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Coming soon: Hotel Mumbai
Il Toronto Film Festival di quest’anno ci ha regalato un’interessantissima conferenza stampa sul film Hotel Mumbai, girato in India e Australia tra 2016 e 2017, in uscita al cinema nei primi mesi del 2019.
Il film racconta la tragica vicenda dell’attentato terroristico a Mumbai del novembre 2008, incentrato sull’iconico Taj Mahal Palace Hotel, in cui persero la vita 164 persone e 308 rimasero ferite.
All’incontro in diretta streaming hanno partecipato lo sceneggiatore John Collee, il regista e co-sceneggiatore Anthony Maras e gli attori protagonisti Dev Patel, Armie Hammer, Nazanin Boniadi, Anupam Kher, Tilda Cobham-Hervey e - come ben sapete - il nostro amato Jason Isaacs.
Sono molte le anticipazioni emerse nell’incontro, coinvolgente e denso di contenuti.
Il regista Anthony Maras introduce subito il tema del film: la resilienza. Persone che non avevano nulla in comune, ritrovatesi in una situazione di estremo pericolo, sono riuscite a trovare insieme il modo di sopravvivere. La resilienza è rappresentata anche dallo stesso Hotel: dopo sole tre settimane dall’attacco, incredibilmente, è stato riaperto il ristorante, e dopo ventuno mesi l’intero hotel ha ripreso completamente le sue funzioni.
Lo sceneggiatore John Collee parla di quanto è rimasto colpito, ascoltando le testimonianze dei sopravvissuti dello staff, nel sentirli definire l’hotel la loro casa: alcuni di loro avevano già lavorato lì per venti o trent’anni al momento dell’attentato. Metà delle vittime furono proprio membri dello staff. Molti, malgrado avessero avuto la possibilità di scappare e tornare dai propri cari, non furono capaci di abbandonare colleghi e ospiti al loro destino.
Jason Isaacs nel suo primo intervento afferma che i personaggi da loro rappresentati sono persone completamente diverse per provenienza, ceto, mestiere; alcuni di loro sono manager, persone che gestiscono i più alti livelli del potere, “tra gli individui più egoisti e venali del pianeta”, ma queste loro differenze svaniscono nel momento in cui si realizza la cosa più catastrofica che potessero immaginare. Anzi, si uniscono nel fronteggiare il dramma. La storia che sono andati a raccontare ha qualcosa di universale, parla di una verità di fondo sul comportamento umano.
Il regista spiega che gli attentatori hanno programmato attacchi dinamitardi coordinati in diversi punti della città, facendo credere di essere molti più di quanti non fossero, e deviando l’attenzione dal vero obiettivo. Nessuno è stato in grado di capire cosa stava realmente succedendo. Per questo motivo i soccorsi sono stati così tardivi – l’attacco è andato avanti per quasi quattro giorni – e bisogna considerare anche che al momento la polizia locale non disponeva di una task force specializzata.
Le reazioni del pubblico agli screening in anteprima sono state molto positive e forti, a quanto pare. Jason racconta di aver visto lo screening in un piccolo cinema di Londra, “insieme alle mie figlie di 13 e 16 anni, e a mia suocera che è sulla settantina… e che non gradirà che abbia rivelato la sua età!” e con persone dell’industria dello spettacolo, che “notoriamente sono dei cinici”. Se prima del film controllavano impazientemente il cellulare, poco dopo l’inizio erano già tutti completamente assorbiti, incapaci di trattenere lacrime e singhiozzi. “Ma ne siamo usciti tutti rinvigoriti” come dopo la visione di quello che per lui è film motivante per eccellenza, Dirty Dancing. “La cosa migliore che un film può fare è mettere in connessione le persone, farle dialogare”. Come ha affermato altre volte, Jason ritiene che quando un film stimola il dialogo significa che ha fatto il suo lavoro. L’intervistatore concorda con lui che l’esperienza del vedere un film al cinema insieme a tante persone, anche sconosciuti, muove in noi qualcosa di profondo e atavico. Non è la stessa cosa che fruirne in solitudine.
