#Lacy Bravura
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Piece of art above belongs to none other than @fishyfishyfishtimes! Image is posted on her DA account SpixBiscuits. Please go check out her pieces there they don't get nearly enough attention!!! This piece was done last year as a birthday present. The butterfly (Essex skipper) on the left is Lael Baines and the insect guy (unnamed butterfly species/firefly) is Rhys Maddox.
Just your typical 80s guys hanging out, and by that I mean 1880s. ;)
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Pronunciation guide:
Lael [Lie-el]
Rhys [Rees]
Carwyn [Kar-wen]
Powys [Pow-is]
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Ah yes, my two boys Lael and Rhys, where do I start with these two dummies? I'll have to make a whole ost explaining these two but for now just know that they're Welsh (they lived close by in Monmouthshire basically they're from East Wales in what's now considered Powys, I believe, Welsh counties are kinda tricky), very old, very very good childhood friends!!
• Here in this pic they're celebrating Carwyn's (basically Lael's son and Rhys' "nephew") birthday! Don't worry, lil Carwyn here just turned old enough to be seen in a bar legally in the mid 1900s. Don't let the sight of a grown man playing with a toy car bother you. This is also where a rare sight of Rhys with alcohol is seen, usually he'd just want a water if he really wanted to be there more than 1 minute panic searching for Lael.
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• A couple of my own doodles of these two idiots. The first one was me trying to emulate a style of a character that belongs to Ranch (who may or may not be revealed eventually!!!!)...it's not the most accurate but I think it looks nice still.
• The second pic. Uh. Yeah. A time I was visiting in the hospital a couple months ago I got off the elevator to see this one guy wearing gray sweatpants that read and I kid you not "I ♥️ Moms," or "I ♥️ Hot Moms," I couldn't really see well and it'd be weird to look for long, y'know. Lael really likes the older ladies, aight.
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THEM, the bastards. Also, uhummmm...Lacy...who totally has one eye and lost it in the most tragic accident. He's not chronically insecure about, ugh, it being a different color or anything...
(Also drawn by Ranch aka @fishyfishyfishtimes)
#Lael Baines#Rhys Maddox#Lacy Bravura#Carwyn Baines#Ranch art#puppet oc#historical ocs#name a more iconic duo#optimistic factory worker/whatever he feels like doing + grumpy bastard aspiring author journalist <3#ocs#oc art#babygirls
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Best albums of 2017
Anche quest’anno è giunto il momento di tirare le somme eleggendo i dischi più interessanti del 2017. Come prevedibile, la black music regna sovrana in ogni sua forma, dall’R&B al Soul all’Hip Hop. La musica suonata e “rumorosa” è ormai un ricordo del passato: belle canzoni ce ne sono state, ma raramente dischi massicci e compatti, belli dall’inizio alla fine.
Ad accompagnare la lettura, 5 playlist ognuna con un mood e un tema differente:
- Chillout R&B: https://open.spotify.com/user/1167894627/playlist/5ljPEGuYVFGdkvrnALJxmH
- Dancing R&B: https://open.spotify.com/user/1167894627/playlist/26tPmnaDsJ8VbGYbVSpXLu
- Hip Hop/ Trap: https://open.spotify.com/user/1167894627/playlist/3T4tl0iyxpsTjWiMZjLMmQ
- Indie: https://open.spotify.com/user/1167894627/playlist/60ZCjppJ1HWnVRwQKq1bW0
- Hard Rock/ Punk: https://open.spotify.com/user/1167894627/playlist/4T6PR5RgtQNtiQ60N3BrvG
1. KENDRICK LAMAR - DAMN. (Top Dawg Entertainment)
Genere: Hip Hop, Neo-Soul
Provate ad ascoltare tutti gli album di Kendrick Lamar uno dopo l’altro e vi accorgerete dell’incredibile differenza ed evoluzione che l’artista di Compton ha intrapreso da Section.80 del 2011 all’ultimo DAMN: non un album simile all’altro, Kendrick Lamar definisce i parametri dell’hip hop e del pop moderno, a cui tutti non possono fare altro che adeguarsi.
