#E per fortuna adesso non pi��
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Un’avventura e una nuova famiglia
Un’avventura e una nuova famiglia
Era una mattinata gelida ad Arbora, e in una cavità di un albero nel fitto del bosco, un piccolo Pichu si stava svegliando. Aprì gli occhietti ancora cisposi e stanchi. Per lui dormire era diventato sempre più difficile da alcuni mesi. "Pichu" disse, che significava: "Buongiorno a me." Era un saluto triste, ma l'unico che poteva darsi. Non c'era nessuno, lì intorno, a parte tantissimi insetti che facevano sentire i loro versi. Pichu vide una farfalla e prese a inseguirla, ma questa fu veloce e non si fece prendere. Uffa, non poteva nemmeno giocare. Tornò nella sua tana e scoprì, come sempre, che la mamma non c'era. Era morta. Il Pichu guardò se aveva qualcosa da mangiare, ma non possedeva più nulla. Le scorte di cibo che si era fatto per l'inverno erano finite e ora doveva andare a cercare qualcosa. Nonostante il freddo, ad Arbora crescevano molti frutti, ma prima c'era una cosa che doveva fare. Si avvicinò a una pietra. Lì sotto giaceva sua madre. Mamma Dragonair, un'amica della mamma di Pichu, l'aveva seppellita e lui e Dratini, il cucciolo di Dragonair, giocavano spesso insieme. "Buongiorno, Pichu. Come stai?" gli chiese mamma Dragonair nella loro lingua. Diversa per ogni Pokèmon, chiaro, ma fondamentalmente fatta di ripetizioni dei loro nomi, a volte spezzati, e altri versi, che nel caso di Dragonair e del suo piccolo non erano che mormorii. Lui abbassò lo sguardo e lei gli si avvicinò. "Lo so che ti manca la tua mamma" gli disse con dolcezza. "Ma lei vorrebbe che tu fossi felice." "Non lo sono. È passato poco tempo. Non ho nemmeno un allenatore" disse il piccolo, triste. "Hai bisogno di qualcosa? Hai mangiato?" "No, ma me la caverò. Dov'è Dratini?" "Sta dormendo. Se non hai bisogno di me, io torno da lui." "Vai tranquilla, a dopo." Il piccolo camminò nella neve fresca, caduta quella notte. Gli piaceva correrci in mezzo, perché adorava il suo rumore ovattato. Arrivò davanti a un melo e, deciso a cogliere uno di quei succosi frutti, provò ad arrampicarvisi. Fu difficile, doveva stare attento a dove metteva i piedi, ma ci stava riuscendo, finché… boom, cadde giù dall'albero finendo con il sedere, e per fortuna non la testa, per terra. Rise di se stesso e riprovò, ma prima di salire sbatté la testa contro l'albero. Si mise una zampa nel punto che gli faceva male e andò nel ruscello lì accanto a rinfrescarsi la testa. La mamma gli aveva insegnato a fare così quando prendeva una botta, in quel modo non si sarebbe formato un bernoccolo. Il pensiero della mamma lo turbò talmente tanto che non volle nemmeno giocare con Dratini, che intanto si era svegliato e, senza aver mangiato niente, si ritirò nella sua tana. Se avesse trovato quel maledetto Skunkay, non sapeva cosa gli avrebbe fatto. Anzi sì, gli avrebbe tirato una scossa talmente forte da scioccarlo e così sarebbe stato libero da lui e dal suo veleno. Ma no. No, lui era solo un cucciolo, non era vendicativo né forte come uno Skunkay adulto e non voleva nemmeno vendicarsi. La vendetta non serviva a niente, avvelenava soltanto l'anima, gli aveva detto sua madre una volta. Lui non aveva capito cosa intendesse, e ancora non comprendeva, ma se la mamma gli aveva insegnato a non odiare e a non portare rancore, lui l'avrebbe fatto. Uscì dalla sua tana quando, per la fame, non ne poté più, e rinunciando alla mela si nutrì di alcune fragole che, stranamente, ad Arbora crescevano tutto l'anno, poi tornò indietro. Se non ci fosse stata mamma Dragonair, sicuramente il piccolo si sarebbe lasciato morire. Non aveva più la mamma, che senso aveva vivere? Certo ora non stava vivendo, sopravviveva, ma era abbastanza. Trascorsero alcuni giorni e Pichu conduceva la sua vita come sempre. Giocava con Dratini, anche se non era allegro come un tempo, e aspettava. Aspettava che un allenatore lo trovasse. Lui lo cercava, girava per la foresta, ma quelli che incontrava avevano già tanti pokémon o, a detta loro, non erano interessati a prenderne uno così piccolo. Durante una delle sue passeggiate, Pichu si affacciò alla cavità di un albero. Era vuota, forse la tana di qualche animale. Era stanco per il troppo camminare e decise di entrarci per fare un sonnellino e riscaldarsi, ma quando si svegliò non riuscì più a uscire. Era incastrato. Gridò e gridò, ma non venne nessuno. Mamma Dragonair era troppo lontana per sentirlo. Da un'altra parte della foresta, una ragazza stava mettendo in ordine le sue sfere Poké in uno zaino. Si sistemò i capelli castani dietro le orecchie. Adorava lasciarli sciolti, ma a volte le davano fastidio. Era non vedente e per questo aveva affinato le sue abilità di tipo psico. Con il suo udito fine riusciva a catturare i Pokémon e con il bastone bianco si muoveva per la foresta, rendendosi conto degli ostacoli. All'inizio i suoi pokémon avevano avuto paura del bastone, ma poi ci si erano abituati. "Andiamo" disse Julie, mettendosi lo zaino sulle spalle dopo averlo chiuso. Era un'allenatrice molto brava. Vinceva spesso le battaglie e aveva catturato già ben quarantacinque pokémon. Voleva bene a tutti come fossero stati suoi figli. "Pichu! Pichu!" sentì gridare in lontananza. Forse un pokémon era in difficoltà e lei, pronta a dare sempre una mano tanto alle persone, quanto agli animali, quanto ai pokémon, prese a correre, per quanto il terreno accidentato e il bastrone glielo permettessero. "Pichu! Pichu pi!" Era anche una capo palestra, e battendo lei un allenatore otteneva una medaglia, di nome Idea, a forma di lampadina accesa. Ma tutto questo ora non le interessava. Corse e corse, passando a pochi centimetri da uno stormo di uccelli che volava basso. Attraversò un ruscello che, purtroppo, non aveva un ponte e si infangò le scarpe e le calze. Poco importava , si sarebbe cambiata una volta tornata alla sua palestra. Era sempre più vicina al pianto. "Pichu! Pi!" Poi quel grido si fermò. "E adesso che faccio?" chiese Julie. Ascoltò. Sentiva solo insetti e uccelli, nient'altro. Avanzò lentamente, cauta, ma scivolò su un sasso e rischiò di cadere. Il pianto riprese, più forte e straziante che mai, e alla fine anche arrabbiato. All'inizio Julie pensò che si trovasse su un albero, ma ben presto trovò la cavità dov'era incastrato. "Aspetta piccolo, ti aiuto io" gli disse, tirando più forte che poteva. Riuscì a farlo uscire. "Pi?" chiese il cucciolo. Quell'umana - almeno credeva si trattasse di una specie del genere, non avendone mai vista una – lo incuriosiva e lo confondeva al contempo. Non sapeva come muoversi, né come fare per ringraziarla per l'aiuto. "Ciao, piccolo!" esclamò la capo palestra con la voce più dolce che poté. Il cucciolo indietreggiò alla vista del bastone. La ragazza se ne accorse dal suo movimento e lo chiuse subito. "Non voglio farti del male, solo giocare con te, se lo vuoi." Il Pichu si avvicinò a passi lenti e lei lo accarezzò. Il suo pelo era corto ma morbido. Doveva farci amicizia prima di catturarlo. Lei amava e rispettava i Pokémon, e non c'era stata nemmeno una volta in cui avesse mancato di rispetto ai suoi. Prima li conosceva, poi, con il loro permesso e grazie alle sue abilità telepatiche, li catturava. "Come stai?" gli chiese. Come se avesse capito, lui disse un: "Pichu..." dal suono molto triste. "Che succede, piccolo? Hai fame?" Estrasse dalla tasca dei pantaloni alcune more e gliele offrì dalla sua mano. Lui mangiò, ma continuò a mantenere quell'espressione. "Che cosa ti è successo?" si chiese Julie fra sé e sé. Gli mise una mano sulla fronte e tutto le fu chiaro. Quella sera pioveva e Pichu e la sua mamma uscirono per cercare qualcosa da mangiare. A loro non piaceva bagnarsi, ma purtroppo il tempo era quello. Trovarono dei lamponi e dei mirtilli e tornarono alla loro tana sazi e con un ricco bottino. Ma ad aspettarli c'era uno Skunkay, che attendeva nell'ombra. Uscì solo quando li vide arrivare e attaccò la mamma di Pichu, che gli disse di correre nella tana. Lui lo fece e vi si rifugiò in fondo, ma riusciva comunque a vedere ciò che stava accadendo e a sentire il tanfo dello Skunkay, che nessun Pokémon sopportava. La mamma tornò indietro e si accoccolò vicino a lui. "Va tutto bene, se n'è andato. Dormiamo, ora" gli disse. Lei fece finta di dormire, perché il giorno dopo il cucciolo