#CHI CAZZO SE NE FREGA DI ELISABETTA???
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mossmx · 1 year ago
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i got my hands on stupid mags from my granma but in the February number there's NO PICS OF FIORE???? damn it!!!!
I wanted to make fiore collages ;____; silly grandma why you buy the useless ones??? I have *so many* royal shit on these fish wrappers!!! I only got a teeeny tiny Ama and no Fiore >3< I AM POUTING!!
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venice-world · 4 years ago
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1 PENSIERI 1
Mai nella mia vita avrei mai pensato di scrivere un libro. Spesso ci sottovalutiamo, noi esseri umani siamo strani, vogliamo una cosa e poi una volta ottenuta perdiamo l’interesse. Oggi 29 marzo 2021 provo qualcosa di inedito dentro me, una sorta di solitudine, voglia di alienarmi da tutto. Adoro le cose scritte di getto senza pensarci, sono le più sincere, la sincerità è fondamentale. Mi ritengo diverso da tutti, ho una personalità inquietante, in un momento potrei scalare l’everest, nell’istante successivo sono apatico, privo di senso, mi chiudo in camera spengo il cervello e attendo che il mostro vada via. Il bello di questo libro è che non ha nessun senso logico, come ogni cosa che faccio. Vorrei stare bene con me stesso, sentirmi libero, essere sereno. É la cosa che desidero di più. Vorrei vivere in una casa in campagna, nel silenzio, immerso nella natura, sarebbe la cosa più appagante del mondo. La pandemia sta rovinando la mia stabilità mentale. Mi fa stare male fingere di essere felice, ma è necessario perché nessuno può darmi la soluzione al problema, solo io posso. Pensiamo tutti di essere brave persone, ma dentro ognuno di noi, chi più chi meno, c’è del marcio, l’uomo è un peccatore per natura. L’estate è un periodo bellissimo, perché vado quella settimana a Giulianova a vivere quella spensieratezza che durante il resto dell’anno non ho. Mi ricordo una volta che tornato a casa dopo quella settimana, piansi, al solo pensiero che sarebbe tornata la normalità. Piangere credo sia una delle sensazioni più liberatorie che si possano provare. Oggi avrei dovuto studiare, non l’ho fatto, sono andato a pranzo da mia nonna e poi sono stato sul letto per 6 ore a guardare il vuoto, la sera ho visto la nazionale, che ha vinto 2-0 e forse a pasquetta nonostante la zona rossa riesco a uscire. Raccontare la quotidianità fa bene dicono, è un modo di sfogarsi. Faccio lo stronzo e sono freddo ma in realtà voglio amare, proprio ieri mentre parlavo con un’amica le ho confessato che il periodo più felice della mia vita è
stato il periodo in cui sono stato fidanzato, dal 2014 al 2017, un periodo fantastico; mi sentivo invincibile, senza problemi a cui pensare, innamorato della vita. Un altro momento speciale che ricordo sempre con emozione, ero sul treno che facevo velletri-roma termini avanti e indietro aspettando l’ora di pranzo per tornare a casa e far credere a mia mamma che stavo a scuola, e mentre ero su quel treno ascoltavo “dove gli occhi non arrivano” l’album di rkomi appena uscito e guardavo il panorama sognando un futuro migliore. Già lo so che in questo libro ci saranno errori verbali o altro ma me ne sbatto il cazzo, i pensieri vanno presi al volo e incollati qui, come vengono vengono. É incredibile come riesco ad innamorarmi di tutte le ragazze che incontro sui mezzi, come fate a esse tutte fighe, tacci vostra. Riuscirò un giorno ad essere totalmente me stesso con le persone? Penso sia difficile come rimorchiare in discoteca :)
Vorrei scrivere una canzone e registrarla, quando avrò qualcosa di vero da dire forse la farò. Altro momento che voglio raccontare, 1 gennaio 2020 ore 6:10, buio, io alla stazione di Velletri aspettando di tornare a casa, un freddo boia e un sonno incredibile; prendo le cuffiette e metto “NO PROBLEM” di bresh, non so mi ha dato delle vibes uniche, mi sentivo leggero, correvo sulle nuvole, che sensazione! O forse ero fatto come una pigna e ho enfatizzato troppo. Mi diverte osservare le persone, fare delle teorie su cosa pensano, come sono fatte, ognuno di noi ha quella cosa che lo differenzia dall’altro. Spesso mi lamento del fatto che non riesco a godermi niente, sono dipendente dal futuro, spezza ogni mia aspettativa, su tutto, però la vita è uno schiocco di dita, oggi ci sei domani non si sa. La musica mi tiene in vita, è alla pari del respirare; adoro associare le canzoni ai momenti importanti. Quando mi sono lasciato nel 2017, è stato uno dei periodi più bui della mia vita; lo stesso giorno uscivano 3 dischi che ancora oggi a sentirli provo quel malessere che mi riporta indietro nel tempo. I 3 dischi erano “fenomeno” di fabri fibra, ��DAMN” di kenrick lamar e “zzala” di lazza. Christian è il mio migliore amico, il fratello che non ho avuto, vorrei parlare di più con lui, fare discorsi seri, sapere cosa prova, cosa pensa ma rispetto il suo essere timido. Elisabetta ti voglio bene, sei mia sorella, ma una cosa te la devo dire, evita il più possibile di stare a metà nelle
