#La tirannia del tempo nel lavoro intellettuale
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iannozzigiuseppe · 2 years ago
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Lorenzo Barbanera - L'Orologio di Minerva. La tirannia del tempo nel lavoro intellettuale - Prefazione di Stefano Nobile - Marietti 1820
Lorenzo Barbanera – L’Orologio di Minerva. La tirannia del tempo nel lavoro intellettuale – Prefazione di Stefano Nobile – Marietti 1820
Lorenzo Barbanera L’Orologio di Minerva La tirannia del tempo nel lavoro intellettuale Prefazione di Stefano Nobile Marietti 1820   Un saggio originale, frutto di tre anni di lavoro, disegna il profilo del docente universitario negli atenei italiani. Attraverso 1056 profili, l’autore indaga le diverse modalità con cui i docenti universitari italiani vivono la relazione tra tempo personale e…
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ipsilonmaiuscola · 4 years ago
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https://www.ereticamente.net/2020/08/linvasione-degli-ultracovid-livio-cade.html
Non dobbiamo chiudere occhio tutta la notte.
O ci sveglieremo trasformati in qualcosa di inumano.
Molte persone perdono a poco a poco la loro umanità senza accorgersene.
(da “L’invasione degli ultracorpi”)
Secondo Toynbee “le civiltà muoiono per suicidio, non per assassinio”. La nostra civiltà lo conferma. Noi stiamo per essere distrutti non da invasioni di orde barbariche, di eserciti ottomani o cavallette, e nemmeno di virus o batteri. L’uomo moderno si sta uccidendo da solo, è lui stesso a determinare l’invasione che porrà fine alla civiltà come oggi la conosciamo. L’invasore è un’entità immateriale che attacca le persone alterandone le funzioni cognitive, controllando la loro volontà e le loro emozioni. Non è possibile dire con certezza se l’infezione avvenga per via chimica, elettromagnetica o eterica. Sappiamo che colpisce il sistema nervoso centrale, compromettendo le facoltà psichiche correlate alla corteccia e al sistema limbico. Provoca, per così dire, una scissione tra l’anima e le funzioni cerebrali, come recidendo il filo che le lega. Questa pandemia mentale, per la quale non esiste vaccino, ha origini lontane.
Per comprenderne la cause, dobbiamo partire dalla nostra credenza più comune, ossia quella di essere liberi pensatori. L’idea che pregiudizi e censure appartengano al passato e che le democrazie moderne garantiscano libertà di pensiero è un’illusione diffusa. In realtà, nella società attuale, istruzione di massa e informazione son diventate strumenti totalitari di repressione e controllo delle coscienze. Le scuole sono centri di indottrinamento collettivo, e i media riempiono ogni giorno i cervelli di falsità e pregiudizi. La cultura stessa diviene organo di censura. Ogni cittadino sviluppa un dispositivo di blocco della libertà di pensiero, una sorta di sensore che, in caso di conflitto col pensiero omologato, fa scattare in lui un segnale d’allarme, un senso di indegnità morale e intellettuale che lo induce a rientrare immediatamente nei ranghi. Avendo interiorizzato questo sofisticato Super-io sociale, ha l’illusione di non subire censure esterne.
Questo non era certo possibile in tempi di analfabetismo e arretratezza culturale. Sicuramente un contadino medievale aveva maggior autonomia di giudizio di un laureato medio di oggi. Il mercato di capre, galline e rape cui si recava non faceva di lui un consumista e la ricca aristocrazia non era interessata alle sue opinioni. Tenere il popolo nell’ignoranza pareva una saggia forma di governo, ma in compenso gli si lasciava il suo buon senso e la sua ineducata intelligenza. Oggi sappiamo invece che scuole, libri, giornali, programmi radiofonici e televisivi, sono strumenti di governo assai più efficaci. L’ignoranza lascia vuoti pericolosi e ingovernabili. Molto più sicuro è riempire preventivamente la testa delle persone. Per questo la nostra società alimenta credenze e superstizioni molto più potenti che in passato. Quando il contadino medievale veniva frustato o depredato, non si illudeva di essere un uomo libero. Sapeva bene di esser servo e se per strada s’imbatteva nel nobile padrone rispettosamente si inchinava. Quando il predicatore tuonava dal pulpito, forse l’idea dell’inferno lo spaventava, ma nel suo pratico realismo non avrebbe scambiato la vacca con l’assoluzione dei peccati.
