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A proposito della 3° Stagione di "Superman & Lois" - Il Tè Giuridico & Culturale ... Il diritto in 3 minuti, il tempo di infusione di un buon tè e tanto altro ancora 🍵😉 Blog personale di Buffelli Antonio Placido
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Omaggiando Akira Toriyama - Il Tè Giuridico & Culturale ... Il diritto in 3 minuti, il tempo di infusione di un buon tè e tanto altro ancora 🍵😉 Blog personale di Buffelli Antonio Placido
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Nardò, due pergamene certamente (una addirittura, una bolla papale), due scultori forse, anzi, decisamente no!
di Armando Polito
Dopo le ultime “creazioni” di Christo e di Cattelan il lettore si chiederà, letto il chilometrico titolo che farebbe invidia a tanti titoli che si leggono nei libri a stampa dei secoli scorsi, quali saranno mai questi scultori prima annunziati e subito dopo schizofrenicamente rinnegati alle prese con pergamene. Anche se avessero rimediato gli onori della cronaca, avrei perso il mio tempo con loro solo per un liberatorio sfogo intriso di sarcasmo. La questione, invece, è stata, almeno all’inizio, maledettamente seria e ci porterà, comunque, a ritroso nel tempo per più di quattro secoli.
Comincio col presentare la bolla, non di sapone né finanziaria …, cioé quella con cui papa Gregorio XIII sancì l’elezione di Cesare Bovio1 a vescovo di Nardò il 15 aprile 1577.
Riproduco la pergamena, che è custodita nell’archivio della curia vescovile di Nardò, da http://www.sapuglia.it/Schedatura/Pergamene/iviewer/viewer/viewer.php?id_perg=7780&offset=0, aggiungendo di mio la trascrizione (le abbreviazioni sciolte in parentesi tonde, le lacune integrate2 nelle quadre), la traduzione e le dovute note.
Gregorius ep(iscopu)s servus servo(rum) Dei Dilecto filio Cesari Electo Neritonen(si) Sal(u)t(em) et A [p(osto)licam) Ben(edictionem)].
Apostolatus officium meritis licet imparibus nobis ex alto commissum quo ecclesiarum omnium regimini divina dispositione presidemus utiliter exequi coa[diuvante Domi]no cupientes soliciti corde reddimur et solertes ut cum de Ecclesiarum ipsarum regiminibus agitur committendis tales eis in Pastores preficere studeamus, qui [Populum] sue cure creditum sciant non solum doctrina verbi, sed etiam exemplo boni operis informare commissasque sibi ecclesias in statu pacifico et tranquillo velint et [valeant], auctore Domino salubriter regere et feliciter gubernare Dudum siquidem provisiones Ecclesiarum omnium tunc vacantium et in posterum vacaturarum ordinationi et disp[ositioni nostre] reservavimus decernentes ex tunc irritum et inane, si secus super his per quoscumque quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigeret attentari. Et deinde ecclesia N[eritonensis auctoritati] apostolice immediate subiecta cui bone memorie Ambrosius Episcopus Neritonensis dum viveret presidebat per obitum dicti Ambrosii Episcopi qui extra Romanam Curiam de[bitum] persolvit pastoris solatio destituta Nos vacatione huiusmodi fide dignis relationibus intellecta ad provisionem eiusdem ecclesie celerem et felicem de qua nullus preter [nos hac] vice se intromittere potuit sive potest reservatione et decreto et sistentibus supradictis ne ecclesia ipsa longe vacationis exponatur incommodis paternis et solicitis [studiis] intendentes post deliberationem quam de preficiendo eidem ecclesie personam utilem et etiam fructuosam cum fratribus nostris habuimus diligentem demum ad te Rectorem [ecclesie] beate Marie Virginis Assumptionis nuncupate Licien(sis) in presbiteratus ordinem constitutum et ex civitate Bononien(si) oriundum cui apud Nos de literarum scientia vite munditia honestate morum spiritualium providentia et temporalium circumspectione aliisque multiplicium virtutum donis fide digna testimonia