situazioni, non rimanere nel limbo, sii decisa e vivrai molto meglio ogni cosa. Elisa, invidio il tuo modo di vivere con estrema gioia ogni cosa che fai, sei contagiosa nel senso buono del termine. Alessia, sono felice che ci siamo riavvicinati, sei migliorata sotto tutti i punti di vista, ora sei più matura e consapevole. Croce, una persona vera, genuina che ogni volta viene travolto dalla vita; un giorno troverai la tua identità e sarai realizzato, spero di esserci. Sentivo il bisogno di dire queste cose che forse già saprete ma che ribadisco con piacere. Non avere segreti è la base di ogni rapporto. Le novità mi terrorizzano. Soffro di disturbo bipolare, lo sanno poche persone perché tanto se gli altri sapessero non farebbe differenza. Alessia mi distrugge il fatto che non ho avuto il coraggio di dirtelo, mi dispiace tanto, è difficile. Mi pesa parlarne, infatti credo che concluderò quest’argomento con una citazione tratta dal mio film preferito, “Joker”: “la parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi”. Che fastidio quando il giorno dopo hai una cosa importante da fare e vorresti che la notte durasse per sempre. Sono diventato moderatore di un canale twitch, mi fa sentire parte di qualcosa. Non mi frega niente di come mi vesto, se potessi mi vestirei con le stesse cose ogni giorno. Quando esco con alcuni amici, mi prendono per il culo su questa cosa, all’inizio ci stavo male, poi ho capito che devo essere me stesso sempre, a prescindere da tutti. Ho prodotto beat e ora sono a 921 visualizzazioni totali, punto a 1000, sarebbe una grande soddisfazione. Non sono ancora pronto a dirlo ai miei amici, forse un giorno si. Ora sono le 2:27 ed è una di quelle notti che vorrei durassero per sempre, perché il domani mi spaventa, non sono pronto a viverlo, prendo tempo facendo altro, provo a fregarlo ma lui non ne vuole sapere di fermarsi. Non produco da tantissimo, ormai faccio uscire solo vecchi progetti credendo sia abbastanza, non è così. Sono andato da solo al cinema a vedere “Joker”, è stato uno dei momenti più intimi della mia vita. Quando sono da solo è come se ci fossero tante versioni di me nella stanza che conversano, è il modo migliore che ho per spiegare cosa sento. Prima o poi imparerò a suonare la chitarra, strumento affascinante. Voglio andare a Venice Beach, comprarmi uno skate e chillarmela godendomi ogni singolo
attimo. Vorrei imparare a surfare, credo che sia una figata, una sensazione di onnipotenza in cui domini il mare. Faccio tantissima autocritica, sono estremamente razionale. Credo che quello che sto facendo qui su questo foglio sia qualcosa che non tutti sarebbero in grado di fare; e non parlo di scrittura, parlo di avere il coraggio di esternare ogni nostro pensiero, emozione, sensazione. Questo è solo il primo capitolo di questo mio flusso, fatto per necessità e non per convenienza, col cuore. Non abbiate paura di vivere. Lo dico a voi così magari ci credo un po’ anch’io.
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diotifaboca-blog · 8 years ago
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Dio benedica il maledetto United..
Fatevi un favore. Fatelo a voi stessi, se potete. Ecco, non andate a Leeds i giorni di pioggia. Per carità. Non fatelo. Sia mai. Sopratutto se siete buoni di spirito e il vostro cuore è candido. Pulito. Immacolato. Non andate a Leeds i giorni di pioggia Fatelo per voi. Per la vostra anima. Per quel poco di sano che vi rimane ancora dentro in questo mondo impazzito. Per quella scheggia di umanità che ancora vaga dentro di voi e che questo tempo non è riuscito per adesso a togliervi dalle vene. Sì perché il fango a Leeds i giorni di pioggia è più sporco di qualunque altro fango sulla terra. In qualunque altro posto del pianeta. Nessuno, in un'altra città, in nessun altro luogo su questa schifosa terra sarà mai sporco come è sporco un adolescente di Leeds i giorni di pioggia. Brutta bestia Leeds se non si ha un buon filo spinato a proteggere il proprio cuore. Se non si dota lo stomaco di un tirapugni pieno di spunzoni pronto a colpire per difendere l'onore. Se non si è veramente figli di puttana dentro. Brutta bestia Leeds i giorni in cui piove. Lo diceva sempre Brian Clough. E come dargli torto? Don Revie e i suoi ragazzi ci sguazzavano nel fango di Leeds i giorni di pioggia. Maledetti bastardi figli di chissà quale rapporto tra cani vagabondi. Era l'estate del 2000, al sorgere di questo nuovo millennio, avevo da poco compiuto quattordici anni e mentre sul calar della sera io ed un mio amico stavamo lá, a contemplare il mare tra il vento che, dopo chilometri e chilometri, aveva deciso di baciare proprio i nostri di capelli, un vecchio signore si avvicinò. Guardava anche lui il mare, e dopo secondi che a noi sembrarono anni, senza distogliere lo sguardo dalle onde ci disse ‘Neanche sapete la fortuna che avete. Nessuno è più ricco di voi. Ora, in questo momento. Non sperperatela. Non fatelo. Non permettete mai a nessuno di farlo’. Poi se ne andò. Non l'avrei mai più rivisto. Parlava con molta probabilità della giovinezza. Della fortuna che uno ha quando ha quattordici anni. Di quell'immensa fortuna che mai più tornerà. Pensai allora che se a questo mondo siamo condannati all'Inferno, per via dei peccati e cazzate varie, allora è meglio entrarci dalla porta principale. Nella vita reale così come nel calcio. Ed ecco che proprio in quel periodo si stava affacciando sul palcoscenico calcistico una manica di avanzi di galera e tagliagole che usavano il calcio più come una copertura che per farne il loro vero mestiere. Ecco che il mondo di lì a poco stava per riscoprire dove veramente fosse Leeds. Di lì a poco tutti noi avremmo amato quello che tutti, o quasi, in Inghilterra invece odiano con tutto il loro cuore. Come una trentina d'anni prima, quando alcuni signori molto poco inglesi nel loro aplomb come William