Tumgik
#Lontana da me
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le Camel Blu, le fumi ancora?
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givemeanorigami · 1 year
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La fatica di convivere con una famiglia che a distanza di diciotto anni continua a rinfacciarmi di non aver scelto la via dell'agonismo perché "eri così brava, eri un talento naturale!". Sì, ma non sarei andata lontana con quei venti/trenta centimetri in meno rispetto all'altezza media delle nuotatrici.
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gone-with-the-syn · 6 months
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''conosci questa canzone?''
''no, senti questa che bella''
''è stupenda...tu sì bell, scé. T vatt''
Quelle conversazioni che vorresti durassero una vita, eppure qualcosa necessariamente non va mai come vorresti.
Però, segretamente, nel mio cuore ci resti.
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lapizzicata · 5 months
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In questo periodo sto passando molte notti fuori e lontano da casa per lavoro. Le trasferte mi sono sempre piaciute, ma ultimamente sto incassando il colpo e ci arrivo stanca. Gli alberghi sono sempre dignitosi. Mai belli, ma puliti e spesso con i balconcini. La sera è bello tornare in una stanza in cui tutto è a posto; il bagno è pulito, il letto è rifatto, il posacenere è svuotato e le scarpe sempre allineate al muro. Io, che le scarpe le butto dove capita, gioisco sempre e penso che una volta a casa devo iniziare a metterle così. Mi godo la sensazione, per qualche giorno, di non dover occuparmi di niente, nemmeno dei pasti. Altre persone lo fanno per me e mi sta bene. Una sensazione nuova per una che ha mania di controllo. Sto facendo progressi, penso. Stare in terapia da cinque anni mi ha aiutato, penso.
Mi metto seduta per terra in balcone e fumo. E penso che l’anno scorso ero sempre in questa città lontana, mentre mia nonna aveva un ictus che l’avrebbe portata lentamente via da me in cinque mesi. Penso che da allora le trasferte le vivo con un senso di angoscia sotto traccia. Penso di non aver avuto l’occasione di vederla lucida perché ero in un posto lontano da casa a lasciare che altre persone si prendevano cura di me. E penso, come ovvio che sia, a tutto il non detto, a tutte le occasioni mancate, alle strade percorse e quelle abbandonate, al tempo che passa inesorabile, ai quarantacinque anni che si avvicinano. E penso che una figlia me la meritavo. Il pensiero di maternità sempre rifuggito perché troppo voluto mi attanaglia ora che, pur volendo, madre non posso essere più. E sì, una figlia me la meritavo proprio.
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papesatan · 24 days
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Sul passar della sera, torna ogni tanto a trovarmi un'eco di vita lontana, il ricordo della persona che ero, quando facevo il traduttore e mi sentivo al centro d'un mondo scavato nei libri, intriso di letteratura. Era il periodo in cui, alle giornate della traduzione di Roma, Ilide Carmignani mi salutava fra tanti (e io mi voltavo per capire se stesse davvero salutando me) e la mia preziosa mentore Emanuelle Caillat mi raggiungeva per sapere come stessi. Sembrerà sciocco, ma lo ricordo con affetto, mi sentivo parte di qualcosa. Poi cominciai a star male, perché tradurre m'intossicava, esaltando le mie peggiori compulsioni, e così smisi. Due anni fa Emanuelle mi scrisse per propormi la traduzione d'una nuova collana francese, delle storie che l'avevano fatta pensare subito a me. So bene con quanta fatica schiere di giovani traduttori e traduttrici lottino ogni giorno per emergere alla luce (e lungi da me sputare sul sogno che in molti vorrebbero realizzare), ma pur ringraziandola, rifiutai. "Ho chiuso" risposi, "Ormai sono fuori dal giro". Avevo appena aperto il doposcuola, un simile doppio impegno mi avrebbe devastato. Dispiaciuta (o forse delusa), mi pregò di scriverle se avessi cambiato idea. Non l'ho più sentita. Non fraintendetemi, non mi manca affatto tradurre, non a quelle condizioni, non mi mancano le scadenze assurde, le notti insonni, le insistenze per farsi pagare (mia croce da sempre, a quanto pare), ma seppur in silenzio, era bello sentirsi misera parte della dea Letteratura. Mi sentivo qualcuno. Ora invece mi guardo attorno, circondato da bambini, nel mio doposcuola, e so di non essere nessuno. Ma è la strada che mi sono scelto e va bene così.
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kon-igi · 8 months
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CHIAMA I RICORDI COL LORO NOME
Nel 2019, la mia compagna, le mie figlie e io decidemmo di intraprendere un percorso che alla fine ci avrebbe portato a diventare la famiglia affidataria di un minore e questo implicava un sacco di incontri, singoli e di gruppo, con cui assistenti sociali e operatori valutavano la nostra capacità di accudimento e contemporaneamente ci informavano e ci formavano su cosa significasse prendersi cura di un minore in modo continuativo ma parallelamente alla famiglia biologica, con la quale dovevamo rimanere sempre in contatto.
(anticipo che poi la cosa finì in un nulla di fatto perché poco dopo scoppiò il caso Bibbiano - 30 km in linea d'aria da Parma - e per precauzione/paura tutti gli affidi subirono un arresto. E poi arrivò il Covid)
La mia riflessione nasce alla lontana da un video che youtube mi ha suggerito questa mattina presto - è poco importante ai fini della storia ma è questo - che mi ha ricordato una caratteristica della mia infanzia...
Difficilmente riuscivo a essere felice per le cose che rendevano felici gli altri e quella vecchia canzone - che è considerato l'Inno del Carnevale di Viareggio, mio luogo di nascita e dei primi 20 anni di vita - ne è l'esempio emblematico, direi quasi sinestesico.
Tutti i viareggini la conoscono e la cantano nel periodo più divertente e frenetico della città ma io la associo a un'allegria dalla quale ero sovente escluso, odore di zucchero filato che non mangiavo e domeniche che significavano solo che l'indomani sarei tornato a scuola, preso in giro dai compagni e snobbato dalla maestra.
Vabbe'... first world problem in confronto ad altri vissuti (in fondo ero amato e accudito) però l'effetto a distanza di anni è ancora questo.
Tornando al quasi presente, una sera le assistenti sociali chiesero al nostro gruppo di futuri genitori affidatari di rievocare a turno prima un ricordo triste e poi uno felice.