L’attrice Nazanin Bodiadi dice di aver partecipato a una visione in anteprima seguita da una Q&A con alcuni di loro, molti dei quali (pubblico e attori) erano visibilmente commossi. Lavorare a questo film è stata un’esperienza emotivamente impegnativa per molti di loro.
Uno dei punti più coinvolgenti e drammatici pare essere il momento in cui il personaggio interpretato da Armie Hammer rivela il suo sconvolgimento e la profondità del rapporto con sua moglie dicendole “Non mi guardare”. A stemperare il momento di commozione sul palco arriva veloce la battuta di Isaacs: “Credetemi, una cosa del genere [Armie] non l’ha mai detta in vita sua!”
Il veterano attore indiano Anupam Kher racconta che sua madre, anche se non parla inglese, ha voluto comunque vedere il film. Si è talmente commossa che per la prima volta gli ha fatto un complimento come attore, al suo cinquecentounesimo film! “Chiedetegli quanti film ha fatto da quando abbiamo finito di girare questo” ha detto Jason. “Sedici!” è la risposta.
Anupham risponde poi alla domanda di una giornalista dicendo che in realtà una produzione indiana aveva già fatto un film su questa storia, ma che è davvero orrendo. A volte chi produce cinema e televisione vuole solo lucrare su una tragedia, e l’attore ritiene che sia andata così in quel caso, mentre questo film è non potrebbe essere più diverso. Incentrato sulla vicenda umana, lontano dai toni sensazionalistici, cerca di dare valore a ogni vittima in quanto persona. “Anche Ghandi è stato girato da degli stranieri, e sono entrambi due grandi film!”
Dev Patel era all’estero per lavoro nel 2008, a seguito del successo di The Millionaire. Quando è tornato a Mumbai è stato uno shock per lui vedere la città ancora in fiamme. Dev racconta di come sia stato terribile rendersi conto che questi terroristi erano poco più che ragazzi, giovani come lui, ma armati e pronti a tutto… e nel bel mezzo del suo sentito racconto a Jason suona il cellulare! “Sarà probabilmente tua suocera che ci guarda in streaming” dice l’intervistatore, “Vorrà dirmi di smetterla di fare battute del cavolo!” risponde lui, nell’ilarità generale. Poi, non visto dagli altri sul palco – tranne che dallo sceneggiatore, che se la ride sotto i baffi – lancia il telefono fuori scena con un gesto liberatorio... (ogni scusa è buona per comprarsi il nuovo iPhone, vero, Jason?!)
Dev continua dicendo di aver letto un articolo su una cosa simile successa durante l’attacco delle Twin Towers. Alcune persone hanno dovuto far fronte comune per resistere ai terroristi. “Penso che questo legame umano sia poco rappresentato nel cinema; come diceva Jason, questo film può aiutare le persone a rompere gli stereotipi ed educare il pubblico a una cultura della condivisione.”
Armie Hammer, come fa notare l’intervistatore, ultimamente ha recitato in diversi film molto interessanti e originali che hanno saputo spingersi oltre le barriere. Alla domanda “Cosa ti ha spinto a partecipare a questo film?” lui ha risposto che è stata decisamente “La sceneggiatura, che è la più coinvolgente che abbia mai visto. È incredibile, le più intense due ore e 15 minuti che abbia mai vissuto nella mia vita”. “Vedendo il film ho dovuto mettere in pausa, a un certo punto, e riprendere fiato prima di finire!” È la storia quasi incredibile di persone che sono riuscite a sopravvivere, ma anche i terroristi non sono figure bidimensionali, nel film. Erano persone, anzi ragazzi, che sono stati indottrinati e hanno subito un lavaggio del cervello. Erano motivati, decisi, e il film cerca di farci vedere cosa hanno dovuto passare loro stessi, per arrivare fino alla decisione di compiere questo gesto orribilmente violento. “Questa storia è pregna di umanità in ogni aspetto.”
