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#Moda indipendente
silviascorcella · 10 months
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Caftanii Firenze: il caftano, una nuova storia di charme senza tempo
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È anch’essa una forma d’arte, un talento silente, una dote sofisticata, quella di saper godere appieno dell’inconsapevole amore per la bellezza come i classici, i nostri intramontabili antenati, ce l’hanno illustrata: il bello che appaga il desiderio di armonia estetica, mentre soddisfa i sensi tutti con l’alta qualità della sua fattura, così da attraversare indenne e intrigante lo scorrere implacabile del tempo. Tale dote sofisticata può cogliere chiunque abbia l’animo pronto ad accoglierla, e a farne uno strumento per plasmare ancora bellezza, nuova bellezza ben fatta: magari nella forma di un capo iconico, simbolo di raffinata confortevolezza, ma al contempo tela grezza su cui scrivere una nuova storia di stile con l’allure della contemporaneità elegante.
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Ecco, questa è l’arte pregiata, il talento quieto allacciato a Ginevra e Ludovica Fagioli: le menti curiose, gli animi leggeri e charmant, i cuori appassionati che fondano il marchio, tutto orgogliosamente italiano, ribattezzato Caftanii Firenze.
Guardate quelle due gocce nel logo: son simbolo del loro legame di gemelle all’apparenza identiche, eppur così diverse ma profondamente complementari nella sostanza personale e artistica. Giovani sì, ma portatrici di quel prezioso bagaglio d’arte e consapevolezza cui s’accennava sopra: il brand lo svela, la terra a cui appartengono non a caso è denominata “la culla del Rinascimento”, Firenze, la città dove fiorirono le arti più eccellenti, quel groviglio di strade dove la bellezza e la maestria artigiana ancora suscitano meraviglia.
Ebbene, in quel logo resta una parola da illustrare, che rivela il cuore creativo attorno al quale  ruota tutta la realtà di vita e mestiere di Ginevra e Ludovica: il caftano.
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Quella di Caftanii Firenze è dunque una storia recente, ma allo stesso tempo sospesa nel tempo: Ludovica e Ginevra accolgono sin da piccole l’amore per la bellezza con cui la famiglia le attornia, fanno tesoro di quei caftani che la madre raccoglie numerosi nell’armadio e indossa con classe e nonchalance, lo riscoprono il capo prediletto per accompagnare i viaggi innumerevoli in giro per il mondo, ma anche il capo perfetto per riscrivere una storia di eccellenza materiale e di suggestioni sensoriali. Nonché il capo d’abbigliamento che libera lo spirito femminile dai capricci estetici dei trend rapidi: mentre, invece, lui, il caftano, può abitare il guardaroba di qualsiasi donna, durante qualsiasi epoca, appartenente a qualsivoglia area geografica. La sua bellezza non ha confini, ha solo il potere di restituire valore alla bellezza di chi l’indossa.
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La collezione Primavera-Estate 2018 è un delicato racconto estivo: il caftano s’indossa in purezza, nella sua forma gentile con il profilo del corpo, morbida eppur così netta, allacciata in vita con una fusciacca mentre ricorda il rigore affascinante del kimono orientale, diventa uno chemisier lieve e candido che accompagna la passeggiata sulla battigia, un abito lungo che scopre le spalle mentre i raggi caldi del sole le accarezzano, s’allunga nella gonna le cui balze racchiudono la forza dei colori estivi, bianco, ocra e blu intenso, come quelle onde da cui vengono le goccioline che danno sollievo alla pelle scoperta dall’abitino corto e dalle bretelle infiocchettate. 
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I tessuti sono puri come la natura nel pieno rigoglio estivo: lino opulento che restituisce purezza, cotone strutturato ed essenziale, la seta ricca di luce e morbidezza pregiata. Anche i dettagli sono scelti con lo stesso amore per la bellezza autentica: pietre e tessuti per i bottoncini, mani artigiane che ricamano i decori, altrettanto sapienti come le mani delle sarte fiorentine che assemblano ogni abito firmato Caftanii Firenze. Italianità allo stato puro: caratteristica di ogni tessuto scelto, riprodotta con amore come solo il vero, riscoperto made in Italy sa fare.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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fashionbooksmilano · 2 years
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Freedom
Azzedine Alaïa, Artur Elgort  
Introduzione di Grace Coddington
Damiani, Bologna 2023, 124 pagine, 70 illustrazioni, cartonato, 24 x 32,7 cm, ISBN: 9788862087957
euro 70,00
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Negli anni '70, a loro insaputa, Azzedine Alaïa e Arthur Elgort stavano imboccando sentieri destinati a confluire in una strada comune che avrebbe dato vita ad una nuova immagine femminile. Da un lato Alaïa si stava rendendo conto che il fulcro della moda non erano più i saloni delle sfilate ma le strade in cui si muovevano le donne reali. Dall'altro Elgort, all'epoca giovane fotografo per l'edizione inglese di 'Vogue', inaugurava uno stile fotografico più leggero, informale e di grande spontaneità rispetto ai suoi contemporanei. Dalla loro collaborazione scaturì una nuova rappresentazione della donna contemporanea: assertiva, determinata e indipendente.
Da lunedì 23 gennaio a domenica 20 agosto 2023 la Fondazione Azzedine Alaïa di Parigi ospiterà una mostra fotografica curata e diretta da Carla Sozzani e Olivier Saillard intitolata Azzedine Alaïa, Arthur Elgort. Freedom. Le opere in mostra documentano il lungo sodalizio artistico che Alaïa ed Elgort hanno intrapreso fin dagli anni '80. La mostra è accompagnata da una omonima monografia pubblicata da Damiani che presenta più di 150 immagini in bianco e nero.