E in quel momento ebbi la rivelazione che la quasi totalità dei presenti voleva dare amore a un bambino o a una bambina non propri perché sapeva in prima persona cosa significasse vivere senza quell'amore: gli episodi raccontati a turno non era tristi, erano terribili... violenza, abbandono, soprusi, povertà e ingiustizie impensabili nei confronti di bambino piccolo e, ovviamente, quando arrivò il nostro turno (la mia compagna non ne voleva sapere di aprire bocca) mi sentivo così fortunato e quasi un impostore che, in modo che voleva essere catartico e autoironico, raccontai di quando la maestra in terza o in quarta elementare chiamò un prete che davanti a tutta la classe mi schizzò di acqua santa perché - a detta della vecchia carampana - sicuramente ero indiavolato.
Ribadisco che la cosa voleva essere intesa come un modo per riderci su e detendere l'atmosfera pesante che il racconto dei vissuti terribili aveva fatto calare sul gruppo ma mentre sto mimando con una risatina il gesto del prete con l'aspersorio, mi accorgo che tutti i presenti hanno sgranato gli occhi e hanno dilatato le narici, nella più classica delle espressioni che indicano un sentimento infraintendibile...
La furia dell'indignazione.
Cioè... tu a 10 anni hai visto tua madre pestata a sangue da tuo padre e fatta tacere con un coltello alla gola ed empatizzi con me che ti sto raccontando una stronzata buona per uno sketch su Italia Uno?
Mi sono sentito uno stronzo, soprattutto quando la furia ha lasciato il posto a gesti e parole DI CONFORTO per quello che, evidentemente, sembrava loro una prevaricazione esistenziale orribile (cioè, lo era ma, per cortesia... senso delle proporzioni, signori della giuria).
Mi sono quindi rimesso a sedere, incassando il supporto con un certo qual senso di vergogna, finché poi non è arrivato il momento della condivisione dei momenti felici.
Silenzio di tomba.
Nessuno parlava.
Nessuno riusciva a ricordare qualcosa che lo avesse reso felice.
Con un nodo in gola - perché avevo capito che razza di vita avevano avuto le persone attorno a me - mi rendo conto che io ne avevo MIGLIAIA di momenti felici da condividere ma che ognuno di essi sarebbe stato una spina che avrei conficcato nel loro cuore con le mie stesse mani.
E allora mi alzo e rievoco ad alta voce il ricordo felice per me più antico, quello che ancora ora, a distanza di decenni, rimane saldo e vivido nella parte più profonda del mio cuore...
-Le palle di Natale con la lucina rossa dentro. Quando ero piccolo, durante le vacanze di Natale aspettavo che mio papà e mia mamma andassero a letto e poi mi alzavo per andare a guardare l'albero... non i regali sotto, proprio l'albero. Era finto, di plastica bianca spennachiosa, ma mia mamma avvolgeva sempre intorno alla base una striscia decorativa verde a formare una ghirlanda e mio padre stendeva tutto attorno ai rami un filo con delle palle che, una volta attaccate alla presa elettrica, si illuminavano di rosso. Io mi alzavo di nascosto e nel caldo silenzio della notte guardavo le luci intermittenti dipingere gli angoli del divano e del tavolo, con un sottile ronzio che andava e veniva. Ero al caldo, ero protetto, voluto e amato. Se allungo le mani posso ancora tastare quel ronzio rosso che riempe la silenziosa distanza tra me e l'albero e niente potrà mai rendere quella sensazione di calda pienezza meno potente od offuscarne la completezza. Quello era l'amore che mi veniva dato e che a nessuno sarebbe mai dovuto mancare.
A un certo punto sento una mano che mi si poggia sul braccio (avevo chiuso gli occhi per rievocare il ricordo) e accanto a me c'è la mia compagna che sorride, triste e piena di amore allo stesso tempo.
E attorno a me tutti stanno piangendo in silenzio, esattamente quello che col mio ricordo semplice volevo evitare e che invece doveva aver toccato lo stesso luogo profondo del loro cuore.
E in mezzo alle lacrime (che figuriamoci se a quel punto il sottoscritto frignone è riuscito a trattenere) cominciano a scavare tra i ricordi e a tirarli fuori... il cucciolo che si lasciava accarezzare attraverso il cancello della vicina, il primo sorso dalla bottiglietta di vetro di cedrata, la polvere di un campetto da calcio che si appiccicava sulla pelle sudata, l'odore della cantina, il giradischi a pile...
E nulla. Non so più cosa dire e nemmeno cosa volessi dire.
Forse che sembriamo così piccoli, malmessi e fragili ma che se qualcuno ci picchietta sulla testa e sul cuore siamo capaci di riempire il mondo di cose terribili e meravigliose.
Decidere quali ricordare e quali stendere davanti a noi è una scelta che spetta non a chi picchietta ma a chi permette che essi fluiscano da quella parte profonda di sé a riempire lo spazio tra noi e il domani.
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smokingago · 10 months
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È come una mancanza di respiro
e un senso di morire
quando mi stringe improvviso
il desiderio di te tanto lontana
e nulla può calmarlo, altro pensiero
non può occuparmi, tranne il Paradiso
che sarebbe per me lo starti accanto.
Ma poiché ciò m’è negato, più cara,
molto più cara d’una fredda pace
mi è la stretta indicibile −
quasi marchio di fuoco che proclami
ancora e sempre quanto sono tuo.
A nessun costo vorrei separarmi
da questo mio dolore.
Margherita Guidacci
da “Anelli del tempo”
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gelatinatremolante · 1 month
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Sono stato a un concerto dei Santi Francesi con la, remota, speranza di riuscire a incontrare Matilda De Angelis da qualche parte in disparte lontana dalla folla e convincerla a venire via con me ma sorpresa: non è successo.
