio, il Muayede Salonu (Grande Sala Cerimoniale), il Mabeyn-i Hümayun dove si svolgeva l’amministrazione dello stato e l’Harem che era l’area riservata esclusivamente alla famiglia del sultano.
Nella sua costruzione sono stati utilizzati gli stili architettonici europei del Barocco, Rococò e Neoclassico elaborati con la tradizione e la cultura ottomana conferendo sfarzo e lusso a tutti gli ambienti a partire dall’oro usato come elemento decorativo agli enormi lampadari di cristallo.
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Dopo la proclamazione della Repubblica turca, il primo Presidente della Turchia Mustafa Kemal Atatürk la usò, a intervalli, come residenza presidenziale morendovi il 10 Novembre del 1938. La stanza dove é morto il Padre della Patria della Turchia moderna é rimasta inalterata e sul suo letto é adagiato un copriletto ricamato con i colori della bandiera turca.
Naturalmente una visita merita anche l’adiacente moschea Dolmabahçe.
La mia Vita a Istanbul: consigli e informazioni turistiche. Disponibile come GUIDA per delle ESCURSIONI in città. Scrivi una e-mail a: [email protected] Seguici anche su www.facebook.com/istanbulperitaliani
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corallorosso · 6 years ago
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9 APRILE 1939, ETIOPIA QUELLA STRAGE FASCISTA The Magazine Italia Fucilati dopo la resa o avvelenati con i gas nella grotta dove si erano rifugiati. Mille morti, come minimo. Peggio di Marzabotto, perché non fu rappresaglia. Peggio di Srebrenica perché morirono anche donne, vecchi e bambini. Le prove di un efferato crimine italiano riemergono in Etiopia, 70 anni dopo la proclamazione dell’ impero, gettano luce sinistra su un conflitto che la nostra memoria ancora rimuove o traveste da scampagnata coloniale. Le ossa umane, nella grotta dell’ infamia, ancora avvolte da fosche leggende. Una carovana di «salmerie» dei partigiani di Abebè Aregai, leader del movimento di liberazione, si è rifugiata in una grotta dopo essere stata individuata dall’ aviazione italiana, e non accenna ad arrendersi pur essendo circondata da un numero soverchiante di uomini. La sproporzione è totale: le «salmerie» della resistenza etiope sono in prevalenza vecchi, donne e bambini, parenti degli uomini in armi, che garantiscono la cura dei feriti e il sostentamento dei partigiani alla macchia (ad Adua, mezzo secolo prima, dietro ai 100 mila combattenti c’ erano 80 mila persone di supporto). L’ ordine del Duce è perentorio: stroncare la ribellione che perdura sulle montagne a tre anni dall’ ingresso di Badoglio ad Addis Abeba. Ma stavolta stanare i ribelli è impossibile, così il 9 aprile la grotta viene attaccata con bombe a gas d’ arsina e con la micidiale iprite che devastò le trincee della Grande Guerra. L’ Italia ha firmato il bando internazionale di queste armi letali, ma ormai le usa in grande stile su autorizzazione di Mussolini. Nella grotta il «bombardamento speciale» – gli eufemismi sulle bombe intelligenti si inaugurarono allora – è portato a termine dal «plotone chimico» della divisione Granatieri di Savoia, da sempre ritenuta una delle più «nobili» delle nostre Forze Armate. La notte dopo, una quindicina di ribelli armati tenta una sortita e riesce a scappare. Molti cadaveri vengono gettati fuori dalla grotta. Gli altri muoiono avvelenati o si arrendono all’ alba del giorno 11. Ottocento persone, si legge nel documento, che il mattino stesso vengono fucilate, «d’ ordine del Governo Generale». Come dire del generale Ugo Cavallero o dello stesso Amedeo di Savoia, pure lui di nobile reputazione. Un massacro, contro ogni norma della convenzione