provò a svegliarla in tutti i modi: le fece il solletico, parlò a voce alta, pianse, ma a nulla servì tutto questo. La mamma non respirava più e ciò significava una cosa sola: era morta. Julie tolse la mano dalla fronte fresca del Pichu. "Mi dispiace così tanto per la tua mamma, piccolo" mormorò, mentre lui si avvicinava di più e si lasciava accarezzare. "Se vuoi, da ora potrò essere io la tua mamma. Non sarò come quella che hai perso, ma sono molto brava con i Pokémon." Gli rimise una mano sulla fronte e udì un timido: "Sì." Quando usava i suoi poteri di telepatia riusciva anche a capire la lingua dei Pokemon e questo la aiutava a comprendere se avevano qualche problema, come nel caso di Pichu. Il cucciolo alzò le zampe anteriori e la ragazza capì che voleva essere preso in braccio. Lo sollevò e se lo mise sulle gambe. Aveva freddo a causa del ruscello che aveva attraversato e se non avesse fatto presto si sarebbe ammalata, ma poteva restare ancora un po' lì. Poi cambiò idea e decise di andare nella sua palestra. Chissà se qualche altro allenatore l'avrebbe sfidata... "Vieni in un posto con me? Non è pericoloso" gli disse. Gli mostrò una sfera Poké. "Questa serve per catturare i Pokémon, per tenerli al sicuro. Posso catturarti? Non ti farò del male, te lo prometto." Lui rimase immobile e lei gli mostrò la sfera. Ancora incerto, il piccolo si avvicinò di qualche passo, e sfiorato con la zampa il bottoncino al centro della capsula, lasciò che una luce rossastra lo avvolgesse. Poco dopo, il pulsante prese a brillare di una più fioca, ma stranamente, la sfera non si agitò. A volte le succedeva, ricordava ancora gli sforzi che aveva dovuto fare per catturare Eevee, tanto piccolo quanto veloce e in tutto simile a un incrocio fra una volpe e un cagnolino. Cavolo, se correva, quel giorno. Testarda, lei non si era data per vinta, e dopo vari tentativi, c'era riuscita. E così ora era stato anche con quel piccolo orfanello, che aveva catturato quasi all'istante. Non volendo metterla subito con tutte le altre, per non spaventarlo, tenne in mano la sfera. "Andiamo." Riattraversò il ruscello e, dopo una mezz'ora di camminata, uscì dal bosco e arrivò alla sua palestra. Andò nelle sue stanze al piano di sopra e lì si lavò e cambiò, poi disse: "Pichu, tesoro, vieni fuori." Non era come tanti allenatori, che gridavano ai loro pokémon di uscire o che intimavano loro di farlo. Lei era sempre gentile con loro. Pichu uscì subito. "Ma ciao!" Julie gli fece il solletico al pancino e lui rilasciò un verso simile alla risata di un bambino, poi le saltò in braccio e cominciò a sfiorarle il viso con le zampine. "Ho capito, mi vuoi tanto bene, non servono tutte queste dimostrazioni." "Sì, te ne voglio. Posso stare con mamma Dragonair e Dratini qualche volta? Sono miei amici" capì la ragazza, usando sempre lo stesso potere. "Ma certo che puoi. Ti ci porto domani. Ora ti va di conoscere i Pokémon che ho già? Così fate amicizia.” "Sì" mormorò il cucciolo, intimorito e tremò. "Non ti faranno niente, te lo assicuro." Glieli presentò uno per uno: C'era Espeon, il primo vero compagno della ragazza in tutto simile a un gatto a due code dal pelo viola, con una sorta di gemma energetica incastonata sulla fronte, ottenuto dopo Misquit, lo starter regionale di tipo Erba con le fattezze di uno scoiattolo, non uno ma ben due Meowstic, un maschio e una femmina, il primo azzurro e l'altro bianco, entrambi simili a gatti capaci di stare in piedi su due zampe, Espurr, un altro con le stesse fattezze ma dal pelo grigio e con gli occhi grandi, il cui nome ricordava alla ragazza il costante mormorio delle fusa di un vero felino, Munna, creatura a metà fra una sfera e un acchiappasogni, Solosis, piccolo, verdastro e gelatinoso, letteralmente il nucleo di una cellula, Glameow il gatto dagli artigli affilati e la coda arricciata, e molti altri. Esitante ma felice, Pichu giocò con tutti, correndo con gioia sull'erba gelata da quel periodo dell'anno. E allora ne fu sicuro: in mamma Julie e nei suoi altri Pokémon aveva trovato una nuova famiglia.
Credits to the original author, crazy lion
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3987558&i=1
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MERCATI DEL PESCE A PALERMO, CATANIA E SIRACUSA
LA NONNA E LE ULTIME VICENDE
N - Prontu o prontu Petru - Pronto nonna, sono Pietro, come stai? N - Antichicedda bona ringraziannu u signuruzu e tu, cori mei come si? Petru - Bene nonna, ascolta sto uscendo per prendere due cose per la mamma, ti serve qualcosa? N - No giooia, non mi serve niente. Il signor Giuseppe, il marito della signora Romano è uscito e mi ha preso il pesce. Ha preso due triglie e un po' di sarde che farò domani se vieni a mangiare. Petru - Ma, domani vediamo, se fai le sarde vengo. Ma si è ripreso il signor Giuseppe N - Si il piede non gli fa più male e le bruciature gli sono passate. Petru - Ma spiegami un po' cosa è successo che la mamma non me lo ha saputo dire. N - Ma nenti, siccomi du ciarammiddaru du sinnacu (1) ci ha terrorizzati dicendo che a Pasquetta dovevamo stare a casa e arrostire sul balcone, il signor Giuseppe ha preso u vecchiu fucuni grande e lo ha piazzato sul balconcino che hanno nella cucina. Ha acceso il fuoco e ha riempito la griglia di carne e spiegava a Luigino come si fa ad arrostire. Non ti dico il fumo e u ciaru i carni arrostita che si sentiva. Ad un certo punto il signor Giuseppe ha detto “dovevo prendere più carbonella perché quella che abbiamo forse non basta” e rivolgendosi a Luigino gli ha detto scherzando “dovresti cercare un po di legna per fare la brace” Luigino sciutto sciutto ha visto che una gamba del fucuni appoggiava su un pezzo di legno grosso perché si era rotta la Pasquetta precedente, si china, lo leva da sotto e badapunpiti, u fucuni cade sul piede del signor Giuseppe, la brace gli brucia i pantaloni cade dal balcone e finisce sulle lenzuola stese del signore di sotto facendole diventare nere e bruciandole. La carne cade sul marciapiede e tutti i gatti che c’erano intorno si sono precipitati a prenderla. Pensa che anche adesso sono tutti sotto il balcone del signor Giuseppe e guardano in alto aspettando la grazia di Dio. Petru - Sarà successo un grande casino. N - Non ti dico il vicino di sotto, quello che è ai domiciliari picchi è amicu ill’amici, nun ti dicu che casinu ha fattu voleva scippari a testa (2) al signor Giuseppe che gli aveva bruciato tutte le lenzuola. Poi, con la paura del curuna virusse negli ospedali, il signor Giuseppe non è potuto andare al pronto soccorso e gli abbiamo dovuto mettere sopra alle bruciature i sacchi di piselli surgelati e le cosce di pollo che avevamo nel freezer…. Petru - Mamma mia che casino N - Non ti dicu e non ti cuntu che casino è venuto fuori. Per fortuna è passato tutto. Anzi oggi il signor Giuseppe stava morendo dal ridere. Petru - E come mai nonna N - Ha incontrato Procopio al supermercato… Petru - Ah immagino, aveva le scarpe una diversa dall’altra N - Ma no Petru - Si era fatto la barba solo in metà faccia come l’altra volta N - Ma no. Pensa che dovendo uscire ha chiesto ad Anciulina di fargli la mascherina perché non voleva comprarla Petru - E allora N - Anciulina chi pari babba ma per Procopio la cattiveria se la fa venire, gli ha fatto la mascherina con le sue mutande Petru - Con le mutande…? N - Si, con quelle di lui, sai quelle che davanti hanno lo spazio per la ciolla e quella forma che tu apri di un lato e a nesci pi pisciari Petru - Ma nonna…. N - Si proprio così, e lui chi je stottu, se ne andava in giro con le mutande in faccia senza rendersi conto che già avi a faccia comu u culu, ma con quelle mutande su naso e bocca ommai avi propri na faccia i minchia. Petru - Ma nonna non se ne è accorto…. N - Ma no, quannu unu avi a testa sulu pi spattiri i ricchi (3) figurati si ci fici casu. Anzi si faceva vedere da tutti e alla cassiera che lo guardava stranita ci dissi tuttu orgoglioso “Ha visto che mascherina mi ha fatto mia moglie….” Petru - Eh lei N - Gli ha risposto che anche suo marito ne aveva un paio uguali uguali…. Petru - Cosi i pacci N - Vadda, quannu c’è Procopiu nto menzu, a vita diventa tutta fantasia. Petru - Va bene nonna, allora vado ci vediamo domani N - Va bene giooia, sta attentu, mettiti a mascherina Petru - Quella di Procopio ce l’ho già N - E tu nun ti mettiri sulu chidda…..