Noi crediamo invece a tutto ciò che i media raccontano, in uno stato di passiva e puerile dipendenza. L’infantilismo di massa è oggi la miglior garanzia per chi governa. Perciò ogni giorno vengono ripetuti, come filastrocche ad usum infantis, logori miti liberali e progressisti, fruste favole umanitarie e scientifiche. Si può far credere alla gente che le guerre siano missioni di pace, gli strozzini dei benefattori, immonde schifezze dei capolavori. In pratica, la nostra società si fonda sulla fiaba, vive di favole e leggende, e il cittadino medio non sa più distinguere tra realtà e fantasia. È proprio questa cultura ingannevole a distruggerci. Perché non si accontenta più di manipolare e falsificare la realtà, ma sopprime la verità dell’uomo alla radice. La menzogna è l’arma con cui la nostra civiltà si suiciderà. Possiamo così meglio comprendere cosa abbia reso possibile questa diabolica invasione, tesa apparentemente al dominio totale del pianeta ma in realtà scatenata da un oscuro impulso di autodistruzione (che è forse necessaria espiazione e purificazione). Le porte erano già state aperte, i ponti abbassati, le armi consegnate al nemico. Complici e collaborazionisti avevano preparato il terreno e la coscienza collettiva era ormai una cittadella indifesa, pronta a crollare.
È bastato raccontare una nuova e più sorprendente fiaba, usando il classico canovaccio della lotta tra il Bene e il Male: un invisibile demone semina morte e distruzione; il buon Re ordina al popolo di chiudersi in casa; le sagge fatine donano alla gente magiche mascherine con cui proteggersi (dire che le vendono sarebbe più esatto); sapienti maghi insegnano come tenersi lontani dal pericolo; su tutto il regno grava un terribile maleficio; la gente non può lavorare, amare, divertirsi; e sarà così finché il salvatore non giungerà, brandendo l’arma incantata che ucciderà il demone (superfluo dire quanto ci costerà questo gesto valoroso). Tradotta in una fiaba sanitaria tanto semplicistica quanto inverosimile, questa storia è volata per il mondo, e le spore degli ultracovid l’hanno usata come un vento per arrivare in ogni luogo. Pochissimi han capito che era una favola. Gli altri hanno sgranato gli occhi come bambini eccitati, spaventati e affascinati insieme.
Ordini contraddittori, multe folli, distanziamenti paranoici, alla fiaba si sono aggiunte enunciazioni e procedure surreali, come in un teatro dell’assurdo. A volte invece è il tono farsesco a prevalere. La figura tragicomica dell’asintomatico, la riduzione della vita a eterna ipocondria, le catene di Sant’Antonio degli ipotetici contagiati, i vessatori isolamenti, le profilassi coatte, son trovate degne di Molière. Più spesso però il racconto degenera in un cupo delirio: fantasmi della peste nera, lazzaretti, liturgie funebri, conferiscono alla fiaba toni da Grand guignol. Certo è disumano e insensatamente crudele, anzi un crimine feroce, proibire di assistere i propri cari morenti e di dar loro cristiana sepoltura. È una tirannia, ma grottesca e senza dignità. Fa amaramente ridere vedere un dittatore che nasconde la sua brutalità dietro paradossi e non-sense. I tiranni del passato erano meno ipocriti, e se ti mettevano la mordacchia o ti muravano vivo non si spacciavano per filantropi. Oggi invece si definisce ‘liberismo’ l’assenza di libertà. E, rispetto al moderno capitalismo, le antiche tirannidi erano certo più effimere e blande. Ma oggi i tiranni si celano dietro rassicuranti maschere. Sembrano pieni di buone intenzioni e di premure affettuose, preoccupati sempre per il nostro bene. Hanno l’aria sollecita di una mamma che ti costringa a prender l’olio di ricino. Come potremmo odiarli? Bruto uccise il padre, ma nessun tirannicida potrebbe pugnalare la mamma.