di Ginevra. Ma non è finita. Dentro c’ è chi resiste ancora – uomini, donne e animali – e i nostri chiedono i lanciafiamme per «bonificare» l’ antro, ramificatissimo. I meticolosi telegrammi degli alti comandi sono istantanee dall’ inferno. «Si prevede che fetore cadaveri et carogne impediscano portare at termine esplorazione caverna che in questo sarà ostruita facendo brillare mine. Accertati finora 800 cadaveri, uccisi altri sei ribelli. Risparmiate altre 12 donne et 9 bambini. Rinvenuti 16 fucili, munizioni et varie armi bianche». La prevalenza di inermi disarmati tra i ribelli è ormai chiara.... Gli italiani, raccontano i figli e i nipoti di chi vide, calarono verso l’ imboccatura della grotta dei pesanti bidoni che poi furono fatti esplodere con i mortai. Era quasi certamente l’ iprite, il gas che corrode la pelle e brucia le pupille. E ancora: chi non fu fucilato, fu buttato nel burrone sotto la grotta. ...Il governatore della regione di Gondar, Alessandro Pirzio Biroli, di rinomata famiglia di esploratori, fece buttare i capitribù nelle acque del Lago Tana con un masso legato al collo. Achille Starace ammazzava i prigionieri di persona in un sadico tiro al bersaglio, e poiché non soffrivano abbastanza, prima li feriva con un colpo ai testicoli. Fu quella la nostra «missione civilizzatrice»? «Gli etiopi non hanno mai capito perché l’ Italia ha voluto quella guerra dopo innumerevoli trattati di pace, fratellanza e promesse di coesistenza pacifica» va giù duro il professor Abebe Brehanu, uno dei massimi storici di Addis Abeba. «E che sia chiaro – insiste – la vostra non fu una colonizzazione, ma una semplice invasione, contro tutti i trattati internazionali. Un atto di illegalità totale di cui ci chiediamo ancora il senso».
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aneddoticamagazinestuff · 7 years ago
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BREVE CORSO DI STORIA ROMANA
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BREVE CORSO DI STORIA ROMANA
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IL SECONDO SECOLO A.C. parte quinta
Il II secolo a.C. è un secolo cruciale sia per la Storia romana che per quella del mondo occidentale, 2018 compreso. Conviene procedere per settori.
1. Politica estera. Roma intraprende una serie di guerre, che la portano ad estendere il suo dominio, diretto o indiretto, su tutte le regioni rivierasche del Mediterraneo. Sconfigge Filippo V di Macedonia e poi suo figlio, e, smentendo la solenne proclamazione dell’indipendenza greca fatta dal console Tito Quinzio Flaminino a Corinto, sottomette tutta l’area greca, riducendola a provincia, chiamandola Acaia, con la sola eccezione formale di Atene, in omaggio alla sua storia ed alla sua cultura. Infligge una dura sconfitta ad Antioco III di Siria, e crea un’altra provincia denominata Asia. Distrugge Cartagine con la terza guerra punica (vedi oltre), e crea la provincia d’Africa nel nord del continente. Attacca e distrugge Numanzia, sottomettendo l’Iberia e la Lusitania, creando alcune province in Spagna. Tutto il nord Italia era stato sottomesso prima dell’arrivo di Annibale, ed anche Marsiglia -. antica colonia greca – entra a far parte del sistema provinciale romano, ed il nome moderno ne porta evidente traccia (Provenza). N.B.: per provincia si intende un territorio fuori dell’Italia, al quale si lascia larga autonomia amministrativa ed il diritto di vivere secondo i propri costumi e tradizioni, rinunciando alla politica estera (ceduta ai romani) ed a farsi delle forze armate autonome. In cambio accetta la presenza e l’autorità di un governatore designato da Roma, che solitamente diviene ricco