#Pellistrello
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joenatta · 3 years ago
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Saluti dal Pellistrello a San Romano. Lunedì uscirà il suo video ufficiale! (presso San Romano in Garfagnana) https://www.instagram.com/p/CbANB4ZqX5Y/?utm_medium=tumblr
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aneddoticamagazinestuff · 4 years ago
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Non solo il Buffardello... Ecco gli altri folletti toscani che leggenda narra
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Non solo il Buffardello... Ecco gli altri folletti toscani che leggenda narra
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus Von Hohenheim… Sembrerà strano, ma dietro a questa sequela di nomi stravaganti non c’è una pianta rara e nemmeno qualche specie insolita di animale straordinario. Nonostante la bizzarria di questi appellativi, che sembrano usciti da qualche studio scientifico, dietro di essi esiste una persona riconoscibile con un unica parola: Paracelso.
Paracelso fu una delle figure più rappresentative del Rinascimento: medico, alchimista e astrologo di fama conclamata e allora mi direte voi cosa c’entra cotanto studioso con il mondo immaginario dei folletti? Beh, per lui non era poi così tanto immaginario… Fu il primo che ne certificò la loro esistenza.
“Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris et de caeteris spiritibus“, 
Questo suo trattato (edito postumo nel 1566) è la Bibbia di coloro che credono che ninfe, gnomi e altri esseri sovrannaturali non siano solo frutto di tradizioni e leggende, d’altronde l’incipit del libro non lascia scampo ad altre interpretazioni:
“Mi propongo d’intrattenervi sulle quattro specie di esseri di natura spirituale, cioè ninfe, i pigmei, i silfi e le salamandre, a queste quattro specie, per la verità bisognerebbe aggiungere i giganti e parecchie altre. Questi esseri benchè abbiano apparenza umana, non discendono affatto da Adamo, hanno origine del tutto differente da quella degli uomini e degli animali”. 
Tali esseri, fra i quali i folletti, sempre secondo Paracelso, sarebbero legati ai quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco e occuperebbero una dimensione invisibile, spirituale, difficilmente penetrabile dall’uomo, si precisa poi che queste creature pur essendo molto simili all’essere umano per caratteristiche fisiche ed intelligenza, sarebbero prive dell’anima:
“Per essere uomini non manca loro che l’anima. E poichè gli manca l’anima, non pensano nè a servire Dio, nè a seguire i suoi comandamenti. Dunque non possono essere definiti nè buoni, nè cattivi, perchè non avrebbero coscienza del bene o del male. Tuttavia alcuni di loro sortirebbero effetti positivi sull’uomo, altri negativi, ma sembrerebbe praticamente impossibile evitare il contatto con queste entità”.
Tutti questi esseri, secondo le credenze celtiche (arrivate poi anche in Garfagnana da tempo immemore), farebbero parte del “piccolo popolo”, composto da folletti, fate, elfi, gnomi, tutti protagonisti delle meravigliose leggende garfagnine. Fra tutte queste creature, il personaggio principale delle narrazioni popolari della valle è il Buffardello,
il folletto garfagnino per eccellenza, di cui tanto abbiamo sentito parlare e raccontare. Un’entità dispettosa e scherzosa al limite del maligno che riversa le sue malefatte verso uomini e animali. La sua fama però ha oscurato tutta una serie di altri folletti della tradizione garfagnina e apuana. Si, perchè non è il solo gnometto sdegnoso presente nelle nostre terre, altri ancora, sconosciuti o dimenticati, appartengono proprio a quel “piccolo popolo”.Era infatti nei pressi di Casa Tontorone che il “Settescintille“ dava il meglio di sè, proprio sul fare del giorno, o meglio, quando era ancora buio e i pastori si apprestavano a portare i greggi al pascolo, appariva allora quel folletto sotto forma di stella luminosa a sette punte, pronto a spaventare il pastore e le povere pecore. Volteggiava, girava su se stesso per tutto il sentiero che portava al pascolo e poi improvvisamente s’inoltrava nei boschi creando ombre spaventose ed inquietanti, facendo assumere agli alberi forme spaventose. Alla fine dello “spettacolo” con tre balzi  scompariva dentro una buca del Monte Tambura. Non disdegnava nemmeno entrare dentro le stalle per mettere paura alle mucche: entrava e scompariva con un gran botto.