In ogni caso, il tirannicidio è démodé. E pure la sommossa popolare è oggi anacronistica. Questo per tre ragioni fondamentali. La prima è che se in passato la roncola o il forcone potevano forse competere con la lancia e la spada, oggi la roccaforte del potere è difesa da mercenari dotati di armi ultra-tecnologiche. Farsi massacrare sarebbe un sacrificio nobile ma inutile. La seconda è che non esiste un popolo, solo una massa di particelle umane rette da leggi meccaniche. La terza è che in questa massa scolarizzata e sclerotizzata dai media l’impulso di ribellarsi è stato opportunamente inibito. Inutile aspettarsi sussulti di rivolta in cervelli manovrati dagli slogan della pubblicità e della retorica politica. Assuefatta alla grande fiaba democratica, la gente scambia una condizione di schiavitù per libertà e non vede alcun giogo da cui liberarsi. Ed è ingenuo sperare che dei pennaioli prezzolati possano raccontar loro la verità, o che lo faccia una banda di scienziati ruffiani o di politici portaborse.
Da parte mia, mi rassegnai alla sconfitta il giorno che cessò l’obbligo di portar la maschera. Quella mattina speravo di rivedere per strada volti umani, liberi finalmente dall’umiliazione di quel miserabile e inutile cencio messo sulla bocca. Ma quasi tutti lo portavano ancora. Ne chiesi la ragione ad alcune persone, giovani e anziane. Mi dissero: “meglio esser prudenti”, “per senso di responsabilità”, “per sicurezza”, “l’ho scampata finora, voglio scamparla ancora” e altre simili risposte nelle quali non si troverebbe un atomo di intelligenza o di realismo. Entrai in un grande supermercato. Ero l’unico a volto scoperto tra centinaia di esseri che vagavano nascosti da una maschera, come mandrie marchiate col simbolo del padrone. I loro occhi, affiorando dal bavaglio, mi fissavano con un misto di odio, disprezzo e paura. Gli ultracovid erano ovunque. Avevano preso possesso delle persone, usando i loro corpi come involucri. Capii che la battaglia era persa. “Solo un dio ci può salvare”, pensai.
Oggi, quando incontro qualcuno, non so se è ancora umano o uno di loro. Se parlo con un vecchio conoscente, non noto a tutta prima differenze sensibili. Per capire se il suo cervello ha contratto l’infezione aliena devo alludere al Covid come a un’enorme messinscena, negare che sia una devastante pandemia o un flagello di Dio. Se è un ultracovid si farà aggressivo. “E i morti”, protesterà, “tutti questi morti?” Questa domanda è fondamentale, nel senso che rivela il fondamento onirico della fiaba, il sogno di immortalità che la sostiene. Chi vive in questa fiaba non vede che la gente muore come prima, poco più, poco meno. Un’influenza che manda qualcuno all’altro mondo fa solo il suo onesto lavoro, come un infarto, un incidente o un tumore. Una persona sana lo sa e non passa il suo tempo a far inutili riti apotropaici, fuggendo o nascondendosi. Ma ora, in questa fiaba, sembra che le persone muoiano tutte di Covid. Solo un fantomatico virus sembra frapporsi tra noi e l’immortalità. Perciò bisogna combattere con ogni mezzo questo misterioso spettro. In preda a una psicosi igienista, la gente si illude che basti indossare una maschera, distanziarsi e sanificare l’ambiente per non morire più. Questa soggiacente struttura allucinatoria è il segno indubitabile di possessione da ultracovid.