John ‘Billy’ Bremner, Norman Hunter, Terry Cooper, quel bastardo irlandese di Jonnhy Giles o maledetti scozzesi come Bobby Collins e Eddie Gray. Dei fabbri travestiti da calciatori. Gente che sarebbe morta per la maglia, per il proprio condottiero e guida spirituale Donald Revie. E rieccoci adesso, anni dopo, reincarnati in nuovi idoli. Nuovi eroi. Quelli eroi che Leeds ama sopratutto i giorni di pioggia. Fregandosene il cazzo di apparire simpatica a chi non è di Leeds. Di chi Leeds la odia ogni giorno sempre più e magari vorrebbe avvicinarcisi i giorni di bisogno. I giorni europei nascondendosi dietro quell'untile demagogia che vorrebbe farci credere che in Europa si debba tifare la squadra della propria nazione. Magari la stessa che si vorrebbe veder bruciare per tutto il resto dell'anno. Quante cazzate. Leeds se ne frega e ama i suoi idoli. Stavolta provenienti da molto più lontano che della vicina Manchester, Scozia o Repubblica Irlandese. Come dimenticare.. Come dimenticare quei fantastici anni 2000 fatti solo di adrenalina e poesia. Di cazzo duro e musica immortale sparata per le stellate notti estive a tutto volume. Fatti di Festivalbar e idoli calcistici. È storia. È la nostra vita. È un pezzo indimenticabile che mai più tornerà. Mark Viduka e Harry Kewell, due cazzo di fenomeni, che dopo aver dribblato e superato canguri australiani in gioventù, hanno deciso di mettersi l'Inghilterra ai loro piedi. Uno, Mark, una prima punta di peso, vecchio stampo. Di quelli che fanno reparto a sè, che da soli spostano un'intera difesa. Che quando puntano la porta fanno paura. Tanta paura. Segna un gol ad Old Trafford, su cross di Danny Mills allungato da Lee Bowyer, in cui sembra sospeso per aria per secondi interminabili. Potenza pura racchiusa in un involucro fatto di organi e pelle. Nervi e voglia matta di segnare. Di una rabbia agonistica unica. L'altro, Harry, un gioiello purissimo proveniente direttamente da qualche miniera del Queensland. Harry 'The Jewel’. Una classe cristallina. Un poeta d'oltreoceano. Un danzatore in tacchetti da sei. Insieme a Alan Smith, aaaaah, Alan Smith, ma vi ricordate quanto cazzo era forte Alan Smith?, l'unica goccia di talento in un mare di picchiatori. Di pregiudicati salvati dalla galera, il cui capo banda era senza ombra di dubbio Lee Bowyer, uno che in un paio di vite precedenti deve essere stato sicuramente il braccio destro di Long John Silver. Che razza di criminale. Fosse stato inventato da Irvine Welsh sarebbe andato in campo con le punte degli scarpini in acciaio e i tacchetti limati con l'affilacoltelli. Uno che nell'aprile del 2005, ai tempi del Newcastle, ha iniziato una memorabile rissa in campo con il proprio compagno di squadra Kierom Dyer, così assurda e violenta che se non fossero intervenuti avversari e compagni di squadra, tra i quali Alan Shearer, con molta probabilità sarebbero ancora lá, a St. James Park a picchiarsi e darsele di santissima ragione. Giorni dopo Bowyer dovette addirittura presentarsi davanti alla polizia per scusarsi. Di quel gol di testa al Milan, su papera colossale di Dida, a Leeds ne parlano ancora. Ogni giorno. Poi Ian Harte, il Beckham mancino. Un terzino che calciava come un Dio. Ogni punizione era un dipinto. Per sicurezza, chiedere a Barthez. Poi gli altri indimenticabili: Nigel Martyn, Gary Kelly, Olivier Dacourt, Lucas Radebe, Jonathan Woodgate, Robbie Keane, Eirik Bakke, David Batty. Una giovane roccia d'ebano di nome Rio Ferdinand. Semplicemente insuperabile. Insormontabile. Invalicabile come neanche il cancello di Buckingham Palace. Come il bagno di Elisabetta quando la mattina si pulisce il culo. Ma sopratutto Alan Smith. Mio Dio Alan Smith. Destro. Sinistro. Corsa. Genio e sregolatezza. Che squadra di uomini cazzuti. Di gente che sarebbe morta per quella maglia. Per quello stemma. Per quella bianca maglia che tanto tempo fa, altri eroi, altri uomini dalle palle quadrate, difesero prima di loro. Dimenticare sarebbe un po’ come essere colpevoli di un delitto. Di lesa maestà. Esistono altre cose oltre il lavoro, sapete? Una di queste sono le emozioni. I sentimenti. Drogarsi fino al collasso di attimi irripetibili. Ecco perché non è consigliabile andare a Leeds i giorni di pioggia. Per rispetto. Per non piangere. Devozione. Semplice venerazione per eroi passati, presenti e futuri. Per il cielo che ogni giorno piange alla memoria di Don Revie, Billy Bremner. Per Rio Ferninand. Per Yeboah. Per tutti i peccati del mondo che in quel periodo si concentravano solo e soltanto a Leeds. Per il sinistro di Harry Kewell. Per le sue scorribande tra le verdi praterie inglesi, creando da solo lo stesso scompiglio creato da un gruppo di hooligans strafatti di birra. Le sue poesie. Per Mark Viduka e quella sua potenza che un caldo e dolce vento australiano ha trasportato fino nel cuore della lontana e gelida Inghilterra. Non per salvare la Regina, per carità, quella ci pensa già da sola. Ma per quei nostalgici romantici che ancora oggi, a distanza di quasi vent'anni, grazie alle gesta di quei meravigliosi ragazzi, ogni tanto vanno a vedere cosa combinano i ribelli terribili di Elland Road. Per regalare ad una città ed al suo grigio cielo, ad un popolo, ad una squadra gloriosa e decaduta, emozioni di semifinali europee dimenticate che solo il fango può avvolgere. Coccolare. Elevare. Che solo la pioggia può capire, solo e soltanto quando, passando di lá a salutare quei ragazzi, decide di cadere sopra la bella e malinconica Leeds..