sfondato. Però per i provinciali i vantaggi erano molti: i romani si occupavano della sicurezza regionale, perseguendo banditi da strada e pirati (famoso un rastrellamento del mare a pettine stretto operato da Pompeo, con impiccagioni in gran quantità di pirati); costruivano strade per tutto il territorio dell’impero, e strade e sicurezza nei viaggi erano alquanto gradite al ceto più prestigioso già diffuso in oriente dopo Alessandro Magno in particolare, quello dei mercanti e degli affaristi; dotavano le città di porti teatri fori anfiteatri acquedotti circhi (strepitose le rovine romane di Baalbek in Siria, a Palmira, a Leptis Magna in Libia e nella stessa Cartagine); realizzavano numerose saline in tutto il territorio dell’impero, ed il sale era materiale prezioso (si pensi al vocabolo salario) per il nutrimento e per la conservazione degli alimenti. Insomma i provinciali si vedevano trattati non diversamente dagli italici e dai romani stessi. Dunque la Pax romana comportava enormi vantaggi agli abitanti dell’impero. Il re Attalo III di Pergamo, piccolo ma prestigioso regno dell’Asia Minore (si pensi alla famosa ara, oggi al Pergamon museum di Berlino), morendo lasciò il suo regno in eredità al popolo romano, ed a Roma arrivò una quantità enorme di ricchezza. Pareva allora che si realizzasse il sogno coltivato nei secoli precedenti, che noi chiameremmo globalizzazione, e pareva una realtà grazie ad Alessandro: un unico immenso Paese, in cui si parlava inglese (greco).
2. Politica interna. A fronteggiarsi, per il dominio politico di tutto ciò, erano due fazioni, entrambe di collocazione patrizia: i tradizionalisti (conservatori), che avevano in Catone il censore l’elemento di punta, fautori di uno sviluppo economico centrato sull’agricoltura ed il possesso delle terre, ostili all’arricchimento tramite il commercio e l’attività monetaria; ed i fautori del cambiamento, con gli Scipioni in primis, favorevoli ad una politica imperialistica di conquiste, che nel mercato e nei traffici valutari vedevano la scelta da operare per la città. Non si impegnavano di solito direttamente in tali attività, considerate poco dignitose, ma sostenevano le ragioni di mercanti ed agenti monetari, ricevendone a loro volta appoggi materiali ed elettorali per l’ascesa politica, che voleva dire potere e ricchezza. Catone, constatando che Cartagine a dispetto del mostruoso conto pagato a Roma come indennizzo della guerra annibalica s’era ripresa alla grande, non cessava mai di ripetere “Carthago delenda” (Cartagine è da distruggere). Ed alla fine fu accontentato, Cartagine fu distrutta, ma a compiere l’impresa fu mandato Publio Cornelio Scipione Emiliano, nipote adottivo del vincitore su Annibale, detto quindi Africano Minore, minore in quanto più giovane dell’altro. In questa temperie storica sociale e politica spiccano tre provvedimenti di legge: 1. Il senatus consultum de bacchanalibus, con cui si faceva divieto di culto dionisiaco, all’interno del territorio italico, culto ammesso per la disperazione al tempo dell’attacco di Annibale: la religione doveva restare sotto il controllo del senato; 2. Abrogazione della legge Oppia: sempre al tempo di Annibale in Italia, su iniziativa del tribuno della plebe Oppio si erano stabiliti limiti stretti e severi per il lusso femminile: le ricchezze dovevano essere destinate a fronteggiare il pericolo punico. Finito il pericolo, le donne, chiaramente sobillate dagli speculatori, si scatenarono in manifestazioni pubbliche, che fecero disperare Catone, ma portarono all’abrogazione della legge. 3. Fu abolita la schiavitù per debiti per i cittadini di Roma, ormai giunta a livelli intollerabili.