Con il capolavoro To Pimp a Butterfly del 2015 K.dot aveva dato sfogo alla fantasia mixando una miriade di generi diversi come una furia impazzita ed invitando altrettanti musicisti del panorama jazz Losangelino (Kamasi Washington, Thundercat, Terrace Martin, etc.), aprendo di fatto la strada ad una nuova epoca per un genere che fino a quel momento era sostanzialmente stagnante. Con questo nuovo lavoro, invece, Kendrick ci dimostra di essere il numero 1 (o, come piace dire a lui, il “1 through 5″) anche con basi più distese, scarne ed essenziali, sempre perfettamente pulsanti ed efficaci e quasi eliminando i featuring nonostante il genere solitamente ne sia pieno. In questo modo, la sua voce nasale, il suo flow incredibile e le sue rime ambiziose sono i veri protagonisti di questo disco.
Il disco sembra costruito in maniera circolare (tanto che è appena uscita la versione speciale con la tracklist al contrario): nella traccia no. 1, Blood, viene raccontata una breve “parabola” di una donna cieca a cui viene offerto aiuto, ma che si rivela un’omicida e spara al narratore; l’ultima traccia, Duckworth, è forse uno dei brani più riusciti dell’album, e parla dell’incontro tra il padre di KL e il boss dell’etichetta Top Dawg Enertainment, 15 anni prima che KL firmasse per lui. E così, il disco si conclude in maniera circolare, appunto:
“Whoever thought the greatest rapper Would be from coincidence Because if Anthony killed Ducky Top Dawg could be servin' life While I grew up without a father and die in a gunfight” (gunshot)
Tra questi due episodi di “morte”, tutto l’intreccio del disco, che tocca temi in antitesi come orgoglio e umiltà, amore e lussuria, fede e paura: si passa dalla condizione di americano di colore in DNA, al panorama hip hop e alle critiche velate a Drake in Element, alla lealtà e umiltà ma anche all’orgoglio della triade Loyalty (feat. Rihanna), Pride, Humble. E chi dice che i rapper sono tutti dei duri? Kendrick Lamar si mette a nudo con brani come la dolcissima Love (feat. Zacari) e Fear, in cui ci racconta tutte le sue paure di bambino, adolescente e adulto. E come non citare XXX, improbabile featuring con gli U2 (ripresa poi dagli stessi U2 in American Soul, brano del loro nuovo disco)? Rimarrete shockati nell’apprendere che, invece, il pezzo fila veramente bene. Anzi, musicalmente è forse uno dei brani più interessanti del disco, grazie ai continui e schizofrenici cambi di tempo, mood e armonie che lo attraversano. Particolarmente riuscita è la seconda metà della prima strofa con una chitarra acida che ricorda molto quella di Tom Morello. Peraltro, questa struttura-senza-struttura dei brani la ritroviamo anche in DNA, in cui la seconda metà del brano vede KL letteralmente sputare rime a raffica sotto una voce mandata in un loop ossessivo, e la già citata Duckworth. Che sia il preludio ad una nuova esplorazione in ambito hip hop?
Rimanendo sul tema “musicale”, non si può non citare la perfezione con cui sono state costruite tutte le basi dei 14 brani. La particolarità di questo album sono i pulsanti beat di batteria uniti alla presenza di morbide note di piano o arpeggi di chitarra effettata in quasi ogni brano, che talvolta generano un contrasto con il mood duro del pezzo (vedi DNA), ma più spesso creano un’amalgama che difficilmente si ritrova in altri artisti (Element su tutte è la più riuscita in questo senso). L’unica analogia stilistica che salta alla mente è quella con il primo album solista del chitarrista dei The Internet, Steve Lacy, che guarda caso è anche produttore di un brano (Pride).
In definitiva, le attese per questo disco erano altissime e non sono state deluse, tanto che dal primo giorno di uscita è stato chiaro a tutti che ci si trovava di fronte ad un “instant classic”: avete presente quella sensazione che si prova davanti ad un’opera che apparentemente sembra molto semplice e lineare, ma che forse proprio per questo genera nello spettatore una sensazione di maestosità, classe ed eleganza? Ecco, questo è l’effetto che vi farà DAMN., ascolto dopo ascolto, beat dopo beat, rima dopo rima.
Ascolta anche:
- Kendrick Lamar: Good Kid m.a.a.d. City (2013)
- Steve Lacy: Steve Lacy’s Demo (2017)
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2. THUNDERCAT - DRUNK (Brainfeeder)
Genere: Jazz, Fusion, R&B
Folle, pazzo, bizzarro, schizofrenico, eccentrico, imprevedibile, spaziale, ubriaco: questi sono gli aggettivi che meglio descrivono il personaggio di Stephen Bruner, A.k.a. Thundercat, e del suo ultimo, acclamatissimo lavoro: Drunk, appunto.