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diotifaboca-blog · 8 years ago
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State entrando a ̶L̶o̶n̶d̶o̶n̶derry.. 'Adesso stammi bene a sentire piccolo patetico e schifoso tossico di quartiere. Ho deciso di darti due giorni, due fottuti giorni del cazzo per prendere le tue poche cose che possiedi è che non hai ancora barattato per una qualche squallida dose di eroina, alzare il tuo scheletrico culo pieno di buchi da quel letto infestato di scarafaggi e ricordi delle tue seghe adolescenziali, prendere un treno, un traghetto, un cane volante del cazzo di nome Falkor magari insieme al tuo amichetto Atreiu oppure qualunque altra minima cosa il tuo misero e patetico portafoglio di pelle sia in grado di permettersi, e raggiungerci qua, su questa isola. In questa terra onirica, verde magnifica dove finalmente riescono ad esaltare la mia infinita bellezza. La mia grandezza. Dove finalmente non sono costretto a scatenare miserabili risse da saloon o tirare bicchierate dai soppalchi traballanti di Edimburgo per dimostrare la mia supremazia, la mia leadership innata e indiscussa un po' come se fossi la reincarnazione di Marlon Brando. Lo capiscono al volo questi, mica sono stupidi come noi scozzesi. Come quei cretini degli inglesi. Qua, dove finalmente le donne hanno capito chi sia l'unico stallone britannico che valga la pena di essere cavalcato dai tempi di William Wallace ad oggi. Adesso capisci piccolo coglioncello? Ecco, allora cerca di muoverti cazzetto moscio, fare il pieno di wiskhy e contanti e catapultarti il più velocemente possibile qui da noi, altrimenti, io, il grande e supremo Francis Begbie da Leith, giuro su quello che ho di più caro a mondo, non mia madre ma lo scotch con ghiaccio, che ti affetterò non appena il mio coltello incontrerà la tua moribonda carcassa sulla sua strada. E come se lo farò maledetto tossico del cazzo, fosse l'ultima cosa che faccio su questa sudicia terra'. Fine. Questa era la telefonata d'amore che io, Mark Renton, un tranquillo e pacifico venticinquenne tossicodipendente di Edimburgo, ricevetti nel bel mezzo della notte da chissà quale cabina telefonica sperduta in chissà qualche angolo buio della Gran Bretagna da uno dei miei migliori amici, pensate un po'. Che rapporto. Ripensandoci bene, due giorni dopo, mentre cercavo disperatamente di arrivare in tempo a quell'appuntamento che valeva molto di più che un'amicizia in gioco, beh ecco, ripensandoci bene credo che in fondo in fondo quella sottospecie di telefonata minatoria e piena di 'cazzi' 'stronzo' altro non era che il modo con cui quel pazzo di Begbie dimostrava il suo affetto ai propri amici. Un po' strano, ma in fondo originale. Era così il buon Francis. Prendere o lasciare. Non ci si annoiava mai con Begbie. Neanche alla messa di mezzanotte il giorno di Natale. Avrebbe trovato il modo di movimentarla. Renderla indimenticabile. Dannatamente unica, magari pisciando nell'acqua santa come fece all'età di diciannove anni, oppure sostituendo il vino da messa travasando nella bottiglia sacra un'intera boccia di Jameson irlandese del 1986 che suo padre custodiva come una reliquia sottochiave nell'armadietto dei liquori e che degustava giusto una volta l'anno, a piccolissimi sorsi, per il giorno di Pasqua. No. Non ci si annoiava mai con Begbie. Più guardavo fuori il finestrino di quel carretto che doveva in realtà essere un pullman che da Belfast si inoltrava giù per la brughiera nordirlandese dove perfino il cielo che non si trova in Irlanda del Nord è geloso per non poter startene sopra quell'immensa distesa magnifica, fino a portarmi lá, lontano, dove già da qualche settimana avevano deciso di andarsene Francis il pazzo, Spud il paranoico e compagnia cantante, ecco proprio non riuscivo a non pensare ad altro che a quella mia vera e propria assoluta ossessione che per anni mi ha sconvolto e accompagnato' Ma come cazzo hanno fatto a sciogliersi le Spice Girls? Come? Come cazzo!!? Dico, non gli è bastato l'esempio del popolo irlandese? Non gli sono bastati tutti i milioni di sterline che hanno guadagnato? Avessi guadagnato anche solo un ottavo di quello che hanno guadagnato loro col cazzo che avrei cercato la gloria da solista! Sai quante pere puoi comprarti con tutti quei soldi?' 'Ma come diavolo ha fatto uno come Irvine Welsh a non nascere nell'Irlanda del Nord?' pensavo ogni volta che riuscivo ad intravedere qualche viso poco raccomandabile dal finestrino appannato. Però non a Belfast. No. Almeno non lì. Per carità. La città del Diavolo. Altro che Rio, Il Cairo, Mosca o Buenos Aires. Già. No no. Sì perché appena ho messo piede in quella capitale, che più che una capitale in realtà sembra una polveriera in bilico su un fiammifero acceso, non vedevo già l'ora di andarmene. Non c'è molto spazio per un piccolo tossichetto cattolico scozzese, a Belfast. 'Alla Regina non devono piacere molto i tossici cattolici, per lo più se sono scozzesi' ho capito immediatamentenon appena ho respirato l'aria di Belfast. Strana la Gran Bretagna: può trovare città cosmopolite come Londra e città da incubo come la capitale che fu di un certo George Best, ma questa è un'altra storia. 'Ma tu guarda se questa banda di stronzi per scappare dai debiti deve essere fuggita fin qua, nel buco del culo del mondo' mi ripetevo nella mia testa ogni cinque secondi. 'Perché non Leith? Perché non Leith!!?? Che cosa cazzo c'è di più sicuro di Leith se sei di Leith? Cosa c'è di meglio di casa propria? Delle tue mura? Della tua gente? Che cosa?'