#Ermanno Inguscio
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La scomparsa di don Antonio Minerba ad Alezio
di Ermanno Inguscio
  Grande sconcerto in tre Comunità salentine: Alezio, Casarano ed Aradeo per l’improvvisa scomparsa del cinquantatreenne don Antonio Minerba. Egli era stato parroco ad Alezio per nove anni nella comunità dell’Addolorata. A Casarano aveva diretto la parrocchia del Sacro Cuore per un decennio, dal 2002 al 2012. Aradeo gli aveva dato i natali nel 1967, dove ancora vivono i suoi genitori, che in quel giorno nefasto dell’arresto cardiaco, lo aspettavano per il pranzo.
Cordoglio immenso è stato espresso da tutte le organizzazioni cattoliche locali, specie quelle giovanili, ma anche delle END e dei Cursillos, e dai sindaci di Alezio Barone, di Casarano De Nuzzo , di Aradeo Arcuti. Tempo tiranno. Ho fatto appena in tempo ad apprezzarne le doti umane e di coinvolgimento nella nona edizione delle Notti di San Rocco (16-18 ottobre 2020), dove mi aveva voluto come relatore, che un sms di Marcello Gaballo, ricevuto davanti al Castello angioino di Gallipoli, me ne ha annunciato la morte, avvenuta il 22 ottobre 2020.
Dopo i deliziosi fuochi pirotecnici di san Rocco di quest’anno in compagnia di don Antonio, ci eravamo lasciati con l’impegno di presenziare a qualche sua celebrazione liturgica presso il Santuario della Madonna della Lizza. Ma su quel sagrato, parrocchiani, amici e parenti, qualche giorno fa, sono state invece celebrate soltanto le sue esequie, alla presenza di mons. Filograna, presule della Diocesi di Nardò-Gallipoli.
In un suo biglietto autografo di ringraziamento, a conclusione della serata rocchina San Rocco e la devozione nel Salento, il 16 ottobre scorso, che conservo gelosamente, così scriveva don Antonio: “Un grande grazie nell’aver condiviso non solo quello che appartiene alla tua cultura, ma ne siamo convinti, al tuo cuore e alla tua vita: l’amore per San Rocco… Grazie di cuore per la tua presenza, per le tue parole e per aver scosso dentro di noi il desiderio di una vera devozione”.
La sua scomparsa, per tutti e per me in particolare, è stata un fulmine a ciel sereno ed ha risvegliato quell’antico dolore di quando, studente liceale, mi è occorso di perdere due altri maestri di vita, preti salesiani di don Bosco, il trentaseienne don P. Pugliese, professore di greco, calabrese di Tropea, e il quarantacinquenne don A. Ruocco, professore di religione, lucano di Rionero in Vulture. Con quelli, almeno, avevo trascorso molto più tempo, avevo condiviso studi, sport, attività teatrali e del tempo libero, ma il tempo datomi dal destino per apprezzare l’umanità e le profonde doti pastorali di don Antonio Minerba, è stato veramente dono di un avaro.
A noi tutti non resta che tenerne sempre impressa la figura nel cuore, con un quotidiano ricordo nella preghiera e con un amicale abbraccio ai suoi due genitori che, prima di noi, lo hanno amato e purtroppo, prematuramente perso.
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Il Salento delle 28 albe di Nespoli
di Ermanno Inguscio
                             Nell’attività spaziale dell’astronauta Paolo Nespoli, cultore esperto di fotografia, compaiono anche spettacolari foto della penisola salentina, di Taranto e del Gargano, che di recente sono state da lui postate sui principali social. Da cinque mesi, e fino al 14 dicembre, egli volteggia in orbita attorno alla Terra, alla velocità di 27.500 Km orari, per la missione VITA con il collega russo Sergey Ryazanisky e l’americano Randy Bresnick. Ventotto albe sul Pianeta, in un solo giorno degli umani, per i tre ospiti della missione spaziale internazionale (ISS). La giornata dell’astronauta milanese, che ben conosce il Salento, oltre all’impegno scientifico della missione, è fatta di diverse emozioni ad ogni alba e di foto mozzafiato scattate dalla cupola della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Dall’alto i problemi sembrano più piccoli, sembra dire l’esperto astronauta anche con il titolo del suo libro. Egli è stato scelto per espletare duecento esperimenti programmati da USA e UE ed altri undici dell’ESA, sempre in condizioni di microgravità. Egli, infatti, astronauta un po’ per merito della scrittrice italoamericana Oriana Fallaci, che in Libano gli aveva suggerito di partecipare alle selezioni aerospaziali, oggi sessantenne, servirà all’ESA per capire gli effetti sui muscoli in assenza di gravità, sugli occhi e testare un giubbotto riempito d’acqua utile per la discesa dell’uomo su Marte. Partito con i colleghi dalla base russa di Baikonur, dopo quaranta giorni di dura permanenza nel deserto kazako, da mesi vive nei tre moduli ASI-NASA, chiamati Leonardo, Raffaello e Donatello, per compiere tutto il semestrale programma di esperimenti, dopo il primo del 2007 (Missione Esperia, una settimana) e quello del 2010 (Missione Magistra, come ingegnere di volo per 159 giorni nello spazio). Importanti con lui nello spazio gli esperimenti di medicina, chimica e fisiologia. Saranno studiati gli effetti antiossidanti nanotecnologici per contrastare i danni dello stress ossidativo in condizioni di prolungata microgravità; sarà approfondito lo studio dei marcatori di stress e come contrastare la perdita di massa ossea nel corpo umano; un grande aiuto vi sarà nella ricerca sulle patologie di tipo tumorale e nervoso e nelle malattie autoimmuni.