1 - du ciarammiddaru du sinnacu = allusione alla passione per la cornamusa del sindaco di Messina Cateno De Luca 2 - scippari a testa = staccargli la testa 3 - avi a testa sulu pi spattiri i ricchi = ha la testa solo per separare le orecchie
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Penso che il tuo sia uno dei blog che seguo da più tempo, ti ho visto spesso nella dashboard nel corso degli anni e ho avuto modo di vedere soprattutto i tuoi cambiamenti estetici, non conoscendoti. Me ne sono accorta adesso, guardando l'icon che hai attualmente e mi fa strano pensare di aver visto "crescere" in questo modo così distaccato una persona con cui non ho nessun legame. In ogni caso mi sei sempre sembrato una bella persona, quindi spero che alla fine vada tutto per il meglio ✨
Sono cambiato parecchio negli ultimi anni, è vero. Per fortuna, anche se mi mancano da morire i capelli colorati. Ti ringrazio moltissimo del complimento, auguro il meglio a te.
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Eccolo qui.
È stato difficile? Sì, un sacco. Non che non abbia mai scritto nulla di creativo, più che altro perché ci ho messo mesi a trovare l'idea giusta a tema "quando il fine non giustifica i mezzi". Alla fine tutto quel rimuginare mi ha portato a scrivere "Favola della buonanotte", il primo racconto che trovate nella raccolta (la fortuna di andare in ordine alfabetico).
Passo dunque ai ringraziamenti, perché ce n'è bisogno. A fine volume ci sono quelli generali della redazione, che tutte noi condiviamo, appieno, tuttavia io vorrei aggiungere qui qualcosa di più personale.
Per primi, voglio ringraziare le due persone che mi hanno ispirato il racconto e a cui l'ho dedicato: papà e mamma. Se ho raggiunto questo risultato, è soprattutto grazie voi e alle ore passate a leggermi storie.
Altro grande grazie va alle mie donne: le Mente al Bacon e Collega. Senza i brainstorming con voi, non avrei trovato l'appiglio giusto per scrivere. Siete la mia forza.
Infine ringrazio chi non è stato avvisato in anticipo di questo progetto, ma avrebbe meritato di esserlo. Sono molto scaramantica per questo genere di cose e avrei voluto darvi la notizia quando la data di pubblicazione fosse stata certa, ma dato che è stata una sorpresa anche per me, la notizia è stata quel che è stata. Festeggeremo poi.
Grazie a tutti. Vi voglio bene ❤️
Bene, e adesso che mi sono tolta qualche sassolino dalla scarpa, vi auguro una buona lettura.
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Tra qualche ora arriverò anch’io al traguardo dei 18 anni.
Non mi sento pronta ad affrontare questo giorno, anche se tanto atteso, un po’ mi rattrista.
Ebbene sì, mi rattrista perché fino a qualche anno fa il mio diciottesimo compleanno lo immaginavo diversamente, lo immaginavo con tutte le persone a cui ho voluto bene ma che in un modo o in un altro non fanno più parte della mia vita.
Persone che ho avuto la fortuna di incontrare per i bei momenti condivisi insieme ma anche la sfortuna di incontrare date le loro delusioni.
Da ogni persona persa durante il mio percorso ho potuto ricavarne esperienze che mi hanno aiutato a crescere, ad essere quello che sono adesso.
Ringrazio chi nonostante tutto mi è restato accanto nei miei momenti di crollo totale e che comunque continua ad esserci.
Gli anni purtroppo non tornano indietro, mille pensieri mi assalgono, ma da oggi voglio pensare solamente a me ed agli anni a venire, nonostante i miei sbagli, perché ne ho fatti.. sono orgogliosa della persona che sono adesso.
Questa va a quelle volte che ho pianto da sola e mi sono fatta forza, ai muri che ho alzato, ai miei pianti di rabbia e gioia, a tutto quello che nel bene e nel male mi ha fatto crescere ed arrivare a questi 18 anni.
Va alle cose belle che spero arriveranno.
Va a me, a me che dedico tutto!
#18 anni#traguardo#compleanno#crescere#esperienze#delusioni#pianti#rabbia#gioia#sbagli#vita#pensieri
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Luca è un bambinetto del suo tempo, quando si portavano i pantaloni corti e le madri ti compravano le scarpe con almeno un numero più grande perché crescere costava. Ogni fine settimana, non aveva più di cinque o sei anni, con la mamma, il padre lavorava anche la domenica, percorreva un viale alberato che portava a un edificio che a lui sembrava un castello e all’entrata si leggeva: Villa Azzurra. Lì, non sapeva bene il perché, viveva quella che gli avevano insegnato essere sua sorella Ottavia, che era malata e non poteva stare in casa perché la sua malattia non si curava in un appartamento. Erano gli anni del boom economico, tutti rincorrevano la vita con Lambrette, Vespe, i più ricchi con la Cinquecento. Luca ricorda quel viale bello ma sempre triste, come se gli alberi vivessero un autunno perenne e le foglie cadevano sempre e crocchiavano sotto i piedi. Gli piaceva saltare sui mucchi e sentirle crepitare. Ogni volta all’ingresso una donna vestita in modo strano, non capiva perché le infermiere di quel posto avessero dei cappelli come le suore ma erano vestite mezze di bianco e azzurro un misto tra cuoca e infermiera, gli diceva d’aspettare. Poco dopo la donna dal capello che sembravano ali, li faceva entrare portandoli direttamente in una stanza dove Ottavia li “aspettava”. Luca sentiva l’odore del disinfettante attaccare il suo naso e cercava di respirare tappandosi il naso ma sua madre lo sgridava e l’obbligava a tenere le braccia conserte. Ottavia non parlava né li guardava, ed era legata al letto con delle corde che a Luca ricordavano quelle usate dai pescatori nelle vacanze di sempre a Noli. Non capiva perché fosse legata. Ottavia non si muoveva quasi e non parlava, nonostante avesse un anno in meno di lui, solo emetteva versi come una bambina di pochi mesi. Le visite duravano poco ma quando sua madre parlava con i “dottori” a Luca si dava il permesso di andare a giocare da solo nel parco. In quell’autunno di sempre Luca giocava a correre sollevando le foglie e muovendo l’acqua verde di una fontana che sembrava essere rimasta in silenzio come tutto quello che circondava. Un giorno però, Luca vide che una delle finestrone che erano sempre chiuse era stata lasciata aperta e, senza pensarci due volte, decise d’entrare a vedere il resto di quel castello silenzioso chiamato Villa Azzurra, forse dal nome del principe azzurro che l’aveva fatto costruire, pensava. Passato un corridoio, così alto da sembrare un cielo e con il naso tappato per evitare l’odore del disinfettante, Luca inizia il suo viaggio alla scoperta delle meraviglie nascoste del palazzo. Da una porta semi aperta, per la prima volta, Luca sente dei rumori o meglio delle urla. Si ferma, quasi spaventato, ma poi s’intrufola per vedere da dove arrivassero quegli strani versi. Gli occhi di Luca che si aspettavano di vedere donne che pulivano i tesori del palazzone si aprirono di colpo: un ragazzo nudo legato a un termosifone con un cucchiaio in mano mangiava i suoi escrementi mentre una delle donne dagli strani cappelli lo colpiva con un pezzo della corda con cui era legato. Un’altra ragazzina, Luca rimase impressionato dagli occhi belli che aveva, era trascinata, nuda, per i capelli dal cappello con le ali che non serviva certo per volare. Un’altra ragazza si dava pugni sul naso e le si vedeva l’osso per il tanto colpirsi e qualcuno dei “sani” le diceva: ” continua tanto tra un po’ ti stanchi”. Un’altra passava dal ridere all’urlare come se fosse un gioco ma poi di colpo prendeva la rincorsa e si lanciava a testa bassa contro il muro, cadeva e si rialzava e ricominciava quello strano gioco che Luca non capiva. Una delle donne dai cappelli senza volo parlava con uno dei dottori, seduti tranquillamente in un cono di luce che entrava dal finestrone senza che nessuno si preoccupasse di quello che succedeva. Per un attimo Luca pensò che fosse una prova di uno spettacolo del circo, di quelli dove non gli piaceva andare ma sua madre sempre lo portava. Ma non c’erano pagliacci né trombette né nasi finti e le maschere non facevano ridere e non avevano trucco ma solo il viola blu dei lividi e righe di rosso che sembravano fatte di sangue e non di salsa di