. Ma stavolta era diverso, in fondo lo capivo. C'era da avere paura, questa volta. Si. Sul serio. Mai pestare i piedi a chi li ha direttamente collegati con le mani. Non avevano rotto il cazzo al solito spacciatore di periferia. No. Stavolta il pesce era più grosso della palla di vetro in cui i miei amici amavamo giocare. Stavolta bisognava scappare. Meglio andarsene. Correre. Fuggire. Già. Ecco che allora quei quattro stronzi di Begbie, Sick Boy, Tommy e Spud se ne sono scappati via. Lontano, lontanissimo, prima che chi non dovesse trovarli, li trovasse sul serio. Svegliandoli magari dai loro sogni mediocri e senza ambizioni. È come se tutto ad un tratto, quell'adrenalina che tanto cercavano di sconfiggere a suon di eroina, si fosse riversata nel loro corpo tutt'a insieme. Nello stesso momento. È come se gli avesse svegliati definitivamente. Dai loro sogni da scozzesi tossicodipendenti. Nel cuore della notte, senza avvertire. O meglio, avrebbero voluto farlo, se solo io non avessi venduto il suo ultimo cellulare da quattro soldi a chissà quale spacciatore di cui non ricordo neanche la faccia giusto per qualche ora di felicità in più. 'E adesso che che non ci siamo più, che ne sarà di Leith? Dei bambini di Leith? Delle nostre famiglie? Delle nostre case? Che ne sarà dell'Hibernian e della sua magia? E se adesso gli Hibs iniziassero a vincere, dopo che ce ne siamo andati, che ne sarà della nostra fantastica storia da sfigati del cazzo?'. Il pullman correva spedito tagliando l'Ulster in due. Trasversalmente. Come se fosse una lama calda nel burro la mattina per colazione al tavolo regale della signora Elisabetta II. Più aumentavano i chilometri percorsi e più pensavo che quella fosse un'assoluta follia. 'Scappare dalla Scozia per venire in Irlanda de Nord è un po' come scappare da un tornado buttandosi in un incendio. Maledetto Begbie e le sue idee del cazzo'. Il pullman non si fermò mai. Correva e correva, come se capisse che era meglio fuggire dal passato. Come un fedele amico che vuol solo portarti lontano, senza chiederti il perchè. Entrò in città accolto da un cartello dove c'era su una scritta che recitava più o meno così 'Welcome to Londonderry' dove la parola London era stata cancellata volutamente con una passata di bomboletta nera. Le sei lettere più silenziose della storia, almeno così dicono qua. Sicuramente le più silenziose di tutta la Gran Bretagna. Lo scontro tra unionisti, a favore dell’unione con la Regina, e i nazionalisti che invece credono e vorrebbero un'unica Irlanda, sola e libera, fiera e spensierata, è il motivo per il quale la città ha due nomi: Londonderry per i primi e Derry per i secondi, anche se nella quotidianità è più facile sentir pronunciare quest’ultimo, indipendentemente dalla fede politica. Perché questa per tutti sarà sempre e solo Derry. Dove lo scontro tra buoni e cattivi lo si sente ancora di più. A Derry, di Londra e degli inglesi, meglio non parlare. Figuriamoci di Glasgow oppure di Edimburgo. Non frega un cazzo a questi della Regina e del the delle cinque. Della Union Jack o se il Chelsea vince la Coppa Campioni grazie ai gol di Drogba. Questi potessero chiederebbero al Mar della Manica di inghiottirsela quella merda Inghilterra. Appena arrivato alla stazione degli autobus ad aspettarmi c'erano tutti e quattro. Li vedevo già dal finestrino. Tutti vestiti con giacchetti scuri, jeans stretti e scarpe bianche, tanto che sembravano più un gruppo politico vicino ai deliri di Hitler piuttosto che un gruppo di scappati di casa. Scesi gli scalini del pullman con gli occhi chiusi e prendendo un gran respiro, consapevole che niente, da quel momento in poi, sarebbe stato più come prima. Begbie non appena mi vide, mi venne incontro con una sigaretta in bocca, un braccio aperto e una bottiglia di Bushmills dall'altra parte 'Vieni qua cazzetto moscio', iniziando a cantare a squarciagola, e facendo girare praticamente tutti, la più famosa ballata irlandese di sempre. 'Oh piccolo Danny, le cornamuse stanno suonando, di valle in valle e dal fianco della montagna. L'estate se n'è andata e tutti i fiori stanno morendo, e così tu devi andare e io devo aspettare. Ma torna indietro quando l'estate sarà nei campi o quando la valle sarà bianca e ricoperta di neve e io sarò qui, nel sole o nell'ombra ad aspettarti oh piccolo Danny, oh piccolo Danny ti amo tanto. E se tu verrai, quando tutti i fiori staranno appassendo e io sarò morta, perchè morta potrei ben essere, verrai e troverai il posto dove giaccio, inginocchiati e dì un preghiera lì per me. E io ti sentirò, anche se ti muoverai con passo leggero sopra di me e tutti i miei sogni si scalderanno e si faranno dolci. Se non dimenticherai di dirmi che mi ami dormirò semplicemente in pace finchè non mi raggiungerai, oh mio piccolo Danny'. Riecheggia per tutto l'Ulster la canzone del piccolo Danny, specialmente se cantata a squarciagola da quel pazzo figlio di puttana di Begbie. Anche a Belfast. E molto oltre. È forse l'unico vero collante rimasto che riesca ad unire tutto questo popolo di dannati. L'unica vera cosa che davvero, forse, perché il forse è sempre d'obbligo nell'Ulster, ricordatevelo sempre, unisce anche solo per un attimo tutti i nordirlandesi che esistono e che sono esistiti. Che respirano. Che la notte, tra le lenzuola, si odiano e pensano a come odiarsi ancora di più il giorno dopo. Non per niente viene usato come inno non uffciale quando i ragazzi in maglia verde incontrano, in una partita tra nazionali, una tra Inghilterra, Scozia e Galles. Tolte queste rare eccezioni, però, sentirete sempre e solo 'God Save The King'. Ecco allora che se mai, l'Irlanda del Nord, questa sconfinata brughiera verde, terra di pascoli, birre e bombaroli, un giorno mai sarà davvero e finalmente unita, così bella e forte da potersi per una volta, almeno una, sentire e considerare 'una nazione', così fantastica da sdraiarsi nei prati a guardare il cielo senza paura che vi arrivi a dosso una bimba o una qualche lama, ecco che allora, e solo allora, il tutto, o almeno molto, sarà merito della canzone del piccolo Danny. E di nient'altro. Si perché quando lei riecheggia nelle valli dell'Ulster, non chiede permesso nelle orecchie di chi la ascolta, non domanda se chi la sente è protestante o cattolico, se odia l'IRA oppure ne fa parte, se colui che la ode crede e spera in un'Irlanda finalmente unita e repubblicana, o se invece spera in un'egemonia inglese con tanto di 'Union Jack' con sopra il bel faccione della sorridente Elisabetta. Non domanda se teniate ai Rangers oppure al Celtic. Non ha bisogno di chiedere permesso. Non ha bisogno di tirare fuori la carta