19/03/23
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diceriadelluntore · 1 year
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Storia Di Musica #269 - Depeche Mode, Violator, 1990
Le scelte musicali delle domeniche di Aprile avranno come filo rosso la presenza di fiori sulle copertine: di questa caratteristica, alcuni capolavori già sono presenti (il primo che cito è American Beauty dei Grateful Dead, che prende il nome dalla Rosa della stessa varietà, America Beauty, disegnata sulla copertina, o anche Layla & Other Assorted Love Songs che nel dipinto di copertina ha una donna con i fiori) ma è sempre interessante cercare nella mia discoteca e non solo altri grandi dischi che hanno in comune questa caratteristica. Il primo di oggi è uno dei dischi simbolo degli ultimi 35 anni, il vertice di un certo modo di fare musica, arrivato al culmine di un percorso umano e professionale che nell’anno in cui uscì questo lavoro poteva benissimo passare per il risultato dell’opera di sopravvissuti. Tutto nasce a Basildon, nell’Essex, inizio 1980. Tre amici di scuola, Vince Clark, Martin Gore e Andrew “Andy” Fletcher fondano un gruppo, Composition Of Sound. Hanno una caratteristica abbastanza comune all’epoca, cioè abbandonano gli strumenti classici (chitarra, basso, batteria) per focalizzarsi sull’uso delle tastiere elettroniche. Durante una serata in un locale, notano un cantante dalla voce calda e ferma, David “Dave” Graham, che canta una appassionata cover di Heroes di David Bowie, e gli chiedono di unirsi al gruppo, siamo nei primi mesi del 1980. Graham accetta, e suggerisce di cambiare nome alla band: prende spunto da una rivista di moda francese dell'epoca, Dépêche mode, che vuol dire Gazzettino o Almanacco della Moda (e non come dicono molti Moda Passeggera, il termine passeggera deriva dal verbo se dépêcher), lo depurano dagli accenti e nascono i Depeche Mode. La prima pubblicazione è del 1980 su una compilation, Some Bizzarre, poi firmano un contratto con la Mute Records di Daniel Miller, che sarà centrale per la musica indipendente inglese dei primi anni ‘80. Primo singolo di discreto successo, Dreaming Of Me, poi altre canzoni famose in New Life, Just Can’t Get Enough e la pubblicazione del primo disco, Speak And Spell, dove la direzione è chiara: sarà un gruppo orientato ai sintetizzatori. A questo punto Vince Clark, che aveva scritto tutte le canzoni sino a qui, si chiama fuori (continuerà a fare musica con Alison Moyet come Yazoo, e fonderà in seguito anche altri progetti musicali). Il timone delle operazioni di scrittura passa a Martin Gore, che piazza subito una hit in See You. Si aggiunge Alan Wilder, e con questa line up sforneranno un disco all’anno. La prima svolta è del 1986, con Black Celebration: le atmosfera si dilatano, meno dance, base ritmica che picchia più forte e la decisione di spostarsi verso il rock elettronico. Proprio quando il techno pop è crollato, e buona parte della critica aspetta che l’ultimo baluardo, cioè loro, cada, piazzano Music For The Masses (1987) con almeno tre canzoni formidabili (Never Let Me Down, Strangelove e Behind The Wheel), che li porta ad un tour mondiale dove riempiono gli stadi di tutto il mondo (immortalato in parte nel live 101, 1989, anche con un documentario abbinato diretto da D.A. Pennebaker). Si prendono del tempo, e coerenti con il loro credo, decidono di inasprire il sound elettronico, creando un disco dalle atmosfere profondissime, cupe, drammaticamente eleganti. Per registrarlo abbinano la solitudine e il silenzio di un piccolo studio nella campagna danese, a Gjerlev, alla vitalità di Milano, e alla sua vita notturna, presso lo studio Logik, che all’epoca stava a Via Mecenate. Ne viene fuori Violator (1990) che in copertina ha una rosa fiammeggiante, che sembra di lava. Gore dirà dopo anni che voleva giocare sul titolo, scegliendo una parola che evocasse un disco di heavy metal. Quello che fanno è, con l’intuito del fido produttore Flood e l’aiuto al missaggio di François Kevorkian, che fu uno dei collaboratori più stretti dei Kraftwerk, un disco che è l’evoluzione estrema della loro idea musicale (tanto che dopo prenderanno altri riferimenti) e lo fanno in parte rinnegandosi: la batteria spesso non è drum machine ma quella rock, e compariranno nelle loro due più grandi canzoni, entrambe presenti in questo lavoro, persino le chitarre. Eppure l’apertura con World In My Eyes sembra portare sui binari classici, ma già la successiva Sweetest Perfection, con la voce principale di Gore, amplia il concetto, con la batteria rock in primo piano. Arriva il primo colpo da KO, un giro blues, con la chitarra, l’ispirazione presa da Gore leggendo una biografia di Elvis, sulla costruzione di propri idoli, e nasce una delle canzoni più famose del mondo: Personal Jesus, hit mondiale, e ancora oggi uno dei momenti clou di ogni loro esibizione e brano cult da rifare in cover. Halo e la bellissima Waiting For The Night sono da apripista al secondo singolo leggendario: Enjoy The Silence è ispirata e pensata proprio al periodo danese di tranquillità e silenzio circostante (in netto contrasto con quello milanese, dove la band darà il meglio di sé in tutte le feste della città lombarda), anche qui ripropone una chitarra e diventerà iconica, tra l’altro nella versione dell’album dura oltre 6 minuti, con finale in stile ambient, bellissimo, che nella versione singolo e per la stazioni radio è colpevolmente tagliato. Completano il capolavoro la delicata Blue Dress, scritta e cantata da Gore, e le ritmiche Policy Of Truth e la conclusiva Clean, ispirata ad una canzone dei Pink Floyd, One Of These Days, dal loro album Meddle (1971). Tutto funziona alla grande: la voce calda e formale di Graham (che inizierà ad avere devastanti problemi di dipendenza, tormento che segnerà profondamente il loro lavoro successivo, che arriverà solo dopo 3 anni), Gore sempre più padrone del suono Depeche Mode, Fletcher e Wilder a creare il tappeto ritmico che esce vincitore da un decennio dove chiunque si sia ispirato a loro non ha fatto tanta strada. Il disco va in classifica in tutto il mondo, e ha venduto ad oggi 15 milioni di copie, presente in tutte le classifiche dei dischi fondamentali della storia del rock. Sebbene questa sia una storia del rock senza schitarrate, ma formata da avvolgenti suoni elettronici, che ti girano in testa e non ti lasciano scampo.