La caratteristica che rimane analoga in quasi tutti questi folletti garfagnini è l’arte di far dispetto e il “Pilloro“ in questo era uno dei maggiori artefici. Lui abitava, o meglio si mostrava nei villaggi che erano situati nei pressi delle Panie. Questo folletto aveva la capacità di sollevare potenti raffiche di vento, tanto forti da scompigliare tutto il fieno dei contadini, così come foglie, legna secca e perfino la cenere del camino. Ma le sue molestie non finivano li, quando non voleva far riposare il povero agricoltore dalle fatiche giornaliere, allora cominciava a far sbattere le persiane della camera da letto. Ma non agiva solamente nei pressi della case, difatti quando lo sventurato viandante passava per i boschi era  abitudine del Pilloro di tirargli ghiande, frasche e pigne. Chi l’ha visto può raccontare che il folletto porta un berretto appuntito, ornato da foglie e pigne secche. Esisterebbe anche un rimedio per allontanarlo, basterebbe un po’ di cenere del camino, conservata la notte di Natale e spargerla intorno casa… Non solo folletti dispettosi e molesti, ci sono anche quelli amorevoli e premurosi verso il prossimo è il caso dello “Zoccolletto“, un’essere ibrido metà gnomo e  metà satiro.
I cavatori delle Apuane dicevano che era impossibile da avvicinare, con le sue zampe muscolose di capra saltava da una roccia all’altra con una velocità impressionante e quando stava per approssimarsi un grosso temporale avvertiva i cavatori emettendo un’assordante fischio, cominciando poi anche a muovere pietre. Insomma, come avrete ormai capito di folletti garfagnini ne esistono di ogni specie, ognuno con il suo particolare carattere. Ci sono anche coloro che Dante avrebbe messo nel girone degli ignavi: pigri, indolenti e con poca voglia di fare. Ebbene si, stiamo parlando del “Parpaglione”. Il massimo della fatica che si concedeva era far ruzzolare qualche pietra contro l’ignaro passante. Sennò, abitualmente si sdraiava sulle pietre e sui massi a riposare, mimetizzandosi alla perfezione.
Ecco spiegato perchè tanto volte quelle rocce o quelle pietre che vediamo hanno sembianze umane è il piccolo Parpaglione che se ne sta li fermo, va a sapere da quanto tempo.Ci sono altrettanti folletti però che lavorano di gran lena, altro che sfaccendati come il Parpaglione… I “Martelletti” si danno un gran da fare e il loro nome è già tutto un programma. Loro lavoravano nella miniera di ferro abbandonata sulla Via Vandelli, poco prima del passo della Tambura. Se si origliava all’ingresso della miniera si udiva il battere dei martelli, erano questi folletti che non cercavano di certo il ferro, ma l’argento da sottrarre agli esseri umani. C’erano però altri folletti che abitavano le miniere di ferro e questi erano i “Gobbetti” , vivevano sul versante apuano di Fornovolasco e voglia di lavorare a differenza dei loro colleghi della Tambura non ne avevano, il loro unico intento era fare danni e anche grossi. Se capitava qualche frana o se crollava qualche parete dentro alle miniera sicuramente la colpa era la loro, si sentivano infatti sghignazzare dal fondo della grotta. L’unica soluzione per farli desistere era mettere un crocefisso all’interno della miniera stessa. Queste grotte però, non erano solo e ad esclusivo uso di questi due tipologie di folletto. Abitante di questi anfratti era pure il “Pellistrello”, folletto talmente brutto che metteva paura anche agli altri esseri del “piccolo popolo”. Chi lo vide raccontò che egli era tutto nero con dei grossi baffi che spuntavano dalle narici, sempre avvolto in un mantello che nella notte gli permetteva di volare da una cima all’altra della montagna, la sua risata risuonava tenebrosa in tutta la valle.