di identità. Lei c'era prima del conflitto. Prima che il diavolo si instaurasse in questa isola, e ci sarà dopo, quando tutto finirà. Perché prima o poi finirà. Tutto ciò che è un processo storico ha un inizio, un evolversi e poi una fine. È l'unica traccia rimasta di un passato lontano. Lei suona e basta. E tutti la ascoltano. Anche a Derry. Sopratutto a Derry. Lei suona perfino nel bocca di Begbie. Ta quel fiato che è un misto di alcool e tabacco. Era già uno di loro. Si sentiva già un irlandese del Nord. Tipico di Begbie. Forte con i deboli, debole con i forti. In realtà della nostra comitiva era quello con meno personalità il caro Begbie, anche se poteva sembrare il contrario dall'esterno. Altroché. Si faceva influenzare subito. Prendeva delle cotte allucinanti che neanche i quattordicenni alla vista della più bella fighetta della scuola. Non aveva spina dorsale. Il cazzo duro. Le palle sode. Mentre mi abbracciava e mi teneva stretto al collo, si voltò e vide tutta quella gente che lo osservava come se avessero visto un pazzo furioso nudo correre per strada con la proboscide in movimento. Come dargli torto. 'Che cazzo avete da guardare brutti rotti in culo' urlò Francis con gli occhi a matto, piegando le ginocchia e tirando fuori il coltello, come da prassi. Come da contratto tra lui e Dio. Era cambiato e allo stesso tempo era sempre lui. Mentre Sick Boy si scagliò su di lui per calmarlo, Spud si avvicinò furtivo vicino a me, mi portò qualche passo più indietro e mi sussurrò nell'orecchio con la sua tipica voce tremolante e piena di indecisione 'Mark. Questo è impazzito. Ha completamente perso qualunque lume della ragione. Ti ricordi il Begbie di Edimburgo? Peggio. Non c'è proprio paragone. Non ci sta proprio più con la testa. Ha perso perfino quelle tre o quattro leggi morali che lo fermavano. È come se da italiano si fosse trasformato in argentino. Qua è ancora più pazzo, perché non lo conosce nessuno e si sente in dovere di spaccare tutto, fare il cazzo che gli pare. Picchiare tutti. È fuori. Fuori ti dico. Ti dico. L'altro giorno si è tirato fuori il pisello e ha pisciato sugli sgabelli di un pub usando quella sua miccetta che si ritrova tra le gambe come se fosse un idrante. Pazzo. Pazzo ti dico. Oh si. Oh si'. Guardavo Sick Boy fare una fatica del diavolo nel tentativo vano di calmare Begbie, già sbronzo da buttare neanche alle dieci di mattina. 'Vedi quel ragazzo lá? Lo vedi Mark? Eh Mark? Quell'armadio a quattro ante, rasato, grosso quanto un pulmino. Eh, lo vedi quello Mark? Lo vedi?'. 'Si, lo vedo Spud, calmati. Lo vedo. E allora?'. 'Quello, quello lá. Quel grosso essere lá è diventato il culo della camicia di Francis. Lo abbiamo conosciuto il primo giorno in cui abbiamo messo piede qua, in pub qui vicino. Noi tre manco volevamo uscire, ma Begbie ci ha quasi costretti. Siamo entrati, giusto il tempo di mettersi a sedere e quel coglione si stava già picchiando con due nel bagno solo perché a suo avviso lo avevano guardato male. Si è trasformata in una mega rissa. Dopo che è finita, quello lá ci ha offerto una pinta e amici come prima. Si chiama Paul ma Begbie lo chiama 'Elefantello'. Quello è completamente innamorato di Begbie, del suo carisma, e domani ha deciso di portarci tutti allo stadio. A vedere il Derry. Capisci? Il Derry! Ma io non voglio vedere il Derry, Mark! Per me era già troppo l'Hibernian e quel suo velo di sfigataggine che lo circonda. A me del Derry e del calcio in generale non frega un cazzo, Mark. Ma Begbie ci costringerà a farlo. A seguirli. È gia uno di loro ti dico, Mark. Già. Già. Già'. Mentre Spud mi stava martellando quel poco di cervello che posso ancora vantare di avere, quel Paul, tale Elefantello, mi si avvicinò tendendomi la mano. 'Tu devi essere Mark. Ho sentito parlare molto di te in questi giorni. Grandi cose. Piacere Paul. Dalla descrizione di Francis però ti immaginavo diverso. Secco, scheletriforme, quasi uno zombie che cammina con giusto due occhiaie profonde come crateri e un braccio pieno di buchi manco fosse un campo da golf, con i pantaloni a sfigato, bassi e lisi e le scarpe da 50 pounds del mercatino delle pulci'. 'Beh, Begbie è molto pittoresco nei suoi racconti, penso tu abbia già avuto modo di capirlo'. 'Certo. Certo. Quello è pazzo. Troppo anche per noi. Per questo domani ho deciso di portarlo al Brandywell insieme agli altri. Se vuoi favorire, sai sono il Sindaco lá sugli spalti'. 'Perché no! Penso di non avere scelta, in fondo. Dopo aver tifato Hibernian non può succedermi niente'. 'Oh, ma tu non conosci il Derry City Football Club. Noi siamo una storia a parte. Non c'entriamo niente neanche con il mondo che ci circonda. Il calcio è quasi un contorno per noi'. 'Lo immagino'. 'Andiamo a casa a spararci un paio di bbbirre Elefantello' urlò Begbie dalla parte opposta del piazzale trattenuto a fatica da Sick Boy. Così Paul, mentre noi circondavamo Begbie, impedendogli quasi di vedere il mondo attorno, un po' come si fa con i cavalli imbizzarriti, andò a prendere la sua auto e ci caricò tutti: io, Spud, Tom, Sick Boy e Francis, più lui alla guida, ovviamente. In sei su un auto che a malapena avrebbe potuto contenerle tre di persone, e come se non bastasse tutti e sei ci accendemmo contemporaneamente una sigaretta durante il tragitto, facendo sembrare quella povera macchina un incendio su quattro ruote. Dopo una decina di minuti abbondanti arrivammo a Bogside, il quartiere più rivoluzionario e indipendente della città, accolti da una gigantesca scritta su di un muro che recitava 'You are now entering Free Derry'. Stavamo entrando in un pezzo di storia. Bogside appunto. Dove il 30 gennaio del 1972 avvenne la tristemente e famosa 'Bloody Sunday', quando cioè l’esercito britannico aprì il fuoco, durante una manifestazione per i diritti civili, uccidendo quattordici persone. Da quel giorno l’IRA dichiarò guerra alla Gran Bretagna e niente sarebbe stato più come prima, anche perché la Regina, la fantastica e simpaticissima Regina inglese, Queen Elizabeth Two, anziché punire i responsabili di quell'atrocità, decorò con una bella medaglia all'onore il comandante dell’operazione, il colonnello Derek Wilford. Beh, direi niente in fondo. L'inizio della fine. La fine di tutto. Arrivammo in una strada secondaria con l'asfalto disconnesso. Paul fermò l'auto di fronte ad una casa fatta con mattoncini rossi e la porta principale spalancata. Montammo una rampa di scale che conduceva al primo piano. Arrivammo davanti una porta di legno quasi marcio che Begbie aprì con un sonoro calcio urlando 'Sbaaaam'. 