#Lievi Storie brevi
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In uno strano modo tutto suo il Mellotron è diventato uno degli strumenti più iconici nella storia del rock. Migliaia sono infatti gli artisti che hanno utilizzato questo proto-campionatore che a quasi 60 anni dalla sua invenzione continua ad affascinare vecchi e giovani. Nonostante tutta la tecnologia di cui disponiamo l’arcano suono del Mellotron resiste imperterrito a ogni moda.
Inventato nel 1963 a Birmingham, il Mellotron si evolve da un precedente strumento di fabbricazione americana chiamato Chamberlin, tastiera elettromeccanica originariamente ideata per l’uso casalingo e religioso. Nel 1962, un agente della Chamberlin, Bill Fransen incontra in Inghilterra Norman e Les Bradley che possiedono la Bradmatic, società che si occupa di nastri magnetici. Questi insieme al conduttore BBC Eric Robinson decidono di formare la compagnia The Mellotronics per migliorare il design e le prestazioni del Chamberlin e offrirne una sua versione 2.0 chiamata appunto Mellotron.
L’idea è ambiziosa: arrivare a sostituire in modo convincente un’orchestra con suoni creati da veri archi, flauti, cori, ecc che vengono registrati isolatamente nota per nota. In pratica l’idea primigenia dei moderni campionatori, con i tasti dello strumento collegati a un loop di nastro magnetico. Quando si preme un tasto corrispondente a una nota, il nastro viene spinto contro una testina di riproduzione che permette l’ascolto del suono registrato. Quando il tasto viene rilasciato il nastro ritorna alla sua posizione originale. Attenzione però, il suono può essere tenuto solo per otto secondi, passato tale lasso di tempo il loop di nastro compie la sua corsa e deve ricominciare da capo, bisogna quindi rilasciare il tasto e pigiarlo nuovamente. A ciò si aggiungono ulteriori particolarità: ogni volta che una nota viene riprodotta si verificano lievi fluttuazioni di intonazione e variazioni di ampiezza. Questo significa che la stessa nota uscirà in modo diverso ogni volta che viene suonata, uno dei fattori che rende il Mellotron così speciale. Lo strumento alla fine non diventerà famoso per avere riprodotto fedelmente certi suoni, ma per averne fornito una sua particolare versione che andrà a caratterizzare una miriade di dischi.
Il 1963 è l’anno della creazione e commercializzazione del modello MK I, messo in vendita a circa 1000 sterline, pesante oltre 50 chili e assai sensibile a calore, umidità, luci e fumo, tutti fattori che contribuiscono a deteriorare i nastri. Tuttavia queste e altre difficoltà non fanno altro che aumentare il fascino del nuovo strumento presso i musicisti.
A poco a poco il Mellotron diventa richiestissimo. Il primo a usarlo è il bluesman Graham Bond che lo piazza nella sua hit Baby Can It Be True. Dopo di lui arriva Mike Pinder, tastierista dei Moody Blues. Proprio questi ultimi decidono di sfruttarne le peculiarità andando a ispessire la componente sinfonica della loro musica grazie alla riproduzione dell’orchestra permessa dallo strumento. Ma non solo archi, fiati e cori sono caratteristica del Melltoron, cambiando i nastri si possono avere a disposizione altri suoni orchestrali come violoncelli, fiati e percussioni. Poi effetti sonori tra i più strambi, voci umane e non, rumori, proto-drum machine e moltissimo altro.
Mike Pinder fa inoltre conoscere lo strumento a John Lennon e a Paul McCartney che non perdono tempo a utilizzarlo e a renderlo famoso in tutto il mondo, soprattutto grazie a Strawberry Fields Forever, probabilmente il più celebre utilizzo del Mellotron di tutti i tempi. I Beatles continueranno poi a usarlo in Magical Mystery Tour e nel doppio bianco, così come cominceranno a interessarsene anche i Rolling Stones, i Bee Gees, i primi Pink Floyd, i Pretty Things a molti altri alfieri psichedelici.
Il genere che però consegnerà il Mellotron alla storia è il prog rock. Saranno i King Crimson a renderlo strumento-simbolo del genere, dopo di loro i Genesis e gli Yes. Ma non solo nel prog il Mellotron trova fortuna, sono anche diversi artisti pop a sfruttarne le qualità, uno su tutti David Bowie.
Con il passare del tempo lo strumento si evolve, nel 1970 viene messo in commercio il modello M400, più compatto e leggero, usato da altri proggers e da corrieri cosmici come i Tangerine Dream, che influenzeranno la scuola elettronica dei decenni a venire. Quando poi esplode la new wave saranno band come Orchestral Manoeuvers in the Dark, XTC, addirittura Joy Division a farne uso.