con Paolo Nespoli
  Ma l’astronauta italiano, alla sua terza missione spaziale, conosce bene la nostra terra per esserci stato più volte come nel 2008, quando chi scrive, a Maglie e a Poggiardo, ne ha apprezzato le doti di scienza ed umanità insieme a salentini come l’ingegnere aerospaziale Federica Inguscio, oggi responsabile, a Maranello, del settore materiali compositi e fibre di carbonio nella Formula Uno del Cavallino Ferrari. A lei, all’epoca studentessa presso il Politecnico di Milano, Nespoli, nell’incipit del contatto, rimarcò :”Anche tu studi lo spazio e sei tra quei pazzi che, come me ami conoscerne le leggi e violarne i segreti a vantaggio dell’umanità?” Ancora oggi, a qualche passaggio (specie notturno) della navicella sul Salento addormentato tra lo Jonio e l’Adriatico, Nespoli continua a concentrarsi sul suo prezioso lavoro, twittando ogni tanto con i suoi tantissimi amici. E Federica Inguscio, dopo la recente vittoria della Ferrari di Vettel a Interlagos nel Gran Premio di F1 in Brasile, continua a pensare alla bontà del consiglio dato a Nespoli dalla scrittrice Oriana Fallaci a concepire l’idea di fare l’astronauta, dopo esserle stato “angelo”, ma anche personaggio in Insciallah, per i servizi giornalistici dell’Europeo negli insidiosi sobborghi di Beiruth. Nespoli, invece, ad ognuna delle ventotto albe ammirate dalla “cupola” dell’ISS, rivà col pensiero alla Fallaci, sua seconda madre “aerospaziale”.
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Libri| Ritorno al Sud. Il Basso Salento di una volta
di Ermanno Inguscio
Nel racconto “Ritorno al Sud”, il salentino Vincenzo Borlizzi dimentica volutamente le insidie dei marosi del Canale della Manica, nella cui area oggi si trova per lavoro, per avventurarsi in un futuro immaginario dove vede impotente un Salento dilaniato dai venti di scirocco nel Canale d’Otranto e dalle vicende partorite nella sua fantasia.
Il sottotitolo “Il Basso Salento di una volta” scopre senza mezzi termini il suo forte anelito a fermare nella memoria personale le plurimillenarie vicissitudini di un lembo di terra, al centro del Mediterraneo, sempre pronta ad accogliere e coniugare civiltà e popoli diversi. Gli è stato facile così, nel cimentarsi in questa prima prova di scrittura, creare un racconto dove la sua terra natale, il Salento, sembra relegata quasi agli albori della comparsa dell’uomo sulla terra, autentico contesto catastrofico, senza comunicazione, senza pace, senza servizi, senza alcun ordine imposto o creato da demiurgo alcuno.
E i personaggi compaiono, qualche vecchio nei campi, ma anche tanti giovani, pronti a giocarsi tutto pur di cambiare le cose, così come Borlizzi li ha tante volte visti lui, nella sua infanzia, tra Novaglie, il Canale del Ciolo , le marine di Tricase e Santa Maria di Leuca, intenti a pescare o a sistemare i muretti a secco ai piedi delle “pajare”, oasi per secoli di un ambiente bucolico, che avrebbero fatto fremere persino il grande Virgilio nel suo ultimo esilio del brindisino.
Scatena così l’autore la sua fantasia nell’affastellare battaglie, soprusi, riscatti e bande di pirati, ma sempre con l’intima convinzione che ciò che egli narra, nelle centosettanta pagine del volume, edito da Congedo, possano improvvisamente dissolversi tra le fioche luci dell’alba, dopo l’incubo di un brutto sogno svanito e ritrovarsi a pensare, da salentino costretto a mirare le limacciose rive della Senna, ricordando la luminosa terra del Salento, in preda alla vita, alle splendide estati, ai prorompenti campo di grano e ai promettenti vigneti del nettare degli dei. Borlizzi, nelle pagine di questa sua prima fatica, adora il suo Salento e ne conferma la benedizione nella storia, pur tra vicende dove non sono mancate lacrime e sangue, immaginando che il dono dell’olivo, fatto dall’antica Dea Minerva, piantando in terra la sua spada, sia un esempio delle fortune che questa terra., protesa tra lo Jonio e l’Adriatico, possa dispensare alla comunità internazionale pace e progresso.