pomodoro. Di colpo, mentre quasi paralizzato guardava questo salone delle meraviglie, Luca si sente afferrare per il colletto, fa in tempo a vedere una mano dura come le ali del cappello trascinarlo con forza e dandogli anche un leggero calcio nel sedere: “Tu non devi stare qui, loro sono pericolosi”. Luca pensò in quel momento che gli unici pericolosi erano quelli che non facevano nulla e stavano seduti al sole a parlare. Ma si sa i bambini non capiscono. Per fortuna il ministro Salvini dice che i pagliacci “che non facevano ridere sono pericolosi”. Ah, per chi non lo sapesse Villa Azzurra era gestita dal dottor Coda chiamato “l’elettricista” per il suo giocare con la macchina dell’elettroshock sui pazienti e per abusare in svariati modi su di loro. A quei tempi anche i gay erano internati nel castello del prìncipe azzurro della corrente. E adesso, fumando l’ultima sigaretta di sempre, mi ricordo che il mio secondo nome è Luca e quello di mia sorella, Ottavia. Accendo un’altra sigaretta. Luca es un niño de su época, cuando se llevaban los pantalones cortos y las madres compraban los zapatos con al menos un número más grande porque crecer costaba. Cada fin de semana, no tenía más de cinco o seis años , con su mamá, el padre también trabajaba los domingos, recorría una avenida arbolada que conducía a un edificio que a él le parecía un castillo y en la entrada se leía: Villa Azzurra. Allí, no sabía bien por qué, vivía la que le enseñaron era su hermana Octavia que estaba enferma y no podía quedarse en casa porque su enfermedad no se curaba en un apartamento. Eran los años del boom económico, todos perseguían la vida en Lambretta, Vespa y los más ricos en el Cinquecento. Luca recuerda aquella avenida bella pero siempre triste, como si los árboles vivieran un otoño perenne y las hojas siempre caían y crujían bajo los pies, le gustaba saltar sobre los montones y escucharlas crepitar. Todas las veces a la entrada una mujer vestida de forma extraña, no entendía por qué las enfermeras de aquel lugar llevaban sombreros como las monjas aunque iban vestidas mitad de blanco y azul una mezcla entre cocinera y enfermera, les decía que esperaran. Poco después la mujer del sombrero que parecía alas, les hacía entrar llevándolos directamente a una habitación donde Octavia los "esperaba". Luca sentía el olor del desinfectante atacando su nariz y trataba de respirar tapándosela, pero su madre lo regañaba y lo obligaba a tener los brazos cruzados. Octavia no hablaba ni los miraba, y estaba atada a la cama con unas cuerdas que a Luca le recordaban aquellas usadas por los pescadores en sus vacaciones de siempre en Noli. No entendía por qué estaba atada. Octavia casi no se movía y no hablaba, pese a que tuviera un año menos que él, solo emitía sílabas como una bebé de pocos meses. Las visitas duraban poco, pero cuando su madre hablaba con los "médicos" a Luca se le daba permiso para ir a jugar a solas en el parque. En aquel otoño de siempre Luca jugaba a correr levantando las hojas y moviendo el agua verde de una fuente que parecía haber permanecido en silencio como todo lo que la rodeaba. Un día en cambio, Luca vio que uno de los ventanales que siempre estaban cerrados lo habían dejado abierto y, sin pensarlo dos veces, decidió entrar a ver el resto de aquel castillo silencioso llamado Villa Azzurra, tal vez por el nombre del príncipe azul que lo había hecho construir, pensaba. Pasado un corredor, tan alto que parecía un cielo y con la nariz tapada para evitar el olor del desinfectante, Luca inicia su viaje al descubrimiento de las maravillas ocultas del edificio. Desde una puerta semiabierta, por primera vez, Luca escucha ruidos o más bien gritos, se detiene, casi asustado, pero luego se cuela para ver de dónde llegan esos extraños sonidos. Los ojos de Luca que esperaban ver mujeres limpiando los tesoros del palacio se abrieron de golpe: un muchacho desnudo atado a un radiador con una cuchara en la mano comía sus excrementos mientras una de las mujeres de los extraños sombreros lo golpeaba con un trozo de la cuerda con la que estaba atado. Otra niña, Luca se quedó impresionado por los bellos ojos que tenía, iba arrastrada, desnuda, del cabello por el sombrero con las alas que no servía ciertamente para volar. Otra muchacha se daba puñetazos en su nariz y se podía ver sus huesos de tanto golpearse y alguien de los "sanos" le decía: " Sigue así en un rato te cansas.” Otra pasaba del reír al gritar como si fuera un juego pero luego de pronto cogía carrerilla y lanzaba la cabeza contra la pared, caía y se levantaba y reiniciaba este extraño juego que Luca no entendía. Una de las mujeres de los sombreros sin vuelo hablaba con uno de los doctores, sentados tranquilamente en un cono de luz que entraba del ventanal sin que nadie se preocupara de lo que estaba sucediendo. Por un instante Luca pensó que era un ensayo de un espectáculo de circo, de esos donde no le gustaba ir pero su madre siempre lo llevaba. Sin embargo no había payasos ni trompetas ni narices falsas y las máscaras no hacían reír y no tenían maquillaje sino solo el violáceo azul de los moretones y líneas rojas que parecían hechas de sangre y no de salsa de tomate. De pronto, mientras casi paralizado miraba este salón de las maravillas, Luca se sintió agarrar por el cuello con tiempo para ver una mano firme como las alas del sombrero arrastrarlo con fuerza y dándole además una ligera patada en el trasero: “Tú no debes estar aquí, son peligrosos." Luca pensó en ese momento que los únicos peligrosos eran ellos que no hacían nada y estaban sentados al sol hablando. Pero todos sabemos que los niños no entienden. Por suerte el ministro Salvini dice que los payasos " que no hacen reír son peligrosos." Ah, para quien no lo sabe, Villa Azzurra estaba gestionada por el doctor Coda llamado "el electricista" por sus juegos con la máquina de electroshock en sus pacientes y por abusar de muchas formas de ellos. En aquellos tiempos también los gay eran internados en el castillo del príncipe azul de la electricidad. Y ahora, fumando el último cigarrillo de siempre, me acuerdo que mi segundo nombre es Luca y el de mi hermana, Octavia. Enciendo otro cigarrillo. Gracias a Asun Toste para haber traducido esta nota al español creo que sea importante que ciertas cosas se puedan conocer https://www.alganews.it/2018/07/13/salvini-i-pagliacci-che-non-fanno-ridere-sono-pericolosi/
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New York/ Te'aran'rhiod 31.10.20. The end of it. David era andato a dormire con il cuore pesante. Molti i pensieri che infestavano la mente del giovane sciamano. Kimberly, ignara di ciò che si agitava nel suo cuore, dormiva tranquilla. A volte la invidiava. Lei non aveva a che fare con un karma pesante, con una stirpe potente. Le parole di Caitriona riecheggiavano nella sua mente. "Vuoi negarti qualcosa che ti renderebbe felice per paura di qualcosa che non potrebbe accadere?" Nella sua mente il volto di Gabriel si fece avanti, prepotente. Era un Haller anche lui, il suo potere era la sapienza e la sua intelligenza. A parte questo però era una persona normale. 𝑆𝑡𝑎𝑖 𝑐𝑜𝑚𝑖𝑛𝑐𝑖𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑎 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑑𝑒𝑎, 𝑖𝑙𝑎𝑘𝑎? 𝑀𝑖 𝑐ℎ𝑖𝑒𝑑𝑒𝑣𝑜 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑡𝑖 𝑠𝑎𝑟𝑒𝑠𝑡𝑖 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖𝑟𝑒, 𝑅𝑦𝑙𝑎𝑛. 𝑆𝑜𝑛𝑜 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑞𝑢𝑖 𝑐𝑜𝑛 𝑡𝑒, 𝑁𝑎𝑖𝑟𝑎. 𝑄𝑢𝑒𝑙 𝑛𝑜𝑚𝑒 𝑑𝑒𝑣𝑒 𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑎𝑟𝑒, 𝑐ℎ𝑖𝑠𝑠𝑎̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑐𝑐𝑎𝑑𝑎 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑖𝑙 𝑣𝑒𝑙𝑜 𝑒̀ 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑠𝑜𝑡𝑡𝑖𝑙𝑒. 𝑁𝑜𝑛 ℎ𝑎𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑚𝑖𝑎 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎. 