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ninfettin · 2 months
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tutte le esperienze negative degli ultimi 15 anni mi hanno fatto arrivare ad adesso. e adesso ho paura, vado in ansia, a stare troppo lontana da casa mia, da camera mia, dalle mie cose, dalla mia routine. qui so cosa mi aspetta, sono relativamente tranquilla e mi sembra di poter respirare
m non riesce a capirlo (chi non prova sta cosa non può capirlo forse) e invece che accettare il fatto sembra voler pungere nella nuda carne e mi accusa. so che è un suo modo per smuovermi, ma ottiene l'effetto opposto: voglio ancora più scappare e nascondermi
alla sei e mezza volevo andarmene a casa, ma siamo stati a parlare un'ora e mezza ancora per cercare di spiegarci i nostri punti di vista. lui giustamente non capisce perché in pratica non mi trasferisca da lui, io mi visualizzavo solo camera mia nel silenzio. alla fine del discorso, dopo pianti, accuse, attacchi di panico sfiorati, mi dice che è preoccupato per me perché "come la potresti prendere quando i tuoi non ci saranno più? magari non di vecchiaia, magari per un incidente". lui ha vissuto tre lutti importanti in meno di un anno quindi ha un'altra prospettiva della vita e solo il pensiero mi ha fatto venire voglia di scappare via ancora di più. non so se siamo fatti per stare insieme. mi sento una delusione
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arreton · 5 months
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La patente è arrivata in un momento in cui io consideravo morta e sepolta la possibilità di prendere una macchina, di guidare: sebbene avessi sognato più volte di guidare (ovviamente male, perché per me sono sempre esistiti solo freno e acceleratore e nello specifico solo acceleratore e forza frenante del motore, maldetta frizione!) non mi interessava più, anzi mi dicevo che sarebbe stato bello riuscire a spostarsi coi mezzi pubblici, treni autobus, camminare a piedi. Vivevo in un paese campano che rimarrà forse il mio unico rimpianto del sud italia perché era ben strutturato: a piedi raggiungevo e facevo tutto, avevo il centro storico, il centro commerciale, farmacie a volontà, dottoressa vicino casa, un sacco di supermercati, un partito comunista, manifestazioni in piazza: tutto raggiungibile a piedi. Rimpianto perché in quanto sud non puoi campare e la gente è molesta per natura e dunque sono dovuta scappare anche da lì. Della patente, insomma, a me non me ne fregava niente, non ci pensavo affatto. Mentalmente ero ancora abbastanza inguaiata, andava meglio ma non andava bene: ero tesa come una corda di violino, il mio corpo era un fascio di nervi e questo si ripercuoteva sulla guida: l'istruttrice fece una grandissima fatica, sudava appresso a me che ero grondante di sudore terrorizzato. Iniziare a guidare è stato un trauma: ero terrorizzata dal fatto che quell'abitacolo, quell'aggeggio enorme non solo era "comandato" da me, ma mi toglieva letteralmente il terreno sotto i piedi (a questo proposito aggiungo che io ho avuto problemi anche col tapis roulant perché appunto c'era questa passerella che si muoveva in maniera "autonoma" ed io avevo paura di non riuscire a controllarla. Cosa c'entra con la guida di un auto? Beh, è la stessa identica cosa dato che ho paura di perdere il controllo). Poi io ho bisogno di capire quello che sto facendo, devo farmi uno schema in testa, non riesco a buttarmi e capire dopo, io devo sapere prima. Beh, io non riuscivo a capire cosa stavo facendo e dunque non riuscivo a rilassarmi. Comunque, alla fine sono riuscita a prendere questa benedetta patente. L'ho presa per grazia divina perché appunto l'esame fu terribile ed infatti io non ero nemmeno felice di quella patente perché non era "meritata", cioè io non riuscivo ancora a guidare, ero insicurissima ed immaginavo violentemente ancora un incidente ad ogni minimo incrocio (non riuscivo nemmeno a stare dritta nella mia carreggiata). Infatti presa la patente non ho più guidato.
La macchina invece è arrivata in un momento in cui non doveva arrivare e cioè circa un mese fa: senza lavoro, a soldi prestati (come d'altronde anche la patente), lontana da tutti, in un posto che nemmeno conosco perché chi cazzo c'è mai stata in provincia di bergamo. Sapevo che mi sarei dovuta prendere una macchina prima o poi, perché qua è tutto scomodo come in sicilia, ma avevo progettato di acquistarla in un altro momento. Reiniziare a guidare è stato semplice e soprattutto divertente: è cambiata la testa, le medicine sono servite a qualcosa. Ho fatto qualche guida assieme ad una istruttrice della zona e mi sono divertita un sacco, la sua guida è stata preziosa e lei una persona veramente gentile (oltre che strana, come tutte le persone della zona: io a tutta questa educazione non ci sono abituata e soprattutto non sono abituata a chi dice "Un quarto alle 9") ed esaltata, ovviamente pure lei di discendenza siciliana ma ormai lo so che la sicilia me la ritroverò ovunque: d'altronde i pomodori che ho comprato venivano proprio dalla città dove sono nata. Io adesso comunque guido: la macchina mi odia perché la faccio singhiozzare sempre e perché non cambio adeguatamente le marce, per non parlare di tutte le volte che la faccio spegnere o che resto appesa in una salita perché non so bilanciare bene frizione e acceleratore; la frizione mi deride perché sa che ho un odio e una repulsione spontanei nei suoi confronti; la gente quando mi guida dietro si mette a ridere quando proprio non mi bestemmia ma qua nessuno mi ha mai suonato, al massimo mi sorpassano. A volte penso che guidare è una gran bella cosa, che spero di avere i soldi prima o poi per farmi un bel pieno, pagarmi i pedaggi e andare che ne so a milano o robe simili. Penso che dovrei approfittarne del fatto di potermi spostare tranquillamente, per poter andare in posti dove ho sempre voluto andare, mi dico: wow, ma qua ho tutto così vicino! Persino voi tumbleri siete così vicini, se ci penso! A tutta questa libertà di movimento è difficile abituarsi, per una che ha sempre vissuto entro i confini di un'isola e della miseria. Certo, se arrivasse un lavoro sarebbe pure cosa gradita (mi correggo: se arrivasse un'entrata mensile, che poi si debba passare per il lavoro è solo una triste parentesi disumanizzante) ma poi penso che male che vada ho un tetto sotto il quale poter dormire: la mia auto.
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yomersapiens · 9 months
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Ratti auguri di buon Rattale!
A Vienna si calcola esistano una cosa come tre milioni di ratti che vivono nel sottosuolo della città. C'è un tour che ti fa esplorare le complesse linee fognarie dove ti raccontano di tutti questi ratti che girano. Tre milioni di ratti sono quasi due ratti a testa per ogni abitante della città. Quindi, in un mondo perfetto, questo Natale in casa saremmo in quattro: io, Ernesto e due ratti. I due ratti durerebbero poco. Uno Ernesto se lo mangerebbe in un secondo. L'altro lo difenderei a spada tratta e diventerebbe il mio alleato eterno e lo chiamerei Ratteo, così, per avere un essere vivente a cui tramandare quello che ho imparato durante la mia esistenza.