Del resto, per un salentino come Borlizzi, con pubblicazioni in ambito europeo, e la sua apprezzata opera di studioso in ambito cinematografico, un’opera prima, come “Ritorno al Sud”, volume da leggere tutto d’un fiato, può essere traccia di collegamento tra letteratura e cinema, che in modo biunivoco si autoalimentano, spesso con frutti inaspettati. E’ quello che i suoi lettori si attendono.
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Per i settanta della Ferrari
  di Ermanno Inguscio
Sono settanta gli anni della Ferrari SpA, da quando quel sognatore di Enzo Ferrari, costruttore automobilistico con la passione della velocità e della competizione sportiva, mise su a Maranello, in via dell’Abetone, nel marzo del 1947, il primo nucleo di officina, dentro cui tenere a battesimo i suoi bolidi, oggi obiettivo dell’immaginario collettivo di mezzo pianeta.
Sono in programma, per l’importante ricorrenza, meetings, aste, mostre, convegni per collezionisti e, non ultimo , sabato 23 settembre 2017, il Family Day a Maranello. Ventimila visitatori, accorsi qui su invito nominativo, si aggireranno negli ambienti-salotto della mitica Ferrari. A chi scrive il privilegio di prendervi parte per la terza volta. L’occasione è soprattutto un omaggio ad una figlia, ingegnere aeronautico del Politecnico di Milano, che da qualche anno è approdata alla corte del mito della velocità, la Ferrari. Qualche giorno fa, provenienti dai cinque Continenti, si sono dati appuntamento sulla pista di Fiorano, i più accaniti collezionisti al mondo, per acquistare all’asta una ventina di esemplari “Ferrari”, in una giornata dedicata a Michel Shumacher e una donazione di venti milioni di euro della Ferrari a favore di “Save the children”. L’iniziativa benefica ha invece fruttato bel 65 milioni di euro.
Può sembrare ai disinformati che l’azienda di Maranello sia improvvisamente divenuta una succursale del conio di Stato. In verità è una struttura complessa, dove operai, ingegneri, manager e piloti si misurano col lavoro per regalare ai tifosi l’ebbrezza della vittoria sportiva e il fascino di un brand “Made in Italy”. Da qualche anno campeggia nella mia libreria qualche copia “The official Ferrari Magazine”, elegante pubblicazione di circa 250 pagine, stampate rigorosamente in lingua inglese, felice intuizione di Antonio Ghini, che la fece nascere nel 1993.
Dono puntuale della figlia minore, ingegnere aeronautico- donna alla “corte del Cavallino”, salentina doc, che, come tanti altri tecnici salentini, diffondono nel mondo, da Maranello, l’unicità del “made in Italy”.
Ferrari SpA, quest’anno, la Casa automobilistica di Maranello, compie i primi suoi settanta anni di vita. Ferrari è il marchio più conosciuto al mondo, prima di Google e della stessa Cocacola. Le “Rosse” del Cavallino sono il sogno di piloti, di collezionisti, di miliardari e, naturalmente, anche di chi sa,ed é la maggioranza, di non potersela mai permettere. La dimensione della passione e della sfida la vivono un po’ tutti a Maranello: è l’eredità inconfondibile lasciata dal suo inventore nei primi mesi del 1947, un ingegnere-pilota tramite cui tecnologia, velocità e lavoro di squadra continuano ad alimentare i sogni degli sportivi di tutto il mondo.
Ogni ingegnere alla corte della Azienda Ferrari SpA fa del suo meglio, con la creatività degli ingegneri, con la certosinità di ogni operaio nella catena di montaggio, per creare prodotti di ruggente potenza e d’invidiabile bellezza. Spesso, quando di domenica sera, i bolidi Ferrari vincono i Gran Premi in qualche parte del Pianeta, Maranello assapora il brivido della vittoria issando in città una bandiera gialla, accanto a quelle fatte innalzare dai Villeneuve, Lauda, Schumacher e oggi Sebastian Vettel. E’ stato chiesto al pilota ferrarista, in occasione della giornata dedicata di recente a Maranello al grande Schumi, una delle tante manifestazioni per il Settantennio Ferrari, in che cosa consista “la diversità” dell’essere, oggi, la punta di diamante della scuderia Ferrari. Egli ha così affermato: “
Ho letto in questi giorni una frase di Enzo Ferrari. Non si può descrivere una passione, la si può solo vivere. Ferrari rappresenta una passione infinita, che spinge milioni di persone a tifare per te. Senti un Paese (L’Italia) che ti abbraccia. La magìa esiste, perché la Ferrari è una leggenda vivente che continua a far innamorare”. Passione e leggenda, come rimarcato dal pilota Sebastian Vettel, create settant’anni fa a Maranello, nel marzo del 1947, da Enzo Ferrari, il quale ha creato in tutti il mito, nell’immaginario collettivo, di chi, fortunato, riesce a custodire in garage un bolide Ferrari e di chi, non possedendolo, immagina in sogno di averne cento.