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micro961 · 6 months
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Cristina Russo & NeoSoul Combo - Pieces of a Woman
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Pronto all’uscita il nuovo lavoro discografico
Si apre nel migliore dei modi il 2024 per l’artista siciliana Cristina Russo, cantante ed autrice catanese tra le più apprezzate nel panorama indipendente musicale italiano.
Il 7 Marzo esce il nuovo album in formato vinile intitolato "Pieces of a Woman", un progetto che ci trascina musicalmente nel mondo di sonorità alternative e contaminate da diversi stili caratterizzanti dell’artista, affiancata dalla sua fidata band i Neo Soul Combo.
La firma del lavoro è proprio “Cristina Russo & Neosoul Combo", ovvero il nome che da anni ormai accompagna i suoi progetti e le performance “live” in giro per l'Italia. L’artista , con sue parole, ha reso noto che è stato un duro lavoro di studio che ha visto molti brani venire alla luce con spunti ed idee in brain storming insieme ai suoi musicisti, ormai una vera e propria famiglia. La scia sonora ricalca lo stile dell'album Energy, uscito nel 2019. Questo nuovo ed appassionato progetto non sarebbe stato possibile senza la direzione artistica e gli arrangiamenti musicali di Marco Di Dio, la cui mano sapiente ed estro artistico sono dietro al successo ed ai lavori di altri artisti siciliani in vari ambiti diversi: da Club Rivera, ad Andrea La Ferla, da VIVO ad Alice B. "Pieces of a Woman" pubblicato in vinile (e dunque un tocco di classe ma anche alla moda) ha dei tratti “urban” molto vicini al sound “new jazz”, quindi in perfetto stile neosoul, ma non manca qualche sorpresa come degli accenni musicali in stile anni ‘80 che hanno influenzato le ritmiche e le melodie presenti in alcuni brani, come ad esempio nella canzone "Splendidi".
La “urban fusion music” che Cristina Russo e la sua band propongono in "Pieces of a Woman" è ritmata senza tralasciare la raffinatezza che accomuna molti dei loro lavori; la caratteristica voce graffiata e calda, in puro stile soul black di Cristina, si presta in questa occasione ad un sound più moderno: il nuovo jazz d'oltreoceano, dove il piede non smette di muoversi. Cristina Russo e la sua band ci trascinano come sempre nel loro mondo alternativo e “contaminato”; la passione per il così detto sound neo soul, mixato secondo mood e creatività con tocchi di “urban fusion” ,“ new jazz” e “new reggae” sono la base dei loro progetti. Il tutto espresso con uno stile personalissimo e di grande fascino, che si sprigiona ancor più nei “live” dove la formazione completa dà il meglio di sé, con estrosa raffinatezza, lasciandosi spesso coinvolgere dall’atmosfera del momento e dal feedback del pubblico. 
Cristina Russo & Neosoul Combo: Cristina Russo - voce  Mariano Nasello - basso  Angelo Di Marco - tastiera  Marco Di Dio - batteria
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stefaniaperinelli · 1 year
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Sempre più mansueti, sempre più da appartamento.
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Quando conobbi i primi Cani Lupi Cecoslovacchi, quegli individui ancora mantenevano chiari tratti ferini: indipendenti, diffidenti, con una distanza di comfort elevata, abili cacciatori, riservati, attivi. Riuscire a soddisfarli era davvero impegnativo perché nessuna recinzione rappresentava per loro un ostacolo e se desideravano inseguire una potenziale preda si arrampicavano come gatti.
Oggi, a distanza di un solo decennio, sono a tutti gli effetti cani addomesticati che vivono in appartamento. Docili e mansueti, socievoli e giocherelloni.
Andiamo per ordine: il CLC venne creato nella seconda metà degli anni 50 a scopi militari, dalla Guardia di Confine dell’ex Repubblica di Cecoslovacchia per rincorrere e catturare le persone che tentavano di scappare dalle persecuzioni operate per motivi politici. I Pastori Tedeschi non possedevano doti fisiche adeguate in termini di resistenza allo sforzo e al clima dei Carpazi, una catena montuosa che attraversa l’Europa e che rappresentava una via di fuga dal regime dittatoriale dell’epoca. L’idea fu quindi di fare accoppiare una Lupa dei Carpazi con un Pastore Tedesco. A seguito di ripetuti processi di ibridazione si ottenne quella che venne successivamente riconosciuta come razza ufficiale.
Il pelo del CLC è idrorepellente, in grado di resistere a pioggia, neve e intemperie proteggendo egregiamente il cane da inverni sotto zero ed estati torride. Le sue prestazioni fisiche, la velocità di reazione, l’indipendenza, la predatorietà lo rendevano estremamente adatto a sventare i tentativi di fuga dei dissidenti. Ma……la necessità di una socializzazione completa e precoce, rappresentava per l’esercito uno sforzo eccessivo e l’esperimento venne abbandonato rinunciando all’idea di avere una nuova razza di cani da servizio. Nel 1971, l'allevamento del Cane Lupo Cecoslovacco venne quasi completamente interrotto. A causa della sospensione dell’allevamento, molti ibridi lupo-cane furono soppressi.