𝑃𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑛𝑜𝑛 ℎ𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑎 𝑎𝑙 𝑡𝑢𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑖𝑡𝑜. Chiuse gli occhi e quando li riaprì si ritrovò in una landa deserta. Solo il vento la stava sferzando violentemente. Wakan Tanka quanto siete prevedibili. "Avanti, fatevi vedere. So che siete qui. Io non sono un codardo al contrario vostro." disse a voce alta. Un uomo, apparentemente anziano, con occhi di puro ghiaccio e altri due brutti ceffi si fecero avanti. Erano gli stessi uomini che avevano osato minacciarlo nel negozio. "Vedo che avete chiamato rinforzi ma la questione rimane immutata. State lontani dalla mia famiglia. Il nostro potere non vi appartiene." "Davvero Charles?" "David. Il mio nome è David." "Dovrei chiamarti con il tuo nome di potere?" "Buona fortuna a indovinarlo." "Oh non dovrò indovinarlo. Me lo farò dire dalla tua famiglia." Lo sciamano tacque ma il suo sguardo era fatto di fuoco. "Trovo il tuo silenzio illuminante, giovane sciamano. Temi per tuo fratello o per la tua gemella. Sono qui. Sapete cosa voglio." "Scordatelo." L'ambiente circostante mutò in maniera repentina. Il Camminatore stava agendo nell'ombra e doveva ammettere, a malincuore, che conosceva le leggi di quel mondo. Accanto a sé aveva Gabriel e Grace. David si affrettò ad avvicinarsi a loro. "Siamo nel Mondo dei sogni, vero?" "Sì, fratellone. Dovrò essere imprevedibile perché hanno dalla loro parte uno come me." "Rylan ha detto che dobbiamo credere nella nostra stirpe.” disse Gabriel. David poteva vedere la sua mente all’opera. “Se siamo qui insieme c'è un motivo. A parte il fatto che vogliono il nostro potere. Non so voi, ma io non ho nessuna intenzione di cederlo. Posso comprendere il fatto che Rylan abbia fatto un errore di valutazione quando ha compiuto il rituale, ma questi no. Forse non era questo che lui voleva quando ha creato la società." Charles Haller fece la sua comparsa in quella cella, separatamente da David. “Vorrei avere la fiducia nel mio buon cuore che hai tu, giovane donna. In realtà l’unica cosa che contava per me era far evolvere l’essere umano, con le buone o con le cattive. Quindi temo che quello che vedete sia parte di ciò che ho seminato. Sono un uomo molto diverso, ora, ma quel che ho fatto non cambia.” “ Chiacchiere a parte, come risolviamo questo casino? Come usciamo da qui e facciamo sapere a… a quei bastardi che noi non siamo disposti a dar loro un bel niente?” Gabriel interloquì con un sorriso furbo. “Io un sistema lo avrei.” A David gli si illuminarono gli occhi e, subito dopo, anche la gemella lo seguì. In coro i due disse: “Facciamolo.” Lo sciamano aggiunse: “Io ti adoro fratellone, sapevo che la tua conoscenza ci sarebbe stata utile.” “Mi manca solo…” Con un gesto veloce della mano fece comparire un barattolo di sale. “Siamo nel mondo dei sogni, Gabe. Saremo anche prigionieri ma certe leggi sono sempre valide nel Tel’aran’rhiod, soprattutto se sai come usarle. Si tolse di dosso il pendente di Eleri e lo porse al fratello. Curiosamente cominciò a reagire come se avesse riconosciuto il suo vero appartenente. “Lo sapevo! Sapevo che dentro di te c’era qualcosa della mia Eleri, lo sapevo!” esclamò Haller felice. “Ora siamo completi.” “Comincia a tracciare, Wilyandil, io darò il via alle danze.” “Come diavolo mi hai chiamato?” sbottò Gabriel stupito. “ E’ il tuo nome. Amico dell’aria. Direi che ti si addice. Vogliamo iniziare?” Rylan scoppiò a ridere. “E menomale che dici di non avere attitudine al comando, ilaka.” 𝑅𝑢́𝑛𝑒𝑛𝑦𝑎 sussurrò una voce nella sua mente. “Oh si…” si lasciò scappare dalle labbra. I due fratelli lo guardarono con fare curioso. “Ho appena ricevuto il nuovo nome di potere ed è perfetto. Ve lo dirò, perché io conosco i vostri ma non ora. Diciamo che sarà la mia sorpresa.” Gabriel finì la sua opera e i gemelli Wright ammirarono il suo operato. “E’ potere allo stato puro ma manca ancora qualcosa.” La sorella annuì e cominciò a intonare: 𝑄𝑢𝑖 𝑒 𝑎𝑑𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑖𝑛𝑣𝑜𝑐𝑜 𝑖𝑙 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑇𝑒𝑟𝑟𝑎, 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜𝑙𝑜 𝑓𝑒𝑟𝑡𝑖𝑙𝑒, 𝑙𝑎 𝑠𝑜𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑛𝑢𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑎𝑙𝑢𝑡𝑒. 𝐻𝑜 𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑐𝑎𝑣𝑒𝑟𝑛𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑜𝑛𝑑𝑒 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑒 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡𝑎̀ 𝑝𝑒𝑟 𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒𝑟𝑒 𝑟𝑎𝑑𝑖𝑐𝑎𝑡𝑎 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜. 𝑀𝑜𝑛𝑡𝑎𝑔𝑛𝑒 𝑒 𝑝𝑜𝑙𝑣𝑒𝑟𝑒. 𝑃𝑖𝑒𝑡𝑟𝑒 𝑒 𝑐𝑟𝑖𝑠𝑡𝑎𝑙𝑙𝑖 𝑇𝑒𝑟𝑟𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡’𝑢𝑚𝑖𝑙𝑒 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖𝑎 𝑡𝑖 𝑖𝑛𝑣𝑜𝑐𝑎. Alla fine dell’invocazione una parte del sigillo cominciò a riempirsi di energia. “Quando sarà il tuo turno, Gabriel, fai uscire dalle tue labbra non solo ciò che sai ma anche quello che senti nel profondo. So che pensi di non essere né uno sciamano, né una strega ma sai creare un sigillo e sono sicuro che sai come invocare l’aria. Devi solo lasciarti andare. Mi fido di te.” David mormorò a voce bassa la sua invocazione. 𝐼𝑛𝑣𝑜𝑐𝑜 𝑖𝑙 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑎𝑐𝑞𝑢𝑎 𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑓𝑢𝑜𝑐𝑜. 𝐼𝑙 𝑓𝑙𝑢𝑖𝑑𝑜 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑒 𝑚𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑒 𝑙𝑎 𝑙𝑢𝑐𝑒, 𝑙𝑎 𝑠𝑜𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑎𝑡𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑒𝑛𝑒𝑟𝑖𝑟𝑒 𝑙𝑒 𝑚𝑖𝑒 𝑐𝑎𝑡𝑒𝑛𝑒 𝑒 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑚𝑖𝑜 𝑠𝑎𝑛𝑔𝑢𝑒 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡𝑎̀ 𝑂𝑐𝑒𝑎𝑛𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜, 𝑐𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑏𝑒𝑛𝑒𝑓𝑖𝑐𝑜 𝐹𝑢𝑜𝑐𝑜 𝑒 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑢𝑚𝑖𝑙𝑒 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑣𝑖 𝑖𝑛𝑣𝑜𝑐𝑎. Gabriel Wright avanzò verso il sigillo. I suoi occhi si erano trasformati. Come aveva previsto, il suo elemento era entrato in risonanza con quelli dei due gemelli. David ebbe un moto di orgoglio ma non poteva dire se fosse qualcosa che apparteneva a sé stesso o a Rylan. Non gli importava. Stette ad ascoltare la voce della sua famiglia che lo chiudeva. 𝐼𝑛𝑣𝑜𝑐𝑜 𝑖𝑙 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑎𝑟𝑖𝑎 𝐿𝑎 𝑙𝑒𝑔𝑔𝑒𝑟𝑎 𝑏𝑟𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑒𝑠𝑡𝑖𝑣𝑎 𝑖𝑙 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑣𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑝𝑢𝑜̀ 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑟𝑢𝑔𝑔𝑒𝑟𝑒. 𝐿𝑎 𝑣𝑒𝑟𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑣𝑖𝑎𝑔𝑔𝑖𝑎 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑒 𝑡𝑢𝑒 𝑎𝑙𝑖. 𝑁𝑢𝑣𝑜𝑙𝑒 𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑝𝑖𝑟𝑜 𝑅𝑢𝑚𝑜𝑟𝑖 𝑒 𝑚𝑢𝑠𝑖𝑐𝑎 𝐴𝑟𝑖𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑢𝑚𝑖𝑙𝑒 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑣𝑖 𝑖𝑛𝑣𝑜𝑐𝑎. David decise di portare a termine la questione con Chimera in modo definitivo: 𝐼𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑖𝑙 𝑉𝑒𝑙𝑜 𝑒̀ 𝑠𝑜𝑡𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑒 𝑙𝑎 𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑒̀ 𝑎𝑚𝑝𝑖𝑎. 𝐼𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑠𝑎𝑐𝑟𝑎 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑆𝑎𝑚ℎ𝑎𝑖𝑛, 𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑙𝑎 𝑚𝑎𝑔𝑖𝑎 𝑒̀ 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑓𝑜𝑟𝑡𝑒, 𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑒 𝑎𝑖 𝑞𝑢𝑎𝑡𝑡𝑟𝑜 𝑒𝑙𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖, 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑠𝑖𝑔𝑖𝑙𝑙𝑜 𝑟𝑎𝑐𝑐ℎ𝑖𝑢𝑠𝑖 𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖, 𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑠𝑎𝑝𝑝𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑎𝑛𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑁𝑜𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑖𝑟𝑝𝑒 𝐻𝑎𝑙𝑙𝑒𝑟 𝑞𝑢𝑖 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑁𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑛𝑜𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑟𝑎̀ 𝑚𝑎𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑡𝑜𝑐𝑐𝑎𝑡𝑜. 