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Libri| Per Claudio e Mario Micolano
Maglie, il Municipio
di Paolo Vincenti
“Claudio e Mario Micolano. Poesie e saggi”, è una piccola, preziosa pubblicazione, omaggio a due studiosi, entrambi scomparsi, i quali hanno segnato il proprio passaggio nella città di Maglie, che riconoscente li ricorda in questo volumetto, per le Edizioni Erreci (Maglie, 2018).
I Micolano, uniti da vincolo parentale oltreché da interessi comuni, hanno contribuito in grande misura alla crescita culturale di Maglie degli ultimi quarant’anni.
Claudio Micolano, professore di latino e greco presso il prestigioso Liceo Capece di Maglie, fu, insieme a Emilio Panarese e Nicola De Donno, fra i fondatori della locale sezione della Società di Storia Patria, che editava la rivista “Contributi” ed edita ancora “Note di Storia e Cultura Salentina”, sulle cui pagine Micolano è stato lungamente presente con saggi brevi, articoli di carattere storico e di critica letteraria, recensioni, racconti e poesie. Fu fra i fondatori della rivista, insieme a Nicola De Donno, Emilio Panarese e Vittorio Zacchino. Fra i suoi numerosi scritti, sono da menzionare il poderoso saggio critico su Oreste Macrì e quelli sul poeta e musicista Francesco Negro e sul poeta Salvatore Toma il quale era stato suo allievo al Liceo Capece e spesso si rivolgeva al professore per chiedere consigli e pareri. Del Comitato di redazione di “Contributi” (rivista trimestrale che uscì dal 1982 al 1988), egli faceva parte, insieme a Nicola De Donno e Latino Puzzovio. Così anche del Comitato di redazione di “Note di Storia e Cultura Salentina”, (annuario nato nel 1967 e giunto nel 2017 al suo XXVII numero), insieme a Fernando Cezzi, Mario Andreano, Lucio Causo, Emilio Panarese, Giacomo Filippo Cerfeda, Ermanno Inguscio ed altri che si sono avvicendati negli anni.  Fu anche fra gli animatori della rivista “Sallentum – quadrimestrale di cultura e civiltà salentina”, che venne pubblicata dal 1978 al 1989, dall’Ente Provinciale per il Turismo di Lecce.
Difficilmente, una città piccola come Maglie può annoverare nelle file di una stessa generazione personaggi della grandezza impressionante di De Donno, Panarese e Micolano, cui deve aggiungersi, per completare l’aurea schiera, Oreste Macrì, che li precedeva di qualche anno  (il quale però visse e operò a Firenze). Micolano pubblicò contributi anche sui  “Quaderni del Liceo Classico Capece” (una delle riviste scolastiche italiane più longeve) e sul quindicinale “Tempo d’oggi”, che uscì dal 1974 al 1980.  Fu anche narratore e poeta e riunì volentieri in volume gli scritti pubblicati nelle miscellanee. Il libro col quale lo si commemora è stato patrocinato dalla Città di Maglie, dalla Biblioteca Comunale Piccinno e dalla Fondazione Capece. Nel volumetto, di agile consultazione, dopo le Prefazioni di Ernesto Toma e Deborah Fusetti, rispettivamente Sindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Maglie, di Medica Assunta Orlando, Direttore de L’Alca e della Biblioteca Comunale, e di Rossano Rizzo, Presidente della Fondazione Capece, si trova un bellissimo e approfondito ricordo di Claudio Micolano da parte di Salvatore Coppola.
Quest’ultimo, storico molto noto e dalla vastissima produzione, è stato a lungo Presidente della Società di Storia Patria sezione di Maglie, prima di passare il testimone a Dario Massimiliano Vincenti. Con Coppola Presidente, Micolano era nel pieno dell’attività e fra i due si era creata un’amicizia personale cementata dagli anni di sodalizio culturale.
Nel 1991, Micolano pubblicò “Uomini e formiche”, un libro di racconti, con Prefazione di Gino Pisanò. Nel 1997, pubblicò la raccolta di poesie “Crepuscolo”, recensita anche da Nicola De Donno e Donato Valli. Nel 1999, fu la volta di “Prose (due un soldo)”, sempre con belle copertine del pittore Lionello Mandurino.  Competenza e obbiettività di giudizio caratterizzavano i suoi pezzi, anche quando recensiva i libri dei colleghi. Nel 2002, pubblicò “S’è chiuso il cielo”, il suo ultimo libro di poesie. Scrive Salvatore Coppola: “Mitezza di carattere, umiltà, cortesia, rispetto degli altri e coscienza critica sono altrettanti tratti fondamentali della personalità di Claudio; quelle doti ne hanno accompagnato l’agire quotidiano, vuoi nell’attività di docente, vuoi in quella di promotore di cultura”
Dopo un florilegio di poesie e prose di Claudio, nella seconda parte del libro, si trova un ricordo di Mario Micolano, affidato a Giuliana Coppola.