D’altra parte, girando tutta la Garfagnana, se ci fermiamo nei paesi possiamo ancora sentire narrare di folletti di ogni specie e se per caso se in uno di questi giri per i borghi e montagne della valle capitassero delle improvvise nebbie o foschie, l’opera sicuramente è dello “Sputafumo”. L’essere, da qualche pertugio delle rocce sputava dalla sua bocca della nebbia, talmente fitta da far smarrire la strada al passante. Era un folletto inospitale, non gradiva gente dalle sue parti… Infine, l’ultimo, il folletto più inquietante, per il suo aspetto e per le sue azioni… Il “Bobolo”… una sorta di sibilla, di veggente, nonchè di giustiziere divino, dall’aspetto raccapricciante: un po’ uomo e un po’ bestia, con sei bocche ed un occhio solo. Viveva in una caverna sulle Apuane e chi per caso capitava davanti al suo anfratto la sua domanda era sempre la solita: “Sei colpevole o innocente?” Prima di ogni risposta il Bobolo capiva e scatenava nebbia fittissima e vento altrettanto forte che faceva sbattere in ogni dove e precipitare il povero passante in un burrone, trasformandolo poi in una pietra. Il terribile folletto a quanto pare, continuerà ad abitare in quella caverna, fino a che di li, non passerà una persona che non abbia mai commesso nessun peccato…
Non ci deve fare meraviglia che tutti questi esseri vivono proprio in Garfagnana. Nel corso dei secoli sono  numerosi i popoli che hanno stabilito qui i propri domini: gli Apuani, passando per i Romani, fino ad arrivare ai Franchi. Tutte queste comunità hanno contribuito ad alimentare le numerose leggende che sono arrivate poi ai nostri nonni. Proprio per questo la Garfagnana secondo il mito è una terra magica. Leggende e racconti sono parte integrante della valle e ancora oggi i suoi abitanti raccontano tutte le straordinarie vicende che coinvolgono “il piccolo popolo” e a noi non rimane altro che stare lì, buoni, in silenzio, ad ascoltare e tramandare…
Bibliografia:
“Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris” Paracelso 1566 (edizione tradotta)
“Racconti e tradizioni popolari della Alpi Apuane” di Paolo Fantozzi, edizioni Le Lettere, anno 2013
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aneddoticamagazinestuff · 4 years ago
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Non solo il Buffardello... Ecco gli altri folletti toscani che leggenda narra
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Non solo il Buffardello... Ecco gli altri folletti toscani che leggenda narra
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus Von Hohenheim… Sembrerà strano, ma dietro a questa sequela di nomi stravaganti non c’è una pianta rara e nemmeno qualche specie insolita di animale straordinario. Nonostante la bizzarria di questi appellativi, che sembrano usciti da qualche studio scientifico, dietro di essi esiste una persona riconoscibile con un unica parola: Paracelso.
Paracelso fu una delle figure più rappresentative del Rinascimento: medico, alchimista e astrologo di fama conclamata e allora mi direte voi cosa c’entra cotanto studioso con il mondo immaginario dei folletti? Beh, per lui non era poi così tanto immaginario… Fu il primo che ne certificò la loro esistenza.
“Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris et de caeteris spiritibus“, 
Questo suo trattato (edito postumo nel 1566) è la Bibbia di coloro che credono che ninfe, gnomi e altri esseri sovrannaturali non siano solo frutto di tradizioni e leggende, d’altronde l’incipit del libro non lascia scampo ad altre interpretazioni:
“Mi propongo d’intrattenervi sulle quattro specie di esseri di natura spirituale, cioè ninfe, i pigmei, i silfi e le salamandre, a queste quattro specie, per la verità bisognerebbe aggiungere i giganti e parecchie altre. Questi esseri benchè abbiano apparenza umana, non discendono affatto da Adamo, hanno origine del tutto differente da quella degli uomini e degli animali”. 