Lo sceneggiatore John Collee e il regista Anthony Maras intervengono spiegando che hanno avuto accesso alle trascrizioni delle conversazioni tra i terroristi e la polizia, e anche alle trascrizioni e alle confessioni scritte di uno degli attentatori che è sopravvissuto ed è stato incarcerato; tonnellate di documenti da cui è stato possibile ricostruire cosa ha spinto questi ragazzi ad agire in questo modo. Il film cerca di raccontarlo.
Nel film ci sono anche momenti più leggeri, una scelta studiata per evitare che gli spettatori potessero essere troppo provati dalle emozioni negative, ma il regista afferma che si tratta di un elemento realistico: i sopravvissuti che hanno potuto intervistare hanno testimoniato che l’umorismo per loro è stato un mezzo indispensabile per ridurre la tensione psicologica durante le lunghe ore – e giorni – dell’attentato.
Jason racconta poi di come abbiano creato un legame tra loro del cast, dicendo che non capita spesso di non volersi salutare finita la giornata di riprese, anzi voler anche andare a mangiare insieme e passare altro tempo con i colleghi. L’attrice Tilda Cobham-Hervey dice che la passione per questa storia così drammatica li ha accomunati; Anupham Kher aggiunge che a creare il loro legame ha contribuito anche l’aver passato del tempo con i veri sopravvissuti. La loro esperienza li ha toccati. Kher sente di aver avuto non solo una grande opportunità come attore, ma anche di aver creato una nuova famiglia che lo accompagnerà d’ora in avanti.
Anthony Maras racconta che invece l’interprete di uno dei principali attentatori non ha voluto familiarizzare con il resto del cast, ed è rimasto per la maggior tempo in disparte, cercando di rimanere nella parte. Ha stupito anche uno dei produttori americani che, presentatosi senza ottenere da lui altra risposta che un inquietante sguardo fisso, ha chiesto “Ehi, che problema ha questo tizio?”. Una grande performance, secondo il regista. L’attore avrebbe anche preso Jason a pugni e calci. “They kicked the living shit out of me” commenta lui divertito.
Nel suo ultimo intervento Jason fa un’altra riflessione sulla sceneggiatura e sul senso del film. Affermando che normalmente in questi film con ostaggi a un certo punto le vittime riescono a rubare la pistola e sopraffare gli aggressori, sostiene che la storia di questo film “è reale e diversa”. “Non si tratta di un atto di vendetta, o di reagire alla violenza con violenza, ma di persone che volevano soltanto sopravvivere e ci sono riuscite accorgendosi che insieme funzionavano meglio, pensavano meglio, e potevano proteggersi a vicenda. Si sono assunti dei rischi personali per farlo, hanno rischiato per il gruppo”. Si parla di resilienza, o resistenza, ed essa consiste in pratica di piccoli atti di gentilezza e di sostegno reciproco.
“Una delle ragioni per cui volevamo passare del tempo insieme era perché passavamo tutto il giorno a interpretare personaggi terrorizzati”, continua Isaacs. “Non ci credi veramente ma, insomma, qualcosa ti rimane dentro. Si tratta di personaggi i cui atti di coraggio sono di vero coraggio perché sono terrorizzati”. Persino il suo personaggio, che a sentire lui sembrerebbe un tipo tosto, “uno che è abituato a gestire questo genere di cose”. “Il fatto straordinario è che in una situazione come quella hanno continuato a fare del proprio meglio per gli altri, e ad aiutarsi, nonostante fossero quasi fuori di sé dal terrore.”
Che dire? Mi hanno decisamente convinto alla visione. Voi che ne pensate?
A presto con aggiornamenti sull’uscita nelle sale italiane!
Fonte: HOTEL MUMBAI Press Conference | TIFF 2018
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