Anche Mario, sebbene più appartato, è stato un intellettuale molto raffinato, colto e misurato. Scrive Emilio Panarese su “Note di storia e Cultura Salentina” ( XVIII, 2006), in occasione della sua morte: “Era dotato di acuta e  pronta intelligenza, che gli permetteva di focalizzare e memorizzare subito, in straordinaria sintesi, i punti essenziali di un testo o di un documento. La sua profonda e ricca sensibilità e la costante attenzione ai segnali provenienti dal dibattito educativo e scolastico, dalla cultura pedagogica e da quella letteraria in genere, gli permettevano di tesaurizzare una ricca esperienza di insegnamento al Liceo Capece di Maglie dove tenne, per molti anni, la cattedra di italiano e latino”.
Rare, come ricorda lo stesso Panarese, le sue pubblicazioni, fra cui una sull’opera di Nicola De Donno, pubblicata su “Sallentum” nel 1984, la Prefazione al libro di Nella Piccinno “Erano i miei segreti”(1991), e una lezione sull’Infinito di Leopardi in “Note di storia e cultura salentina”(XVII, 2005); infine, il libro postumo di poesie “Canto della vita” (2011). Pubblicava i suoi versi su riviste, fra cui “Presenza Taurisanese”.  Il volume termina con poesie e prose di Mario. Poi, si chiude il libro e si conserva la memoria.
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Poeti per Ruffano
di Paolo Vincenti
Ruffano: il suo paesaggio viene cantato in poesia da vari rimatori fra Ottocento e Novecento. I suoi “colli ridenti”, la pace e la salubrità dell’aria del suo verde poggio, la collina della Madonna della Serra, attirano spiriti pensosi in cerca di silenzio e ispirazione. Fra questi, Carmelo Arnisi, a cui la Pro Loco di Ruffano nel 2003 ha dedicato un elegante volume che lumeggia la figura di questo maestro elementare vissuto fra Ottocento e Novecento . Questi i delicati versi del poeta: “O del villaggio mio colli ridenti, / sparsi d’ulivi scintillanti al sole;/ o d’aria pura libere correnti /profumate di timo e di viole;/ o boschetti dai verdi allacciamenti /dove l’augelli intessono carole;/ come son dolci i vostri allettamenti, / come son dolci le vostre parole!/ e chi potrà mai dir quali favori/ voi concedete a l’uom, quali ricchezze?/ il vino ai vecchi, a le fanciulle i fiori, / a tutti il pane che la vita allieta…/ e quanti sogni poi, quante dolcezze / serbate pel mio cuore di poeta!/” . La collina della Madonna della Serra di Ruffano attrae anche studiosi che la frequentano per i loro interessi eruditi: fra questi il grande scienziato Cosimo De Giorgi, che ammira “il suo paesaggio davvero pittoresco” e la sua “flora così ridente e rigogliosa” che “conforta l’occhio dell’artista” . Così anche Raffaele Marti, che tratta del Bosco Belvedere, enorme riserva di caccia che un tempo occupava le aree di svariati comuni del medio Salento, a partire da Ruffano e Supersano ; in tempi più recenti, Aldo de Bernart e Mario Cazzato hanno descritto le caratteristiche orografiche, storiche e artistiche del poggio ruffanese . Il fratello di Raffaele Marti, il poeta Luigi, anche se non cita Ruffano, ne canta i lieti colli in un delizioso bozzetto nella sua opera Il Salento, in cui dipinge lo spettacolo del paesaggio della Iapigia estrema con il tocco del pittore. “Salve Japigia estrema! Ah non per anche / l’improbo ferro strusse i tuoi boscheti / Piniferi! Le cime ancor non stanche / del Belvedere tuo, de’ tuoi querceti!/ Spettacol nuovo, a chi per queste franche / aure trascorre, rimirar su i lieti / colli, dal piano rampicanti e bianche, / le tue borgate uscir da gli uliveti!/ Spettacol molle i tuoi cieli orientali!/ e tra le piante, al lume delle stelle, / le tue marine tremolari innanti, / sonare i campi d’opere rurali / e di muggito d’animali, belle / fanciulle l’opre accompagnare a i canti! /” . Ma c’è anche un poeta non ruffanese che scrive delle campagne ridenti e dei sentieri odorosi di una Ruffano da cartolina, ritratta in una immagine idealizzata dal suo occhio sensibile. È Leonardo Mascello, “un poeta di passaggio da Ruffano nei primi del Novecento”, scrive Aldo de Bernart ,  che riporta anche alcuni versi del componimento di Mascello dedicato a Ruffano: “O paesetto raccolto sul poggio, / coronato di verde in giro, in giro, / sotto un cielo di perle e di zaffiro, / che, al tramonto, s’incende e divien roggio;/ o campagne ridenti, o praterie / odoranti di timo e di mortella;/ o sentieri dei monti, o pia cappella /erma e perduta ne le grige ombrie/ degli ulivi sul colle della Serra;/ o del padule pallidi acquitrini, / molli canali e torpidi pollini, / quanta tristezza ora per voi m’afferra!