#Beh se fossi ricco non ci sarebbe nemmeno quel problema
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Quando nasci e cresci in una piccola cittadina italiana e poi più in là cominci a viaggiare da nord a sud, vedendo le varie grandi città del paese, queste realtà immense e nuove per te, piene di cultura, di arte, di bellezza, di tecnologia, di opportunità e risorse, di movimento, di servizi...
Poi ti sale la tristezza, perché ovviamente dura poco e devi tornare alla quotidianità nella tua piccola città vuota
Voglio viaggiare ancora, sempre, continuamente
Visitare tutte le grandi città, viverle, anche per brevi periodi
Vivere nella vacanza
Lavorare viaggiando
Un sogno che quasi sicuramente non si realizzerà mai...
Ma già durante quelle poche volte l'anno in cui vai qualche giorno in una nuova grande città italiana, ti senti in paradiso, è una meraviglia continua giorno per giorno, quella sensazione di avventura, di esplorazione, quella sete di conoscenza, è tutto così magico
L'Italia è piena di spettacolo a tutto tondo, artificiale e naturale, storico e moderno e io vorrei pian piano scoprirlo tutto
Ovviamente come tutto nella vita, è sempre qualcosa di temporaneo, parti una settimana, stacchi la spina, ti diverti, ti meravigli, ma poi devi tornare alla normalità noiosa e prevedibile
#So cosa state pensando#Non è tutto rose e fiori perché devi considerare il lato economico#Beh se fossi ricco non ci sarebbe nemmeno quel problema#È inutile fare i finti tonti#I soldi fanno la felicità#Non dico essere ricco come un calciatore di livello mondiale#Ma mediante ricco tanto da permetterti di poterti spostare ogni mese in una città diversa e grande da visitare#Comprare tutte quelle cosine che ti piacciono#Prendere una freccia e fare da nord a sud dell'Italia e viceversa in prima classe senza problemi#Non voglio comprare la Ferrari#Ma attualmente spendere 100 euro per una cosa qualsiasi mi fa sentire in colpa
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Capitolo 27
Castalia finì di nuovo a terra, il sedere dolorante.
Kamal, immobile di fronte a lei, non accennava a darle una mano.
La ragazza si rialzò a fatica, ogni muscolo del corpo che bruciava, stringendo la spada e rimettendosi in posizione di guardia. «Di nuovo.»
Kamal sollevò leggermente un sopracciglio, scagliandosi su di lei senza neanche un attimo di preavviso. Non si fece cogliere impreparata, e le lame tornarono a cozzare furiose in uno scontro senza esclusione di colpi. La luce era ormai ridotta al campo d'azione delle torce poste attorno al cortile. Anche se era esausta stava migliorando, i suoi attacchi erano più precisi, e il gigante d’ebano cominciava a mostrare qualche punto debole.
Riuscì, dopo un intero pomeriggio passato in difesa, a mandarlo finalmente a terra.
«Ben fatto.» Commentò l’uomo senza scomporsi, rialzandosi e spazzolandosi la neve dai calzoni.
«Non abbastanza.»
«Stai facendo progressi.»
Sarebbe bastato però? Sospirò, rinfoderando la spada. «Domani mattina partiamo per Ostagar, non so cosa troveremo.»
«Sarà un buon allenamento in previsione del Drago Nero.»
La ragazza sentì un brivido lungo la schiena all'idea di affrontare il drago dei suoi incubi. «Spero che riusciremo a radunare un esercito in grado di affrontare tutti quei mostri maledetti, o non riusciremo a raggiungere Urthemiel nemmeno per sbaglio.»
Tornata alle proprie stanze, che divideva con Kyra, si sciacquò in fretta con l'acqua a malapena tiepida, cambiandosi poi in abiti più asciutti. I servitori avevano provato a lasciar loro dei morbidi vestiti di stoffa foderata in pelliccia, dall'aspetto ricco e poco pratico, le maniche larghe e le scollature alla moda. Erano stati snobbati da entrambe le guerriere, che avevano preferito optare per dei pantaloni di pelle morbida, camice larghe e giacche di lana pesante.
Il trambusto proveniente dalla sala dove gli occupanti del castello cenavano, era udibile fin dall'altra parte del cortile. Represse una smorfia stizzita, entrando e sedendosi alla sinistra di Julian. Il ragazzo era tutto intento a raccontare a Ellena quella che doveva credere una storia spassosissima.
«E quindi, Rylan è arrivato, erano tutti ubriachi fradici e svenuti, mentre lui continuava a bere!»
La Von Meyer si lasciò sfuggire una risata, moderata, la mano davanti alla bocca, attenta alle buone maniere da nobile.