Prima di cominciare, vale la pena fare un breve excursus sulla sua vita. Nasce in una famiglia di musicisti: il padre ha suonato con Diana Ross e i Temptations, i due fratelli Ronald e Jameel sono entrambi ottimi musicisti della scena di Los Angeles, rispettivamente alla batteria e alle tastiere. Si fa le ossa suonando il basso nei Suicidal Tendencies assieme al fratello Ronald, per 10 anni (da quando ne aveva 16!). Raggiunta la “maturità artistica”, si unisce a Flying Lotus e alla sua etichetta Brainfeeder nel 2011, e ci registra tre album, incluso questo. Nel mentre, suona da session man in alcuni tra gli album più di successo degli ultimi anni, tra cui To Pimp a Butterfly, The Epic, Cosmogramma, GO:OD AM. Insomma, un curriculum da fare invidia a chiunque.
Ma torniamo a Drunk: il marchio di fabbrica della Brainfeeder è molto chiaro, come del resto lo era anche nei lavori precedenti: tanti suoni elettronici e “spaziali”, tastiere fusion, funk a palate, atmosfere da trip. Ma la vera particolarità del suo stile sta nella centralità del suo basso a sei corde: Thundercat è un virtuoso, e gli piace sbattere in faccia all’ascoltatore tutta la sua bravura. Ma lo fa con una tale esagerazione che spesso sfocia nella goliardia, di fatto alleviando il senso di stucchevolezza che si avrebbe altrimenti (vi dice qualcosa il nome Frank Zappa?). Prendiamo ad esempio i brani Captain Stupido e Uh Uh: già dal titolo si capisce che abbiamo a che fare con un personaggio che forse non ha tutte le rotelle a posto. Ascoltandoli.. beh, ne arriva la conferma.
Anche la struttura stessa dell’album è di per sé abbastanza folle: 23 brani, alcuni molto brevi ma in generale quasi mai sopra i 3 minuti. Una accozzaglia di suoni e virtuosismi senza un fine? No. Forse nei lavori precedenti, nei quali Thundercat non aveva messo propriamente a fuoco le sue abilità da songwriter, se non con il brano Them Changes che infatti ritroviamo anche in questo album. Ma in Drunk le cose sono cambiate: sebbene sia un disco non di facile ascolto e molto frammentato, i pezzi sono sicuramente più centrati: il funk spaziale di tutti i lavori di George Clinton unito alla folle ironia di Frank Zappa, alle melodie smooth di Stevie Wonder, al virtuosismo dei Weather Reaport e all’elettronica caleidoscopica di Flying Lotus. Se avete voglia di ascoltare qualcosa di particolare, prendetevi 52 minuti della vostra vita e immergetevi in questa amabile follia.
Ascolta anche:
- Stevie Wonder: Innervisions (1973)
- Parliament: Funkentelechy Vs. The Placebo Syndrome (1977)
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3. ODDISEE - THE ICEBERG (Mello Music Group)
Genere: Rap, Funk, Neo-Soul
Oddisee è uno degli artisti più sottovalutati della scena hip hop di oggi. E anche uno dei più prolifici, considerando che dal 2005 ad oggi ha fatto uscire la bellezza di 25 tra album, mixtape ed EP. Con questo disco arriva (forse?) la consacrazione nel mondo dell’hip hop che conta.
La sua formula ha un caposaldo: una live band, “The Good Company”, di una bravura impressionante (andate a sentirli dal vivo e lo potrete constatare con le vostre orecchie), su cui Oddisee rappa in modo fluido di temi sempre molto impegnati quali la politica, il razzismo, la cultura “black”, il riscatto dato dal successo.
Musicalmente, i brani riprendono il rap-neo-soul in stile Goldlink, come in Let’s get into it e Things, quest’ultima senza dubbio la più coinvolgente grazie alla ritmica molto sostenuta e ballabile; ma sono anche ancorate alla tradizione di rap-jazz anni ‘90 di Rootsiana memoria (vedi Hold it back e NNGE). Il mix che ne deriva non è sicuramente nulla di innovativo, ma d’altronde sono in pochi a poter dire di esserlo veramente. Tuttavia funziona davvero bene ed è senza dubbio uno degli esempi migliori di mix tra novità e tradizione che siano usciti quest’anno in ambito rap.
