#I quaderni di Malte Laurids Brigge
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Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquisiscono precocemente), bensì esperienze. Per comporne uno è necessario visitare molte città, conoscere gli animali, comprendere il volo degli uccelli, il gesto con cui i piccoli fiori si schiudono al mattino. Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e commiati previsti anzitempo, a episodi d’infanzia ancora inesplicabili, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando recavamo una gioia a loro indifferente (concreta forse per qualcun altro), a malattie infantili che si manifestavano con bizzarre e grevi mutazioni, a giorni trascorsi in stanze silenziose e raccolte, a mattine in spiaggia, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano insieme alle stelle – e ancora pensare a tutto questo non è abbastanza. Bisogna custodire ricordi di molte notti d’amore, ognuna dissimile dall’altra, di grida di partorienti e di lievi, pallide puerpere sopite che si rimarginano. Ma è necessario essersi trovati anche al fianco di creature agonizzanti, essere rimasti a veglia dei morti in una stanza con la finestra aperta da cui magari provengono rumori intermittenti. E non è ancora sufficiente possedere ricordi. Allorché in gran numero, bisogna saperli obliare e pazientare finché siano loro a farsi nuovamente presenti in noi. Perché i ricordi ancora non sono. Solo quando divengono sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più ravvisabili ai nostri occhi, soltanto allora può accadere che in un contesto eccezionale si levi dal loro centro e fuoriesca la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke, da "I quaderni di Malte Laurids Brigge"
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"Ho un luogo interno
che non conoscevo.
Ora tutto va a finire là.
Non so cosa vi accada".
- Rainer Maria Rilke
I quaderni di Malte Laurids Brigge.
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[ Bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide. ]
Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente), sono esperienze. Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si aprono al mattino. Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell'infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando portavano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e grevi trasformazioni, a giorni in stanze silenziose e raccolte e a mattine sul mare, al mare sopratutto, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano assieme alle stelle - e ancora non è sufficiente poter pensare a tutto questo. Bisogna avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si rimarginano. Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti. E non basta ancora avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke, da I quaderni di Malte Laurids Brigge
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Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente), sono esperienze. Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si schiudono al mattino. Bisogna saper ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell’infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando ci porgevano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e gravi trasformazioni, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare sopratutto, ai mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano assieme alle stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto questo. Bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche accanto ai moribondi bisogna esser stati, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori a folate. E ancora avere ricordi non basta. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza d’attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, solo allora può darsi che in una rarissima ora si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke - "I quaderni di Malte Laurids Brigge"
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Doveva essere una di quelle ore mattutine nuove e riposanti come ce ne sono in luglio, in cui si manifesta dappertutto come una gioia irriflessa. Da milioni di minimi, insopprimibili movimenti, si forma, a mosaico, l'esistenza più convinta; le cose vibrano sciolte nell'aria, compenetrate le una alle altre, e la loro freschezza schiarisce l'ombra e dà al sole una luce lieve, spirituale. Allora nel giardino non ci sono più elementi essenziali; tutto è dappertutto, e bisognerebbe essere in tutto, per non perdere nulla.
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, trad. it. di Giorgio Zampa, Adelphi, 1992
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Verrà il giorno in cui la mia mano sarà lontana da me, e quando le ordinerò di scrivere, scriverà parole che non volevo.
Rainer Maria Rilke, da I quaderni di Malte Laurids Brigge
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“Ma i versi, ahimè, significano così poco, se scritti presto. Si dovrebbe aspettare a farne, raccogliere saggezza e dolcezza per una vita intera, una vita lunga, se possibile, per riuscire forse, alla fine, a scrivere dieci righe che siano buone. Perché i versi non sono, come si crede, sentimenti (che si hanno abbastanza presto) – sono esperienze. Per un solo verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna sentire come volano gli uccelli, e sapere i movimenti con cui i piccoli fiori s’aprono il mattino. Bisogna poter ripensare a cammini in contrade sconosciute, a incontri inattesi, e ad addii che si vedevano da tanto in arrivo, a giorni dell’infanzia ancora inesplicati, ai genitori che dovevamo amareggiare quando ci portavano una gioia che non capivamo (era una gioia per un altro…), a malattie infantili, che cominciavano in modo così singolare, con mutamenti tanto gravi e profondi, a giorni in stanze quiete e raccolte, e a mattini sul mare, al mare, ai mari, a notti di viaggio che frusciavano via alte e volavano con tutte le stelle – e non è ancora abbastanza, bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di donne con le doglie e di bianche, lievi puerpere addormentate, che si chiudono. Ma occorre anche essere stati vicino a moribondi, essere stati seduti accanto a dei morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori che entrano a folate. E non basta neppure avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono molti, e attendere, bisogna avere la grande pazienza di attendere che tornino. Perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che la prima parola di un verso, in un’ora rarissima, s’alzi ed esca dal loro centro.”