Ho deciso di passare il Natale lontano dall'Italia perché negli ultimi mesi sono stato troppo in giro e mi stavo dimenticando di uno dei valori principali su cui è fondata la mia stabilità: la solitudine. Ho fatto in modo di andare a cena da mio fratello molto molto presto, per essere in grado di finire prestissimo e tornare a casa quando il resto delle famiglie si stanno sedendo a tavola. È stupenda Vienna quando in giro non c'è anima viva. O per meglio dire, quando in giro ci siamo solo noi immigrati, senza famiglia, senza nessuno. No ok io ho un gatto e un ratto a cui sto insegnando tutto di me e che spero un giorno prenda il mio posto nella società. Lo vestirei con i miei stessi abiti. Forse gli farei pure gli stessi tatuaggi.
Vienna di per sé non è mai troppo affollata, c'è da dire. Ma vederla ancora più deserta del solito è rinvigorente. La solitudine che tanto mi manca è ovunque. Il bus si muoveva sinuoso tra le strade senza l'ombra di una macchina in movimento. I semafori lampeggiavano sincronizzati con le luci degli alberi negli appartamenti di chi non vedeva l'ora di festeggiare. Tante lingue diverse. Del tedesco neanche una lontana eco. Prima di rientrare sono passato dal supermercato turco, loro sono sempre aperti. Ecco un altro pilastro della mia stabilità. Due ragazzini prima di me stavano comprando quella che penso fosse la loro cena natalizia. Una confezione di pane da toast, del formaggio già tagliato a fette, del prosciutto, qualche sacco di patatine e una marea di coca zero. Quanto li ho invidiati. Non dovevano essere di qua, intendo abitanti della zona. Avevano l'aspetto dei turisti. Erano giovani, vestiti male, capelli orrendi, con pochissimi soldi ma stavano avendo la serata che vorrei tanto aver avuto io con te. In una città di cui non sappiamo niente, in un momento in cui tutti si ricongiungono con i familiari, noi, andare via da tutto e avere tutto quello che ci serve tra i filamenti del formaggio sciolto del toast. Unica differenza, lo si farebbe senza prosciutto, che lo diamo a Ernesto e Ratteo.
Quando ottieni quello che hai sempre voluto è il momento in cui ti rendi conto di quanto era bello semplicemente desiderare, senza le responsabilità che derivano dall'ottenere. La felicità è un atto di responsabilità e va difesa. Devi lavorare ancora più di prima per mantenerla. Consuma un sacco. Ha sempre fame. Ci mette un attimo ad ammalarsi e deperire e mutare e non appena diventa anche solo di un gradiente meno luminosa ecco che pensi di averla persa. Sono successe tante cose in questo anno terribile che mi hanno reso felice e solo dire la parola "felice" mi fa sentire sporco perché quella voce che costantemente urla in testa "tu non meriti di essere felice!!!" non è che ha smesso di urlare eh, continua a farlo, ma vedendo che un pochino io sono sereno ha fatto il broncio, incrociato le braccia, sbattuto forte i piedi per terra e si è andata a mettere in un angolo del cranio a escogitare un piano per farmela pagare.
Ho lavorato tanto in questi anni e neanche me ne sono reso conto. Tutte le volte che venivo qua a scrivere mi stavo preparando per fare qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadere. Non ho la forza ahimè, per raccontare la mia storia a tutti, ancora, cosa che dovrei fare dato che devo andare in giro e promuovere la mia carriera di autore e spiegare pure tutte le altre attività che svolgo e cercare di sembrare interessante e intelligente e sagace e invece sono solo a pezzi e la socialità mi esaurisce.
Questo Natale lo sto passando come John McClane. Decisamente lurido e unto, senza scarpe, con un gran mal di testa, chiuso nel condotto di areazione mentre scappo da tutti. Mi farei portare di tanto in tanto qualche biscottino da Ratteo ma poi come cacchio riesco a strisciare fuori da qua dentro. La mia pancia ha raggiunto livelli che mai avrei pensato potesse raggiungere e il bello è che non mi interessa minimamente. Solo quando mi allaccio le scarpe dai, lì un po' intralcia. Non mi interessa perché sono entrato nei quaranta e finalmente "ho dato". Posso dirlo con fierezza. Ho dato. Ora tocca a qualcun altro darsi da fare ed essere bello e atletico e magro e muscoloso e pieno di talento io, ho dato. C'ho provato. Ha funzionato per un frangente e poi ha smesso e ho passato anni a cercare di rimanere come nei miei ricordi finché non mi sono reso conto che ero rimasto fermo. Bloccato. E non nel sistema di areazione come questa notte.
Ernesto non è più abituato a guardarmi scrivere, in effetti sono passati parecchi mesi. Non riuscivo più ad avvicinarmi a una tastiera se non per piccoli frangenti di tempo. Per rispondere a delle mail o per digitare nel motore di ricerca la categoria con la quale mi piacerebbe masturbarmi. Ernesto mi ha attaccato un piede, segnale che non accetta io sia distratto e che non lo stia degnando delle attenzioni che ritiene di meritare e meno male che non mi stavo adoperando per masturbarmi altrimenti sai che dolore se mi avesse addentato altro. Tipo il piccolo Ratteo che ho tra le gambe e che, nonostante la pancia sia cresciuta, resta sempre delle stesse dimensioni contenute.
Lo psicologo l'altro giorno mi ha chiesto cosa vorrei fare se scoprissi che in sei mesi tutto sarebbe finito. Gli ho chiesto cosa intendesse con tutto. Ha risposto tutto. Tu, il mondo. L'umanità: tutto. Anche la mia famiglia? Sì, anche la tua famiglia. No aspetta ma quindi anche mio nipote? Sì, anche tuo nipote. Cercherei di salvare la mia famiglia. Ha detto che non potrei farci nulla. Allora ho detto che andrei per strada e urlerei a tutti che il mondo sta per finire e che mancano solamente sei mesi anche se poi sembrerei uno di quei pazzi che urlano che siamo fottuti con un cartello scritto male e un cappello di stagnola e che quando li becchi mica gli dai retta, pensi che siano pazzi e torni a casa e te ne dimentichi mentre cerchi qualcosa di nuovo con qui masturbarti. Mi ha detto che non posso dirlo a nessuno, che sono l'unico ad essere informato e devo tenermelo per me. Allora ho pensato davvero a cosa avrei voluto fare, ma c'era un'altra domanda da porgli. Dovrei continuare a prendere farmaci oppure sarei senza la mia malattia? Ci ha riflettuto un attimo e poi mi ha fatto un grande dono. Saresti senza. Allora ho elencato tutti i posti che vorrei vedere e le cose che vorrei fare e il Giappone e nuotare con le balene e i cibi che vorrei mangiare e le droghe che vorrei provare per poi finire dicendo che un mese lo vorrei passare abbracciato a mio nipote, che non capirebbe e anzi, probabilmente mi caccerebbe via dicendo "zio Pattejo coza fuoiii" però a me andrebbe bene lo stesso. Voi cosa fareste, se rimanessero solo sei mesi?