𝑁𝑜𝑠𝑡𝑟𝑜 𝑖𝑙 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑟𝑒, 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎 𝑙𝑎 𝑑𝑒𝑐𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒. 𝑁𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜. 𝑃𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑎𝑡𝑎, 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑓𝑢𝑡𝑢𝑟𝑎. 𝐶𝑜𝑠𝑖̀ 𝑣𝑜𝑔𝑙𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑖̀ 𝑠𝑎𝑟𝑎̀. I tre fratelli Wright sentirono la presenza di tutte le generazioni passate degli Haller. David poteva sentire sulla sua pelle, il ringraziamento per quella decisione. L’uomo anziano li guardava furente. Aveva sperato di poter mettere le mani sulla loro essenza e poterla piegare a suo piacimento. Charles David Haller non era di certo un uomo facile e la sua progenie non era da meno. Quello sciamano… Chi era? Perché era così potente? Aveva perso tutto? Ormai Chimera non aveva più ragione d'essere, non nella forma che aveva ora. Nessuno dei ragazzini che aveva raccolto fino a quel momento si sarebbe mai avvicinato al dispiegamento di forze entrate in gioco quella notte. White Eagle si avvicinò. “Non ho paura di te. Vivi e spargi al mondo il racconto di quello che è successo questa notte. Dì loro di lasciarci in pace o saranno guai. La mia famiglia per voi diventa intoccabile da adesso. Se volete far evolvere l’uomo, vi aiuteremo, ma non come avete fatto finora. Chimera dovrà cambiare.” 𝑂𝑟𝑎 𝑖𝑙 𝑚𝑖𝑜 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 𝑒̀ 𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑜, ��𝑢́𝑛𝑒𝑛𝑦𝑎. 𝑃𝑜𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑎𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑡𝑜𝑟𝑛𝑎𝑟𝑒 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝐿𝑢𝑐𝑒. 𝑅𝑦𝑙𝑎𝑛? 𝐷𝑖𝑐𝑖 𝑠𝑢𝑙 𝑠𝑒𝑟𝑖𝑜? 𝑆𝑖̀, 𝑝𝑖𝑐𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑚𝑖𝑜, 𝑛𝑜𝑛 ℎ𝑎𝑖 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑏𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑒. 𝑆𝑒𝑖 𝑎𝑛𝑑𝑎𝑡𝑜 𝑜𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑎 𝑐𝑖𝑜̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑜 𝑣𝑜𝑙𝑒𝑣𝑜. 𝑆𝑒 𝑚𝑎𝑖 𝑑𝑜𝑣𝑒𝑠𝑠𝑖 𝑖𝑛𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎𝑟𝑒 𝑙𝑎 𝑚𝑖𝑎 𝐸𝑙𝑒𝑟𝑖… 𝑑𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑙’𝑎𝑚𝑜 𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑎𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝐿𝑢𝑐𝑒. 𝑁𝑜𝑛 𝑎𝑣𝑒𝑟 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑡𝑢𝑜 𝑠𝑎𝑛𝑔𝑢𝑒, 𝑏𝑎𝑚𝑏𝑖𝑛𝑜 𝑚𝑖𝑜. 𝐸’ 𝑓𝑜𝑟𝑡𝑒 𝑒 𝑡𝑖 𝑔𝑢𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎̀ 𝑝𝑒𝑟 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑜𝑟𝑟𝑎𝑖. 𝐶𝑖 𝑣𝑒𝑑𝑟𝑒𝑚𝑜 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝐿𝑢𝑐𝑒. David scoppiò a piangere. Non l’avrebbe mai detto quando tutta quella storia era iniziata ma adesso avrebbe sentito la mancanza della voce di Rylan. Grace e Gabriel lo abbracciarono forte. “E’ strano.” “No, credo di no. Tu più di tutti hai sentito il legame con lui e adesso ti spiace vederlo andare. Lui è ancora qui, accanto a te, accanto a noi. E’ nel nostro sangue, nei nostri nomi di potere. E mi hai sorpreso quando ne hai trovato uno per Gabriel. Fratellone… ti chiedo scusa per averti escluso, non lo farò più. Non dopo questa notte. Charles David Haller vive in te. Ora so perché la mamma ha insistito tanto per chiamarti David. Sapeva quello che faceva, sapeva dove saremmo arrivati.” “Venite a casa mia, domani. Dobbiamo festeggiare, in qualche modo.” “Magari facciamo un altro giorno. Domani dovremo recuperare le energie di questa giornata.” “In effetti non hai tutti i torti. Abbiamo tanto su cui pensare e io ora sono così stanco…” “Sì ma siamo liberi. Quello che abbiamo fatto stanotte ci ha reso liberi, fratellino. Grazie.” “Gabriel non…” David non riuscì a finire la frase. Pian piano i suoi occhi si chiusero e quando li riaprì aveva di fronte quelli limpidi della sua amata. Le sorrise dolce. “Il modo migliore per tornare a casa.” [ 𝐓𝐡𝐞 𝐞𝐧𝐝 ]
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22 gen 2019 12:03
GIGI SIMONI FA 80! "L’INTER E’ STATO IL MIO GRANDE AMORE. NON MI ASPETTAVO DI ESSERE ESONERATO. MA MORATTI HA RICONOSCIUTO DI AVERE SBAGLIATO – IL RIGORE NON FISCHIATO A RONALDO CONTRO LA JUVE? UNA FERITA CHE RESTERA’ PER SEMPRE. L’ARBITRO CECCARINI L’HO RIVISTO MA HA FATTO FINTA DI NON RICONOSCERMI – SPALLETTI? A VOLTE FACCIO FATICA A CAPIRLO" – E POI MERONI, BRUNO CONTI, RONALDO (“IL PIU’ FORTE CHE HO ALLENATO”) E QUEL REGALO DI BAGLIONI QUANDO LASCIO’ LA LAZIO…
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Alberto Cerruti per gazzetta.it
Dalla prima partita con la Fiorentina di Bernardini all’ultima come presidente della Cremonese. Gigi Simoni ha attraversato più di sessant’anni di calcio, da giocatore, allenatore e presidente, tra i pochi protagonisti in quattro derby – a Genova, Torino, Roma e Milano –: l’unico ad avere festeggiato dodici promozioni, ma soprattutto l’unico capace di farsi voler bene da tutti, da San Siro a Sanremo.
Da Moratti a Baglioni, che non ha aspettato il compleanno numero 80 di oggi per fargli un regalo dal quale non si è mai separato. “Vede questa medaglietta d’oro? La tengo sempre sotto la camicia, perché me l’ha donata Baglioni quando ho lasciato la Lazio. C’è la data, 12-6-1986, con la dedica: “Per un amico che partendo non se ne va, un ricordo di una bella amicizia nata a Roma e mai interrotta”.
Prima e dopo la Lazio, è stato in altre 20 squadre: a quale è rimasto più affezionato?
“Il primo amore è stato il Grande Torino che ho visto da bambino con mio papà. Poi ho giocato nel Toro con Meroni, quando ci chiamavano “i Luigi d’oro” e per questo seguo con simpatia il Torino, anche perché Cairo è sempre stato molto affettuoso con me. E poi nel Torino c’è Petrachi, mio ex giocatore, che è bravissimo. Il vero tifo, però, è per l’Inter, il grande amore professionale. E per tutti i tifosi io sono sempre l’allenatore dell’Inter”.
Ma con l’Inter era finita male…
“Non mi aspettavo di essere esonerato. Moratti, però, ha riconosciuto di avere sbagliato e adesso abbiamo un ottimo rapporto, perché è davvero una persona splendida. A Natale mi ha mandato un panettone enorme, con gli auguri”.
Il ricordo più bello è la coppa Uefa?
“Solo a livello sportivo, perché io scappai negli spogliatoi amareggiato per le voci che circolavano sul possibile arrivo di Zaccheroni. E infatti non ci sono nelle foto dei festeggiamenti. A livello personale, invece, il ricordo più bello è l’ovazione ricevuta dai tifosi di San Siro, tutti in piedi ad applaudirmi, quando sono tornato la prima volta sulla panchina del Piacenza. Moratti mi ha detto che nessun altro è stato accolto così”.
Come mai poi è passato al Piacenza?
“Mi avevano chiamato Del Sol per il Siviglia, Eriksson per il Benfica. Magari sarei diventato il capo di Mourinho che incominciava allora, ma rifiutai per motivi personali, preferendo ricominciare da Piacenza”.
Ha smaltito la rabbia per quel rigore non fischiato da Ceccarini a Ronaldo?
“È una ferita che rimarrà sempre, anche perché Ceccarini ripete che aveva visto giusto”.
Non ha più riparlato con lui?
“No, anche perché quando ci siamo trovati a qualche cerimonia io l’ho salutato e lui ha fatto finta di non riconoscermi”.
Chi ricorda più volentieri tra i tanti giocatori allenati?
“Il mio preferito, a livello umano, è Bruno Conti. L’ho scoperto a 20 anni, l’ho lanciato titolare nel Genoa. Un ragazzo d’oro, campione in campo e fuori”.
A livello tecnico, invece, il primo è Ronaldo…
“Il più forte che ho allenato. Conservo ancora la sua maglia sporca di fango, dopo la doppietta a Mosca. Ma non dimentico West, che mi manda ancora tartarughine in legno”.
Chi vorrebbe rivedere tra i suoi tanti compagni d’avventura?
“Rocco, grande allenatore e uomo unico. Mi portò al Torino e poi mi anticipò la convocazione in Nazionale, grattandosi la pancia nello spogliatoio”.
Come visse il successivo trasferimento dal Torino alla Juve?
“Andai alla Juve perché fu bloccato il trasferimento di Meroni e perché mi voleva Heriberto Herrera, però giocai poco. La Juve aveva quelle strane maglie che si allargavano sulla schiena. Se davvero lì è nata la storia dei gobbi, io sono stato uno dei primi gobbi”.
Oggi c’è un’altra Juve: ricorda squadre più forti?