perhibentur direximus oculos nostre mentis. Quibus omnibus debita meditatione pensatis de persona tua nobis et eisdem fratribus ob tuorum exigentiam meritorum accepta eidem ecclesie Neritonen(si) de ipsorum fratrum consilio Apostolica auctoritate providemus teque illi in Episcopum preficimus et pastorem curam et administrationem ipsius ecclesie Neritonen(sis) tibi in spiritualibus et temporalibus plenarie committendo in illo qui dat gratias et largitur premia confidentes quod dirigente Domino actus tuos prefata ecclesia Neritonen(sis) per tue diligentie laudabile studium regetur utiliter et prospere dirigetur ac grata in eisdem spiritualibus et temporalibus suscipiet incrementa. Iugum igitur Domini tuis impositum humeris prompta devotione suscipiens curam et administrationem predictas sic exercere studeas solicite fideliter et prudenter quod ecclesia ipsa Neritonen(sis) Gubernatori provido et fructuoso Administratori gaudeat se com(m)issam. Tuque preter eterne retributionis premium benivolentiam nostram et nostre sedis benedictionem et gratiam exinde uberius consequi merearis. Volumus autem quod antequam possessionem seu quasi regiminis et administrationis dicte ecclesie Neritonen(sis) vel illius bonorum aut maioris partis eorum assequaris seu in illis te immisceas fidem catholicam iuxta articulos pridem ab eadem sede propositos iuxta formam quam [sub b]ulla nostra mittimus introclusam in manibus venerabilium fratrum nostrorum Archiepiscopi Idruntusin(ensis) et Episcopi Castren(sis) seu alterius eorum quibus et eorum cuilibet per alias nostras literas man[dam]us quatenus ipsi vel eorum alter professionem a te recipiant seu recipiat antedictam omnino profiteri et facte huiusmodi professionis fidei formam in scriptis tuo sub sigillo per proprium [n]uncium ad sedem autem quantocitius destinare tenearis alioquin provisio et prefectio huiusmodi nulle sint. Datum Rome apud Sanctumpetrum Anno incarnationis dom[inic]e millesimoquingentesimoseptuagesimoseptimo decimo septimo (ante) Calendas Maii nostri pontificatus anno [quin]to.
Da notare che nella prima linea le iniziali G di Gregorius, D di dilectus, C di Cesari, E di Electo, N di Neritonen(sis), la S di Sal(u)tem hanno l’estetica dei capilettera imitanti le miniature medioevali; inoltre, in modo meno appariscente, delle linee verticali uniscono al capolettera la s di servus e di servorum, la l di dilecto, la f di filio, la s di Cesari e la l di Electo.
Ecco la traduzione:
Gregorio vescovo servo dei servi di Dio al diletto figlio Cesare eletto a Nardò (rivolge) il saluto e l’apostolica benedizione.
Desiderando che l’ufficio dell’apostolato a noi affidato dall’alto pur con impari meriti, con il quale per divina disposizione presiediamo al governo di tutte le chiese, sia eseguito utilmente con l’aiuto di Dio siamo resi solleciti nel cuore e solerti affinché, quando si tratta di affidare Il governo delle stesse chiese, curiamo di dare l’incarico di presiederle a pastori tali che credano che il popolo sia stato affidato alla loro cura non solo per l’insegnamento della parola (di Dio) ma anche vogliano e valgano con l’esempio della buona azione educare e con l’aiuto di Dio reggere e felicemente governare in uno stato pacifico e tranquillo li chiese a loro affidate. Da tempo poiché abbiamo riservato al nostro governo e comando la cura di tutte le chiese allora vacanti e in seguito destinate ad esserlo giudicando da allora nullo o inutile se diversamente su queste cose toccasse di transigere da chiunque con qualsiasi autorità consapevolmente o inconsapevolmente e di conseguenza la chiesa di Nardò, immediatamente soggetta all’autorità apostolica, alla quale presiedeva finché era in vita il vescovo di Nardò Ambrogio di buona memoria priva di conforto per la morte del detto vescovo Ambrogio che fuori della curia romana