Mi mancava la solitudine e sentirmi solo e parlare da solo e scrivere in questa condizione di silenzio totale. Nel palazzo di fronte non c'è nessuna luce accesa. Forse sono tutti usciti per cena o forse sono tutti rientrati nei loro paesi di appartenenza. Se ancora sono a Vienna è per questo motivo, da nessuna altra parte del pianeta riesci a sentirti così solo come qua. Per questo poi ti affidano due ratti.
Ernesto si è appallottolato sul divano. Ratteo si è addormentato sulla mia spalla. Spengo le luci, apro i regali che mi sono fatto e aspetto sia domani. È un Natale bellissimo ma sarà ancora più bello quando potremo farci dei toast insieme e raccontarci cosa ci ha insegnato il silenzio.
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kon-igi · 9 months
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Ogni anno mi sforzo sempre di più per fare degli auguri originali, non tanto per farvi esclamare 'Oh! Wow! Groovy!' ma più che altro per condividere con voi in modo non scontato la gioia del ritrovarsi, scevra - almeno per me - da qualsiasi connotato religioso.
Potrei dirvi che è stato un anno faticoso e difficile ma se da un lato mi parte subito il coro greco di baccanti che intonano 'ESTICAZZI!' dall'altra mi rendo conto che invece è proprio così... e per così intendo
ESTICAZZI
Evidentemente possiedo molta di quella dote psichica che durante la pandemia era molto inflazionata come termine (quella che fa rima con delinquenza) e in più un innato senso di stoico martirio che mi chiude la bocca nell'attimo in cui mi sto per lamentare e poi vedo che puntualmente l'interlocutore sta messo peggio di me.
Questo è un grosso errore o perlomeno, se portato agli estremi ti strippa emotivamente come una pentola a pressione saldata ma riconosco i miei limito e - mi dico - perlomeno non faccio a gara di sciagure per essere citato nel remake dei Miserabili.
Sto rivalutando il concetto di salute mentale perché dopo averne parlato parecchi ad altri mi sono reso conto che, nel mio caso, la salute mentale non necessita di cure ma di salvaguardia.
Devo scegliere con cura le mie battaglie.
E sebbene battaglie evochi una presunta contrapposizione tra me e chi si frappone davanti a ciò che voglio ottenere, in realtà lo scontro avviene sempre e solo nel mio cuore ed è per questo che in un prorompente scoppio della succitata originalità voglio, come l'anno scorso, ringraziare ancora @autolesionistra che sempre in modo involontario mi ha restituito il senso di quello che provo, parlandomi di una canzone che mi ha fatto fare pace con una parte di me che mi accompagna da più di 50 anni.
Ve la voglio riproporre, scegliendo la versione sottotitolata (ha un testo molto denso e fitto) ma credetemi se vi dico che per quanto dolorosa, molti potrebbero riconoscercisi e proprio perché dolorosa potrebbe sembrare strano che io ve la faccia vedere (non ascoltare... vedere) per augurarvi buon natale e serene feste.
Poi vi dirò il perché...
Il motivo è che siamo tutti piccoli e persi nella continua ricerca di calore e conforto, quotidianamente tormentati dal ricordo di ciò che non è più e nella flebile speranza che il domani abbia meno nubi.
Eppure si va avanti lo stesso, con l'enorme peso dei nostri vuoti e la fragile leggerezza di inutili bagagli, perciò vi dico di volervi bene, di voler bene anche a quella parte di voi che disprezzate perché se siete qua a leggere ciò che scrivo è anche per il desiderio di fuggire da un qualcosa che invece vi seguirà per sempre.
Siamo esseri umani... e se questo a volte può sembrare una dolorosa dannazione io credo che invece sia un degno tributo a chi non è più e un meraviglioso lascito a chi sarà dopo di noi.
Ok... tutta 'sta roba omerica per augurarvi Buon Natale (!) ma prima di andare a filtrare il brodo per i cappelletti vi lascio un'ultima cosa
E se vi debbo dire ancora una cosa, è questa: non crediate che colui che tenta di confortarvi viva senza fatica in mezzo alle parole semplici e calme, che qualche volta vi fanno bene. La sua vita reca molta fatica e tristezza e resta lontana dietro a loro. Ma, fosse altrimenti, egli non avrebbe potuto trovare queste parole.
Rainer Maria Rilke
<3
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be-appy-71 · 4 months
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Ho voglia di far l'amore con te, ma non fraintendermi. Non parlo di carezze o di lingue che giocano, di tutta quella forza che troviamo dentro all'improvviso mentre ci muoviamo come se non facessimo altro da una vita intera. Non parlo di piacere assoluto, di qualcosa di proibito, delle mie gambe intorno al tuo bacino, dei miei piedi che si posano piano sulla tua schiena. Non parlo di quando proprio non dovresti, eppure mi tocchi e te ne freghi, né di quando diventiamo un po' troppo erotici per il mondo e ci tocca nasconderci in camera. Non parlo di quando mi sfiori il collo, mi chiedi di avvicinarmi e mi sussurri che forse è ora di andare a fare l'amore, ché tu non ce la fai più. Parlo solo di un bacio, di quel bacio che viene dopo qualche bacio, ogni volta che ci vediamo. Il primo è sempre un po' così, imbarazzato. Poi ci ritroviamo più vicini e ci baciamo di più, e mi sembra che tu entri dentro di me, tanto che forse inizio a fare qualcosa che potrà sembrare strano, e di certo quasi impercettibile: ti accolgo. Ogni volta in cui ti vedo, dopo tutti i giorni passati lontana da te, mi apro e ti accolgo. E non sono nuda, e non arrossisco. Ho voglia di far l'amore con te con un bacio, e lo so che hai capito cosa intendo, lo so.♠️🔥
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Susanna Casciani
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animaromantica · 2 months
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Per gli altri le ferie sono spensieratezza, amore, sesso, amici, mare, viaggi; per me sono tristezza, solitudine, e le desidero solo per stare lontana da quel posto
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Mi sento lontana anni luce da me stessa, è come se vivessi senza prenderne piena coscienza.
