#Fondazione Pajetta
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bonvesin-and-co · 7 years ago
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Galleria Rubin alla prima edizione di GrandArt - Modern & Contemporary Fine Art Fair Stand 15, 19 e 79
10 - 12 novembre 2017 The Mall, piazza Lina Bo Bardi 1, Milano zona Porta Nuova (ex Varesine) www.grandart.it
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paoloxl · 6 years ago
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In questa occasione riguardante il doveroso ricordo dei 98 anni trascorsi dalla fondazione del Partito Comunista si è pensato di non ricorrere ad una delle consuete analisi storiche ma di ripercorrere, principalmente attraverso i numeri, le tappe fondamentali dell’impegno e del sacrificio dei comunisti nella costruzione della democrazia repubblicana arrestandoci al punto di svolta nella sua affermazione (ancora incompleta e successivamente in forte arretramento come stiamo costatando nell’attualità) fissato con i moti del Luglio’60. 
Dunque andando per ordine: 
1) TRIBUNALE SPECIALE FASCISTA 
Dalla sua istituzione, primo febbraio 1927, al suo scioglimento, con la caduta del regime il 25 luglio 43, il tribunale speciale per la difesa dello stato processò 5.619 imputati - condannandone 4.596. Gli anni totali di prigione inflitti furono 27. 735, 42 le condanne a morte, di cui 31 eseguite, 3 gli ergastoli. 4.497 processati erano uomini, 122 le donne, 697 i minorenni. Tra le categorie professionali, 3.898 imputati erano operai e artigiani, 546 i contadini, 221 liberi professionisti. 
Furono 4596 i condannati del Tribunale speciale, molti dai nomi oscuri, operai, artigiani, originari di diverse regioni del nostro Paese che con il loro coraggioso comportamento davanti agli arroganti militari che usurpavano il titolo di giudici hanno riscattato il titolo d'Italia, allora compromesso dalla sua classe dirigente, dall'indifferenza dei più. 
Dei 4596 condannati circa 3.800 erano iscritti al Partito Comunista, a partire dalla gran parte del gruppo dirigente con il “processone” del ’28 furono condannati a ventidue anni e nove mesi Umberto Terracini; a vent'anni e quattro mesi Antonio Gramsci e Mauro Scoccimarro; e nello stesso anno anche Giancarlo Pajetta, subì, ad appena diciassette anni, la sua prima condanna a due anni di carcere, (altra ben più dura a ventun'anni seguì poi); e nell'anno seguente tocca al socialista Sandro Pertini essere condannato per attività sovversiva a dieci anni e nove mesi; e nel 1930, l'anno delle quattro condanne a morte mediante fucilazione degli irredentisti triestini e delle due condanne all'impiccagione di resistenti libici, è la volta di Camilla Ravera, condannata a quindici anni e sei mesi per costituzione del partito comunista, di Manlio Rossi Doria, di Emilio Sereni, condannati a quindici anni per lo stesso delitto. 
2) RESISTENZA 
I comunisti diedero vita alle Brigate Garibaldi che pur formare in maniera pluralista erano composte in gran parte dai partigiani comunisti e esponenti del PCI formavano il comando generale. 
Associati alle Brigate Garibaldi erano i Gruppi di azione patriottica (GAP), che nelle città operavano azioni di sabotaggio e attentati contro gli occupanti nazifascisti. In totale esse rappresentavano circa il 50% delle forze della Resistenza partigiana. Al momento dell'insurrezione finale dell'aprile 1945, i garibaldini attivamente combattenti erano circa 51.000 divisi in 23 "divisioni", su un totale effettivo di circa 100.000 partigiani. In dettaglio il comando generale delle Brigate Garibaldi disponeva, alla data del 15 aprile 1945, di nove divisioni in Piemonte (15.000 donne e uomini); tre divisioni in Lombardia (4.000 donne e uomini); quattro divisioni in Veneto (10.000 donne e uomini); tre divisioni in Emilia (12.000 donne e uomini); quattro divisioni (10.000 donne e uomini) in Liguria. 
Nell'ambito delle forze militari della resistenza, le Brigate Garibaldi costituirono il gruppo più numeroso e organizzato con 575 formazioni organiche, tra squadre, gruppi, battaglioni, brigate e divisioni; parteciparono alla maggior parte dei combattimenti e subirono le perdite più pesanti, oltre 42.000 morti in combattimento o per rappresaglia . 