assolse al dovere di pastore, Noi per una sospensione di questo tipo compresa mediante relazioni degne di fede per una cura celere e felice della medesima chiesa circa la quale nessuno eccetto noi questa volta potè o può intromettersi con riserva o decreto e stanti le cose prima dette intendendo che la stessa chiesa non sia esposta lungamente agli inconvenienti della sospensione dopo la diligente deliberazione che abbiamo avuto con i nostri fratelli sul preporre alla medesima chiesa persona utile e anche fruttuosa alla fine abbiamo diretto gli occhi della nostra mente a te rettore della chiesa leccese chiamata della Beata Vergine dell’Assunzione post nell’ordine dei presbiteri e oriundo della città di Bologna, dal quale sono offerte a noi testimonianze degne di fede sulla conoscenza delle lettere, la purezza di vita, l’onestà dei costumi, la prudenza delle cose spirituali e l’avvedutezza di quelle materiali e altri doni di molteplici virtù. Meditate con la dovuta profondità tutte queste cose, circa la tua persona gradita a noi ed ai medesimi fratelli per esigenza dei tuli meriti provvediamo con apostolica autorità su decisione degli stessi fratelli alla chiesa di Nardò e ti eleviamo a capo di quella e a pastore affidando plenariamente a te la cura e l’amministrazione della stessa chiesa di Nardò nelle cose spirituali e temporali in (nome di) colui che dà le grazie e largisce i premi confidando che dirigendo il Signore le tue azioni la predetta chiesa di Nardò grazie al lodevole impegno della tua diligenza sarà retta utilmente e prosperamente diretta e conseguirà graditi progressi nelle cose spirituali e temporali. Accettando dunque con pronta devozione il giogo del Signore posto sulle tue spalle impegnati ad esercitare la cura e l’amministrazione predette così sollecitamente, fedelmente e prudentemente che la stessa chiesa di Nardò goda di essere stata affidata ad un governatore provvido e fruttuoso. E tu possa meritare oltre al premio dell’eterna ricompensa la nostra benevolenza e la benedizione della nostra sede e di conseguire più abbondantemente da questo gratitudine. Vogliamo poi che prima che tu consegua il predetto possesso sia quasi di governo e amministrazione della detta chiesa di Nardò o dei suoi beni o della loro maggior parte, o che in essi ti immetta, che tu faccia aperta dichiarazione di fede cattolica secondo la forma che sotto la nostra bolla mandiamo chiusa nelle mani dei venerabili nostri fratelli l’Arcivescovo di Otranto ed il vescovo di Castro o di uno di loro. Ad essi ed a ciascuno di loro per altre nostre lettere diamo l’incarico che essi o uno di loro ricevano o riceva da te la dichiarazione di fede, che tu sia tenuto a fare in tutto la predetta professione e a far pervenire quanto più presto possibile a questa sede per iscritto la forma di professione di fede di tal genere fatta sotto il tuo sigillo tramite proprio messaggero, che in caso contrario il provvedimento e la nomina a capo di tal fatta siano nulli. Emesso a Roma presso San Pietro nell’anno dell’incarnazione del Signore 1577 il 15 aprile, del nostro pontificato anno quinto.
La bolla in calce mostra ben cinque scritture spurie, cioè estranee al testo ma aggiunte senz’altro subito dopo la sua stesura. Riproduco in dettaglio ingrandito quella che ci interessa.
Leggo più o meno agevolmente Franc(iscu)s Bellottus p(ro) Mag(istr)is.
La traduzione sarebbe: Francesco Bellotto per i maestri. Credo che il riferimento sia ai magistri plumbi (alla lettera maestri del piombo), cioè a coloro che realizzavano il sigillo, della cui presenza la bolla oggi presenta solo tracce, com’è detto nella scheda di catalogazione che l’accompagna. Ciò che, però, a prima vista fa sobbalzare, a patto di averlo sentito nominare, è Francesco Bellotto, cioè il nome di uno scultore neritino del secolo XVI3.