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luluemarlene · 8 months
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UN DOTTORE
Ho conosciuto Marcello nel Luglio 2018 mentre cercavo disperatamente di rimettere insieme piccoli luridi frammenti di me. Uscivo da una relazione dalle dinamiche complesse Adesso si chiama BDSM, ma a pensarci, forse sono solo istinti primitivi, primordiali . Era una relazione che puzzava di rancido già dal Natale precedente, ma per chi conosce questo tipo di pratiche , sa bene quanto sia difficile scollegarsi e farne a meno, ed io ero proprio nella fase della disperazione totale, per il pensiero che mai più avrei potuto sentirmi la puttanella di qualcuno.  L'ho conosciuto su Tinder, unico incontro avvenuto tramite questo social che non mi aveva mai entusiasmato molto. Le sue parole si agganciarono al mio solo neurone non impegnato ad autocommiserarsi e chattando, venne fuori quasi subito che il suo matrimonio era alle battute finali.
Ho sempre cercato di stare lontana da queste situazioni:
mi indispone la tristezza e l'odore di sconfitta che inevitabilmente aleggia nell'aria, e non mi piace pensare di trovarmi a fare da catalizzatore, accelerando una reazione pur non facendone direttamente parte, proprio come fa un enzima in chimica. Insomma, decisi di incontrarlo solo per scrollarmi di dosso la mia, di tristezza.
Ci vedemmo in un bar di Piazza Statuto e, proprio come mi aspettavo, parlammo soltanto delle nostre "disgrazie" personali . Ricordo che andai in bagno a levarmi le mutandine, giusto per rendere quell'incontro un po' più trasgressivo, ma non fu sufficiente.
Cercavo un uomo che dominasse le mie voglie e trovai un uomo inconsapevolmente affascinate, ma risucchiato dal corso degli eventi. Fintamente disponibile
La sua vera natura non si rivelò per molto tempo
Ci scrivemmo per tutta l'estate senza incontrarci più e ad un certo punto iniziò a piacermi essergli di conforto. Mi faceva sentire importante in un momento in cui la mia autostima era ridotta ai minimi termini.
Una volta decisi di raggiungerlo a Torino, solo per sostenerlo dopo l'ennesima discussione coniugale; priva di mire erotiche pensavo solo al modo di farlo ridere.
Mi piaceva quando mi scriveva che gli alleggerivo il cuore con le mie battute spregiudicate, che gli piaceva la contrapposizione tra la brava mamma e la donna mentalmente libera che coesistevano in me
Quel giorno, mentre lo aspettavo nel parcheggio dell'Auchan di corso Giulio, mi masturbai. Tirai fuori il mio vibrox snodabile, alzai la gonna, scostai le mutandine quel tanto che bastava per infilarvi una estremità in fica e appoggiare l'altra sul clitoride. Iniziai a stringere e rilassare le gambe ritmicamente, nella mia personale danza erotica.
Cominciai a colare e quasi involontariamente le mie dita partirono a raccogliere il succo viscido e a portarlo alla bocca, per assaporarlo. Avevo capezzoli come chiodi che puntavano sul vestitino leggero e tanta voglia di scopare. Infilavo e sfilavo il vibratore velocemente e sentivo arrivare l'orgasmo, lo aspettavo incurante di chi parcheggiava vicino o dei passanti.
Mi infilai un dito in culo ed esplosi quasi subito, portando immediatamente il giocattolo alla bocca per leccarlo e riappropriarmi di quella parte di me appena scivolata fuori.
Un attimo dopo vidi Marcello parcheggiare ad una ventina di metri da me. Mi ricomposi velocemente e con le mutandine zuppe gli andai incontro. Entrammo in un bar, ma era chiaro che, nonostante il motivo per cui avevamo deciso di vederci, nessuno dei due aveva voglia di tristezze e iniziammo a ridere e a bisbigliarci nell'orecchio come adolescenti. Piano piano le nostre bocche si avvicinarono e ci baciammo. Lui dopo un attimo mi guardò e sorridendo disse " Perché sai di figa? "
"Fica!"
"Come? "
"Si dice Fica"
Scoppiò a ridere
"Cazzo, ma dove sei stata tutto questo tempo?"
Nei giorni successivi ci sentimmo spesso e una sera decidemmo di andare a cena
Cenammo nella Galleria Umberto I e, arrivati al dolce, mi comunicò che aveva una sorpresa...
Quello che segue è il racconto che pubblicai un anno fa, quando ancora non sapevo quanto possa restare nascosta e quieta la natura umana, prima di venire provocata al punto di non ritorno.
NH Santo Stefano... Siamo entrati in questo albergo, in pieno centro. Il mio respiro accelerato, mi faceva ridere come una bambina eccitata e imbarazzata
La cena era stata divertente, ma non mi andava di entrare in una camera e fare del sesso. Ero aperta alla possibilità ma non mi sentivo ancora pronta
Siamo entrati in ascensore e stavo per palesare il mio stato d'animo, ma un dito sulla bocca mi zittì e il suo sguardo divenne malizioso e dolce "Non dire niente, sei entrata nella mia vita come una burrasca, venti freddi e mareggiata..." Lasciò la frase in sospeso come per lasciare a me la giusta interpretazione.
Ero davvero una cosa buona o complicavo tutto?
Il suono che accompagna l'arrivo al piano dell'ascensore mi strappò dai miei pensieri, lui mi prese la mano e mi accompagnò fuori
Non trovai stanze ma la cima di una torre, circondata da una vetrata. Potevo ammirare la struttura interna dell'edificio e una terrazza esterna ci catapultò in mezzo alla notte.
"Ecco, quelli sono vecchie mura ( Porta Palatina), quella è una chiesetta su un cucuzzolo (Basilica di Superga) e quello è Marte" . Ridevo e improvvisamente mi venne caldo e il nebbiolo che avevamo bevuto mi salì in testa e mi fece vacillare, mi appoggiai al cornicione e lui si mise dietro di me in un abbraccio rassicurante. Ho sentito il suo sesso contro il mio culo e le sue mani appoggiarsi sui miei seni, quasi distrattamente. Sapevo che poteva salire qualcuno, esattamente come eravamo saliti noi, ma volevo che mi guardasse e sentisse le mie carni calde. Non succedeva da troppo tempo ed io avevo bisogno di un uomo che mi facesse guardare il buio dritto in faccia da una posizione privilegiata, che me ne parlasse come se fosse pieno di cose semplici ma bellissime, facendomi sentire al sicuro.