Con lo scoccare degli anni ’80 e il crescente sviluppo della tecnologia a uso di sintetizzatori e campionatori digitali il Mellotron diventa obsoleto, le sue caratteristiche di inaffidabilità lo relegano a un passato oramai tramontato. Nei ’90 però lo strumento viene riscoperto. Gli Oasis lo usano in (What’s the Story) Morning Glory?, in particolare nella hit Wonderwall, caratterizzata da un notevole uso del suono di violoncello. Poi ci saranno Radiohead, Air, Smashing Pumpkins, Belle and Sebastian, Muse, Kula Shaker, R.E.M., Coldplay, Lana Del Rey e moltissimi altri.
A seguito di ciò l’industria del Mellotron risorge, nel 2007 viene addirittura costruito un nuovo modello M400 che combina parte delle caratteristiche originali con un selettore di banco digitale. Per chi non vuole l’ingombro dello strumento sono però disponibili decine di plug-in che emulano il suono in maniera perfetta, con tanto di sfasamenti, leggere stonature e la caratteristica tenuta della nota per otto secondi.
Il Mellotron continua quindi ad affascinare, per questo siamo ancora qui a parlarne e per questo vi offriamo 10 tracce tra le più rappresentative di quello che vuole dire l’uso di tale strumento. Per tutti i “mellotronomani” che vorranno poi approfondire c’è solo da farsi un giro nell’incredibile sito Planet Mellotron, con liste e recensioni sempre aggiornate di tutti gli album della storia nei quali lo strumento è stato utilizzato.
“Strawberry Fields Forever” The Beatles (1967)
Il Mellotron in modalità flauti inaugura il celeberrimo brano dei Beatles con un particolarissimo riff che dona una sensazione di incertezza, come se le note fossero un poco zoppicanti. Lo strumento mostra infatti da sempre qualche lieve difficoltà nelle parti più ritmiche a causa dei suoi meccanismi interni che devono mettere in moto e fermare il suono in breve tempo. Per questo è maggiormente usato nei cosiddetti “tappeti” di accordi. La sensazione di cui sopra è però una delle caratteristiche principali di Strawberry Fields Forever, una vaga e ipnotica incertezza che lo rende un sogno psichedelico a occhi aperti.
“Nights in White Satin” Moody Blues (1967)
Pur utilizzando un’orchestra nel loro secondo album Days of Future Passed, per la hit Nights in White Satin i Moody Blues scelgono di sostituirla con il Mellotron. Il suono usato per creare i temi in risposta alla voce è quello denominato “3 violins” che appunto si basa sull’unione di tre strumenti a corda. Il suono viene poi riverberato a creare un alone magico che nel ritornello “And I love you…” si ampia come un’orchestra in crescendo. Dopo questo momento arriva una parte strumentale con il suono dei flauti a introdurre la seconda strofa e il resto della canzone che vede il ritorno dei violini.
“2000 Light Years From Home” The Rolling Stones (1967)
I Rolling Stones nel loro (breve) fulgore psichedelico. Contenuta in Their Satanic Majesties Request, un album che è un unicum nella loro discografia, la straniante 2000 Light Years From Home ha un Mellotron suonato da Brian Jones e settato in modalità 3 violins. Lo strumento è protagonista di tutto il brano e rende ancora più lisergico questo viaggio spaziale a 2000 anni luce dalla Terra.
“Space Oddity” David Bowie (1969)
La prima hit di Bowie vede la presenza del futuro Yes Rick Wakeman a manovrare il Mellotron (sempre in modalità 3 violins) il cui suono spalanca letteralmente il ritornello rendendolo arioso e spaziale al punto giusto.
“In the Wake of Poseidon” King Crimson (1970)
Un vero festival del Mellotron, dall’inizio alla fine di uno dei brani più belli dei King Crimson. Tutta la canzone è basata sui 3 violins (più alcuni brevi intermezzi di flauti e brass, ovvero ensemble di fiati, sempre mellotronizzati) che spadroneggiano tra tappeti e parti soliste facendo da contraltare alla voce angelica di Greg Lake e alla sezione ritmica di Peter e Mike Giles. Il leader Robert Fripp si dà da fare alla chitarra acustica. E il Mellotron chi lo suona? Ma sempre Fripp chiaramente.
“The Fountain of Salmacis” Genesis (1971)
Qui è come se il Mellotron creasse una scenografia teatrale per un palcoscenico nel quale vengono narrate le gesta (mutate da Le metamorfosi di Ovidio) di Hermes e Afrodite, la cui fusione di carne e spirito darà vita al nuovo essere Ermafrodito. Sin dall’inizio le folate di violini creano lo scenario, con un Peter Gabriel più intenso che mai ad accompagnare gli strumenti che si muovono in svariati cambi di tempo o in maniera ampia e sinfonica. Su tutto il Mellotron di Tony Banks a caricare il brano di arcana magia mitologica.