E, tenendo conto che di lui ben poco si sa, uno sobbalza credendo di averne rinvenuto, addirittura, la firma e giunge pure a supporre che nella realizzazione del sigillo di Gregorio XIII ci sia il suo zampino. Poi comincia a riflettere ed a nutrire qualche dubbio, a cominciare dal fatto che a livello cronologico siamo proprio al limite. Un controllo effettuato sulle altre cinque bolle di Gregorio XIII conservate nel detto archivio ha fatto rilevare la presenza della firma del Bellotto in due altre bolle, sempre del 15/4/1577. Nella prima (il papa assolve Cesare Bovio da ogni censura o pena ecclesiastica in cui sia eventualmente finora incorso):
Nella seconda (il papa dispensa Cesare Bovio dalla rinunzia alle cariche e ai beni che teneva a vita prima della sua elezione, concedendogli, cioè, di conservare la chiesa di S. Maria dell’Assunzione di Lecce, de iure patronatus di D. Filippo De Matteis, la chiesa di S. Andrea dell ‘Isola e quella di S. Maria de Formellis, di Brindisi:
Nel corso di questo controllo, poi, è avvenuto qualcosa che da un lato ha definitivamente messo da parte il sospetto di aver fatto una scoperta, se non eccezionale (!), quanto meno interessante (tanto più, come ho detto, che del Bellotto sia sa poco o niente), dall’altra di prendere una madornale cantonata con un’ipotesi abbastanza evanescente, seppur suggestiva.
In calce ad un’altra pergamena, questa del 23/6/1577, in cui Cesare Bovio, in presenza del Capitolo, impartisce istruzioni per il servizio nella Cattedrale di Nardò, leggo, sempre in calce, quanto segue.
Placidus Buffellus ca(ncell)ar(ius) causarum ep(iscopa)lis neritonens(is) Not(arius)
Placido Buffelli cancelliere delle cause, notaio neritino del vesc
Faccio presente che Buffellus alla lettera sarebbe Buffello, ma ho tradotto Buffelli per l’uso invalso nel latino di declinare al singolare anche i cognomi dalla forma evocante il plurale. Un esempio per tutti, connesso con l’epoca e col territorio: il Galateo, com’è noto, dedica il De situ Iapygiae a Giovan Battista Spinelli e Spinelle (vocativo singolare=o Spinelli, ma alla lettera sarebbe o Spinello) ricorre più volte,senza contare la stessa procedura adottata per altri cognomi “plurali” di autori di opere latine, com’è regola fino al XVIII secolo.
Placido Buffelli, dunque, non è una forzatura, e legittima il ricordo di Placido Buffelli di Alessano 1635-1693), anche lui scultore, autore, fra l’altro, di tre fastosi altari realizzati nel 1668 nella cattedrale di Nardò.
Le date appena ricordate, però, a differenza di quanto era successo per il presumibile scultore neritino, non lasciano scampo e sanciscono un caso di omonimia, il che, d’altra parte, era sospettabile tenendo conto dei titoli che nella pergamena ne accompagnano il nome.
E desolatamente bisogna prendere atto, non solo per la proprietà transitiva, che, se il notarius Buffelli non è lo scultore alessanese, nella bolla da cui siamo partiti il magister plumbi Bellotto non è lo scultore neritino. Insomma, poteva essere uno scoop, è stato un flop …
La pergamena con la firma di Francesco Bellotto direi che non viene da Nardò,o perlomeno tutti i firmatari non sono locali. Probabilmente fanno parte della Curia romana
Invece l’altra riporta i membri del Capitolo della Cattedrale di Nardò, tutti abati, che firmano la pergamena:
Gio: Francesco Nestore arcidiacono
Cesare Sizzara preposito
Leonardo Gaballo cantore
Antonio Massa tesoriere
Ercole Sombrino arcipresbitero
Ferrero Campanella canonico
A… Phontonius (Fontò) canonico
Leonardo Trono canonico
Pietro Scopetta canonico
Giulio Cesare Rapanà canonico
Domenico Antonio Vernaleone canonico
Gio: Antonio Giulio canonico
Vincenzo De Matteis canonico
Domizio… canonico
Lucio Guerrieri canonico
Cola Piccione canonico
Domenico Bia canonico
Gio: Carlo Colucci canonico
Gio: dello Pinto canonico
Gio: Antonio de Pantaleonibus canonico
Placido Buffelli actuarius causarum episcopalis
Placido Buffelli, notaio, nel 1596 vive a Nardò. Aveva sposato Claudia della Penta , con cui aveva generato Nicola nel 1585, Desiderio nel 1589, Virginia nel 1590, Betta nel 1583, Ippolita nel 1588. La famiglia proveniva da Alessano e viveva in Nardò “pro exercendo offitio auctuarii” nella curia vescovile di Nardò.