3. Scipione Emiliano. Figlio adottivo del figlio dell’Africano Maggiore, ebbe come precettore Polibio, il più importante storiografo greco del tempo, e fu educato alla greca. La sua casa divenne centro di diffusione e di irradiazione dell’ammodernamento della cultura latina. Orazio dirà: “Graecia capta cepit ferum victorem, et artes intulit agresti Latio” (la Grecia conquistata conquistò il rozzo vincitore, ed importò le arti nel contadino Lazio). Le famiglie abbienti compravano uno schiavo greco istruito, perché facesse da precettore ai loro figli, o li mandavano a scuola a pagamento. Raggiunta l’età adulta, andavano in Grecia a fare l’”università” presso retori e filosofi prestigiosi. Loro, che erano stupidi tanto da fondare un impero che per certi e numerosi aspetti ancora dura, non pensavano alla cervellotica ed anti popolare “buona scuola”, né tanto meno alla farneticante esperienza scuola lavoro. Volevano che i figli esercitassero le facoltà logiche, che poi avrebbero aperto loro tutte le strade. Del “circolo degli Scipioni” fece parte il meglio degli intellettuali del tempo, greci (Posidonio, Panezio, Polibio), e romani (Lucilio, Terenzio, Ennio), che diedero alla cultura romana una energica sterzata in direzione della cultura ellenistica (cultura greca post Alessandro). Ma non furono abbandonate le forme tradizionali, specie nel teatro, dove persistettero a livello popolare la atellana (farsa italica, senza copione e con le maschere fisse) ed il mimo. Iniziò allora con loro quel modo di porsi davanti ad un foglio o alla tastiera, che ci induce a scrivere in maniera diversa rispetto a quando parliamo, fin dai pensierini delle elementari. Ma plebe e patriziato iniziarono a parlare due lingue diverse.
4. E il populus? Nell’Italia peninsulare furono fondate alcune colonie (dal verbo còlere, coltivare) in porzioni di territorio sottratte ai nemici vinti e confluite nell’ager publicus. Questo veniva distribuito ai plebei, specie se veterani militari, per avere una presenza potenzialmente armata in loco, e per dare sfogo alla popolazione romana in continua crescita. Ma le continue guerre, a cui si aveva il diritto/dovere di partecipare, rendevano difficile il lavoro nei campi, che non ammette intervalli. Inoltre dall’oriente, per iniziativa dei mercanti, romani e non, arrivavano prodotti agricoli in grande abbondanza e con prezzi altamente concorrenziali con il prodotto italico. Fu inevitabile che molti cedessero il possesso del loro podere a chi aveva denaro da spendere, e si trasferissero in città, specialmente a Roma. Si combinarono così due fenomeni sociali ed economici deleteri, il latifondismo e l’urbanesimo. I latifondisti a loro volta peggiorarono la situazione con l’immissione senza limiti di mano d’opera servile (schiavi), prigionieri di guerra e frutto dei mercati di schiavi diffusi in oriente. Era la loro maniera di delocalizzare. Ricordo che la schiavitù è la proprietà di un uomo verso un altro uomo, come con un cane o un mulo, è privata, e fu inventata dai coltivatori della vite nell’isola greca di Chio nell’VIII secolo a.C.
5. Un jobs act ante litteram. Cosa facevano a Roma le masse di plebei nullatenenti? Alloggiavano in case fatiscenti, dette insulae, uno due piani in muratura e due tre di legno (frequenti gli incendi, essendo molto stretti i vicoli), in condizioni igieniche deprecabili, clientes al servizio del buon cuore e delle necessità del patronus, il notabile che viveva nella sontuosa domus patrizia. Oggi e domani lavori, quindi mangi, dopo domani non si sa.