Ascolta anche:
- Domo Genesis: Genesis (2016)
- Goldlink: And After That, We Didn’t Talk (2015)
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4. SAMPHA - PROCESS (Young Turks)
Genere: Neo-Soul, Indie, Elettronica
Chi l’ha detto che la black music è un affare esclusivamente americano? La storia ci insegna che da sempre l’Inghilterra è stata forse la fucìna migliore di talenti di black music in senso lato, quasi sempre suonata da bianchi: dagli anni 60 col blues di Rolling Stones, Cream e Led Zeppelin, agli anni 80 con il two-tone ska di Madness e Specials, fino ad arrivare ai giorni d’oggi con l’ondata di neo-soul e grime che sta tenendo testa a quanto succede oltreoceano: Jack Garratt, NAO, James Blake, King Krule, Mura Masa, Skepta, Stormzy, solo per citarne alcuni. E Sampha, ovviamente, una delle novità più belle di questo 2017.
Che poi, a dirla tutta, Sampha non è così nuovo al mondo del music business: nel 2013 un certo Drake, accortosi delle spiccate doti dell’artista di South London, lo invita a produrre un suo brano. Un paio di anni dopo, Kanye West fa altrettanto, e poi ancora Solange Knowles per il suo fortunatissimo album A Seat at the Table dello scorso anno. Nel mentre, Sampha attraversa un periodo piuttosto buio, ovvero quello della battaglia contro il cancro della madre, purtroppo persa a fine 2015. Ed è stato proprio lui, tra tutti e 5 i fratelli, a prendersene cura, essendo quindi costretto a scrivere i brani nei ritagli di tempo, ragion per cui l’album ha tardato ad arrivare. Ma una volta arrivato, si è fatto sentire, eccome.
Questo inevitabile sentimento di smarrimento attraversa quindi tutti e 10 i brani che compongono il suo primo lavoro in studio, sia nei testi che nel mood, culminando nella struggente No One Knows Me Like the Piano, un brano piano e voce di una delicatezza e dolcezza infinita, il cui incipit recita “No one knows me like the piano in my mother’s home“. In questo brano, l’espressività della sua splendida voce soul unita al suono di un vecchio pianoforte che rasenta la scordatura (chi ne ha mai ascoltato uno sa di cosa sto parlando) sarà in grado di farvi emozionare nel profondo.
A parte il singolo Blood on Me, che insieme al pezzo sopra citato è senza dubbio il migliore del disco, gli altri brani sono tutti molto dilatati, sognanti ed introspettivi, complice l’estensivo utilizzo di tastiere, pad e suoni ambient, sui quali Sampha veleggia con la sua voce caldissima e perfettamente riconoscibile. Proprio questa caratteristica di aver “scomposto” la musica alla sua essenza dando poco risalto alla ritmica nonostante si tratti di un disco soul, lo fa ricondurre al Frank Ocean di Blonde, che con Process ha in comune anche una sensibilità, finezza ed eleganza non da tutti (che oltre a Frank Ocean probabilmente solo Bon Iver può vantare oggi).
Vale la pena menzionare che in questo anno magico, Sampha ha addirittura vinto il Mercury Prize come miglior album. E se lo merita tutto.
Ascolta anche:
- Frank Ocean: Blonde (2016)
- James Blake: Overgrown (2013)
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5. STORMZY - GANG SIGNS & PRAYERS (Merky Records)
Genere: Grime, R&B
Il nome di Stormzy negli ultimi due anni è stato particolarmente chiacchierato in rete, ancor prima che registrasse il suo primo album in studio. Nel 2015 sono infatti usciti un paio di singoli, Know me From e Shut Up, che hanno avuto decine di milioni di visualizzazioni in pochissimo tempo, contribuendo a dare al grime una notorietà anche oltre la Manica. Questo è ancora più incredibile se si pensa che Shut Up era un semplice video freestyle registrato live per strada insieme a tutta la sua Gang. La fortuna di Stormzy è continuata grazie ad una canzone scritta per il calciatore Pogba e fatta in collaborazione con Adidas, di cui Stormzy è testimonial.