#Ambrogio Salvio#Armando Polito#diocesi di Nardò#Francesco Bellotto#pergamene cattedrale di Nardò#Placido Buffelli#Miscellanea#Spigolature Salentine
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Un caso emblematico: la statua di Santa Marina a Muro Leccese
Il contesto storico-artistico ed un suo auspicabile restauro
di Santo Venerdì Patella
Avevo scritto della statua di Santa Marina già nel 1998[1], dove reclamavo il fatto che la stessa opera fosse stata nuovamente, per l’ennesima volta, ridipinta e manomessa, come in effetti si usava fare all’epoca e molto più di quanto avviene ancor oggi.
In effetti visionando alcune vecchie fotografie, come quella di sopra, si nota che questo simulacro nel secolo scorso ha mutato varie volte policromia, in parte la forma delle vesti, la posizione delle braccia ed il drago.
Nell’ultimo “rifacimento”, avvenuto nel 1993, come riporta la foto in basso, furono eliminate alcune parti del panneggio, l’attributo iconografico della palma ed il drago.
Fui informato, spero giustamente, che tutto ciò che venne tolto era realizzato in cartapesta e che ricopriva una statua più antica in legno, molto malmessa. Viene quindi naturale immaginare che le parti appena menzionate furono verosimilmente aggiunte nei rifacimenti precedenti e pertanto poi eliminate, cercando, in maniera molto empirica, da un lato di ridare la forma originaria a questa statua ma al contempo magari reinventandone di nuove.
Quest’opera è conservata nella medievale chiesa di Santa Marina a Muro Leccese ove il culto della stessa è rintracciabile già nella Santa Visita della Diocesi di Otranto del 1768, in cui è rammentata una imago S. Marinae. Questa statua viene poi esplicitamente nominata in un’altra nota datata 1874[2]. Esaminando anche altre Sante Visite non ho riscontrato ulteriori menzioni della stessa, ma possiamo valutare delle ipotesi in merito al periodo in cui essa venne realizzata. Consultando il catalogo “Il Barocco a Lecce e nel Salento”, mi accorsi che vi erano delle somiglianze tra la Santa Chiara[3] [foto 3], conservata nella omonima chiesa leccese, qui di seguito riportata
e la statua di Santa Marina, in special modo dopo l’ultimo rifacimento sopra descritto: simile la staticità della posa, simile il modo discreto di panneggiare le vesti, simili i tratti dei visi. Tutte queste somiglianze le associai qualche anno dopo anche alla statua di Santa Domenica di Scorrano, di seguito ripresa.
Queste mie supposizioni furono suffragate in special modo dagli ottimi studi contenuti nel testo “Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna”, in cui si descrivono le attinenze decorative e stilistiche della statua di Santa Chiara e Santa Domenica prima menzionate[4]. Il periodo di realizzazione a cui vengono inscritte queste statue può essere collocato in un arco temporale che inizia verso fine del sec. XVI e prosegue lungo i primi decenni del XVII, epoca in cui dovremmo verosimilmente inserire anche la realizzazione della nostra Santa Marina, se ciò fosse verificabile dopo adeguati interventi restaurativi.
Decorativamente parlando le “sorelle artistiche” di Santa Marina: le Sante Chiara e Domenica, ci appaiono, nei decori degli abiti, riccamente ornate con estofadura, particolare tecnica decorativa già presente nell’arte gotica per abbellire immagini sacre su legno policromato, che fu utilizzata largamente in Spagna durante il periodo barocco e fu importata anche nel vice regno con capitale Napoli. Pertanto se la statua in questione dovesse essere restaurata con criteri opportuni, oltre a recuperare in massima parte le forme originarie, potrebbe rivelare anch’essa una decorazione importante ad estofado, che la renderebbe ancor più rilevante dal punto di vista artistico. Senza appropriate indagini rimaniamo però nel campo delle ipotesi.
Se tutto questo fosse riscontrabile la nostra Santa Marina rientrerebbe pienamente in quella temperie artistica ch’è a cavallo del sec. XVI e XVII, e che si riferisce alle pratiche devozionali e cultuali tipiche della Controriforma.
La statua in questione si presenta a tutt’altezza con un panneggio vagamente classicheggiante ed in posizione ieratica, con occhi vitrei e sarebbe ascrivibile ad uno scultore napoletano, che pur operando nei primi decenni del ‘600, conserva ancora una cultura figurativa tardocinquecentesca[5].