/  (“Nostalgia”).  Versi semplici e cantabili, nei quali si può riconoscere una chiara descrizione della collina di Ruffano. Ma chi era questo poeta di passaggio da Ruffano? In realtà, egli fu sacerdote della Parrocchia Natività Beata Vergine Maria dal 1903 al 1907, precedendo Don Francesco Fiorito, al quale è dedicata la lirica.  Una prima scarna biografia è disponibile in rete, sul sito del Comune di Castrignano dei Greci, il suo paese nativo. È riportato: «Leonardo Mascello, poeta e sacerdote, nacque a Castrignano dei Greci nel 1877 e morì ad Olinda in Brasile dove insegnò lingua e letteratura italiana.» . Interessante, ma poco. Allora consultiamo il libro di Angiolino Cotardo, Castrignano dei Greci, che riporta in aperura la lirica di Leonardo Mascello, “Paese natio” dedicata a Castrignano dei Greci, ma non dice sul poeta se non le stesse note biografiche riportate nel sito, specificando che la lirica “Paese natio…” è contenuta nel suo libro di poesie Foglie al vento pubblicato ad Olinda nel 1910 . Reperiamo il libro di Leonardo Mascello presso la Biblioteca Comunale “Piccinno” di Maglie e all’interno è scritto che esso è stato pubblicato in Belgio . Il volumetto è dedicato dall’autore a “Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Dom Luiz Raymundo Da Silva Britto Vescovo di Olinda”, al quale indirizza anche parole di gratitudine, invero gonfie di retorica, nella sua Introduzione. Scorrendo le pagine del libro, diviso in varie sezioni, ritroviamo la lirica “Paese Natio”, nella sezione Voci del tempo lontano, mentre la lirica “Nostalgia”, dedicata a Ruffano, si trova nella sezione Il poema della tristezza. Seguiamo ancora i versi del poeta. “Ora che sarò da voi sempre lontano / o paesetto, o fertile campagna, / da voi mi giunge voce che si lagna, / a cui risponde un mio rimpianto vano./”. E più avanti: “Lo so, querci ospitali e risonanti / al vento con fragore di cascate;/ lo so che i sogni miei più non cullate/ con l’ombre che da voi scendon giganti, / a vespro, sulla via che fiancheggiate;/ mentre in alto, garrendosi fra loro, / saettando lo spazio e i cieli d’oro/ le rondini s’inseguon disperate./ Addio, luoghi ridenti, addio colline, / da cui lo spirto si slanciava in alto / in un empito effreno, in un assalto, / d’ideali e di cose ardue e divine!/ Addio per sempre, o sogni di bellezza;/ addio per sempre! ora l’ombra s’aduna/ greve sul cor. Ne l’ombra, tacita, una / piange perdutamente: la tristezza!/”.  Un quadretto di genere, nello stile bozzettistico che caratterizza la sua musa. Si avverte la nostalgia di abbandonare il paese che lo aveva visto parroco, dove probabilmente egli si era trovato bene, ma i toni di accorata mestizia con i quali si rivolge al paesaggio intorno, nella consapevolezza di non più rivederlo, fra chiari echi del manzoniano “addio ai monti” dei Promessi Sposi, ci fanno intuire che i motivi dell’abbandono non furono felici. Probabilmente essi sono da ricercare nella vita privata del sacerdote, nella quale a noi non è dato di entrare. Sta di fatto che proprio da Ruffano egli partì per il Brasile, risoluto a non tornare più in Italia. E in Brasile, come già detto, insegnò lingua e letteratura italiana nelle scuole superiori. Uomo di vasta cultura, compose opere di teologia e filosofia morale, sulle quali occorrerebbe far luce per ricostruire interamente la sua bibliografia. Un poeta tardo novecentesco è Aniceto Inguscio, originario di Torrepaduli, Padre Spirituale della Confraternita B.M. Vergine del Carmine e SS. Trinità di Ruffano, di cui riferisce Ermanno Inguscio, che riporta il suo testo poetico “Alla Beata Vergine della Serra”: “Salve chiesetta, / che sul solitario colle sorgi / e della via della valle i passegger, /che frettolosamente vanno, / guardi./ Al sorgere e al tramontar / coi suoi rai ti bacia il sole, / e, di color di porpora, / le mura tue colora. / Dal piccol campanil / che man sacrilega, / dell’unico bronzo lo vedovò, / mai un dondolar d’una preghiera./ Sol dal fitto e verdeggiante bosco, / che dai tuoi piedi discende a valle, / pien d’ulivi, d’aranci e peri, / musici uccelli, tra i verdi rami / volano cantando a te/” . “La poesia è tratta dalla silloge Frammenti di vita, pubblicata a Ruffano nel 1995. E con questi versi senza pretese del prelato di campagna concludiamo la nostra rassegna.