A soli 22 anni, quindi, Stormzy si trova ad sssere già sulla bocca di tutti, e come sfruttare al meglio questa ondata se non facendo uscire il primo full lenght? L’album è molto lungo, e contro ogni aspettativa ci mostra due lati dell’apparentemente cattivissimo rapper londinese: una, quella che tutti si aspettavano, dura e cruda, con canzoni in perfetto stile grime come First Things First, Cold, Mr Skeng, Big for your Boots, Return of the Rucksack e Shut up che aderiscono allo stile dei colleghi Skepta e Wiley. La faccia più inaspettata, invece, è quella che lo vede interprete di ballate lente e quasi romantiche, come Blinded By Your Grace, Velvet, Cigarette and Cush (in collaborazione con Kehlani), che vanno in forte contrasto con il resto dell’album ma che sono comunque piacevoli. Questa attitudine ci mostra l’apertura di Stormzy ad un pubblico più ampio, e non sarei stupito se fosse questa la strada che il rapper intraprenderà in futuro (il featuring con Ed Sheeran è un altro grande segnale).
In conclusione, nonostante i pezzi siano ben fatti, forse in questo primo album la differenza tra le due facce dell’artista è ancora un po’ troppo netta, ma ci sono tutte le carte in regola affinché, nei prossimi lavori, riesca a trovare una quadra tale da crearsi un genere inedito e completamente personale.
Ascolta anche:
- Skepta: Konnichiwa (2016)
- Wiley: Godfather (2017)
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6. MURA MASA - MURA MASA (Polydor)
Genere: Neo-Soul, R&B, Hip Hop
Mura Masa è un genietto polistrumentista inglese classe ‘96 che, partendo dalla sua cameretta, ha conquistato la dancefloor di mezzo mondo con il suo mix di R&B, EDM, Funk ed elettronica. Con il suo disco d’esordio ci mostra tutto ciò di cui è capace con l’aiuto di una pletora di guests che fa invidia un po’ a tutti, vista la sua tenera età: A$AP Rocky, NAO, Damon Albarn, Designeer e Charli XCX solo per citarne alcuni.
13 brani di cui almeno 7 potrebbero essere potenziali numero 1 a Billboard: Messy Love, Nuggets, Love$ick, 1 Night, What if I go? e Firefly hanno tutte in comune un beat di cassa pulsante da dancefloor, suoni che rimandano ad atmosfere orientaleggianti e che talvolta strizzano l’occhio al raggeton, melodie accattivamenti e groove pazzeschi. Ma sia ben chiaro: la presenza di così tanti ospiti non oscura assolutamente il talento di Mura Masa: la sua bravura è infatti proprio quella di aver saputo plasmare un prodotto che prima di tutto avesse il suo marchio di fabbrica, servendosi delle guest solamente per potergli dare la luce. Un lavoro da vero produttore quindi, senza però dimenticare che siamo davanti anche ad un ottimo musicista: dal vivo infatti programma le basi, suona basso, chitarra e qualche percussione qua e là. Sentiremo parlare tanto di lui, questo è poco ma sicuro.
Ascolta anche:
- Calvin Harris: Funk Wav Bounces Vol. 1 (2017)
- Kehlani: SweetSexySavage (2017)
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7. RUN THE JEWELS - RTJ3 (Run The Jewels, Inc)
Genere: Trap, Hip Hop
Arriviamo al disco pazzo e festaiolo: i Run The Jewels sono un duo trap abbastanza improbabile a vedersi (Killer Mike armadio di colore alto due metri e largo altrettanto, El-P americano basso e tozzo), ma con un’attitudine e sound così accattivanti e tamarri che sono diventati uno dei gruppi hip hop più cool sulla piazza.
Stilisticamente l’album ricalca abbastanza i primi 2 capitoli della loro esistenza, tralasciando l’album di cover di sé stessi con voci di gattini, Meow The Jewels, a cui vale la pena dare un ascolto per farsi un’idea dei soggetti di cui stiamo parlando. Il sound è dunque piuttosto duro e scarno, con beat lenti e martellanti che favoriscono l’headbangin’ e qualche tastiera dissonante o sax qua e là, per creare un’aurea di cattiveria che svanisce subito quando li si va a sentire live: i due ragazzacci in realtà sono due simpatici patatoni (ma lo spettacolo è assicurato, non fraintendete).