Poi però subentrò la moda che lo rilanciò sulle passerelle del consumismo e gli allevamenti spuntarono come funghi. Ci si innamorò di questo simil lupo e quindi la selezione iniziò ad agire per renderlo sempre meno indipendente, diffidente, selvatico. Un’altra dissociazione cognitiva degli umani: si urla di sopprimere i lupi perché danneggiano le attività dell'uomo ma si acquista una sua bella copia da sfoggiare sul divano di casa, portarlo a passeggio in centro città, vederlo giocare nelle aree sgambamento. Nessun rispetto per quegli individui creati, ahinoi, a scopi militari, ma totale impegno a mutare geneticamente le loro peculiarità comportamentali per farne sfoggio.
La mentalità antropocentrica è dura da smantellare e mentre inorridiamo al ricordo del genocidio nazista, proseguiamo con l'eugenetica per creare, stavolta, le razze di Animali non umani.
(nella foto Loukanicos, emblema della rivolta in Grecia)
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crazy-so-na-sega · 1 year
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Visto che va tanto di moda, forse è il caso di fare chiarezza sul fantomatico giornale "La Verità" vero e proprio esempio di "opposizione" controllata. Questa schifezza (come la maggioranza della cosiddetta controinformazione) È stata creata a posta per
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assorbire il dissenso e veicolarlo. In questo video ad esempio, vediamo come il cameriere dei banchieri Belpietro censura la controparte appena si tocca l'argomento Usura e Signoraggio (chissà come mai questo tema fa scattare sempre tutti gli allarmi, vanno tutti in panico. Non è la prima volta, senza contare che questo signore collabora con un altro servo, ossia il massone membro del Rotary Club Mario Giordano. Chiunque  si occupi di
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Vera controinformazione sa che la buona fede si evince dal fatto che il principio sul quale si basa questa attività antisistemica è quello di Servire e non del Servirsi. Ergo, chi è in buona fede presenta fatti concreti e non li orienta dove vuole. Infatti, chiunque mastichi la vera controinformazione sa perfettamente che la verità è molto pericolosa, perché il potere è unico, non esistono fazioni concorrenti, sa che la democrazia è il paravento delle peggiori tirannie e finisce quando si chiudono le urne, pertanto non sponsorizza il voto, è consapevole che questa tratta argomenti come Usura, Signoraggio, proprietà della moneta, Massoneria, piano Kalergi, Eurasia, ebr16smo, Scuola.di Francoforte, storia vera e non quella inventata che si studia a scuola e molto altro, cose che metterebbero in luce quella che è una vera e propria cospirazione contro l'umanità. Quello che sta facendo 'La Verita'  non è diverso dalla maggioranza della controinformazione, ossia un'operazione Cavallo di Troia per accreditarsi tra chi segue l'informazione indipendente per pilotare il dissenso esattamente dove il potere vuole. Fintanto che non si capisce che l'informazione è potere, ma la controinformazione è il vero consenso, la maggioranza non potrà mai capire perché queste forze devono assorbire il dissenso per pilotarlo.
-Andrea
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fingo stupore...:-)
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personal-reporter · 1 year
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Patrick Proctor, in cerca del mondo
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Patrick Proctor, che era nato a Dublino il 12 marzo 1936,  fu uno dei protagonisti della scena creativa londinese degli anni Sessanta quando, dopo aver lasciato la Slade School of Fine Art nel 1962, divenne famoso grazie a una fortunata mostra alla Redfern Gallery di Londra nel 1963. Da allora Proctor fu capace di tessere un’eterogenea cerchia sociale attorno a lui, con personalità che in seguito divennero soggetti nelle sue opere, come  il pittore David Hockney, il regista Derek Jarman, il curatore Bryan Robertson e lo stilista Ossie Clark, e fu  una figura di riferimento nel restituire con una propria temperatura i mondi edonistici dell'arte, della musica e della moda, inizialmente lavorando sia con l'olio che con l'inchiostro ma soprattutto nella tecnica dell'acquerello, che adottò durante una vacanza in Europa nell'estate del 1967. Spesso frainteso dai critici che ne individuano un percorso indipendente, anche se molto connesso a quello di Hockney, il pittore vene inserito in categorie che non lo soddisfacevano, ad esempio sul Financial Times fu chiamato Parmigianino della Pop Art, una definizione che lui stesso rigettò. Affascinato dalla luce, Proctor usò l'acquerello per conferire alle sue opere l'impressione di una retroilluminazione, dipingendo in negativo, con una rapidità d’esecuzione in acquerello che lo liberava dai tempi e dalle attese dell’olio su tela, consentendogli quell’approccio sensibile e personale alla pittura, ancora oggi così riconoscibile. Gervase I (1968) fu il primo di una lunga serie di ritratti dedicati da Proctor al giovane Gervase Griffith, un modello  di origine sudafricana, che divenne il suo amante e modello per un paio d'anni. Mentre Gervase tentava di sfondare come rocker e produttore, l’artista gli dedicò a una serie di grandi ritratti ad acrilico e ne fece una personale a New York nel 1968, che però fu un solenne fiasco. Proctor non ebbe mai la fama del suo amico Hockney e una lunga serie di relazioni e drammi lo portò a cadere nel vizio dell’alcol e nel 1999 un incendio nella sua casa ridusse in cenere molte sue opere, lasciandolo pieno di debiti e con la  salute in declino. Dopo la sua morte, avvenuta a Londra il 29 agosto 2003 all'età di 67 anni,  l’arte di Proctor ha riguadagnato una certa attenzione ed è stata al  centro di  varie retrospettive come quella alla Huddersfield Art Gallery, Sheffield, nel 2012. Oggi le sue opere sono visibili alla Tate Gallery, al MoMA, alla National Portrait Gallery, alla Royal Academy, al MET e in altre fondamentali istituzioni. Read the full article
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sandromada · 1 year
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Non riesco ad aprire gli occhi, sono come rinchiusi in una gabbia nel mar morto. Mi guardo attorno, piego la schiena, e si, era territorio estraneo. I cani segnano i loro confini con l’urina, io con gli abiti sporchi. Ovunque vado inquino, occupo tutto ciò che non è armadio, perché infondo mi infastidisce che una multinazionale abbia deciso per me dove io debba poggiare le mie mutande. Non lo fanno i miei, figuriamoci l’Ikea. Piuttosto, una sedia, gialla, color canarino, un colore fastidioso, che non dispiace coprire con una felpa rossa.