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Libri| Zia Valeria. Lettere ai giornali e appunti di viaggi
“Zia Valeria”, l’ultimo libro del salentino Rocco Boccadamo, recensito da un altro salentino (lombardo d’elezione), Paolo Rausa
di Paolo Rausa
  Conoscendo Rocco Boccadamo di Marittima (Le), ridente località del Sud Salento a ridosso sul mare, a strapiombo sul fiordo suggestivo di Acquaviva, c’è da star sicuri che questo non sarà l’ultimo suo libro di pescatore di perle, o ragazzo di ieri come ama definirsi lui, giovane di bella età in cui tutto è permesso, finanche di volare ma sempre con i piedi ben piantati nel suo paesino natale. Che dico? Nel suo quartiere, nel nucleo costitutivo dell’aggregato rurale che tradisce nel suo nome la vocazione marinaresca. E Rocco è marinaio, di terra però. Se può esserci un nauta che tocca terra ma che vive nell’alto mare dei ricordi, nelle tempeste e nelle gioie della vita come una navigazione di cui si è certi solo del porto di partenza. Infatti, nulla si sa della vita, come per ognuno di noi. Le sue mosse partono da lui infante, circondato dall’amore dei genitori, dei parenti, di tutto il vicinato, che lui enumera e snocciola, nome per nome, età, professione in bilico tra la terra e il mare, grado di parentela, i figli che scappano come lui al Nord per cercare fortuna, però qui hanno piantato le radici che germogliano ma che ricevono alimento e sostanza dal cuore e dalla mente persa nel passato e rivolta al futuro, quasi come fotocopia. Non immagina Rocco una vita senza le carezze della madre, per quanto lo abbia lasciato giovinetto, e se anche si bea delle carezze della nidiata dei nipoti, Rocco resta sempre figlio della sua terra e di sua madre che vigila e lo attende d’estate o nei periodi delle feste natalizie a casa, all’Ariacorte, dove brulicava la vita primordiale di un centinaio di anime, ora quasi spenta. Rocco si fa figlio della propria terra, diventa cantore, “raccontastorie” o “cuntacunti” alla dialettale, rievoca le battaglie non davanti alla Porte Scee ma nel suo nucleo primordiale vitale che assurge ad ombelico del mondo. La compostezza di Rocco si espande grazie alla memoria, alla descrizione minuziosa dei particolari, alla genealogia dei suoi conterranei che hanno condiviso con lui le stradine del paese e la resistenza alla miseria, che hanno imparato a percorrere le strade della dignità come strumento non per conseguire la gloria omerica, ma per esaltare la semplicità della vita nei campi, virgiliana, fatta di tenacia e di umiltà, che ora sta per soccombere. Ecco allora che tutti i personaggi sono evocati da Rocco che, dopo il suo peregrinare in tutta Italia da sede a sede nella sua attività da bancario, ritorna al suo paese, sedotto come la prima volta quando è ritornato da Monza, e poi da Firenze, Taranto, Messina, Lecce, alla sua villa ‘La “Pasturizza”, dove la terra è “mara” e “nicchiarica”, come dice il poeta. Che non morirà mai finché ci sarà il suo cantore in vitam che esalta i particolari, gli attrezzi che ritornano a chiamarsi come un tempo. Divelta la lingua italiana estranea, quegli oggetti vivificano sotto i suoi e i nostri occhi, per un momento riacquistano vita come per essere reimpiegati. Ma l’illusione si ferma qui. A Rocco basta denominarli, secondo il linguaggio antico, e insieme a loro anche i protagonisti, oscuri di natali, ma eroici per aver resistito a un destino difficile, tuttavia non privo di affetto nel richiamo dei nomi propri personali, i Vitale, i Costantino e la zia Valeria, la piccola della famiglia materna, lei che assicura la continuità di una stirpe e di un popolo stampigliato sulle carte in modo che tutti rimangano impressi per non morire mai. Il libro è impreziosito dalla prefazione di Ermanno Inguscio e dalla postfazione di Raffaella Verdesca. Spagine, Fondo Verri edizioni, Lecce, 2019, pp. 162,  € 10,00.
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“Zia Valeria”, il nuovo libro di Rocco Boccadamo
E’ stato appena pubblicato, per i tipi di Spagine – Fondo Verri edizioni, il nuovo libro “Zia Valeria – Lettere ai giornali e appunti di viaggi” dello scrittore e giornalista salentino Rocco Boccadamo.
Prefazione di Ermanno Inguscio, postfazione di Raffaella Verdesca.
Il volume sarà presentato giovedì 2 gennaio 2020, alle ore 19.30, presso l’Associazione culturale Fondo Verri, in Via S.  Maria del Paradiso 8, Lecce, nell’ambito della Rassegna “Le mani e l’ascolto”.