Inutile cercare di scuoterli, di liberarli da quel parassita cerebrale. Ti guarderanno con aria allarmata, come fossi tu l’alieno. Non serve appellarsi alla logica, ai fatti, ai dati reali. Niente può scalfire il loro monolitico blocco di angosce e certezze. Se ti mostri scettico, se non ti conformi alla fiaba ufficiale, ti accuseranno di cinismo, negazionismo o complottismo. È una sorta di isteria collettiva, come il maccartismo degli anni ’50, la Red Scare – paura rossa – che vedeva in ogni anticonformista un pericoloso comunista. Non dovremo attendere molto per vedere questi invasati diventare zelanti delatori. Ogni buon cittadino dovrà collaborare alla caccia di streghe, dissidenti, sospetti untori. Naturalmente, secondo il delirante paradigma dell’asintomatico, tutti potranno essere segnalati alle autorità come soggetti potenzialmente pericolosi, i malati perché malati e i sani perché sani. Ma soprattutto verrà perseguito chi non mostrerà i sintomi di questa ipnotica invasione, della sottomissione totale. Come nel film di Siegel, alla vista di tali ‘asintomatici’, i posseduti richiameranno con alti gridi i tutori dell’ordine alieno, perché gli psico-resistenti vengano trasformati anch’essi in ultracovid o, in caso di immunità, eliminati. Avvolte e stritolate dalle spire di un gigantesco serpente poliziesco, le poche coscienze ancora vive verranno soffocate.
Le forze del Male sono oggi schiaccianti e non possiamo contrastarle. Vinceranno, per fas et nefas, debellando ogni resistenza. E quando avranno ridotto le nostre vite a sterili deserti, senza un’ombra di bellezza e di verità, e li avranno chiamati pace, salute, sicurezza, vedremo avverarsi quegli scenari da incubo, popolati da un’umanità degradata, che la fantascienza ha anticipato. Che fare? Nulla. La fiaba continuerà, con i suoi orrori e la sua infantile barbarie. Lasciamo che la gente segua il magico pifferaio e vada incontro al suo destino. Ma come salvare noi stessi e ciò che ci è caro? Potremmo forse mimetizzarci, sembrare come loro per passare inosservati. Fingere di consentire a discorsi assurdi e a comportamenti demenziali. Ma la nostra simulazione verrebbe smascherata. Potremmo “passare al bosco”, darci alla macchia e alla clandestinità. Cercare rifugio in un angolo del mondo non invaso, se ancora può esistere. Soprattutto, dobbiamo ricordarci che gli ultracovid si impadroniscono degli umani risucchiandone la mente durante il sonno. Perciò, restiamo svegli.
Infine la libertà rimetterà radici nella terra e rifiorirà, bagnata da sacre sorgenti.
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tmnotizie · 5 years ago
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CASTIGNANO – Prende il via questa sera la XXX  Edizione di Templaria, le magiche notti del medioevo che si protrarrà fino a mercoledì prossimo 21 agosto. Il prof. Andrea Fioravanti la presenta così.
“Esiste la scienza storica ed esiste l’epopea del passato. Esiste la dottrina filologica ed esistono gli archetipi stratificati nel tempo. Due ambiti diversi, a volte opposti, ma entrambi concreti e reali ognuno con le proprie ragioni. Da sempre Templaria Festival-Notti da Medioevo si è mossa come un equilibrista in bilico sul filo immaginario che separa la verità storica dalla sua riproduzione.
Ex Tenebris Lux, il passaggio dal buio alla luce è la sintesi perfetta di un percorso che ci ha permesso di raccontare l’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, di comprendere come mai in così poco tempo i Templari siano entrati prepotentemente nella Storia, ma soprattutto di mostrare come quegli anni, a partire dalla prima crociata fino allo scioglimento dell’ordine del Tempio, siano un inesauribile serbatoio di suggestioni culturali, religiose e politiche dal quale estraiamo ancora materiale a volontà per racconti e narrazioni di vario genere.