Ascoltando questo album si ha l’impressione di essere davanti ad un best of del genere. Ogni volta che parte un pezzo la prima reazione sarà: cavolo, è vero che in questo disco c’è anche questa! E allora spariamoci a palla Down, Legend Has It, Call Tickerton, Hey Kids (feat. Danny Brown) e Stay Gold, alziamo le mani al cielo e abbandoniamoci allo swag. Ah, niente auto-tune fortunatamente!
Ascolta anche:
- Skepta: Konnichiwa (2016)
- Danny Brown: Atrocity Exhibition (2016)
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8. GAZEBO PENGUINS - NEBBIA (To Lose La Track)
Genere: Punk Rock, Emo, Indie
“Nel linguaggio della stilistica e della semantica, la sinestesia è un particolare tipo di metafora per cui si uniscono in stretto rapporto due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse”.
Ascoltando il terzo full lenght dei trio emiliano nella sua interezza, si ha davvero la sensazione di essere in macchina in una fredda e umida sera di novembre, e di non vedere nulla davanti a sé stessi se non la Nebbia. I Gazebo Penguins riescono quindi in un’impresa più unica che rara, ovvero quello di farci vedere la musica.
Chi pensa che i Gazebo Penguins siano solo un banale gruppetto punk per adolescenti si sbaglia di grosso: come già nei loro precedenti lavori, gli arrangiamenti e i suoni delle chitarre, che ora sono diventate due, sono molto studiati e mai banali, e le ritmiche sono sempre molto interessanti e mai uguali l’una all’altra. Per non parlare dell’evoluzione stilistica: il mood è decisamente più rallentato, cupo e introspettivo rispetto a Raudo, quasi rasentando il post-rock, e talmente uniforme all’interno dei brani che non si ha la sensazione di essere davanti ad un insieme di 9 canzoni, ma davanti ad un’unica lunga suite di circa mezz’ora che scorre come un unico flusso massiccio.
I testi contribuiscono a rafforzare questa sensazione: Bismantova, Nebbia, Febbre, Soffrire non è utile, Porta, Pioggia sono tutte riflessioni sulle insicurezze della dell’essere adulti, introspezioni su obiettivi e traguardi della propria vita, dubbi e delusioni del proprio passato, senza nascondere un senso di malinconia se si prova a guardare indietro.
Ascolta anche:
- Fast Animals and Slow Kids: Alaska (2015)
- Title Fight: Hyperview (2015)
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9. JAPANDROIDS - NEAR TO THE WILD HEART OF LIFE (ANTI-)
Genere: Indie, Alternative Rock
I Japandroids sono un duo canadese (chitarra e batteria) che mischia punk, indie, garage e alternative rock, richiamando il sound e lo stile dei due gioiellini della Minneapolis anni ‘80, Replacements e Husker Du.
Dopo il fortunatissimo Celebration Rock del 2012, il duo si è preso la bellezza di 5 anni per schiarirsi le idee e dare alla luce il loro terzo lavoro in studio. Il marchio di fabbrica dei due dischi precedenti è sempre ben presente: accordoni aperti di chitarra, melodie da sing along e tanta sporcizia qua e là; ma con questo nuovo album il duo ha voluto sperimentare qualcosa in più, utilizzando synth e tastiere in molti dei brani. Uno su tutti, Arc of Bar è una lenta cavalcata blues rock con un efficace loop di synth e un tappeto sonoro che evoca atmosfere grandiose, quasi da stadio. Tra gli altri brani, spiccano la title track e il singolo No Known Drink or Drug, inni punk fatti apposta per sgolarsi ai concerti, e le più lente ed emozionali North East South West, Midnight to Morning e la chiusura ad effetto di In a Body Like a Grave, che suscita un’emozionalità simile alla chiusura di Tim dei Replacements con Here Comes the Regular.
I Japandroids con questo album ci dimostrano ancora una volta di essere, assieme ai Royal Blood e ai Cloud Nothings, l’unica band alternative rock degna di nota uscita dagli anni ‘10, con il difficilissimo compito di riportare in alto un genere che, attualmente, sta purtroppo sempre più faticando a vivere.
- Japandroids: Celebration Rock (2012)
- The Replacements: Let it Be (1984)
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10. CALVIN HARRIS - FUNK WAV BOUNCES VOL.1 (Columbia)
Genere: Neo-Soul, R&B, Hip Hop
No non sono impazzito, avete letto bene: Calvin Harris. Ma non sto parlando del Calvin Harris di Summer e We Found Love. In questo ultimo lavoro, il DJ scozzese abbassa un po’ i toni ispirandosi alle sonorità chillout anni ‘80 che impazzano in questo periodo (vedi Mark Ronson, Bruno Mars, ecc.). Una musica da ascoltare in riva al mare al tramonto davanti ad un cocktial, e direi che la copertina rende bene l’idea.