Ho sempre odiato fingere il sonno. Ricordo ancora il me preadolescente, un ammasso maleodorante e stronzo, che dorme nella casa delle vacanze in Puglia, aspettando le 9:00 del mattino, o qualche rumore sospetto, per capire che poteva finalmente alzarsi da un materasso troppo morbido, andare in sala da pranzo, e fare una cosa a lui sconosciuta… colazione.
Mi muovo, faccio dei versi, agito le braccia, una atto che infastidirebbe chiunque. Si rigira, mi ignora. È ancora nel confine tra la burocrazia del mondo reale, e Narnia. Io Ho sempre amato i grandi boschi ripieni d’aghi e foglie gialle, un tappeto cosi ecosostenibile, che mi verrebbe quasi la tentazione di far parte di questo grande concerto silenzioso. Mi pareva mostruoso cacciarlo dal suo armadio. Vabbè, ognuno ha il suo orologio.
Il piano era il secondo, le scale di marmo, di quello comune. La prima cosa che noto fuori dalla grotta arricchita, è la biodiversità umana. I marciapiedi erano svergognati da un sole da me poco stimato in quel momento. Se ai belli baciava, a me forse evidenziava. C’era la qualunque, di ogni specie. Dal vecchio, allo scolare. Dirigendomi alla fermata dell’autobus più vicina, mi accorgo delle fasi della vita, passata e futura. La ragazzina coi capelli tinti, zaino verde fosforescente, eye-liner, delle imitazioni delle Monolith di Prada, jeans oversize, e sguardo ansioso, probabilmente per la materia che avrebbe dovuto affrontare alla prima ora scolastica. Il bambino indipendente, che ha il coraggio di salire sull’autobus senza genitore. Con addosso uno zaino ingombrante, e un mazzo vintage di figurine Pokemon, quasi tutti doppioni purtroppo. L’anziana signora in nero, che non si capisce se sia in lutto per il marito, o per il mondo attorno a lei che muta. È arrabbiata col tempo, un maleducato di base. È rancorosa col moto di rotazione della terra, che ogni giorno la offende a suon di rughe e ricordi a loro associati. Si possono notare i suoi occhi pettegoli fissare le gesti altrui, come fossero bestemmie in messa. Cipolla in testa, abito lungo, ballerine ortopediche, e rosario tra le mani, che non scorda di usare quando vede due donne amarsi, come fosse una croce d’aglio contro Dracula. L’uomo in camicia color celeste, un po sudata sotto le ascelle, niente che non si possa coprire con una giacca di Zara. Sua moglie le aveva detto di non spendere tanto per l’abito, anche perché si sa, in quei posti si spende troppo per della pessima qualità, cosa che lei sapeva, visto che a differenza di loro figlia che strappa le calze per moda, lei le rattoppava. Immagino farà un colloquio. Ha messo l’orologio buono, ma non troppo sfarzoso da far credere di poter fare a meno di quel lavoro. Spero vada bene. Amo le fermate, di ogni tipo, perché ci costringono al confronto. Ascoltiamo solo la musica che ci emoziona, frequentiamo solo persone simili a noi, leggiamo libri che la pensano come noi. Prendere un mezzo di trasporto pubblico aiuta l’ambiente, e mi orienta allo sguardo delle vite altrui, scrostandomi da me stesso.
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carmenvicinanza · 13 days
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Silvia Calderoni
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Nei nostri guardaroba abbiamo imparato a collezionare moltissimi tipi di corazze che in diverse situazioni dobbiamo sfoggiare, ma le stesse ci hanno anche plasmato. Quando ero più piccola, avevo necessità di indossarle, ma adesso riesco ad essere al mondo in un certo modo, a modo mio, e delle corazze riesco felicemente a farne a meno, arrivando anche a stare nuda. La mia vita è un punto di forza, ma da intendere come morbidezza, non solo passività, non certo la chiave dell’aggressività che rende qualcuno in una posizione attiva.
Silvia Calderoni, attrice, autrice, performer, dj e importante attivista queer transfemminista.
Artista che travalica schemi, barriere, regole e omologazioni, ha fatto del teatro un’azione politica esponendosi al di là del proprio ruolo e utilizzandolo come spazio di confronto e dibattito.
Il suo corpo, adoperato come spunto su riflessioni pubbliche su arte e identità, viene considerato un manifesto politico.
È stata protagonista di alcune collezioni di Gucci ispirate alla fluidità di genere e della mini serie web Ouverture of Something that never ended, diretta dal regista Gus Van Sant.
Nata a Lugo, in provincia di Ravenna, il 9 settembre 1981, ha iniziato a lavorare da giovanissima con la compagnia Teatro della Valdoca, di cui è stata interprete in diverse produzioni.
Dal 2006 fa parte di Motus, compagnia nomade e indipendente, con la quale ha portato in giro diversi fortunati spettacoli ospitati in numerosi festival nazionali e internazionali.
È stata protagonista di The Plot is the Revolution a fianco di Judith Malina, storica fondatrice del Living Theatre, in uno dei suoi ultimi spettacoli.
Nel 2009 ha vinto il Premio Ubu come miglior attrice under 30.
Ha lavorato anche per cinema e tv ed è comparsa in diversi videoclip musicali.
Oltre che nei teatri, il suo percorso politico, ma anche formativo e artistico, ha preso corpo nella rete degli spazi informali, indipendenti e occupati di militanza culturale.