'Quello, quello è pazzo. Te lo dico io' mi disse Paul ridendo. 'Sai cosa ha fatto altro giorno Mark!? Avevamo appena finito di attraversare “The Peace Bridge”, il Ponte della Pace sul fiume Foley inaugurato nel 2011, nuovo simbolo di speranza e rinascita della città, costruito per avvicinare la comunità cattolica a quella protestante, e ci stavamo incamminando nel cuore del quartiere protestante di Waterside, in cui negli anni dei Troubles si trasferirono molti protestanti che vivevano nel Bogside per sfuggire al clima di violenza. Ecco stavamo camminando tranquillamente e senza troppi pensieri quando Francis nota un tipo, un coglione che sta attraversando il ponte con la maglia del Linfield, la squadra di Belfast protestante per eccellenza, roba che i Glasgow Rangers diventano improvvisamente la squadra che ogni domenica gioca tra i portici di Piazza San Pietro, tanto per intenderci. Niente è come il Linfield e odiato come il Linfield in Irlanda del Nord se non tifi Linfield. Ecco, Francis, capendo a pieno proprio lo spirito di pace e armonia che dovrebbe ispirare il ponte, non ci pensa su due volte. Si avvicina a questo coglione da dietro con quella sua camminata da guascone e gli urla 'Hey fottuto rotto in culo'. Il ragazzo fa per girarsi, ma non ne ha il tempo materiale. Begbie lo prende da dietro come un rugbista da quattro soldi, lo gira, gli mette un gomito sotto il mento, lo posiziona sulla spalletta del ponte e lo getta nel fiume, senza avere neanche l'accortezza di guardare giù per vedere se c'erano delle pietre sporgenti o poca acqua a fare da ammortizzante. Questo fa un volo di una decina di metri e cade di pancia piena. Il suono sordo del suo tuffo disconnesso penso sia riecheggiato per tutto l'Ulster. Tutti noi guardavamo giù increduli, pensando che questo fosse morto e che da lì a poco sarebbero riemersi vari pezzi del suo corpo. Invece, era ancora vivo e ancora tutto intero questo coglione. Ecco allora che, come se non bastasse, appena il tipo torna miracolosamente a galla e inspiegabilmente illeso, Begbie prende la bottiglia di whisky che aveva in mano e cerca di colpirlo scagliandogliela alla stessa velocità della luce. Il tizio si china e la schiva guardandolo incredulo con quei suoi capelli rossi e le lentiggini che lo facevano tanto sembrare Wayne Rooney. Poi, per paura che Begbie si gettasse, perché lo avrebbe fatto, e come se lo avrebbe fatto, ha iniziato a nuotare verso la valle. Quello è pazzo. È pazzo ti dico.' 'Purtroppo lo conosco bene'. Mi girai e ovunque intorno c'erano foto, poster e gagliardetti del Derry City. Perfino le lenzuola era rosse e bianche in onore del Derry. 'È così che ci si dimentica dell'Hibernian! Giusto Begbie?' lo provocai. 'Tu non capisci niente cazzetto moscio' mi disse lui accendendosi un fiammifero sulla nuca di Spud per poi fumarsi sigaretta, la quindicisemina come minimo da quando ero arrivato in città 'Questa squadra è leggendaria. Mitologica. Credimi. Non ha niente a che vedere con le scaramucce da femminucce di noi scozzesi. Con le stronzate della Scozia e di quei rotti in culo di Celtic o Rangers. Con quelli stronzi di Glasgow o di Edimburgo che tifano Hearts, dove non appena tiri fuori un coltello corrono a chiamare la mammina. Questi sono eroi. Questi vivono per il sangue. Non scappano. Sono eroi, ti dico. Eroi. Non noi'. Si versò un bicchiere di scotch e lo buttò giù tutto d'un fiato. Io lo guardavo incredulo. 'Oh cazzo, devo proprio spiegarti tutto!' Fece un lungo tiro di sigaretta, si preparò ad iniziare il discorso, ma fu in quel preciso momento che gli si girarono gli occhi, gli cedettero le ginocchia e collassò all'indietro sul divano in pieno coma etilico. Lo guardammo cadere come una pera cotta, mentre rantolava nel suo delirio onirico. Nessuno, ovviamente, tentò minimamente di soccorrerlo. 'Finalmente' esclamò Spud quasi sollevato. Solo in quel preciso istante ci rilassammo tutti. Era ora. Begbie era adrenalina pura, e non fermarlo. Non potevi mai stare tranquillo con lui. Sembra impossibile per uno one me che sceglie l'eroina giusto per starsene in pace, avere un amico del genere. Ma è così. Paul si avvicinò al frigo, lo aprì, prese quattro lattine di birra e ce le tirò una ad una. Poi ne prese una per se, la aprì e mi guardò 'Siamo stati fondati nel 1928 e il nostro è il percorso che forse meno si avvicina alla normalità in tutta la storia del football, sai Mark? Difficile la vita nell'Ulster se sei un piccolo insignificante cattolico e la Regina ti sta così dannatamente sulle palle da farti schifo perfino la sua immagine trasmessa in Tv il giorno di Natale, dove dovresti invece essere più buono. No, non c'è rimedio, sai? La nostra è la storia di una mosca bianca nel cammino dell'Irlanda del Nord. L'80% dei nostri abitanti sono per una Repubblica Iralndese Unita e Libera e odiano con tutto loro stessi gli inglesi, la corona, quei cazzo di biscotti al burro e il the delle cinque. Non ci chiamiamo 'Sir' tra di noi, i nostri figli non tifano Chelsea, Manchester United oppure Liverpool, e la nostra bandiera non sarà mai la loro. Mai. Ma siamo soli tra questi confini. Gli unionisti ci cancellerebbero da ogni cartina geografica esistente se solo potessero. Se solo poi non arrivasse qualche intellettuale benpensante a condannarli per il loro gesto. Non avrebbero pietà di noi, delle nostre famiglie, delle nostre tradizioni, dei nostri figli, dei nostri cimiteri. Esattamente come noi non l'avremmo per loro. E noi, di conseguenza, facciamo uguale. Non ci sarà mai amore qua nel Nord dell'Irlanda, sai!? Fa male, ma è così. E questo, ahimè, si riflette anche e sopratutto