Tali esseri, fra i quali i folletti, sempre secondo Paracelso, sarebbero legati ai quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco e occuperebbero una dimensione invisibile, spirituale, difficilmente penetrabile dall’uomo, si precisa poi che queste creature pur essendo molto simili all’essere umano per caratteristiche fisiche ed intelligenza, sarebbero prive dell’anima:
“Per essere uomini non manca loro che l’anima. E poichè gli manca l’anima, non pensano nè a servire Dio, nè a seguire i suoi comandamenti. Dunque non possono essere definiti nè buoni, nè cattivi, perchè non avrebbero coscienza del bene o del male. Tuttavia alcuni di loro sortirebbero effetti positivi sull’uomo, altri negativi, ma sembrerebbe praticamente impossibile evitare il contatto con queste entità”.
Tutti questi esseri, secondo le credenze celtiche (arrivate poi anche in Garfagnana da tempo immemore), farebbero parte del “piccolo popolo”, composto da folletti, fate, elfi, gnomi, tutti protagonisti delle meravigliose leggende garfagnine. Fra tutte queste creature, il personaggio principale delle narrazioni popolari della valle è il Buffardello,
il folletto garfagnino per eccellenza, di cui tanto abbiamo sentito parlare e raccontare. Un’entità dispettosa e scherzosa al limite del maligno che riversa le sue malefatte verso uomini e animali. La sua fama però ha oscurato tutta una serie di altri folletti della tradizione garfagnina e apuana. Si, perchè non è il solo gnometto sdegnoso presente nelle nostre terre, altri ancora, sconosciuti o dimenticati, appartengono proprio a quel “piccolo popolo”.Era infatti nei pressi di Casa Tontorone che il “Settescintille“ dava il meglio di sè, proprio sul fare del giorno, o meglio, quando era ancora buio e i pastori si apprestavano a portare i greggi al pascolo, appariva allora quel folletto sotto forma di stella luminosa a sette punte, pronto a spaventare il pastore e le povere pecore. Volteggiava, girava su se stesso per tutto il sentiero che portava al pascolo e poi improvvisamente s’inoltrava nei boschi creando ombre spaventose ed inquietanti, facendo assumere agli alberi forme spaventose. Alla fine dello “spettacolo” con tre balzi  scompariva dentro una buca del Monte Tambura. Non disdegnava nemmeno entrare dentro le stalle per mettere paura alle mucche: entrava e scompariva con un gran botto.
La caratteristica che rimane analoga in quasi tutti questi folletti garfagnini è l’arte di far dispetto e il “Pilloro“ in questo era uno dei maggiori artefici. Lui abitava, o meglio si mostrava nei villaggi che erano situati nei pressi delle Panie. Questo folletto aveva la capacità di sollevare potenti raffiche di vento, tanto forti da scompigliare tutto il fieno dei contadini, così come foglie, legna secca e perfino la cenere del camino. Ma le sue molestie non finivano li, quando non voleva far riposare il povero agricoltore dalle fatiche giornaliere, allora cominciava a far sbattere le persiane della camera da letto. Ma non agiva solamente nei pressi della case, difatti quando lo sventurato viandante passava per i boschi era  abitudine del Pilloro di tirargli ghiande, frasche e pigne. Chi l’ha visto può raccontare che il folletto porta un berretto appuntito, ornato da foglie e pigne secche. Esisterebbe anche un rimedio per allontanarlo, basterebbe un po’ di cenere del camino, conservata la notte di Natale e spargerla intorno casa… Non solo folletti dispettosi e molesti, ci sono anche quelli amorevoli e premurosi verso il prossimo è il caso dello “Zoccolletto“, un’essere ibrido metà gnomo e  metà satiro.
I cavatori delle Apuane dicevano che era impossibile da avvicinare, con le sue zampe muscolose di capra saltava da una roccia all’altra con una velocità impressionante e quando stava per approssimarsi un grosso temporale avvertiva i cavatori emettendo un’assordante fischio, cominciando poi anche a muovere pietre. Insomma, come avrete ormai capito di folletti garfagnini ne esistono di ogni specie, ognuno con il suo particolare carattere. Ci sono anche coloro che Dante avrebbe messo nel girone degli ignavi: pigri, indolenti e con poca voglia di fare. Ebbene si, stiamo parlando del “Parpaglione”. Il massimo della fatica che si concedeva era far ruzzolare qualche pietra contro l’ignaro passante. Sennò, abitualmente si sdraiava sulle pietre e sui massi a riposare, mimetizzandosi alla perfezione.