Con Ilenia Caleo, dal 2015, porta avanti un atelier di ricerca aperto e orbitante che si snoda tra laboratori, residenze artistiche e formati spettacolari. Dal 2017, entrambe, insegnano allo IUAV di Venezia nel Laboratorio di Arti visive. Insieme concepiscono e creano installazioni e progetti nomadi e crossdisciplinari in giro per il mondo. Nel 2022, hanno creato l’istallazione Pick Pocket Paradise per la mostra Espressioni con frazioni al Castello di Rivoli e sono state artiste associate del Padiglione Italia della Biennale Architettura 2023.
È stata oggetto di pesanti critiche da parte di esponenti di destra quando, nel 2020, in un progetto di arte pubblica a Bologna per la campagna La Lotta è Fica, che rappresentava le lotte femministe che intersecano l’antirazzismo, è stato affisso un poster in cui era ritratta in nudo integrale con sei capezzoli con lo slogan Così è (se mi pare). 
Nel 2023 è uscito il suo libro, Denti di latte, che sonda il campo sensoriale della sua infanzia trasformando la percezione della realtà in un’esperienza di indagine continua. 
Il lavoro di Silvia Calderoni è impossibile da confinare all’interno di un solo linguaggio. Sicuramente nasce dal teatro di ricerca come dimensione in cui esprimere una serie di istanze per cui la società non ha ancora alfabeti disponibili. Il suo corpo, materia prima e viva, attraverso cui instaurare un tacito patto tra sé e il pubblico, è uno strumento che  travalica i confini della scena tradizionalmente intesa per toccare mondi limitrofi, come l’arte, la moda e il cinema.
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fashionluxuryinfo · 3 months
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Collezione Woman SS24 del brand AERONAUTICA MILITARE. Sempre verso il futuro
Indipendente e decisa, la collezione Woman SS24 di AERONAUTICA MILITARE è fresca ed estiva sia per la cartella colori utilizzata, pensata per esprimere la propria personalità e le proprie emozioni, che per i materiali impiegati, tutti di alta qualità.
Tessuti leggeri, comodi e resistenti, che aiutano il corpo a stare bene, viene privilegiato l’utilizzo di fibre naturali che richiedono meno risorse di produzione rispetto a quelle sintetiche e conciliano maggiormente le esigenze di chi le indossa.
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lamilanomagazine · 3 months
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Europee, Da Decaro a Vannacci: ecco chi sono i recordman di preferenze
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Europee, Da Decaro a Vannacci: ecco chi sono i recordman di preferenze. Le preferenze ottenute dai candidati dei partiti alle Europee offrono un’analisi interessante anche del voto complessivo a livello nazionale. A partire chiaramente dai 2,4 milioni di consensi personali ottenuti dalla premier Meloni nelle cinque circoscrizioni in cui ha corso. Se si analizzano i voti in ogni circoscrizione, tra le preferenze di Giorgia Meloni e quelle degli altri candidati di FdI, si osserva un divario enorme. Nel Nord-Ovest la premier ha ottenuto 623.684 voti e il secondo, Carlo Fidanza, appena 50.751, e a seguire tutti gli altri. I 2,4 milioni di Meloni la collocano all'altezza dei numeri di Berlusconi, quando FI superava il 30%. Diversa la situazione nel Pd, dove le preferenze hanno svolto in parte anche la funzione di estensione del dibattito interno tra le varie anime del partito. Clamorose le 495.918 preferenze di Antonio Decaro al Sud, oltre il doppio di quelle di Lucia Annunziata (241.016), la capolista scelta da Schlein. In quasi tutte le circoscrizioni i candidati riconducibili all’area riformista sono andati meglio degli altri, a partire da Stefano Bonaccini (389.284), Giorgio Gori (210mila), Dario Nardella (100mila) e Matteo Ricci (84mila). Le 532.368 preferenze incassate da Roberto Vannacci nelle cinque circoscrizioni danno ragione alla scelta di Matteo Salvini. Per esempio nel Nord Ovest, i 186.637 suffragi del generale sono oltre il doppio di quelli della capolista Silvia Sardone (75mila), europarlamentare uscente e grande raccoglitrice di preferenze. Considerando che rispetto alle politiche la Lega è scesa nella stessa circoscrizione da 995 mila voti a 802 mila, si può presumere che il calo sarebbe stato maggiore senza il contributo di Vannacci. Dunque, tra i volti noti che andranno a Strasburgo figurano - oltre a Roberto Vannacci e Ilaria Salis - anche Lucia Annunziata, Pasquale Tridico, Nicola Zingaretti, Cecilia Strada, Antonio Decaro, Stefano Bonaccini e Mimmo Lucano. Ancora in bilico Marco Tarquinio (indipendente Pd). Niente Europa, invece, per tutti i candidati delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento: oltre a Renzi, Calenda e Bonino, restano senza seggio anche Santoro, Bandecchi e Cateno De Luca.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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silviascorcella · 10 months
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Tela p/e 2018: come il tessuto, ospita la creatività sincera
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Potrebbe essere un gioco d’intelletto, come le famose parole che si creano con gli incroci corretti: la usa l’artista per dare vita agli immaginari della sua fantasia; la si usa in sartoria per dare un primo cenno di vita tridimensionale ai capi disegnati; la usa la natura come strumento di difesa e di cattura dei nemici. Infine: le regalano l’iniziale maiuscola e, in quelle sue quattro lettere, diventa un mondo di moda rigorosamente italiana, testardamente ricercata nella fattura e nella femminilità, discreta nel successo sempre crescente che sta godendo dentro e oltre i confini della nostra nazione. 
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Tela, con la “t” maiuscola, è il nome di un marchio istituto a Verona una manciata di anni fa, ma nato da una lunga esperienza nel settore del fashion della sua direttrice creativa e anima appassionata, ovvero Federica Mora. E nella collezione dedicata alla prossima stagione Primavera-Estate 2018 presenta un nuovo capitolo della sua storia giovane nell’apparenza, ma sempre più ricca nella sostanza.