E se sei il DJ più famoso del momento, vuoi non invitare le guest più in voga del momento, giusto per far venire un po’ di invidia a DJ Khaled? Risposta affermativa. E allora si parte con Slide, forse il pezzo migliore del disco, che vede sua maestà Frank Ocean e i Migos in un un boogie dalle ritmiche che richiamano gli Chic, modernizzate dalle sopra citate guests. Cash out e Heartstroke ricalcano il mood del primo brano, ma con guest e dunque sonorità molto diverse (ScHoolboy Q e D.R.A.M. nel primo, Young Thug, Pharrell e Ariana Grande nel secondo). Con Rollin’ il tempo si distende ulteriormente per far spazio a una delle voci soul più chiacchierate, quella di Khalid, mixata alla trap di Future.
Dopo un paio di pezzi tutto sommato trascurabili, ecco che il Calvin Harris da dancefloor torna prepotentemente con una doppietta di brani su cui il cocktail si lascia sul tavolo e si comincia a muovere il fondoschiena: il raggeton di Nicky Minaj con Skrt On Me e la numero 1 Feels, che vede ancora Pharrell insieme a Katy Perry e Big Sean. Pur essendo impossibile non muoversi su questi pezzi, le atmosfere rimangono sempre molto chillout e rilassate e non sfociano mai nella disco più classica.
I più scettici diranno che questo disco è un’accozzaglia di star senza filo conduttore. Ma in fin dei conti non sempre è indispensabile essere innovativi, specialmente in un genere come questo. E allora una volta che hai 10 pezzi ben fatti e ben prodotti, che in più sono anche ballabili e con ottime melodie, cosa ti interessa delle critiche? Non ci resta che sperare nel Vol. 2.
Ascolta anche:
- Mura Masa: Mura Masa (2017)
- Bruno Mars: 24K Magic (2016)
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11. AMINE’ - GOOD FOR YOU (Republic Records)
Genere: Hip Hop, Neo-Soul, Trap
Se il nuovo dei Run The Jewels è un disco per party “da duri”, il primo album del rapper Amine’ è un disco per party festaioli, divertenti, spensierati e anche un po’ in fattanza.
I beat sono quelli tipici della trap, con cassa e rullante in faccia e ritmi distesi. A differenza degli artisti di Atlanta, tuttavia, le atmosfere non sono incazzate e cupe, ma fanno venire una gran voglia di fare festa e mettono anche piuttosto di buon umore. Non mancano tuttavia pezzi più soul e funky, come la super groovy Blinds (prodotta dai Disclosure), Dakota e Heebiejeebies, che vede un duetto con la cantante Kehlani, nel suo anno di gloria. Anche i testi sono abbastanza frivoli, ma d’altronde il rapper impegnato non è quello che Aminé punta ad essere. Un’altra nota positiva è la poca presenza degli autotune, che alla lunga risulterebbero stucchevoli.
Ma il vero punto di forza di questo album è senza dubbio la capacità di Aminé di scrivere pezzi super catchy, come Hero, Wedding Crashers (che una volta partito il jingle iniziale non vi si toglierà più dalla testa), Slide e Spice Girl, pezzo in cui viene scimmiottato il ritornello di Wannabe. Insomma, appena tornerà la primavera, sapete che album mettere a palla nella vostra auto mentre guiderete con il braccio fuori.
Ascolta anche:
- Chance the Rapper: Coloring Book (2016)
- Goldlink: And After That, We Didn’t Talk (2015)
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12. KEHLANI - SWEETSEXYSAVAGE (Atlantic) / SZA - CTRL (Top Dawg Entertainment)
Genere: Neo-Soul, R&B, Pop
Facciamo un gioco: dato che di questi due album mi è piaciuta tantissimo la prima metà, mentre ho trovato un po’ noiosa la seconda parte, ho deciso di fingere di creare un album unico con il meglio di entrambi, essendo i generi complementari ma tutto sommato assimilabili.