Per fare dei paragoni stilistici, e senza andare lontano e ricercare opere famose, possiamo menzionare la tela d’altare conservata nella chiesa dell’Immacolata di Muro Leccese in cui è effigiata la Titolare [foto 5], la figura della Madonna ripropone in massima parte la posa delle statue prima rammentate, a riprova dell’attardamento stilistico, non ancora barocco, della Muro dell’epoca.
Questa tela è databile al terzo decennio del ‘600.
Contestualizzando ancor più il periodo storico-artistico della Muro secentesca possiamo fare dei riferimenti ad altre sculture; mi riferisco al busto-reliquiario di Santa Giusta[6], conservato anch’esso nella chiesa Confraternale dell’Immacolata, attribuibile allo scultore Giovan Battista Gallone (lo si metta in confronto con il busto reliquiario di una delle undicimila vergini della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli).
Questa statua, conservata in una nicchia datata 1646, è decorata non a caso ad estofado ed ha anch’essa una provenienza napoletana.
Nello stesso luogo di culto vi è un altro stipo dedicato a San Largo ma in questo caso non è più conservato il relativo busto-reliquiario dell’omonimo santo. Purtroppo mancano all’appello altri due busti-reliquiario: San Giovino e San Agapito, un tempo conservati della chiesa del S.mo Crocefisso, di cui resta traccia in due infelici foto d’epoca.
San Giovino
San Agapito
Nella Santa Visita della Diocesi di Otranto del 1755 ritroviamo questa importante notizia che li riguarda e che riporto fedelmente: “Nelli pilastri dell’arco, sotto di cui sta situato d.o altare maggiore vi sono due basette, una da una parte e l’altra dall’altra: in quella della parte destra vi è situata una statuetta a mezzo busto con stragalio […], è colorita, e nel petto v’è una reliquia colla […] di S. Agapito, e nella sinistra altra simile statuetta colla reliquia di S. Giovino.”.
Speriamo che in un futuro queste opere si possano recuperare.
Per ribadire alla fine di queste note quanto un restauro appropriato possa restituire l’idea originaria che l’artista-creatore aveva delle sue opere, porto ad esempio quello da poco effettuato sull’altare maggiore della già menzionata chiesa del S.mo Crocefisso dove, le statue lapidee dei dolenti: la Madonna Addolorata e San Giovanni, realizzate da P. Buffelli entro il 1660, hanno rivelato una ricca decorazione ad estofado, mentre prima risultavano ridipinte ed appiattite con banali tinte monocrome, aumentandone non poco il valore artistico delle stesse.
altare maggiore della chiesa del S.mo Crocefisso
statue lapidee dei dolenti: la Madonna Addolorata e San Giovanni, realizzate da Placido Buffelli
Note
[1] S. V. Patella, La cultura della cartapesta, in “Liber Ars”, 3, aprile 1998, p. 21.
[2] V. Boccadamo, Terra d’Otranto nel Cinquecento, Galatina 1990, p. 76.
[3] R. Casciaro, Il Barocco a Lecce e nel Salento, Pomezia-Roma 1995, pp. 163-164.
[4] P. L. de Castris, B. Minerva, Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, Roma 2007, p. 24, p. 180.
[5] L. Gaeta, Intagliatori incisori scultori e società nella Napoli dei viceré, Congedo 2015, p. 5.
[6] S. V. Patella, La città di Muro Leccese dalle origini al ventesimo secolo. Antichità, architettura, arte, fonti e documenti, Editrice Terra, Lecce 2012, p. 113.
#Muro Leccese#Santa Marina#Santo Venerdì Patella#Arte e Artisti di Terra d'Otranto#Spigolature Salentine
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Note sulla chiesa dei Paolotti a Nardò
di Marcello Gaballo
Sorta su una preesistente chiesetta dedicata a S. Maria di Costantinopoli o del Canneto, fu ricostruita dal duca di Nardò Belisario II Acquaviva d’ Aragona (1569-1623), figlio di Giovanbernardino II, per un evento prodigioso occorso nella sua vita tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, nel giardino annesso al castello ducale.