Nell’immaginario collettivo il Medioevo è spesso considerato un’epoca oscura, violenta, malvagia, arretrata culturalmente. Giornali, televisione, cinema e rievocazioni storiche propongono sempre gli stessi argomenti: ignoranza, tirannia, abusi, oscurantismo, sono concetti che confermano e rafforzano la famosa espressione “secoli bui”. Una chiave di lettura del passato, circondata di un alone macabro, che nell’alimentare tali stereotipi, continua a esercitare un indubbio fascino nell’interlocutore.
La 30 edizione di Templaria, Ex Tenebris Lux, è il riassunto di un lungo viaggio irto di misteri, imprigionato nelle superstizioni, dominato da quel genere di paure che spesso nella storia, sono state un potente strumento di manipolazione. Fuori dalle tenebre è la luce di un approdo lucido e consapevole che tenterà di squarciare il buio, di svelare la verità sui tanti luoghi comuni che ancora caratterizzano l’età medievale.
 Dopo esserci nutriti per anni di quel medioevo mitico rielaborato e rappresentato ad uso e consumo della spettacolarizzazione, le Notti da Medioevo castignanesi propongono un salto di qualità che colloca il Festival tra gli appuntamenti più importanti a tematiche medioevali del territorio italiano. L’edizione 2019 illumina di luce nuova quell’affascinante lasso di tempo dopo il XI secolo.
Un bagliore che coinvolge tutta la manifestazione, dagli spettacoli agli incontri passando per la rievocazione storica. Un periodo ricco di arte, cultura, innovazioni scientifiche e scoperte geografiche, capace di trasformare per sempre le abitudini e la mentalità della nostra società.
Segnato certamente anche da pagine oscure, scritte con il sangue di battaglie e guerre per il potere; intriso di pregiudizio, fanatismo, preconcetti e tutte quelle credenze popolari  che, per il presunto ricorso alla magia e alle divinazioni, fornirono l’alibi a secoli di persecuzioni, torture e soprusi.
Aspetti, questi, non così distanti dalla nostra attualità. Ed è per questo che il passaggio dal buio alla luce si rende ancor più necessario: per ricordare ciò che giace nell’immenso territorio del tempo ma, soprattutto, per comprendere le criticità del nostro presente.
Il medievista Massimo Montanari a proposito di “Medioevo e luoghi comuni” non ha usato giri di parole per affrontare la questione. «Gli stereotipi e le false immagini connessi all’idea stessa di quell’età storica sono così “veri” che la coerenza storiografica dovrebbe imporre una soluzione paradossale: Eliminare il Medioevo dal nostro vocabolario sarebbe una soluzione radicale e forse traumatica ma personalmente la riterrei una conquista intellettuale». L’affermazione radicale dello storico testimonia l’intransigenza di medievisti, accademici e specialisti del settore nei confronti del giusto approccio allo studio della Storia Medioevale.
Uno degli storici più importanti del periodo, Jacques Le Goff, ha testimoniato nell’arco della sua intera esistenza che il Medioevo, lungi dall’essere quel periodo oscuro che avrebbe determinato una sorta di “notte” dell’umanità è, al contrario da considerarsi come un interrotto cammino dell’uomo verso il progresso.
Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, testimonia attraverso il suo lavoro di docente, i suoi incontri e le sempre più frequenti apparizioni televisive che «nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora».
I pregiudizi sono così forti nella cultura di massa che ancora oggi giornalisti, politici e persone comuni usano ancora espressioni come ritorno al Medioevo per commentare l’attualità. Eppure nel Medioevo nacquero le Università, precedute da quei luoghi di inestimabile valore culturale che furono i monasteri Benedettini prima e degli altri ordini poi, che recuperarono e trascrissero preziosi manoscritti destinati all’oblio.
L’architettura espresse la bellezza del sacro e della fede con le sue incredibili cattedrali. In questo periodo nacquero le opere filosofiche, i romanzi cavallereschi le grandi innovazioni scientifiche, le tecniche rivoluzionarie nel campo dell’agricoltura, dell’ingegneria, della cartografia ed infine nacque l’idea di Stato moderno così come lo conosciamo ora.