6. Tiberio e Caio Gracco. La dipendenza economica di larghi strati plebei privava della necessaria dignità moltissimi cittadini romani: masse sempre più cospicue di diseredati e bisognosi da una parte, e dall’altra gruppi sempre più ristretti di famiglie ed individui vergognosamente ricchi. L’unità cittadina e l’equilibrio dei poteri, che avevano consentito a Roma di divenire ROMA, iniziavano ad incrinarsi ed a mandare i primi sinistri scricchiolii. Tra base popolare e vertice dirigenziale comincia a formarsi quel solco, approfonditosi nei secoli a venire, per cui il Populus di sPqr sentirà il potere sempre più lontano e sempre meno autorevole e rappresentativo. Arriveranno le invasioni, tra l’indifferenza della gente. Un pò come sta capitando oggi in Italia e non solo. Soltanto la formidabile tempra della struttura dello Stato romano e la micidiale efficienza delle forze armate riuscirono a ritardare l’epilogo del tramonto, insieme ad uno strumento di ineguagliabile capacità formativa, la lingua latina, la più vicina alla logica ferrea dell’informatica odierna. Restituire autonomia ed indipendenza economica, e quindi DIGNITA’ CON IL PROPRIO LAVORO ai plebei fu l’obiettivo strategico dei fratelli Gracchi, nipoti carnali di Scipione l’Africano Maggiore. Tiberio ebbe a dire: “Ecco i romani: sono padroni del mondo, ma non hanno un metro di terra dove farsi seppellire!”. Gli era ben chiaro il fattore economico della disuguaglianza e dell’ingiustizia sociali, nonché della piega presa dalla politica romana, sempre più incline verso la ricerca dell’Uomo della Provvidenza. I due fratelli Gracchi finirono uccisi, Tiberio addirittura a colpi di sgabello. E gli artefici del misfatto non potevano sospettare che il loro delitto stava aprendo la strada ad un secolo tondo tondo di torbidi, guerre civili, liste di proscrizione, confische, un secolo violento che per sfinimento porterà a desiderare l’avvento di un individuo prodigioso, capace di riportare la pace in terra. Tiberio morì nel 133, ed Augusto chiuse le guerre civili un secolo abbondante dopo, nel 31 a.C. (battaglia di Azio). Ma chiuse anche definitivamente la storia gloriosa della Repubblica democratica di Roma.
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italianiinguerra · 4 years ago
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9 maggio 1936, il discorso di proclamazione dell'Impero
9 maggio 1936, il discorso di proclamazione dell’Impero
Il 9 maggio 1936, alle ore 22.30, il Duce Benito Mussolini pochi giorni  dopo aver annunciato la vittoria nella guerra d’Etiopia, dal balcone di Palazzo Venezia proclamava: “L’Italia ha finalmente il suo Impero.” Questo è il filmato di quel giorno, forse il giorno di massimo consenso per Mussolini e il regime Questo il testo integrale del discorso in cui si annunciava l’annessione dei…
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italianiinguerra · 3 years ago
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9 maggio 1936, l’Italia ha finalmente il suo Impero
9 maggio 1936, l’Italia ha finalmente il suo Impero
Il 9 maggio 1936, alle ore 22.30, il Duce Benito Mussolini pochi giorni dopo aver annunciato la vittoria nella guerra d’Etiopia, dal balcone di Palazzo Venezia proclamava: “L’Italia ha finalmente il suo Impero.” Questo è il filmato di quel giorno, forse il giorno di massimo consenso per Mussolini e il regime. Chi volesse leggere il testo integrale del discorso in cui si annunciava l’annessione…
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italianiinguerra · 5 years ago
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9 maggio 1936, Discorso di proclamazione dell'Impero - Vittorio Emanuele III proclamato Imperatore d'Etiopia
9 maggio 1936, Discorso di proclamazione dell’Impero – Vittorio Emanuele III proclamato Imperatore d’Etiopia
Il 9 maggio 1936, alle ore 22.30, il Duce Benito Mussolini pochi giorni  dopo aver annunciato la vittoria nella guerra d’Etiopia, dal balcone di Palazzo Venezia proclamava:
“L’Italia ha finalmente il suo Impero.”