Dialogherà con l’autore, Paola Moscardino, giornalista, scrittrice, autrice e presentatrice di servizi televisivi.
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Il nuovo libro di Boccadamo, “Gli sposi di Monteruga”
E’ stato appena pubblicato, con Spagine Edizioni (Fondo Verri) – Lecce, il nuovo libro dello scrittore e giornalista salentino Rocco Boccadamo “Gli sposi di Monteruga” – Lettere ai giornali e appunti di viaggi.
Di seguito, un’interessante recensione al volume redatta dal poeta e critico letterario Marcello Buttazzo.
  La scrittura del narrastorie Boccadamo
di Marcello Buttazzo
Fortunatamente, l’uomo preserva la memoria, la ravviva continuamente di linfa vitale. La memoria, conchiglia di vissuti, che navigano sulle spiagge del tempo. Rocco Boccadamo è un narrastorie salentino attento ai ricordi, ai trascorsi traversati con lo sguardo composto, discreto. Ogni anno Rocco ci ha abituato alle sue pubblicazioni, raccolte di articoli e lettere ai giornali. A fine anno, Boccadamo fa un compendio di ciò che l’ha colpito nel sommerso e nel manifesto e ci dona il suo libretto di storie. È appena uscito dell’autore salentino “Gli sposi di Monteruga”, appunti di viaggio, edito da Spagine (Fondo Verri Edizioni).
I luoghi sono sacri per Rocco, i luoghi della sua storia, della nostra storia, della sua infanzia e giovinezza, bordeggiate ai margini del sogno, della semplicità, della purezza fanciulla. Marittima, paesino natale dell’autore, l’insenatura dell’Acquaviva e Castro, sono delle perle, non solo di splendore paesaggistico, ma anche carne viva di memoria, di ricordo rosso d’incanto. In particolare, l’Ariacorte, piccolo quartiere di Marittima, viene evocata in tutta la sua francescana compostezza, abitata da gente del popolo, devota al lavoro e alla fatica. Si staglia limpidissimo il ricordo della madre Immacolata, morta giovanissima, che per Rocco è stata una fulgida figura di riferimento, capace di accoglienza e d’amore.
La narrazione di Boccadamo è, per l’innanzi, descrizione della gente, che scende essenzialmente fra le viuzze, fra le strade, di Marittima, di Castro, e di altre località vicine. I protagonisti dei suoi racconti sono pescatori, contadini, muratori, ciabattini, gente umile, con la notazione di spontaneità e di genuinità. Ma protagonista fondamentale delle pagine di Rocco è anche il paesaggio, il mare adamantino, la terra generosa, la via del tabacco, i quartieri assolati d’amore e d’attesa, d’umana speranza. Nel libro viene esaltato il valore e il sapore dell’amicizia. Una costellazione di persone s’affolla fra le righe, Nzino, Nino, Luigi, Antonio, tutta gente del popolo. Potremmo dire, con una vulgata scontata, che Rocco sia scrittore popolare, perché gli umili sono tenuti in massima considerazione. Loro fanno la storia.
Il nostro autore dedica pagine d’amore e di commozione a un grande uomo di Marittima, Vitale Boccadamo, distintosi per eroismo nel corso della Prima Guerra mondiale. Leggendo “Gli sposi di Monteruga” si comprende che Boccadamo, pur senza particolari implicazioni confessionali, abbia una precipua propensione per la mansione spirituale e religiosa. Molto belli sono i racconti su Castro e la sua Protettrice, la Madonna, Maria SS. Annunziata, e su S. Maria Maddalena, venerata a Castiglione d’Otranto. In un’era in cui eccessivamente si pontifica su grandi sistemi, ben venga questa prosa minimalista di Rocco, questo florilegio sulla vita quotidiana, ordinaria, che ci indica il passo, che ci segna la danza. Dobbiamo dire anche che ne “Gli sposi di Monteruga” il racconto si dispiega su due fronti coincidenti: il presente e il passato. Esiste un continuum nel tratteggio di ciò che è avvenuto tanti anni fa e di ciò che fluisce attualmente. E Rocco, marito, padre e nonno, dal suo osservatorio prediletto e buon ritiro della “Pasturizza” con pazienza tesse e ci rede partecipi. La fluidità della scrittura di Boccadamo si amplia con la meraviglia che l’autore prova in certi frangenti. Rocco descrive con stupore da poeta la magnificenza della Natura, i voli di storni paesani. E introduce scenari di fiaba con le storie del rospetto Pancino e del riccio Culèo.
La prefazione del libro è di Ermanno Inguscio. Nella postfazione Raffaella Verdesca tocca una corda cruciale quando scrive: “Uno scrigno, questo, che Rocco Boccadamo ci consegna grazie ai suoi scritti: parola-chiave, l’AMORE”. E, in effetti, l’amore è il motore che tutto muove, che ci rende compartecipi agli umani, che scioglie il gelo. Che ci salva la vita.
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