Tela, dunque, è un simbolo eccellente di quell’urgenza sana e salvifica di continuare a creare la moda dell’abbigliamento, una sorta di necessità dell’intelletto curioso e della mano artigiana che da sempre è parte integrante dell’italianità: Tela è espressione concreta, perdonate il gioco di parole, della fiducia nella  moda come veicolo d’espressione, il che non è una mera ripetizione, ma è una vera definizione d’intenti. Ovvero: progettare capi d’abbigliamento che non solo assecondino il vezzo di valorizzare la propria bellezza, ma che nel frattempo funzionino anche come un amplificatore per comunicare la propria identità. Come?
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Partendo da quel che il nome stesso evoca, una volta ridimensionata la sua iniziale: la tela, cioè l’armatura di base dei tessuti a navetta, la versione più semplice, quella dove non c’è rovescio perché il manufatto mantiene lo stesso aspetto su entrambe le facce, un aspetto schiettamente sincero, per questo versatilissimo. Ecco, Tela parte dalla semplicità intesa come approccio minimale: nessun fronzolo, solo l’importanza meticolosa dedicata alla ricerca delle forme, all’esattezza dei tagli, alla definizione dei volumi e alla costruzione di un immaginario in costante evoluzione tra la discrezione classica e l’inventiva contemporanea, ma sempre rigorosamente allacciato alla femminilità e al buon gusto col quale va vestita.
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La collezione s/s 2018 è un racconto stagionale composto attraverso i colori, le forme che danzano tra il rigore geometrico e la delicatezza ariosa, l’essenziale come punto di partenza, la cura dei dettagli che son quasi una strategia di funzionalità ed estetica combinate per rendere unico ogni capo: come i lacci che s’incrociano sospesi sulla pelle nuda delle spalle, i bottoni che chiudono il fondo dei pantaloni, le ruches sul giromanica e l’abbottonatura frontale giocosa della tuta.
Le tinte, si diceva, sono il leit-motif avvincente: il quadrettato dello spolverino dritto dai colori vivaci primaverili come l’azzurro cielo splendente, che si offre anche nella versione dell’ampio gilet da appoggiare sulla camicia candida a stratificata sui pantaloni dal rivolto alla caviglia; il rosa cipria dell’abitino bon ton stretto da una coulisse e del completo giacca e pantalone; il panna delicatissimo della tuta, lo stesso panna delicatissimo dell’abito con i tasconi come fosse un’evoluzione da città della sahariana; la grazia intensa del ciclamino in contrasto con la sinfonia pratica eppur ricercata dei verdoni d’appartenenza militare, come gli stessi capispalla che interpretano.
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Non solo tinte unite, ma anche pattern: come il gioco estivo del bianco e beige, eseguito con l’appaiata di blusa e pantaloni ampi, assottigliato nelle righe che attraversano il maxi-dress, che s’intensificano nel giallo brillante. Ma anche come l’incursione della stampa grafica sul t-shirt dress, che invade anche la gonna a tubo con i suoi motivi che ricordano l’allegria dei grafismi di Mirò, prima rimandano alla delicatezza di inflorescenze, e poi fanno esplodere l’energia cromatica degli astrattismi esatti, anche un pizzico esotici. Le forme, intanto sembrano uscite da un diario dei fantastici Seventies: i pantaloni svasati sul fondo, il trench geometrico lungo e classico ma anche corto e svelto abbinato alla gonna lunga, le bluse soffici, i sandali dalle strisce essenziali, ma colorate. 
Aria di vacanza rilassata, nel tempo e nello spazio, ma anche aria di città metropolitana: versatilità, è valore-must di Tela.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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alienina-is-awesome · 5 months
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Quasi 60 ore di lavoro per uno stuker pack a tema oc di habin hotel.
Fila 1
Metaron the enligthed
Uriel the wise
Haziel un custode (@reiofdarkenssart)
Ingrid la strega delle anime im conflitto
Fila 2
Feng mian mian overlord dei veleni
Miriam Angelo del sacrificio
Ruby the bloody un pirata che ha fatto un po di storia
Analisi the virgin slut una donna dai principi la quale ha stretto un patto con Valentino
Fila 3
Erika la wicca poteva legarsi a Lucifero ma è indipendente
Maddalena speranza, e finita al inferno per sbaglio
Svel un esorcista rimasto intrappolato per 40 anni in una foresta e no non è il diminutivo di svetlana
Chanel vanity i suoi genitori hanno il mercatondellq moda in tutti gli anelli.
Fila 4
Jelel aiutante di metatron serafino luibprende le misure per gli abiti sacri
Azrael the conforter non è minacciosa anzi è amica di tutti, anche se se la scuoti fa la piletta di coltelli angelici
Phenex goetia e una marchese che spera che un giorno possa tornare in paradiso
Betsey (@reiofdarkenssart) amica di infanzia e tuttora di chanel
Fila 5
Ehiyah serafino dedito alla tessitura delle vesti angeliche non che sottoposto di metatron
Sarha (@reiofdarkenssart) una strega di lilith
Amelia una cantante anni 60 che ha strettonun patto con alastor per cantare la sua liberta
Mary jane doe barbie passione stilista
Fila 6
Danilo (@reiofdarkenssart) marito di mian italo americano amante della cucina patate finito amche lui al inferno per sbaglio
Zagan della goetia lo sapete e sopra le righe come sempre
Furnia goetia figlia del conte furfur e la sua splendida imp moglie draconia, una bimba da proteggere
Hilbert maggiorndomo di bathin mezzo imp e mezzo succube con i traumi e ansia
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comenasceunadonna · 7 months
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Coco Chanel
Nata a Saumur, Francia, il 19 agosto 1883, Gabrielle Chanel, chiamata "Coco", ebbe un’ infanzia molto umile e triste, trascorsa in gran parte in un orfanotrofio dopo la morte della madre.