Mi tolsi Il golfino bianco e rimasi davanti a lui. Immediatamente afferrò la mia bocca, mi spinse la lingua in gola, giocando con le mie labbra, mi sussurrava che da un mese a quella parte nn aspettava altro.
Iniziavo a liquefarmi e a sentirmi vogliosa e a desiderare di regalare quello in cui sono più brava: donare piacere.
Gli leccai la faccia, gli occhi, le labbra e lasciò che le mie mani scivolassero nei pantaloni, toccassero il suo cazzo gonfio. I suoi occhi grandi mi guardavano famelici. Misi a disposizione i mie capezzoli, che iniziò a succhiarmi avidamente e, mentre rovesciavo la testa all'indietro, con la schiena sul cornicione, mi apparve una Torino al contrario. Il cielo, che faceva strada a sensazioni goderecce mi suggerì di alzare la gonna e abbassare leggermente le mutandine. Credevo ci infilasse le mani e invece si aprì la patta e senza farmi allargare le gambe infilò la punta del suo imponente cazzo tra le mie grandi labbra. Senza penetrazione, iniziò a sollecitare il mio clitoride che divenne grande come un cervello, con milioni di neurotrasmettitori impazziti che mi urlavano di venire.
Avanti e indietro, come nelle più classiche delle scopate, mi ricordai che poteva arrivare qualcuno... volevo arrivasse qualcuno!!
Fu il pensiero che fece esplodere il mio piacere e d'istinto strinsi forte le cosce. Lo sentii trattenere il respiro e in piedi, l'uno davanti all'altro, mi venne tra le gambe, aumentando il ritmo e portando il suo seme su tutto il mio pelo, pube, gambe.
Mi guardò
"Non sei umana, donna".
La serata finí così è non ce ne furono altre.
Il passato tornava ciclicamente a bussare alla mia porta ed io restai circa un anno nella totale incapacità di lasciarlo fuori.
Dall'ultimo incontro con Marcello si sono susseguite grandi perdite personali e umiliazioni psicologiche di cui probabilmente sono l'unica responsabile. Sempre più consapevole del tempo sprecato dietro ad una relazione che ormai era incapace di dare un qualunque tipo di conforto ,ho trovato il coraggio di contattarlo. È stato felice di risentirmi e nella sua voce ho sentito nuovi colori, grandi speranze. È un uomo separato, adesso. Rinato.
Ho dovuto ovviamente sorbirmi tutta una serie di rimproveri per il modo in cui ero sparita, ma col senno di poi e con il percorso che aveva dovuto fare, ci siamo trovati d'accordo su quanto il mio allontanamento fosse stato necessario.
Ci siamo scritti e come sempre è riuscito a farmi ridere molto ed io ho capito quanto quell'uomo mi piacesse e di come il suo modo di parlarmi fosse cambiato: più deciso e sicuro, perentorio a volte, duro.
Mi eccitava?
Giovedi scorso Torino annegava sotto una pioggia che minacciava di girare in neve ed io uscii da un edificio di via Santa Chiara, al termine di uno dei miei tanti impegni...
Trovai inaspettatamente Marcello dall'altro lato della strada con un grande ombrello, e il suo dolcissimo sorriso
"Divento vecchio ad aspettare che tu ti decida a darmi un appuntamento e credo di aver aspettato abbastanza , vorrei che tu prendessi in seria considerazione la possibilità di essere mia, solo mia. "
Ho sorriso guardandolo con una delle mie smorfie sornione perché sapevo che aveva pronunciato quelle parole conoscendo benissimo l'effetto che avevano su di me.
L'ho preso per mano e arrivati in via dei mercanti mi sono fermata.
Notammo come la poggia avesse reso deserta una Torino solitamente brulicante di gente
"Chiedimi di fare qualcosa per te"
Non si è nemmeno guardato intorno, si è aperto la patta dei pantaloni e mi ha chiesto di succhiarglielo
Diluviava e faceva freddo, ma mi sono accovacciata e gliel'ho preso in bocca.
Ho succhiato quel cazzo impreparato, colto di sorpresa, fino ad ingrandirlo nella mia bocca. Lo accoglievo tutto e lo rilasciavo producendo bava che colava dal mento
"Brava la mia puttana, prendilo in gola"
Ero stranita a sentirlo parlare in quel modo ma così eccitata e bagnata dai miei umori e dalla pioggia, incurante di chi potesse arrivare. Mi esplose in gola e mi premette la faccia contro i pantaloni, quasi a soffocarmi
Dovetti fare forza con le braccia per liberarmi da quella presa, che rischiava di farmi vomitare
Ha vacillato e si è appoggiato al muro e quando ha ripreso il controllo mi ha chiesto di seguirlo nel suo studio, non troppo lontano da lì
Ho annuito e quasi di corsa abbiamo raggiunto il posto e salito le scale ansimando, eccitati.
Il suo studio era già caldo: c'era del vino, un divano sormontato da un grande specchio, carte e planimetrie sparse su un grande tavolo .
Nell'aria un vago odore di diluente sintetico e, sui muri, foto satellitari di luoghi irriconoscibili, paesaggi naturali interrotti dall'ingombrante presenza antropica , il tutto scarabocchiato da cerchietti e frecce rosse.
"Sono un dottore forestale", disse anticipando le mie domande
"Ora dovrò punirti. Lo sai vero?Non so come tu abbia potuto pensare di lasciarmi sospeso tutto questo tempo e non pagarne le dovute conseguenze"
Ero divertita, preoccupata, ansiosa, e ovviamente eccitata
Spostando le carte sul tavolo mi ha chiesto di avvicinarmi
"Chinati sul tavolo e culo in fuori , per favore.
Alzati la gonna, abbassati le mutandine"
Eseguivo ogni ordine senza fare obiezioni e sentivo la mia fica liquefarsi nell'attesa di quello successivo
Ha preso le mie mani, me le ha portate dietro la schiena e le ha appoggiate sulle mie natiche
"Allargati il culo, bambina, tieni il tuo buco esposto per me"
Avevo la faccia appoggiata sul tavolo, girata da una parte, lho visto prendere una scatoletta piena di elastici, di quelli verdi, spessi. Non capivo davvero dove volesse arrivare
Per come mi sentivo mi sarebbe bastato mi inculasse subito!!
Invece si è seduto dietro di me, ha infilato la faccia tra le mie natiche aperte e ha annusato, ha inspirato forte.