“And You and I” Yes (1972)
Gli Yes in uno dei loro apici, una mini suite in continuo movimento tra folk ed esplosioni sinfoniche nelle quali la voce di Jon Anderson è libera di ergersi. Tali momenti non possono che essere caratterizzati dal Mellotron di Rick Wakeman che nella parte centrale suona il tema in tandem con il Minimoog. Potenza su potenza fino ad altezze vertiginose.
“River of Life” Premiata Forneria Marconi (1973)
A proposito di sinfonismo, i nostrani alfieri della PFM avranno sicuramente preso spunto dalle parti più orchestrali di And You and I per concepire la loro Appena un po’ che trova perfezione nella versione inglese River of Life, contenuta in Photos of Ghosts. Come il brano degli Yes, anche quello della PFM ha una parte centrale nella quale si aprono le cateratte del rock sinfonico, qui il Mellotron di Flavio Premoli (suonato in modalità brass e 3 violins insieme a un’ulteriore tastiera ARP String Ensemble e al Minimoog) è un’orchestra fatta e finita.
“Kashmir” Led Zeppelin (1975)
Il Mellotron non si adatta solo alle atmosfere soffuse del prog, ma ben si sposa al suono dei Led Zeppelin. Kashmir con il suo ritmo marziale vede l’inserimento degli staccati di violini che caratterizzano l’intero brano insieme a ulteriori parti eseguite con i brass. A 3:25 e sulla coda finale il Mellotron prende ancora più campo con una sezione per violini di stampo mediorientale.
“Exit Music (For a Film)” Radiohead (1997)
Superati gli anni ’80, è nei ’90 che i suoni vintage tornano ad affascinare tanti giovani artisti, in questo caso i Radiohead che nel capolavoro Ok Computerpiazzano inaspettatamente tanto Mellotron, in maggioranza in modalità 8 choirs. I cori umani riprodotti dalla tastiera sono uno dei suoi must in ambito prog (vedi la parte strumentale di The Cinema Show dei Genesis) e trasmettono una sensazione immediata di grande epicità. In questo caso i Radiohead li usano per il momento più enfatico di Exit Music (For a Film), che, a 3:22, grazie ai cori del Mellotron esplode in maniera commovente.
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Caro mondo — Irene Bendinelli
Caro mondo,
ti scrivo questa lettera perché mi manchi tantissimo. Ora più che mai!
Mi trovo a casa, ormai da più di un mese, circondata dal bianco delle pareti domestiche e da qualche spiraglio di luce naturale che filtra dai vetri delle finestre. Come me, ogni altro cittadino che vive su questo pianeta, piegato dall'esercito di un virus micidiale che avanza.
Caro mondo, adesso ti osservo a distanza e ti comprendo meglio, nella tua pienezza: contemplo le tue creature animali e vegetali, ascolto i tuoi suoni, anche quelli impercettibili e respiro i tuoi profumi, come sentimenti floreali. La natura sta rinascendo, doppiamente protagonista dell'attuale stagione primaverile, intenta a recuperare sconfinati spazi e a liberare le proprie energie vitali, che possiamo ascoltare negli acuti strepiti dei gabbiani in una giornata di sole come pure negli starnazzi delle oche in aperta campagna. Adesso è di nuovo possibile, come agli albori di una civiltà, quando la specie umana usciva dalle grotte e, con passo felpato, iniziava a scrutare in ogni direzione intorno a sé, con calma e in silenzio.
Caro mondo, quanto sei meraviglioso! Trionfano di splendore i tuoi colori, adagiati con cura sui vellutati prati, sulle ruvide rocce, sulle ondulate acque, sulle solide terre, sui freddi ghiacciai, sulle ombrose foreste e sui placidi deserti. E sono favolose le variegate forme che hanno i tuoi elementi: stondate le colline, appuntite le montagne, piatte le pianure, lineari le coste sabbiose, frastagliate le scogliere, allungati i colli delle giraffe e allargati quelli degli ippopotami, snodati i corpi dei serpenti e squamati quelli dei coccodrilli, lisci i dorsi dei delfini e corazzati quelli delle tartarughe. Nessuna mano umana, neanche quella di un genio dell'arte, ha mai riprodotto alla perfezione la limpidezza e l'autenticità delle cromature riflesse dalla tua luce divina. Sono canti di voci bianche le sinfonie che arieggiano leggiadre in una sviolinata di clic, cloc, cip, cip, mentre escono timide da gocce di pioggia e da pigolii di uccellini appena nati. Per lievi soffi d'aria, poi, intonano inni alla gioia le alte e snelle canne palustri, che costeggiano bacini lacustri e brevi corsi d'acqua, rivolgendo i loro fusti verso il cielo che resta a guardare. E sono potenti timbri baritonali, che scatenano una rabbia remota in una spedita rincorsa di cavalli al galoppo, gli ululati dei forti venti che preannunciano tempeste, temporali e tifoni.