Questo il testo integrale del discorso in cui si annunciava l’annessione dei territori dell’Impero d’Etiopia al Regno d’Italia e la proclamazione di Vittorio Emanuele III Re d’Italia e…
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aneddoticamagazinestuff · 7 years ago
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BREVE CORSO DI STORIA ROMANA
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BREVE CORSO DI STORIA ROMANA
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IL SECONDO SECOLO A.C. parte quinta
Il II secolo a.C. è un secolo cruciale sia per la Storia romana che per quella del mondo occidentale, 2018 compreso. Conviene procedere per settori.
1. Politica estera. Roma intraprende una serie di guerre, che la portano ad estendere il suo dominio, diretto o indiretto, su tutte le regioni rivierasche del Mediterraneo. Sconfigge Filippo V di Macedonia e poi suo figlio, e, smentendo la solenne proclamazione dell’indipendenza greca fatta dal console Tito Quinzio Flaminino a Corinto, sottomette tutta l’area greca, riducendola a provincia, chiamandola Acaia, con la sola eccezione formale di Atene, in omaggio alla sua storia ed alla sua cultura. Infligge una dura sconfitta ad Antioco III di Siria, e crea un’altra provincia denominata Asia. Distrugge Cartagine con la terza guerra punica (vedi oltre), e crea la provincia d’Africa nel nord del continente. Attacca e distrugge Numanzia, sottomettendo l’Iberia e la Lusitania, creando alcune province in Spagna. Tutto il nord Italia era stato sottomesso prima dell’arrivo di Annibale, ed anche Marsiglia -. antica colonia greca – entra a far parte del sistema provinciale romano, ed il nome moderno ne porta evidente traccia (Provenza). N.B.: per provincia si intende un territorio fuori dell’Italia, al quale si lascia larga autonomia amministrativa ed il diritto di vivere secondo i propri costumi e tradizioni, rinunciando alla politica estera (ceduta ai romani) ed a farsi delle forze armate autonome. In cambio accetta la presenza e l’autorità di un governatore designato da Roma, che solitamente diviene ricco sfondato. Però per i provinciali i vantaggi erano molti: i romani si occupavano della sicurezza regionale, perseguendo banditi da strada e pirati (famoso un rastrellamento del mare a pettine stretto operato da Pompeo, con impiccagioni in gran quantità di pirati); costruivano strade per tutto il territorio dell’impero, e strade e sicurezza nei viaggi erano alquanto gradite al ceto più prestigioso già diffuso in oriente dopo Alessandro Magno in particolare, quello dei mercanti e degli affaristi; dotavano le città di porti teatri fori anfiteatri acquedotti circhi (strepitose le rovine romane di Baalbek in Siria, a Palmira, a Leptis Magna in Libia e nella stessa Cartagine); realizzavano numerose saline in tutto il territorio dell’impero, ed il sale era materiale prezioso (si pensi al vocabolo salario) per il nutrimento e per la conservazione degli alimenti. Insomma i provinciali si vedevano trattati non diversamente dagli italici e dai romani stessi. Dunque la Pax romana comportava enormi vantaggi agli abitanti dell’impero. Il re Attalo III di Pergamo, piccolo ma prestigioso regno dell’Asia Minore (si pensi alla famosa ara, oggi al Pergamon museum di Berlino), morendo lasciò il suo regno in eredità al popolo romano, ed a Roma arrivò una quantità enorme di ricchezza. Pareva allora che si realizzasse il sogno coltivato nei secoli precedenti, che noi chiameremmo globalizzazione, e pareva una realtà grazie ad Alessandro: un unico immenso Paese, in cui si parlava inglese (greco).