Ecco spiegato perchè tanto volte quelle rocce o quelle pietre che vediamo hanno sembianze umane è il piccolo Parpaglione che se ne sta li fermo, va a sapere da quanto tempo.Ci sono altrettanti folletti però che lavorano di gran lena, altro che sfaccendati come il Parpaglione… I “Martelletti” si danno un gran da fare e il loro nome è già tutto un programma. Loro lavoravano nella miniera di ferro abbandonata sulla Via Vandelli, poco prima del passo della Tambura. Se si origliava all’ingresso della miniera si udiva il battere dei martelli, erano questi folletti che non cercavano di certo il ferro, ma l’argento da sottrarre agli esseri umani. C’erano però altri folletti che abitavano le miniere di ferro e questi erano i “Gobbetti” , vivevano sul versante apuano di Fornovolasco e voglia di lavorare a differenza dei loro colleghi della Tambura non ne avevano, il loro unico intento era fare danni e anche grossi. Se capitava qualche frana o se crollava qualche parete dentro alle miniera sicuramente la colpa era la loro, si sentivano infatti sghignazzare dal fondo della grotta. L’unica soluzione per farli desistere era mettere un crocefisso all’interno della miniera stessa. Queste grotte però, non erano solo e ad esclusivo uso di questi due tipologie di folletto. Abitante di questi anfratti era pure il “Pellistrello”, folletto talmente brutto che metteva paura anche agli altri esseri del “piccolo popolo”. Chi lo vide raccontò che egli era tutto nero con dei grossi baffi che spuntavano dalle narici, sempre avvolto in un mantello che nella notte gli permetteva di volare da una cima all’altra della montagna, la sua risata risuonava tenebrosa in tutta la valle.
D’altra parte, girando tutta la Garfagnana, se ci fermiamo nei paesi possiamo ancora sentire narrare di folletti di ogni specie e se per caso se in uno di questi giri per i borghi e montagne della valle capitassero delle improvvise nebbie o foschie, l’opera sicuramente è dello “Sputafumo”. L’essere, da qualche pertugio delle rocce sputava dalla sua bocca della nebbia, talmente fitta da far smarrire la strada al passante. Era un folletto inospitale, non gradiva gente dalle sue parti… Infine, l’ultimo, il folletto più inquietante, per il suo aspetto e per le sue azioni… Il “Bobolo”… una sorta di sibilla, di veggente, nonchè di giustiziere divino, dall’aspetto raccapricciante: un po’ uomo e un po’ bestia, con sei bocche ed un occhio solo. Viveva in una caverna sulle Apuane e chi per caso capitava davanti al suo anfratto la sua domanda era sempre la solita: “Sei colpevole o innocente?” Prima di ogni risposta il Bobolo capiva e scatenava nebbia fittissima e vento altrettanto forte che faceva sbattere in ogni dove e precipitare il povero passante in un burrone, trasformandolo poi in una pietra. Il terribile folletto a quanto pare, continuerà ad abitare in quella caverna, fino a che di li, non passerà una persona che non abbia mai commesso nessun peccato…
Non ci deve fare meraviglia che tutti questi esseri vivono proprio in Garfagnana. Nel corso dei secoli sono  numerosi i popoli che hanno stabilito qui i propri domini: gli Apuani, passando per i Romani, fino ad arrivare ai Franchi. Tutte queste comunità hanno contribuito ad alimentare le numerose leggende che sono arrivate poi ai nostri nonni. Proprio per questo la Garfagnana secondo il mito è una terra magica. Leggende e racconti sono parte integrante della valle e ancora oggi i suoi abitanti raccontano tutte le straordinarie vicende che coinvolgono “il piccolo popolo” e a noi non rimane altro che stare lì, buoni, in silenzio, ad ascoltare e tramandare…
Bibliografia:
“Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris” Paracelso 1566 (edizione tradotta)
“Racconti e tradizioni popolari della Alpi Apuane” di Paolo Fantozzi, edizioni Le Lettere, anno 2013
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