Insomma il Medioevo, al netto delle distorsioni ed atrocità che appartengono purtroppo ad ogni periodo storico, fu un epoca di raro splendore in cui nacque la nostra e le altre lingue europee. A differenza di quel che si immagina, basandosi sul concetto di istituzione feudale, la società dell’epoca non visse di chiusure e confini, piuttosto su vivaci scambi culturali, confronti e soprattutto viaggi.
Paradossalmente, rispetto alle attuali possibilità di spostamento che i mezzi di trasferimento offrono, i nostri antenati viaggiarono e si spostarono molto di più. Re imperatori, intellettuali, monaci, artisti, ma anche mercanti, artigiani, mercenari oltre che pellegrini, erano in costante movimento battendo percorsi come la via Francigena, la via Romea, per viaggi diplomatici, lavoro, incontri o pellegrinaggi come quello verso Roma Gerusalemme o Santiago De Compostela. Gli scambi tra Europa ed Islam furono intensissimi e fruttuosi, al di là di quei pellegrinaggi armati che successivamente furono indicate col termine Crociate.
Ma anche il termine Medioevo che usiamo per indicare quel periodo storico di circa mille anni compare per la prima volta nel XV secolo, in pieno Rinascimento, quando con la riscoperta della cultura classica l’enorme intervallo di tempo dopo la caduta dell’impero romano venne caratterizzato in senso negativo. Connotazione che proseguì per tutta la modernità fino all’illuminismo e oltre.
E che ancora oggi prosegue, visto che il presente, vittima del sortilegio della sintesi e della velocità, scivola nelle semplificazioni, tanto da usare ancora scorciatoie linguistiche come “guerra santa”, “roghi”, “oscurantismo”, “barbarico” oltre l’immancabile e già citato “secoli bui” sempre riferiti al medioevo.
Una riflessione sul passaggio dal buio alla luce si rende dunque necessaria e l’occasione sarà Templaria Festival 2019. Un evento unico nel suo genere, arricchito da un patrimonio urbano unico, fatto di paesaggi mozzafiato come quello di una rocca di cui rimane solo una perfetta metà. Qui attraverso la rievocazione di antichi mestieri, scene di vita quotidiana e tradizioni popolari si svolge da trent’anni il nostro festival.
Un appuntamento irrinunciabile per gli appassionati, cresciuto in direzione di una sempre maggiore verosimiglianza filologica. Templaria immerge i suoi spettatori all’interno di vere e proprie “notti da medioevo” con l’accuratezza degli abiti indossati, con la meticolosità degli allestimenti, con la ricchezza degli spettacoli itineranti e l’attendibilità dell’ambientazione di ogni angolo del vecchio borgo.
Dove un musico suona, un frate predica o armigeri combattono sentiamo palpitare la luce della storia. Ed ancora osterie, giullari, poveri straccioni e ricchi sovrani, vassalli e servi della gleba, ma soprattutto loro: i Cavalieri Templari che passarono dal buio alla luce segnando un intero periodo della storia universale.
Il desiderio di confrontarsi con “un medioevo” sempre meno buio che si rischiara attraverso la sua autentica rappresentazione vibra nelle mura, nelle chiese, nei selciati delle pietre millenarie del piccolo Borgo Piceno. In occasione del trentennale Notti da Medioevo chiude un affascinante percorso fatto di Enigmi, Leggende, Guerre, Crociate, Magia, Alchimia, Paure millenarie, Superstizioni, Caccia alle streghe, Roghi e ricerca al Santo Graal.
La trentesima edizione del festival vuole comprendere come mai questi aspetti siano così profondamente radicati nell’immaginario collettivo tali da risultare veri, cercando di far luce dove fino ad ora l’oscurità ha regnato”.
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iannozzigiuseppe · 2 years ago
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Lorenzo Barbanera - L'Orologio di Minerva. La tirannia del tempo nel lavoro intellettuale - Prefazione di Stefano Nobile - Marietti 1820
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