Rainer Maria Rilke - I quaderni di Malte Laurids Brigge
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I Quaderni di Malte Laurids Brigge
Poiché i versi non sono, come crede la gente,sentimenti (che si hanno già presto),sono esperienze.Per un solo verso si devono vedere molte città,uomini e cose, si devono conoscere gli animali,si deve sentire come gli uccelli volano,e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino.Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute,a incontri inaspettatie a separazioni che si videro…
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Sento (...) che non è servito a nulla invecchiare
Rainer Maria Rilke, tratto da I Quaderni di Malte Laurids Brigge
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Ma arrivi tu e tieni il mostro dietro di te e gli stai tutta intera davanti; non come una cortina che possa essere sollevata da una parte o dall'altra. No, come se l'avessi oltrepassata al grido di chi aveva bisogno di te. Come se tu avessi sopravanzato di molto quello che può accadere, e sulle spalle portassi solo il tuo slancio, il tuo eterno cammino, il volo del tuo amore.
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge (a cura di Giorgio Zampa, Adelphi)
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Siamo circondati da una moltitudine di volti dissimili, assai più numerosa delle persone che li indossano. C’è chi usa lo stesso per anni e questo, usurandosi, col passare del tempo si sporca, si ripiega nelle rughe, si dilata come un guanto troppo usato in viaggio.
Rainer Maria Rilke, da "I quaderni di Malte Laurids Brigge"
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Rainer Maria Rilke
#rainer maria rilke#i quaderni di malte laurids brigge#die aufzeichnungen des malte laurids brigge#vita d'artista
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[ Bisognerebbe saper attendere e raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide. ]
Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente), sono esperienze. Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si schiudono al mattino. Bisogna saper ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell’infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando ci porgevano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e gravi trasformazioni, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare sopratutto, ai mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano assieme alle stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto questo. Bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche accanto ai moribondi bisogna esser stati, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori a folate. E ancora avere ricordi non basta. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza d’attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, solo allora può darsi che in una rarissima ora si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke, da I quaderni di Malte Laurids Brigge - A cura di Giorgio Zampa
ph David Hum, Man with Teddy Bear at Bus Stop, Wales, 1973
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I versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze.
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge
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Forse. Forse è cosa nuova che noi si sopravviva a questo: all'anno e all'amore.
Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, trad. it. di Giorgio Zampa, Adelphi, 1992, p. 174
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Ma i versi, ahimè, significano così poco se scritti presto. Si dovrebbe aspettare a farne, raccogliere saggezza e dolcezza per una vita intera, una vita lunga, se possibile, per riuscire forse, alla fine, a scrivere dieci righe che sono buone. Perché i versi non sono, come si crede, sentimenti (che si hanno abbastanza presto) - sono esperienze. Per un solo verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna sentire come volano gli uccelli, e sapere i movimenti con cui i piccoli fiori s’aprono al mattino. Bisogna poter ripensare a cammini in contrade sconosciute, a incontri inattesi, e ad addii che si vedevano da tanto in arrivo, a giorni dell’infanzia ancora inesplicati, ai genitori che dovevamo amareggiare quando ci portavano una gioia che non capivamo (era una gioia per un altro...), a malattie infantili, che cominciano in modo così singolare, con mutamenti tanto gravi e profondi, a giorni in stanze quiete e raccolte, e a mattini sul mare, ai mari, a notti di viaggio che frusciavano via alte e volavano con tutte le stelle - e non è ancora abbastanza, bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di donne con le doglie e di bianche, lievi puerpere addormentate, che si chiudono. Ma occorre anche essere stati vicino ai moribondi, essere stati seduti accanto a dei morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori che entrano a folate. E non basta neppure avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono molti, e attendere, bisogna avere la grande pazienza di attendere che tornino. Perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che la prima parola di un verso, in un’ora rarissima, s’alzi ed esca dal loro centro.
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke.
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