Lo conferma un atto notarile conservato nell’ Archivio di Stato di Lecce, del notaio Pietro Torricchio, in cui si legge che lo stesso duca Belisario “…tenere et possidere in burgensaticum… jardenum unum cum arboribus communibus et cannito et cum ecclesia sub titulo S. Maria de Costantinopoli, existente intus eodem jardenum, in latere versus boream, et de novo aedificata cum maiori parte espensarum ipsius ducis, sita extra et prope menia et castrus eiusdem civitatis, iuxta tres vias publicas et terras mense episcopalis neritonensem…”.
La chiesa era perciò di patronato della famiglia Acquaviva e lo stesso duca aggiunge nel documento “pro salute eius anima, constituere, erigere et fundare quoddam beneficium ecclesiasticum perpetuum sub titulo S. Maria de Costantinopoli in ecclesia predetta…”.
interno della chiesa con la tomba di Giovan Bernardino Tafuri
Che la chiesa fosse preesistente al convento lo si rileva in un atto notarile del 1606, quando Gio. Battista Serpante da Forlì annulla il suo lascito del 1/7/1606 ad Alessandro delli Falconi, a favore della chiesa di S. Maria di Costantinopoli “extra moenia in jardeno Ducis”. Già nel 1573 la chiesa risulta comunque esistente, sempre dedicata a S. Maria di Costantinopoli. Secondo il Moroni i frati si insediarono a Nardò durante l’episcopato di Girolamo De Franchis (1617-1634).
Ciò che oggi si vede fu ricostruito nel 1745, essendo crollata la maggior parte della struttura originaria per il terremoto del 1743. Ciò è ricordato da un’ epigrafe (DOM/ TEMPLUM HOC/ X. CAL. MARTIAS ANNO D.NI MDCCXLIII/MAGNO CIVITATIS EXCIDIO TERRAEMOTU EVERSUM/ NERITONORUM PIETAS/ S. FRANCISCI PAULANI PATRONI PRAESENTISSIMI/ INNUMERIS COMMOTA MIRACULIS/ A FUNDAMENTIS RESTITUIT/ FRATES MINIMI NE POSTEROS LATERET BENEFICIUM/ GRATI ANIMI MONIMENTUM POSUER./ ANNO MDCCXLV).
A ridosso c’era il convento dei Minimi Riformati o Paolotti, che si stabilirono nel convento nel XVII sec. per restarvi sino al 7/8/1809.
La chiesa, con pianta a croce latina, fu consacrata nel 1706 dal Vescovo Fortunato, ma fu in buona parte ricostruita dopo il terremoto del 20 febbraio 1743, forse nel 1749, quando fu riedificata la sacrestia da Mons. Carafa e suo fratello Antonio, come ricorda l’ epigrafe che ancora si vede.
Il prospetto, sobrio ma elegante e slanciato, secondo il gusto dell’epoca, presenta paraste lisce con capitelli adornati da volute. Sui gradini posti all’ esterno della chiesa è visibile l’ insegna dei frati (sole raggiante caricato della parola CHA-RI-TAS).
altare di San Francesco da Paola
Degno di particolare nota è il bellissimo altare di S. Francesco da Paola, nel transetto destro, realizzato dallo scultore di Alessano Placido Buffelli, e qui trasferito dalla Cattedrale, ove era dedicato a S. Francesco di Sales. Presenta triplici colonne a spirale, con un incredibile animazione di putti in differenti pose. Nella parte superiore vi è la nicchia con la statua del Santo titolare e l’ insegna dei frati, mentre inferiormente sono impresse le armi dei nobili Montefuscoli.
Altrettanto notevoli, dal punto di vista artistico, la tela posta a lato di questo altare e l’affresco originario della Madonna di Costantinopoli. Sempre qui è presente la tela di S. Nicola Pellegrino, del 1615, di Donato Antonio d’ Orlando.
particolare dell altare di S. Francesco da Paola
Sulla chiesa si veda anche:
http://www.fondazioneterradotranto.it/2010/04/20/1607-lavori-nella-chiesa-di-s-francesco-da-paola-in-nardo/
#chiese di Nardò#Donato Antonio d'Orlando#Marcello Gaballo#Paolotti#Placido Buffelli#Monumenti di Terra d’Otranto#Spigolature Salentine
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