2. Politica interna. A fronteggiarsi, per il dominio politico di tutto ciò, erano due fazioni, entrambe di collocazione patrizia: i tradizionalisti (conservatori), che avevano in Catone il censore l’elemento di punta, fautori di uno sviluppo economico centrato sull’agricoltura ed il possesso delle terre, ostili all’arricchimento tramite il commercio e l’attività monetaria; ed i fautori del cambiamento, con gli Scipioni in primis, favorevoli ad una politica imperialistica di conquiste, che nel mercato e nei traffici valutari vedevano la scelta da operare per la città. Non si impegnavano di solito direttamente in tali attività, considerate poco dignitose, ma sostenevano le ragioni di mercanti ed agenti monetari, ricevendone a loro volta appoggi materiali ed elettorali per l’ascesa politica, che voleva dire potere e ricchezza. Catone, constatando che Cartagine a dispetto del mostruoso conto pagato a Roma come indennizzo della guerra annibalica s’era ripresa alla grande, non cessava mai di ripetere “Carthago delenda” (Cartagine è da distruggere). Ed alla fine fu accontentato, Cartagine fu distrutta, ma a compiere l’impresa fu mandato Publio Cornelio Scipione Emiliano, nipote adottivo del vincitore su Annibale, detto quindi Africano Minore, minore in quanto più giovane dell’altro. In questa temperie storica sociale e politica spiccano tre provvedimenti di legge: 1. Il senatus consultum de bacchanalibus, con cui si faceva divieto di culto dionisiaco, all’interno del territorio italico, culto ammesso per la disperazione al tempo dell’attacco di Annibale: la religione doveva restare sotto il controllo del senato; 2. Abrogazione della legge Oppia: sempre al tempo di Annibale in Italia, su iniziativa del tribuno della plebe Oppio si erano stabiliti limiti stretti e severi per il lusso femminile: le ricchezze dovevano essere destinate a fronteggiare il pericolo punico. Finito il pericolo, le donne, chiaramente sobillate dagli speculatori, si scatenarono in manifestazioni pubbliche, che fecero disperare Catone, ma portarono all’abrogazione della legge. 3. Fu abolita la schiavitù per debiti per i cittadini di Roma, ormai giunta a livelli intollerabili.
3. Scipione Emiliano. Figlio adottivo del figlio dell’Africano Maggiore, ebbe come precettore Polibio, il più importante storiografo greco del tempo, e fu educato alla greca. La sua casa divenne centro di diffusione e di irradiazione dell’ammodernamento della cultura latina. Orazio dirà: “Graecia capta cepit ferum victorem, et artes intulit agresti Latio” (la Grecia conquistata conquistò il rozzo vincitore, ed importò le arti nel contadino Lazio). Le famiglie abbienti compravano uno schiavo greco istruito, perché facesse da precettore ai loro figli, o li mandavano a scuola a pagamento. Raggiunta l’età adulta, andavano in Grecia a fare l’”università” presso retori e filosofi prestigiosi. Loro, che erano stupidi tanto da fondare un impero che per certi e numerosi aspetti ancora dura, non pensavano alla cervellotica ed anti popolare “buona scuola”, né tanto meno alla farneticante esperienza scuola lavoro. Volevano che i figli esercitassero le facoltà logiche, che poi avrebbero aperto loro tutte le strade. Del “circolo degli Scipioni” fece parte il meglio degli intellettuali del tempo, greci (Posidonio, Panezio, Polibio), e romani (Lucilio, Terenzio, Ennio), che diedero alla cultura romana una energica sterzata in direzione della cultura ellenistica (cultura greca post Alessandro). Ma non furono abbandonate le forme tradizionali, specie nel teatro, dove persistettero a livello popolare la atellana (farsa italica, senza copione e con le maschere fisse) ed il mimo. Iniziò allora con loro quel modo di porsi davanti ad un foglio o alla tastiera, che ci induce a scrivere in maniera diversa rispetto a quando parliamo, fin dai pensierini delle elementari. Ma plebe e patriziato iniziarono a parlare due lingue diverse.