Caro mondo, grande è il desiderio di tornare a esplorare la miriade dei tuoi sentieri, ogni volta diversi e sorprendenti! Vicoli, viuzze, slarghi, strade e sotterranei, in pietra, di ghiaia, in mattoni, in terra battuta, stretti, ampi o tortuosi ci guidano, come genitori premurosi, verso la visione di spettacoli unici. Dimore storiche, borghi assonnati, balconi fioriti, campanili svettanti, piazze accoglienti, giardini rigogliosi e ruscelli chiacchierini si aprono alla nostra vista, spalancandoci gli occhi e i cuori in un idillio. Sono grandi e piccoli idilli, al pari di quelli decantati da Giacomo Leopardi, i quadretti rurali, autentici e ameni che si fanno poesia, come poetico è, a Recanati, il panorama che si estende illimitato tra le colline e i monti marchigiani dal colle dell'infinito.
Caro mondo, da più di un mese chiusa in casa, constato quanto la quotidianità, finora, abbia reso piccolo ciò che in realtà è grande, quanto i ritmi, gli orari, gli impegni e la frenesia della vita moderna ci abbiano costretti a rincorrere il tempo, con il timore di non raggiungerlo mai, quando invece ora è proprio quel tempo, ritrovato, che ci serve a riflettere. Riflettere su di noi, sull'essenzialità di essere compagni di noi stessi, riflettere sugli altri, avvertendo veramente la loro mancanza e riflettere su una dimensione più ampia, nella quale la nostra vita è inscritta. Il distanziamento e la solitudine di questi giorni permettono di stabilire una relazione con l'immensità che ci trascende, di uscire metaforicamente dai nostri gusci per non pensare soltanto a noi, ai nostri bisogni e ai nostri interessi, ma per guardarci intorno, per sviluppare la consapevolezza che il mondo va avanti anche da sé, girando con le sue storie nello spazio senza fine. Finora noi esseri umani siamo stati distratti dalla punta delle nostre scarpe e ci siamo rivelati superficiali nei discorsi privi di logica, ignorando il mondo oltre, fuori dalle nostre sfere. Adesso, da lontano, è possibile osservare con adeguato stupore un fenomeno naturale come un bagliore che, al contrario, visto da vicino, sarebbe impercettibile.
Caro mondo, per troppo tempo sei stato dilaniato da minuscoli uomini strapieni di ricchezze, che ti hanno voluto governare a loro piacimento, senza curarsi del tuo stato di salute, dell'aumento dell'inquinamento, dei cambiamenti climatici e della qualità della vita, pensando soltanto alla qualità dei loro superflui prodotti. Valeva unicamente, almeno fino a un mese fa, la logica del profitto, del guadagno, del denaro: microscopici esseri crudeli sono stati disposti anche ad abbattere interi boschi, pur di cementificare, costruire e far girare l'economia, sottraendo a ogni specie vivente, anche a quelle innocenti, preziose quantità di ossigeno.
Adesso, alla legge del contrappasso dobbiamo tutti attenerci, per espiare le nostre colpe, per redimere i nostri peccati e sperare nella resa finale dell'esercito virale: che abbia pietà di noi, amen!
Caro mondo, a quel punto i sopravvissuti di questa pandemia comprenderanno davvero la grandezza del creato, tornandola a guardare con lo sguardo di un bambino; apprezzeranno intensamente la bellezza della natura, inchinandosi umilmente di fronte a tanta magnificenza; ascolteranno ogni minimo segnale dell'aria, dell'acqua, del fuoco e della terra, come all'alba di una rinnovata civiltà; percepiranno qualsiasi lampo di sensazioni e ciascun flusso di sentimenti, senza più rimanere indifferenti; ameranno la vita nella sua pienezza, ancora di più e fino in fondo, fino all'ultima goccia di sudore, quando potranno riabbracciare i propri cari.
Caro mondo, ti saluto con un desideroso arrivederci, un arrivederci spero a presto. Penso a te con l'animo pieno di fiducia e speranza: che questo tragico periodo sia origine di un cruciale miglioramento di cui tutti abbiamo urgente bisogno, una riscoperta dei valori più profondi dell'esistenza.
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