nel calcio. È un po' come se questo sport, qua, in terra a voi così vicina, ma in realtà così lontana, non fosse altro che una valvola di sfogo con la quale il Diavolo si diverte a manifestarsi e giocare con noi, povero popolo nordiralndese. Qua, in questo paesaggio da sogno che non troverà pace fino all'ultimo respiro dei suoi giorni. Finchè anche in solo uomo calpesterà questo suolo, e sarà solo. E anche se solo, non avendo più nessuno da odiare, lui odierà uguale. È impregnato in questa terra ormai. A Derry, però, di più. Al Bradywell maggiormente. Abbiamo vinto tre coppe dell'Irlanda del Nord.1949, 1954, 1964. Poi, finalmente, il campionato del 1965 con una festa storica per le vie della città. E l'anno dopo la Coppa Campioni, dove iniziarono gli atti intimidatori contro di noi. Al primo turno sconfiggiamo per un complessivo di 8-6 il Lyn Oslo, mentre al secondo turno, magicamente, la federazione calcistica nazionale dichiarò non agibile la nostra struttura. Dichiarò che lo stadio di Brandywell non possedeva i requisiti minimi di sicurezza. Una decisione politica che ci destabilizzò, ci annientò definitivamente e che ci portò a perdere per 9-0 l'andata contro l'Andeelecht, mentre il ritorno non si giocò neanche, visto che la federazione si rifiutò di assegnarci uno stadio. Dato che il nostro impianto si trova a Bogside, il fortino del cattolicesimo nell'Ulster, quasi tutte le squadre filounioniste si rifiutavano di venire a giocare qua. E non aveva torto. C'era da rischiare e non poco a mettere piede qua, a Free Derry. La situazione precipitò definitivamente il 12 settembre del 1971, sai Mark? Derry City - Ballymena United. Al termine dell'incontro gli abitanti del quartiere si scagliano contro i tifosi ospiti, noti sostenitori protestanti di una squadra protestante di una città protestante, mentre il pullman della squadra venne letteralmente dato alle fiamme e non esisteva mai più. Diventò per sempre un mucchio di cenere e ferraglia. Da quel giorno quasi tutte le squadre del paese si rifiutano di venire qua, sopratutto quei codardi bastardi del Linfield, forti in casa, conigli ovunque altro. Che Dio benedica Begbie e il suo gesto eroico contro quel coglione del ponte. La polizia dichiarò così il Brandywell non sicuro, Bogside non sicuro. e ci costrinse a giocare a Coleraine, una cittadina a una trentina di chilometri da qua e a maggioranza ovviamente unionista. Ma per poco. Alla fine la federazione decise di cacciarci per sempre dal campionato dell'Irlanda del Nord. Immaginati la scena: soli, abbandonati, senza uno stadio e una squadra che non un torneo a cui iscriversi. Ci ritroviamo così senza impianto dove giocare e senza un campionato in cui giocare. Almeno fino al 1985, quando i fratelli della Federazione calcistica dell'Eire accettarono la nostra richiesta e ci permisero di prendere parte al loro campionato. Quattro anni dopo vinceremo il nostro primo campionato, con un fantastico treble tra FA Cup e Coppa di Lega e nel 1997 il secondo e ultimo campionato. Poi altre 4 FA Cup irlandesi: 1995, 2002, 2006, 2012. Capisci Mark, capisci perché noi siamo diversi? Capisci? Perché per noi il calcio è in realtà un contorno del settarismo. Perché noi nel 1997 eravamo in 2.000 al Parco dei Principi. Perché noi nel 2006 viaggiamo in 3.000 alla volta di Motherweel, in Scozia, dove affrontavamo il Gretna in Coppa UEFA. No Mark. Non puoi capire. Non puoi. Nessuno può se non è nato qua. Neanche Begbie che oggi sembra il nostro primo tifoso può capire davvero. Si perché qui a Derry, tanto per non farsi mancare niente, non siamo d'accordo su niente. Neanche sul nome della nostra città. Belfast, almeno questo problema non ce l'ha. Belfast, almeno Belfast, con i suoi infiniti problemi, è lontana anni luce da qua. A confronto sembra un parco giochi dove andare con la famiglia ed i bambini la domenica. Sembra Disneyland. Derry non dimentica. Derry non dimenticherà mai. Non può. Derry non dimenticherà mai un cazzo Mark. Lo deve alla sua gente. Ai suoi figli. Si narra che se qualcuno ancora ha la brillante idea di chinarsi per terra per accarezzare con due dita l'asfalto, queste si colorano di rosso. Rosso come il sangue di quel giorno. Dei suoi abitanti. Non puoi capire cosa significhi giocare per noi la Setanta Cup, chiamata così in onore del maggior eroe della mitologia celtica. La Coppa Campioni dell'Irlanda, dove le due migliori del Nord incontrano quelle dell'Eire e ogni anno ce le suoniamo di santissima ragione. No Mark, voi non potete capire. Non si scappa da Derry'. Lo guardai tutto il tempo senza battere ciglio. Non fossi una parola. Avrei voluto in realtà dirgli tante cose. Avrei voluto dirgli che mi sentivo già uno di loro. Che nonostante tutto i problemi sono tanti anche in altri posti del mondo. Che a Leith se non tiri fuori le palle ti mangiano ancor già dentro la culla. Avrei voluto dirgli che ci deve essere un collegamento tra farsi di eroina e tifare Hibernian. Che dopo essere stato un tifoso degli Hibs non può farti paura niente perché non hai una cazzo di gioia mai, neanche per sbaglio. Avrei voluto dirgli che forse ho iniziato con la droga proprio per fuggire da questo mondo infame, bastardo. Di merda. Dove le ingiustizie arano i giusti. Che ho dovuto crearmi un paradiso tutto mio in cui vivere e in cui credere, per sopravvivere. Avrei voluto dirgli tante cose, ma vista anche la sua assurda corporatura mi vidi bene dal farlo. Mi limitai a bere un sorso di birra e a guardare Begbie spensierato e collassato sul divano, senza pensieri, senza pesi, senza paure, senza problemi su come pagare le bollette o come procurarsi da mangiare, ed un po' lo invidiavo, lo ammetto, pensando che forse, tra tutti noi, era l'unico che della vita e del suo non prenderla mai veramente sul serio, che sia in Scozia o nel Nord delle Irlande, che sia a Edimburgo oppure nella città delle lettere silenziose, dove Londra sembra addirittura in un altro continente, Francis, si proprio lui, era l'unico di nostri che ci aveva capito realmente qualcosa.
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