“La Juve è la squadra più forte, ma la più forte che ricordo è la Fiorentina di Bernardini, che vinse lo scudetto nel 1956”.
Quanto ci vorrà per rivedere un’Inter da scudetto?
“Spero poco, perché per adesso è ancora una squadra che può vincere con chiunque, perdere con chiunque e fare solo un punto in due partite contro il Sassuolo”.
Le piace Spalletti?
“È un buon allenatore, ma a volte faccio fatica a capirlo”.
Chi vorrebbe vedere, in futuro, al suo posto?
“Simeone sarebbe l’ideale, è di un’altra categoria. L’ho avuto come giocatore e in un quaderno aveva già gli appunti sui metodi di lavoro di tutti i suoi allenatori. Mai visto uno così”.
Icardi non segna più: è condizionato dal contratto?
“Non credo perché è forte in campo e fuori. Come attaccante non ha rivali e merita di rimanere all’Inter, anche se la trattativa mi sembra un po’ complicata”.
C’è un allenatore nel quale si rivede?
“Giampaolo, che avevo portato a Cremona. Non so se sia un bene o un male, ma mi assomiglia molto”.
A 80 anni è stanco di guardare il calcio?
“No, perché il calcio è la mia vita. Mi manca il campo ed è un peccato che non si possa fermare il tempo. Ma ho la fortuna di avere vicino mia moglie Monica e mio figlio Leonardo, che per colpa di Shevchenko è diventato milanista. Così, quando c’è il derby, sono contento in ogni caso: per me o per lui”.
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L’OROSCOPO DI PAOLO FOX PER IL NUOVO ANNO...SEGNO PER SEGNO
Ariete. Non è improbabile che qualcuno sia alla ricerca di una situazione di stabilità che riguarda anche la vita sentimentale. Dall’estate di quest’anno c’è questa ricerca continua di stabilità, di emozioni. Ora, il vero problema è che magari gli Ariete che sono sposati, legati da tanto tempo, queste emozioni le cercando altrove o magari in famiglia c’è aria di maretta, c’è stato un piccolo problema agli inizi dell’autunno. Ecco, se ci sono vecchi contenziosi aperti qui si può fare una scelta: o si cambia tutto, anche riferimento a livello sentimentale, oppure si aggiusta tutto. Bisogna affrontare con calma il ragionamento piccoli problemi. Lo dico anche in vista di una domenica che potrebbe essere un po’ particolare.
Toro. È difficile, per un Toro, affrontare i cambiamenti dall’oggi al domani. Ma in questo periodo è necessario capire quali sono le nuove esigenze, visto che abbiamo avuto una situazione particolare. C’è stata anche una tensione, l’opposizione di Giove ha creato delle difficoltà. Compravendite, acquisti, cambio dello stile di vita: tutta una serie di situazioni pratiche ed emotive coinvolgono il Toro e lo spingono ad un rinnovamento. Ad esempio, qualcuno potrebbe avere intenzione di cambiar casa, ufficio, o l’ha già fatto. Insomma, molti mutamenti sono in corso, ma come al solito- lo dicevo prima- il Toro prende tempo prima di arrivare al dunque, vuole garanzie, e il problema è che se non si è assistiti a livello sentimentale da una persona giusta, ecco, in questi giorni un po’ di malinconia arriva. Per fortuna arriverà anche Gennaio che è un mese che libera dall’opposizione di Giove e rende tutto un po’ più facile.
Gemelli. Avevo chiuso dicendo che qualche Gemelli potrà armare un conflitto con capi, colleghi, collaboratori, oppure in questi giorni ce l’hai con una persona a cui hai dimostrato molta amicizia e che magari adesso non ricambia come dovrebbe. Ricordiamo che Giove in opposizione rappresenta anche questo, rappresenta una condizione che può essere di scontro magari, di rivalsa, e allora attenzione alle discussioni, alle problematiche, alle questioni irrisolte perché a furia di dire “ci penso domani” oppure “affronto il problema quando arriva” adesso c’è una montagna di incertezze che bisogna cercare di spazzar via.
Cancro. Questi giorni ricordo a tutti i nati del segno del Cancro che c’è bisogno d’amore, poi, addirittura, quest’anno la Luna transiterà dalle tue parti e allora qui avremo contenti e scontenti perché chi ha una famiglia sarà soddisfatto, chi non ce l’ha, o magari ricorda situazioni che una volta c’erano e ora non ci sono più, sarà un pochino malinconico. Ma il Cancro fa nascere anche positività dalla malinconia. Voi sapete che alcuni grandi scrittori appartennero al segno zodiacale del Cancro ed erano quelli che magari proprio dalla loro sofferenza, dalla meditazione, hanno portato avanti delle grandi opere che sono nella storia della letteratura. Penso a Sartre, a Proust, al nostro Leopardi. Ecco, insomma, senza arrivare a così alti livelli io credo che comunque in questi giorni amare, rivelare un sentimento, anche se c’è ambiguità nel tuo cuore sarà importante. Non serve scrivere poemi o saggi. L’importante è essere saggi nei confronti dei sentimenti.
Leone. Si può tornare ad amare come un tempo? Molti Leone se lo stanno chiedendo, tra l’altro la Luna tocca il settore dei viaggi, degli spostamenti, dei cambiamenti. Il nuovo anno rassicura, può portare molta energia. Un’energia che è veramente l’inizio di una fase migliore, come un motorino di avviamento, no? In un’automobile c’è quel motorino che mette in moto poi tutto l’insieme. Ecco, è piccolino ma se non ci fosse la macchina non partirebbe. Bene. Gennaio rappresenta quel motorino: ci siamo quasi per arrivare, quindi parlo di volontà nel superare molte crisi ma anche buone proposte in amore, finalmente, perché non è che Dicembre sia stato così intrigante da questo punto di vista. Torni ad avere un certo potere.
Vergine. Il nuovo anno sarà un po’ particolare e qualcuno sentirà anche una grande stanchezza addosso. Piccole problematiche di tipo fisico che sono, tra l’altro, naturali quando i nati Vergine pensano un po’ troppo ai problemi e un po’ meno all’amore. Molto meglio procedere con cautela e recuperare un sentimento nel corso del fine settimana. Amori possibili. A Gennaio qualcuno metterà in ordine le proprie storie.
Bilancia. La Bilancia ha bisogno di un po’ di serenità, soprattutto in vista di un nuovo anno che può riportare alla luce qualche contrasto anche di tipo familiare. Quest’agitazione interiore è causata dall’ambiente, l’ho detto tante volte, quindi non sei tu ma le persone attorno a te in famiglia, sul lavoro, che possono alzare il tuo livello di stress. Cerca di gestire senza troppi scossoni emotivi. Molto importanti i nuovi amori, anche in vista di inizio Gennaio.
Scorpione. Questo nuovo anno è sicuramente in crescendo per lo Scorpione. Lo Scorpione adesso è pronto anche a rivisitare la propria vita privata, a dare spazio a grandi progetti. Io direi a quelli che si sono isolati di non chiudersi in casa perché veramente c’è la possibilità di fare incontri speciali, anche di stare meglio se qualcuno sta lottando da un paio d’anni con qualche problema fisico. E se ci sono delle situazioni che non vanno più bene tanto vale tagliare dal basso il tutto e ripartire.
Sagittario. Chiedo al Sagittario di non strafare perché è vero che il nuovo anno sarà un anno pieno di iniziative ma è anche vero che in questi giorni il livello di energia non è altissimo. Sarà che devi discutere con tutti. Con chi? Con quelli che cercano di fermarti dal momento che tu, ormai, hai messo la quinta marcia e voli lontano. Una bella voglia anche di vivere relazioni sincere sarà una caratteristica delle prossime settimane.
Capricorno. Inizio d’ano in crescita per il Capricorno, nonostante le critiche piovano da tutte le parti. D’altronde tu poi le attiri perché quello che fai è sempre superiore a quello che in qualche modo gli altri si aspettano, e allora ci sono gli invidiosi, ci sono quelli che non accettano che tu faccia tutto di testa tua. È normale. Momento importante per recuperare un sentimento, con una fine dell’anno che promette qualcosa in più.
Acquario. L’Acquario è molto libero nelle sue passioni, ma adesso vuole ritrovare un po’ di tranquillità, la famiglia, riferimenti stabili. Non posso escludere che la forma fisica per qualcuno sia un problema, ma perché sappiamo che gli ultimi 6-8 mesi hanno dato problemi o rivelato qualche piccolo fastidio che bisogna curare.
Pesci. A inizio anno può nascere qualche perplessità nel cielo dei Pesci. Tutto va in ritardo. Ma hai capito dove devi andare e dove devi stare. Piccoli ritardi che comunque non devono affliggervi, a meno che tu non abbia un dubbio d’amore e sei in bilico tra due storie. La Luna favorevole permetterà un ottimo recupero e qualche idea in più.