Da ricordare ancora come le grandi città nelle quali era presente la classe operaia legata al Partito Comunista, si liberarono da sole ben prima dell’arrivo delle truppe alleate e questo fu il fattore decisivo che consentì al nostro Paese di riassumere immediatamente la propria dignità di autogoverno: Napoli, Genova, Milano, Torino. 
3) OPERAI DEPORTATI DOPO LO SCIOPERO DEL 1° MARZO 1944 
Dopo lo sciopero delle fabbriche del Nord svoltosi il 1°marzo del 1944 si calcola che circa 1.200 operai furono deportati nei campi di lavoro e in quello di sterminio di Mauthausen. 
Il successivo 16 Giugno 1944 in adesione allo stesso ordine emanato dal comando nazista dopo lo sciopero del 1° marzo, 1.488 operai genovesi furono deportati dopo essere stati rastrellati all’ingresso delle fabbriche. 
Si ritiene di non esagerare considerando la quasi totalità dei deportati come appartenente al partito comunista. 
4) LOTTE OPERAIE E CONTADINE NEL PRIMO DOPOGUERRA 
Mentre le sinistre erano impegnate nella elaborazione della Costituzione Repubblicana le lotte operaie e contadine rivolte a reclamare migliori condizioni di vita in situazioni veramente tragiche da punto di vista dei diritti fondamentali e della stessa sopravvivenza furono compiute alcune stragi le cui vittime furono in gran parte donne e uomini militanti nel Partito Comunista. 
Portella della Ginestra: 1 maggio 1947. fu un eccidio commesso in località Portella della Ginestra, in provincia di Palermo, il 1º maggio 1947 da parte della banda criminale di Salvatore Giuliano che sparò contro la folla riunita per celebrare la festa del lavoro provocando undici morti e numerosi feriti. I motivi per cui venne compiuto e, nei giorni successivi, vennero assaltate sedi dei partiti di sinistra e delle camere del lavoro della zona risiedono, oltre alla dichiarata avversione del bandito nei confronti dei comunisti, anche nella volontà dei poteri mafiosi, dell'autonomismo siciliano e delle forze reazionarie di mantenere i vecchi equilibri nel nuovo quadro politico e istituzionale nato dopo la seconda guerra mondiale e, nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, sono certe le responsabilità degli ambienti politici siciliani interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra e aveva votato per il Blocco del Popolo nelle elezioni del 1947. 
Melissa: La strage di Melissa o eccidio di Fragalà fu un episodio del 29 ottobre 1949 verificatosi a Melissa nel quale persero la vita Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina Mauro. Nell'ottobre del 1949 i contadini calabresi marciarono sui latifondi per chiedere con forza il rispetto dei provvedimenti emanati nel dopoguerra dal ministro dell'Agricoltura Fausto Gullo e la concessione di parte delle terre lasciate incolte dalla maggioranza dei proprietari terrieri. Interi paesi parteciparono a questa mobilitazione che vide circa 14 mila contadini dei comuni orientali delle province di Cosenza e Catanzaro scendere in pianura. Chi a piedi, chi a cavallo, con donne e bambini e gli attrezzi da lavoro, quando giunsero sui latifondi segnarono i confini della terra e la divisero, iniziando i lavori di preparazione della semina. Irritati per questa ondata di occupazioni alcuni parlamentari calabresi della Democrazia Cristiana si recarono a Roma per chiedere un intervento della polizia al Ministro dell'Interno Mario Scelba. I reparti della Celere si recarono quindi in Calabria e uno di loro si stabilì a Melissa (oggi provincia di Crotone) presso la proprietà del possidente del luogo, barone Berlingeri, del quale i contadini avevano occupato il fondo detto Fragalà. Questo fondo era stato assegnato dalla legislazione napoleonica del 1811 per metà al Comune, ma la famiglia Berlingeri, nel tempo, lo aveva occupato abusivamente per intero. La mattina del 30 ottobre 1949 la polizia entrò nella tenuta e cercò di scacciare i contadini occupanti con la forza. 
Montescaglioso: 21 marzo 1950, data impressa nella memoria storica di tutto il Vastese: Nicola Mattia e Cosmo Mangiocco furono uccisi dai colpi di un appuntato dei carabinieri davanti al municipio. Tornavano, insieme a tanti concittadini, dallo 'sciopero alla rovescia': al grido di 'pane e lavoro' costruivano la strada di collegamento con la Statale Trignina sopperendo ai ritardi del governo dell'epoca. Un evento drammatico che ebbe risonanza in tutta Italia e che diede vita a imponenti manifestazioni di protesta da Nord a Sud. 