Poi ha preso un elastico, l'ha allungato un po' e l'ha rilasciato dritto sul mio buco del culo
D'istinto ho lasciato la presa ed emesso un gridolino, ma uno schiaffo fortissimo su una natica mi ha rimessa in posizione!
"Stai ferma e allarga sto culo, puttana "
Ho ripreso il mio posto come un automa, e un altro elastico ha colpito, sta volta più forte
Poi un altro, un altro e un altro ancora
Ogni volta ne allungava di più l'estensione e faceva sempre più male! Cercavo di muovermi, ma arrivava sempre uno schiaffo a riportarmi a posto
Ho iniziato a frignare e a chiedere di smettere, col culo che mi bruciava e pulsava
Non mi ha risposto, lo sentivo solo ansimare forte e improvvisamente una mano mi si è infilata tra le cosce
"Lo sapevo: urli, frigni ma Cristo stai colando come una cagna"
Era vero, per quanto male sentissi, avevo solo voglia di farmi sodomizzare.
Si è chinato su di me, sulla mia faccia schiacciata sul tavolo e mi ha leccato le lacrime, mi ha baciato la bocca, poi si è spostato nuovamente sul mio culo e con la lingua si è messo a lenire il buchetto martoriato e gonfio
Prima piano, poi con forza si faceva strada
Ci spuntava, leccava, baciava, ci spuntava di nuovo
Saliva mi colava dal culo e andava a congiungersi con i sughi della mia fica, che continuava a rilasciare umori , come un rubinetto rotto
La mia mente iniziava a perdersi!
Poi improvvisamente ha preso un altro elastico e, a buco bagnato, l'ha colpito di nuovo fortissimo
Ho urlato e sta volta ho iniziato a piangere come una bambina.
Le gambe hanno ceduto e sono finita in ginocchio, davanti al tavolo
"D'ora in poi ti comporterai bene, vero?"
Ho annuito
"DILLO!"
"Mi comporterò bene"
"Mi comporterò bene padrone, stupida cagna!! "
"Mi comporterò bene, padrone"
Mi ha fatto voltare, avevo la faccia all'altezza del suo cazzo, ben al sicuro dietro la cerniera , ma già pronto
Lo vedevo gonfio, tirare la stoffa dei pantaloni
Avevo l'acquolina come davanti ad un vassoio di pasticcini , ma sentivo il culo pulsare e nn riuscivo a smettere di piagnucolare
Mi ha schiacciato la faccia sulla stoffa e macchie di mascara si sono sparse ovunque
"Ecco, con gli occhi gonfi e mascara sulla faccia , sei bellissima, sei stata brava a sopportare. Torna a chinarti sul tavolo, meriti una ricompensa, ma basta con gli elastici "
Mi ha aiutato ad alzarmi e mi sono trovata nella posizione precedente
Si è assentato un attimo e quando è tornato aveva un collare di pelle marrone in mano.
D'istinto ho inarcato la schiena ed esposto il collo
Me l'ha allacciato da dietro, strofinandosi il cazzo sul mio culo dolorante
Avevo davvero male!!
Al collare ha poi attaccato una corta catena
"Ora stai ferma e allarga sto culo !"
Ho obbedito. Mi ha messo davanti alla faccia un gancio di metallo, poi mi ha fatto vedere tre sfere di diverse dimensioni e mi ha chiesto di scegliere "Sei ancora in punizione, ricordalo!"
Nonostante la dimensione, e un po' preoccupata, ho scelto la più grande
Diametro 7 o 8 cm! Ma la mia eccitazione continuava a crescere e mi passavano davanti immagini di scantinati bui, e catene legate al clitoride, di gogne e fruste che mi lasciavano segni. Cristodio, ero dolorante e volevo ancora più male, ancora più umiliazione
La sua faccia compiaciuta, la sua gratificazione era l'unica cosa a cui aspiravo. Ha avvitato la sfera lucida al gancio che aveva in mano e si è posizionato. Ha sputato sul mio buco gonfio e ha iniziato a spingere
"Allarga di più, fallo entrare!"
Cercavo di aiutarlo , ma era grande e avevo male!
Con le dita mi stuzzicava la fica e gemevo da vera troia arrapata.
Poi una spinta forte. Sfera e gancio mi si sono infilati dentro facendomi mancare il fiato.
Dio che goduria!
Ha attaccato il gancio alla catena costringendomi a tenere la schiena inarcata e ogni volta che perdevo posizione il gancio mi si conficcava sempre più in culo!
"Dio, scopami per favore, scopami padrone, farò la brava, promesso"
Lo stavo implorando con le cosce zuppe del mio succo!
Invece mi ha fatto mettere in ginocchio e col cazzo libero da costrizioni mi ha obbligato a succhiarglielo di nuovo
Il gancio tirava, la bocca era piena e poi spingeva giù, in gola!
Ero ad un passo dall'orgasmo, ma si fermava e poi riprendeva facendomi sbavare ovunque
Poi mi ha messa carponi e in quella scomoda posizione mi ha infilato il cazzo in fica, facendomi trasalire
Dio, mi pompava come un pazzo, mentre con le mani tirava il gancio
Scopata in entrambi i buchi ho goduto da vera puttana, urlando e gemendo!!
"Si puttana mia, godi! La prossima volta porto un amico ad ammirare la splendida schiava che sei! "
Pompava ancora mentre la mia fica fradicia si chiudeva ed apriva ad ogni colpo
Poi improvvisamente ha sfilato il gancio facendomi urlare di dolore (piacere) e ci ha infilato subito il cazzo
Siamo caduti in avanti e sono rimasta schiacciata sotto il suo peso, con il cazzo in culo, che premeva
Ha continuato a scoparmi in quella posizione e ho sentito la mia fica squirtare sul pavimento
Ero zuppa e mentre mi sussurrava parole oscene all'orecchio sono venuta di nuovo.
"Ti sborro in culo, mia piccola troia!"
Ha grugnito e urlato e mi è esploso dentro!!
Il culo largo e colante mi pulsava
Ero esausta, ma prendendomi per i capelli si è alzato e mi ha costretta a pulirgli il cazzo dal mio schifo e dal suo sperma!
Poi si è chinato e mi ha baciata.
"Devo finire un lavoro. Tirati su le mutande, e torna a casa
Quando arrivi scrivi per dirmi che sei arrivata, con questa pioggia non voglio stare in pensiero! E Ricordati di pulirti la faccia!"
Ho raccolto le mie cose e sono uscita
Ho chiuso la porta, mi sono appoggiata al muro e ho sorriso
Finalmente, appartenevo.
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