Con lo stile lanciato da lei ha rappresentato il nuovo modello femminile del '900, ossia un tipo di donna dedita al lavoro, a una vita dinamica, sportiva, priva di etichette e dotata di autoironia, fornendo alle donne il modo più idoneo di vestire. Inizia la sua carriera disegnando cappelli ma l'apice della sua creatività è da attribuire agli anni trenta, quando, dopo aver inventato i suoi celeberrimi e rivoluzionari "tailleur" (abbigliamento tipicamente appartenuto all'uomo)
In buona sostanza, si può dire che Chanel rimpiazzò il vestiario poco pratico della belle epoque con una moda larga e comoda che si adattasse alle “nuove donne” che stavano nascendo, a donne moderne e innovative; fece in modo che, anche la moda si allineasse con le battaglie che al tempo le donne portavano avanti e che le aiutasse verso il loro percorso di emancipazione. Coco fu in grado di modernizzare ulteriormente il nuovo stile di vita che le donne stavano iniziando ad adottare. Tuttavia però le idee di Coco non potevano essere messe in atto e realizzate se non ci fosse stata una figura maschile in secondo piano, che aveva i contatti, che finanziava le sue idee e che le permetteva di realizzare i suoi progetti per farla entrare in contatto con quel mondo (come Étienne, un uomo grazie al quale Coco iniziò a entrare nell'esclusiva scena della moda parigina, che altrimenti le sarebbe stata totalmente inaccessibile). Ricordando però un contesto storico in cui le donne come Coco erano già viste come troppo rivoluzionarie, troppo sopra le righe se volevano lottare e far si che le loro ideazioni venissero alla luce dovevano sempre e comunque fare affidamento a figure maschili, anche se lei stessa non voleva dipendere da nessuno, ma questo perchè non ci sono mai state eque possibilità e opportunità. Anche quando rifiutò la proposta di matrimonio da parte del duca di Westminster poiché avrebbe dovuto abbandonare la sua attività. Questo fa capire quanto rimase sempre lucida, consapevole e determinata nel voler essere fino alla fine una donna forte, indipendente e dedita alle sue passioni e al suo lavoro.
di Francesca Schiavo e Anna Vigato
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chicshoppers · 10 months
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Opportunità lucrative di essere un personal shopper
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Il personal shopper è un professionista che assiste i clienti nella scelta di abiti, accessori e altri articoli che completano il loro stile, la loro personalità e il loro budget. Il personal shopper lavora con una varietà di clienti, tra cui individui, famiglie e aziende. Il ruolo di un personal shopper può variare a seconda delle esigenze e delle preferenze del cliente. Alcuni clienti possono richiedere assistenza per la creazione di un guardaroba completo, mentre altri possono aver bisogno di aiuto per un evento specifico, come un matrimonio o un colloquio di lavoro.
I personal shopper possono lavorare in modo indipendente, come parte di un'agenzia di personal shopper o come dipendenti di un negozio al dettaglio. Come personal shopper, dovete possedere eccellenti capacità comunicative e interpersonali per instaurare un rapporto con i clienti e capire le loro esigenze. Deve inoltre avere un occhio di riguardo per la moda e conoscere le tendenze, gli stili e gli stilisti attuali.
Vantaggi dell'assunzione di un personal shopper
I vantaggi dell'assunzione di un personal shopper sono molteplici. Innanzitutto, un personal shopper può farvi risparmiare tempo e ridurre lo stress e la frustrazione dello shopping. Non dovrete più trascorrere innumerevoli ore alla ricerca dell'abito o dell'accessorio perfetto. Un personal shopper può anche aiutarvi a evitare costosi errori di moda, fornendovi consigli esperti su quali sono gli stili e i colori più adatti alla vostra corporatura e alla vostra carnagione.
Un altro vantaggio dell'assunzione di un personal shopper è che può aiutarvi a sviluppare uno stile unico che rifletta la vostra personalità e i vostri obiettivi. Un personal shopper può anche aiutarvi a risparmiare trovando le migliori offerte e sconti su abbigliamento e accessori.
Come funziona e perché potreste averne bisogno
Un'agenzia di personal shopper è un'azienda che fornisce servizi di personal shopping ai clienti. Le agenzie di personal shopper possono essere indipendenti o far parte di una grande azienda di vendita al dettaglio o di moda. Le agenzie di personal shopper dispongono in genere di un team di personal shopper esperti e competenti che lavorano con i clienti per soddisfare le loro esigenze di moda.
Ci sono molte ragioni per cui potreste aver bisogno di un'agenzia di personal shopper. Se siete professionisti impegnati o avete un'agenda fitta di impegni, un'agenzia di personal shopper può farvi risparmiare tempo e ridurre lo stress dello shopping. Un'agenzia di personal shopper può anche fornirvi l'accesso a una gamma più ampia di capi di abbigliamento e accessori che potrebbero non essere disponibili nella vostra zona.
Competenze e qualità necessarie per diventare un personal shopper di successo
Per diventare un personal shopper di successo è necessario possedere una combinazione di competenze e qualità. Innanzitutto, dovete avere una passione per la moda e un occhio attento allo stile. Dovete inoltre possedere eccellenti capacità comunicative e interpersonali per instaurare un rapporto con i clienti e capire le loro esigenze.
Altre abilità e qualità importanti sono l'attenzione ai dettagli, l'organizzazione e la gestione del tempo. Deve inoltre conoscere le tendenze della moda, gli stilisti e i marchi attuali. Un personal shopper deve essere in grado di lavorare in modo indipendente e come parte di un team, e deve avere un orario flessibile per soddisfare le esigenze dei clienti.
In conclusione, il ruolo di personal shopper offre infinite possibilità e potenziale di crescita. Come personal shopper, potete aiutare le persone ad apparire e sentirsi al meglio, costruendo al contempo una carriera di successo nel settore della moda. Sviluppando le vostre capacità, costruendo il vostro marchio e fornendo un servizio eccellente ai vostri clienti, potrete raggiungere il successo e la realizzazione in questo settore entusiasmante.
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Alta moda femminile al B&B Villa Rosa di Torino 
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