Kehlani, già comparsa più volte in queste recensioni, è una cantante R&B classe ‘95 che mischia ritmi ballabili EDM, melodie pazzesche e atmosfere chillout. Nel suo debutto su una major, ci dimostra tutta la sua abilità nello scrivere ritornelli che non ti si tolgono dalla testa e che strizzano l’occhio al pop del nuovo filone capitanato da Taylor Swift, mantenendo un’attitudine più “underground”. Ascoltate Keep on, Distraction e Undercover, garantito che vorrete tingervi la pelle di nero.
SZA è invece un’artista più navigata, attualmente parte della scuderia Top Dawg Entertainment, di cui fa parte anche un certo Kendrick Lamar. Il suo sound è sicuramente meno “mainstream” e un po’ più ricercato rispetto a quello di Kehlani, con basi assimilabili a quelle che Kendrick Lamar ha creato nel suo DAMN. e atmosfere che richiamano l’ultimo album di Rihanna (ANTI), dove peraltro SZA ha contribuito nella opening track Consideration. Se Kehlani è la colonna sonora perfetta per un party estivo, Ctrl va ascoltato per riprendersi a fine serata mentre si torna a casa.
Ascolta anche:
- Rihanna: ANTI (2016)
- Taylor Swift: 1989 (2015)
Altri album a cui dovreste dedicare un ascolto:
- Cloud Nothings - Life Without Sound: Come citato nella recensione dei Japandroids, una delle poche band che porta ancora avanti con onore la bandiera dell’alternative rock.
- Khalid - American Teen: un fulmine a ciel sereno, l’album d’esordio di Khalid è un viaggio attraverso il neo-soul, l’R&B e il pop che ha lasciato tutti a bocca aperta.
- Logic - Everybody: l’incredibile successo del singolo 1-800-273-8255 (Feat. Alessia Cara & Khalid) ha forse un po’ oscurato il resto del disco, che non dimentichiamo ha scalzato DAMN. dalla numero 1 a Billboard lo scorso aprile.
- Portugal. The Man - Woodstock: anche in questo caso, non fermiamoci al singolone di successo (Feel it Still): anche se il disco ha toni sensibilmente più commerciali rispetto agli altri lavori della band psich-rock Alaskiana, l’album è godibile dalla prima all’ultima traccia.
- Hoops - Routines: band praticamente sconosciuta ma molto interessante, che propone un mix di rock psichedelico, indie e dream pop, sulla falsa riga di Unknown Mortal Orchestra, Mac de Marco e soci.
- Toro Y Moi - Boo Boo: se siete in cerca di atmosfere sognanti e ritmi distesi, questo ultimo lavoro di Toro Y Moi farà al caso vostro. Particolarmente riuscito il singolo Girl like you.
- Drake - More Life: disco molto lungo, e quindi un po’ dispersivo, ma con qualche chicca da non perdere (Passionfruit, Free Smoke, Fake Love).
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Much needed context: one of my ocs had three boyfriends during his entire life and I once had a thought like "yo wait what if they were all the boyfriends in that one terribad webcomic lmaooo" and so my very very good great wonderful ranchy fishy fishy fish fish friend @fishyfishyfishtimes cooked this up. Thank you Ranch for your sacrifice.
I promise my characters aren't poorly written gay stereotypes bro they just ARE lowkey similar in a weird way. Like if someone were to do some shittyass thing with them this is what they'd cook up (I like thinking of this stuff sometimes although some of it is unwanted too). I don't hate my ocs, I promise.
[If you care about this stuff, characters from left to right are Lael Baines, Olivier Lévêque, Lacy J. Bravura, and Joshua A. Klein. All belong to me. Olivier looks different here because he's drawn in an art style of a character of Ranch's (which is really good!!) + he literally didn't have a design yet. All of these handsome beasts are butterfly puppets, Joshua is just extra fluffy so that's why his antennae look like that. He has a very long and fluffy "tail" aka insect abdomen too! Use your imagination ;) ]
Posted with consent from @fishyfishyfishtimes because otherwise that'd just be wrong
Haven't actually read this webcomic because every time I think I'm brave enough the cover and sheer length of it successfully scare me away (+++ the art, voice acting, and character design are scary af).
#the shit I post at ungodly hours smh#Lael Baines#Olivier Lévêque#Lacy Bravura#Joshua Klein#boyfriends webtoon#boyfriends slander#boyfriends <3#(oh my god bruh aw hell naw man what dafuck man)#Ranch art#oc art#historical ocs#puppet oc
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