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Diario di bordo - 5° giorno di Route 66 (Texas)
Mentre ci prepariamo per andare a fare colazione, io e gli altri parliamo di come sarà il Texas. È una delle mete più attese eppure, ci diciamo, adesso che abbiamo visto l’Oklaoma nella sua immensa bellezza, siamo sicuri che sarà difficile trovare qualcosa che possa superarla. Non abbiamo nemmeno il tempo di ripetere la nostra frase rito “come l’Oklahoma però non c’è niente” perché, non appena messo il muso fuori, quello che ci si presenta davanti ci fa perdere le parole e ci fa dimenticare il discorso. Se quello di ieri in Kansas è stato il tramonto più bello mai visto, questa è senza ombra di dubbio l’alba più bella della mia vita. Mentre ammiro il cielo avvolto nel rosa e la strada infinita e deserta davanti a me, mi domando perché colleziono tramonti in giro per il mondo e non albe. Non so darmi una risposta, difficile riflettere con lucidità davanti a un paesaggio che toglie il fiato come questo.
Scattiamo delle foto, tante, ma non rendono. Le macchine fotografiche catturano un’immagine posticcia che ricorda solo lontanamente quella reale.
Torniamo dentro e facciamo una ricca colazione. Io mangio, tra le altre cose, anche una waffel a forma di Texas.
Il programma di oggi è serrato, come ogni giorno. Ci mettiamo perciò subito in viaggio verso Amarillo.
Passiamo da un museo che purtroppo è chiuso e poi visitiamo una città fantasma. Posteggiamo l’auto al centro della strada deserta e scendiamo a dare un’occhiata.
C’è una stazione di servizio che ha tutta l’aria di essere abbandonata da molti anni. La porta è aperta. Ci sono un paio di stivali davanti l’ingresso. Vorremmo entrare a curiosare, ma non siamo certi che sia saggio. Chiamiamo, non riceviamo risposta. Sul pavimento c’è di tutto e sembra che ci abbia abitato qualcuno. Ci sono vestiti, scarpe, bottiglie d’acqua vuote, un rotolo di carta igienica e tante altre cose. E poi c’è ciò che si trova in ogni stazione di servizio: pile di libri usati, uno stand con le cartoline. Vorrei entrare e scrutare con attenzione gli oggetti caratteristici e quelli di antiquariato, ma temiamo di vedere spuntare un texano infuriato, magari con un fucile sotto braccio. Perciò entriamo solo per pochi attimi, giusto il tempo di afferrare due cartoline e un libro usato.
Torniamo in macchina e ci allontaniamo terrorizzati, convinti che sentiremo suonare da un momento all’altro le volanti dello sceriffo. È impossibile, siamo in mezzo al nulla e abbiamo preso solo un libro vecchissimo e due cartoline altrettanto vecchie, però abbiamo paura lo stesso. Immaginandoci già dietro le sbarre, Marco intona I shot the sherriff e noi gli facciamo eco cantando, urlando e ridendo fino alle lacrime.
A farci tornare seri è un’officina di autodemolizione a cielo aperto. Ci sono pezzi di auto ovunque, molti arrugginiti, tutti coperti da centimetri di sabbia. Di nuovo mi accorgo di quanto sia strano trovare posti deserti e intatti da chissà quanto tempo. Prendo una targa ricordo e andiamo via.
Vagare tra le strade deserte è emozionante. È assurdo come tutto sia rimasto così come è stato lasciato. Sembra di essere in uno di quei film in cui spariscono tutti improvvisamente.
Facciamo una sosta davanti il Bug Ranch e qui ci sono dei turisti. Ci salutano, scambiamo qualche parola e poi si spostano così da permettere anche a noi di scattare delle foto.
Amarillo si avvicina, ma prima di raggiungerla facciamo qualche altra sosta.
In tarda mattinata arriviamo ad Amarillo. Cerchiamo un centro ma un centro non c’è. Chiediamo all’unica persona che troviamo per strada, un texano con il viso bruciato dal sole e con abbigliamento caratteristico. Ha un accento strano e sembra non capire bene ciò che stiamo cercando. Alla fine posteggiamo e vaghiamo per le strade deserte. Trovare Amarillo priva di vita mi sconvolge e delude. Non c’è un solo negozio o ristorante aperto. Incontriamo solo un secondo texano, ha un cappello in testa e fa un pisolino su una panchina.
Vaghiamo a piedi per un po’, corriamo e urliamo per le strade, cerchiamo invano persone e negozi aperti. Alla fine, affamati, decidiamo di lasciare Amarillo (che Marco continua a chiamare Armadillo, facendoci ridere ogni volta) e di andare alla ricerca del ristorante più famoso del Texas. Tornando alla macchina ci accorgiamo che il texano dorme ancora sulla panchina dove lo abbiamo lasciato mezz’ora fa.
Il The Big Texan è proprio come lo abbiamo visto in Man versus Food, enorme e bellissimo. All’ingresso c’è un negozio che vende di tutto, non vedo l’ora di entrarci, ma prima decidiamo di riempire lo stomaco (siamo affamati e il profumino che riempe il locale rischia di farci svenire).
Ecco che fine hanno fatto gli abitanti di Amarillo: il locale è pienissimo!
Attraversiamo la zona “bar” con il bancone, una fila di slot, i tavoli da biliardo, la riproduzione di un set horror, una vetrina su cui è esposta una finta bistecca da due chili, le foto di Adam Richman e degli altri che hanno provato a finirla tutta, e tanto altro. Mi sento in un lunapark.
La tristezza per l’aver trovato Amarillo vuota è sparita. Qui è tutto stupendo e si respira vera aria texana.
Arrivano i menù. I prezzi sono alti, ma le portate sembrano abbondanti e tutte super appetitose. Io scelgo il menù Ribs e Smoked beef, ovvero braciole caramellate in salsa Bbq e fettine sottilissime di carne di manzo affumicata con contorno di fagioli, purea di patate, un anello di cipolla in pastella, un bocconcino sofficissimo, la salsa barbecue e un bicchierone di coca cola ghiacciata. Giuro che non ho mai mangiato carne così buona. È tutto divino. Il mio pranzo è costato molto più dei pranzi fatti fino a oggi, ho pagato 16 dollari, ma ne è valsa assolutamente la pena.
Sazi e soddisfatti visitiamo lo shop. È fornitissimo e perdiamo lì dentro minimo un’ora (forse anche due). Compriamo cappelli e altre cose e poi, fatta qualche foto nel bellissimo esterno, ritorniamo in Route.
L’istallazione del Cadillac Ranch è affollata di turisti, incredibile! Molti scrivono con le bombolette sulle auto, lasciano traccia del loro passaggio. Altri fanno foto buffe. Noi purtroppo non abbiamo trovato le bombolette (tutti i negozi erano chiusi!) e quindi non possiamo lasciare la nostra firma come avevamo deciso. Pazienza, essere qui è lo stesso bellissimo.
Ci lasciamo alle spalle qualche altro museo e negozio chiuso e l’ennesima città fantasma, e poi via, diretti verso Tucumcari.
L’ultima città del Texas che incontriamo è Adrian, famosissima per il midpoint. Arriviamo come speravamo prima del tramonto, perciò possiamo fare qualche foto. Il midpoint è il punto che taglia esattamente a metà la Route 66. Essere a metà strada ci regala emozioni contrastanti. Da adesso in poi, più ci avvicineremo alla fine e più ci domanderemo: “e se vivessimo così? Da nomadi, girando il mondo in auto, vivendo di ciò che capita e trovandoci in ogni momento nel posto esatto in cui vorremmo trovarci?”
Il locale che fa le Ugly Pies, torte brutte ma buone, tanto per cambiare è chiuso. Partire nella stagione sbagliata ci ha impedito di visitare tantissimi posti, però per un certo verso è stata una fortuna. Non saremmo mai arrivati in tempo, se ci fossimo fermati a visitarli. Forse a quest’ora saremmo ancora là, dentro uno di quei musei o locali.
Ci godiamo l’ultimo tratto di Route texana con lo stato d’animo di ogni sera: tristezza ed euforia. Salutiamo il Texas con il cuore pieno di emozioni contrastanti e al solito contiamo alla rovescia prima di varcare il confine e urliamo una volta dall’altro lato: siamo in New Messico. Che la nuova avventura abbia inizio!
C’è ancora luce quando arriviamo a Tucumcari. Non siamo troppo stanchi e siamo indecisi se rimanere qui o se proseguire fino a Santa Rosa. Ci pensiamo parecchio, ognuno di noi ha un’idea diversa. Alla fine ci rimettiamo in macchina, ma non prima di aver fatto tappa nel primo vero supermercato incontrato fino a ora. Qui, miracolo dei miracoli, hanno di tutto. Voglio piangere. C’è anche la frutta! Anzi, a dire il vero, c’è un sacco di frutta. Frutta mai vista. Ecco una delle cose che amerò del New Messico, i supermercati mega forniti e la frutta e la verdura sconosciuta.
C’è un’altra differenza rispetto agli altri supermercati in cui siamo stati: qui c’è la sicurezza all’ingresso. Un uomo mi fa posare la borsa dentro un armadietto, potrò riprenderla solo dopo aver pagato. La terza novità è la lingua: l’inglese ha lasciato il posto allo spagnolo.
Io e Marco prendiamo una Papaya. Non abbiamo idea di come la mangeremo, ma ci va. A costo di doverla aprire con le unghie.
Proseguiamo per Santa Rosa e ci fermiamo nel primo Motel che troviamo.
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