4. E il populus? Nell’Italia peninsulare furono fondate alcune colonie (dal verbo còlere, coltivare) in porzioni di territorio sottratte ai nemici vinti e confluite nell’ager publicus. Questo veniva distribuito ai plebei, specie se veterani militari, per avere una presenza potenzialmente armata in loco, e per dare sfogo alla popolazione romana in continua crescita. Ma le continue guerre, a cui si aveva il diritto/dovere di partecipare, rendevano difficile il lavoro nei campi, che non ammette intervalli. Inoltre dall’oriente, per iniziativa dei mercanti, romani e non, arrivavano prodotti agricoli in grande abbondanza e con prezzi altamente concorrenziali con il prodotto italico. Fu inevitabile che molti cedessero il possesso del loro podere a chi aveva denaro da spendere, e si trasferissero in città, specialmente a Roma. Si combinarono così due fenomeni sociali ed economici deleteri, il latifondismo e l’urbanesimo. I latifondisti a loro volta peggiorarono la situazione con l’immissione senza limiti di mano d’opera servile (schiavi), prigionieri di guerra e frutto dei mercati di schiavi diffusi in oriente. Era la loro maniera di delocalizzare. Ricordo che la schiavitù è la proprietà di un uomo verso un altro uomo, come con un cane o un mulo, è privata, e fu inventata dai coltivatori della vite nell’isola greca di Chio nell’VIII secolo a.C.
5. Un jobs act ante litteram. Cosa facevano a Roma le masse di plebei nullatenenti? Alloggiavano in case fatiscenti, dette insulae, uno due piani in muratura e due tre di legno (frequenti gli incendi, essendo molto stretti i vicoli), in condizioni igieniche deprecabili, clientes al servizio del buon cuore e delle necessità del patronus, il notabile che viveva nella sontuosa domus patrizia. Oggi e domani lavori, quindi mangi, dopo domani non si sa.
6. Tiberio e Caio Gracco. La dipendenza economica di larghi strati plebei privava della necessaria dignità moltissimi cittadini romani: masse sempre più cospicue di diseredati e bisognosi da una parte, e dall’altra gruppi sempre più ristretti di famiglie ed individui vergognosamente ricchi. L’unità cittadina e l’equilibrio dei poteri, che avevano consentito a Roma di divenire ROMA, iniziavano ad incrinarsi ed a mandare i primi sinistri scricchiolii. Tra base popolare e vertice dirigenziale comincia a formarsi quel solco, approfonditosi nei secoli a venire, per cui il Populus di sPqr sentirà il potere sempre più lontano e sempre meno autorevole e rappresentativo. Arriveranno le invasioni, tra l’indifferenza della gente. Un pò come sta capitando oggi in Italia e non solo. Soltanto la formidabile tempra della struttura dello Stato romano e la micidiale efficienza delle forze armate riuscirono a ritardare l’epilogo del tramonto, insieme ad uno strumento di ineguagliabile capacità formativa, la lingua latina, la più vicina alla logica ferrea dell’informatica odierna. Restituire autonomia ed indipendenza economica, e quindi DIGNITA’ CON IL PROPRIO LAVORO ai plebei fu l’obiettivo strategico dei fratelli Gracchi, nipoti carnali di Scipione l’Africano Maggiore. Tiberio ebbe a dire: “Ecco i romani: sono padroni del mondo, ma non hanno un metro di terra dove farsi seppellire!”. Gli era ben chiaro il fattore economico della disuguaglianza e dell’ingiustizia sociali, nonché della piega presa dalla politica romana, sempre più incline verso la ricerca dell’Uomo della Provvidenza. I due fratelli Gracchi finirono uccisi, Tiberio addirittura a colpi di sgabello. E gli artefici del misfatto non potevano sospettare che il loro delitto stava aprendo la strada ad un secolo tondo tondo di torbidi, guerre civili, liste di proscrizione, confische, un secolo violento che per sfinimento porterà a desiderare l’avvento di un individuo prodigioso, capace di riportare la pace in terra. Tiberio morì nel 133, ed Augusto chiuse le guerre civili un secolo abbondante dopo, nel 31 a.C. (battaglia di Azio). Ma chiuse anche definitivamente la storia gloriosa della Repubblica democratica di Roma.
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