Modena: 9 gennaio 1950. Verso le dieci del mattino del 9 gennaio una decina di operai giunse ai cancelli delle Fonderie Riunite, le quali erano circondate di carabinieri armati. All'improvviso un carabiniere sparò un colpo di pistola in pieno petto al trentenne Angelo Appiani, che morì sul colpo. Subito dopo, dal tetto della fabbrica i carabinieri aprirono il fuoco con le mitragliatrici verso via Ciro Menotti contro un altro gruppo di lavoratori, che si trovavano al di là del passaggio a livello sbarrato in attesa dell'arrivo di un treno, uccidendo Arturo Chiappelli e Arturo Malagoli e ferendo molte altre persone, alcune in maniera molto grave. 
Dopo circa trenta minuti, in via Santa Caterina l'operaio Roberto Rovatti, che portava al collo una sciarpa rossa, venne circondato da una squadra di carabinieri, buttato dentro ad un fossato e linciato a morte con i calci dei fucili. 
Infine, giunse in via Ciro Menotti un blindato T17 che iniziò a sparare sulla folla, uccidendo Ennio Garagnani. 
Appena appresa la notizia della strage, i sindacalisti della Cgil iniziarono ad avvisare, con gli altoparlanti montati su un'automobile, i manifestanti di spostarsi verso piazza Roma. Tuttavia, verso mezzogiorno, un carabiniere uccise con il fucile Renzo Bersani, il quale stava attraversando a piedi l'incrocio posto alla fine di via Menotti, posto a oltre 100 metri dalla fabbrica. 
Il bilancio della giornata fu di 6 morti tutti iscritti al Partito Comunista, 200 feriti e 34 arrestati con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale, radunata sediziosa e attentato alle libere istituzioni. 
Il bilancio di quegli anni, tra il 1947 e il 1950, segnati dalle lotte operaie e contadine e dalla feroce repressione poliziesca è il seguente: furono condannati 15.249 comunisti per un totale di 7.598 anni di carcere. 
Si è ormai persa la memoria dei lutti, dei sacrifici, dell’impegno posto dalla classe operaia, dai contadini e dalle loro famiglie che vivevano in condizioni oggi inimmaginabili nel periodo della riconversione dell’industria bellica, dell’attuazione della debole riforma agraria, della ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra. 
Lutti, sacrifici, privazioni affrontati sempre con grande dignità “di classe” con il PCI che seppe rappresentare sul piano politico, dar loro voce e presenza proprio quei lutti, quei sacrifici, quelle indescrivibili privazioni materiali in una Italia povera,senza strade e ferrovie, con le case bombardate e distrutte. 
5) LUGLIO ‘60 
La strage di Reggio Emilia è un fatto di sangue avvenuto il 7 luglio 1960 nel corso di una manifestazione sindacale durante la quale cinque operai reggiani, i cosiddetti morti di Reggio Emilia, Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI, furono uccisi dalle forze dell'ordine. 
La strage fu l'apice di un periodo di alta tensione in tutta l'Italia, in cui avvennero scontri con la polizia. I fatti scatenanti furono la formazione del governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno del MSI, e l'avallo della scelta di Genova (città "partigiana", già medaglia d'oro della Resistenza) come sede del congresso del partito missino. Le reazioni d'indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il paese provocò una grande mobilitazione popolare. 
L'allora Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco in "situazioni di emergenza" e alla fine di quelle settimane drammatiche si contarono undici morti e centinaia di feriti. Queste drammatiche conseguenze avrebbero costretto alle dimissioni il governo Tambroni aprendo la strada al governo Fanfani “delle convergenze parallele” e successivamente al centro – sinistra. Al momento del varo del primo governo organico di centro – sinistra Nenni titolò sull’Avanti “ Da oggi l’Italia è più libera”. E’ il caso di ricordare su quanti lutti e sacrifici della classe operaia, dei contadini, delle donne e degli uomini che trassero fuori l’Italia dalla macerie del dopoguerra fosse costruito quel “più libera”. 
Ci fermiamo a questo punto pensando di aver semplicemente onorato la memoria del Partito Comunista e il contributo di sacrifici e di sangue fornito dai suoi militanti per la Repubblica e la Costituzione
Franco Astengo
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