Castalia roteò gli occhi, avvicinandosi un vassoio con della carne fumante e mettendosene nel piatto una generosa porzione. Si poteva dire tutto di quel posto, ma la cucina era fantastica, soprattutto a confronto di quello che mangiavano in viaggio, nonostante Riful ci si mettesse d'impegno.
Non che lo avrebbe mai ammesso di fronte a qualcuno, ovvio.
«Castalia!» Esclamò Julian, voltandosi a guardarla, finalmente accortosi della sua presenza. «Temevamo fossi ancora lì fuori con Kamal, sotto la neve.»
«Evidentemente no.» Rispose, bofonchiando a bocca piena.
«Vi state allenando molto.» Cercò di fare conversazione Ellena, un sorriso forzato sul volto. La ragazza non rispose, scrollando le spalle.
Gli altri due si scambiarono un rapido sguardo.
Sebatian tossicchiò, schiarendosi la gola. «Il Conte mi ha riferito che sei andata a negoziare il rilascio di quella strega… Katrina.»
«Non ho negoziato un bel niente. Gli ho detto che siamo stati noi a salvargli la vita, quindi ci deve un favore. Senza Ichabod saremmo morti tutti su quella montagna.»
«Se scoprisse la verità...»
Finalmente, Castalia sollevò lo sguardo, gli occhi verdi ridotti a fessure. «E come potrebbe venirlo a sapere?»
Julian si ritrasse istintivamente indietro, sollevando entrambe le mani. «Non voglio andare a fare la spia, e nemmeno tornare sull'argomento. Ho deciso di cederti il comando, e non ho il diritto di dirti cosa devi fare. Solo, se forzi troppo la mano con il Conte potrebbe venirlo a sapere da qualcun altro. E a quel punto saremmo tutti nei guai, Ichabod per primo.»
Castalia scoccò un'occhiata velenosa ad Ellena. «Nessuno dirà niente.»
La Von Meyer sospirò con aria di superiorità. «Non è mia intenzione, Venator, potete fidarvi di me.»
“Sì, come no...” Pensò la Druida, ma lasciò cadere la questione. Discuterne di fronte a tutti, con il Conte a pochi metri di distanza, non era una buona idea. «In ogni caso, ha giurato di rilasciare Katrina una volta tornati da Harrogath.» Se non avesse rispettato l'accordo, Castalia non si sarebbe presa la briga di fermare Ichabod dal rimandare a dormire il Conte, questa volta in modo permanente.
Julian si grattò un orecchio, indicando con un cenno del capo il Conte di Bowerstone. «Suo fratello sostiene che tu abbia usato espressioni piuttosto colorite, per convincerlo...»
«Scusa se non ho imparato a parlare bene come una brava dama di corte.» Ringhiò Castalia. «Avevo capito di essere stata reclutata per la mia spada, non sapevo dovessimo convincere Urthemiel a lasciar perdere il Khanduras a suon di inchini e belle parole.»
L'altro si lasciò sfuggire un risolino, ma restava teso. «Dobbiamo fare attenzione. Il Conte Sigmund Volkhardt ci serve, senza di lui molti dei nobili non ci seguiranno. E la diplomazia sarà fondamentale ad Harrogath.»
«Da come ne parla Arsim, sembra che un'ascia piantata in testa sia un modo altrettanto buono per convincere gli uomini delle Montagne a collaborare.»
Ellena sospirò platealmente. «Quello che Julian sta cercando di dire…»
Castalia si alzò di scatto, facendo sobbalzare tutti. «So benissimo cosa vuole dire, grazie tante.» Disse tra i denti, girando i tacchi e andandosene a grandi falcate, la rabbia che le montava dentro.
La neve vorticava furiosamente, rendendole difficile attraversare il cortile mentre usciva dal castello. Quasi correndo, si avviò verso la taverna del paese, lo stomaco ancora vuoto.
Era proprio tipico di quella biondina del cazzo, mettersi in mezzo in affari che non la riguardavano, soltanto per sfoggiare la sua nobiltà. Come se potesse ancora sfoggiare qualcosa, con la faccia che si ritrovava.
La taverna era affollata come al solito. Sbirciando dalla finestra, adocchiò Kyra, Miria, Kilik seduti ad un tavolo, accanto al camino. Se fosse entrata, sarebbe stata costretta a sedersi con loro, e non aveva molta voglia di fare altra conversazione. Rimase impalata di fronte all'ingresso, incerta sul da farsi. Alla fine, optò per entrare lo stesso.
«Castalia? Pensavamo fossi al castello.» La salutò Miria, facendole spazio.
Lei scosse la testa. «Preferisco stare lontana da tutta quella spocchia.»
«Ah, come ti capisco!» Commentò Senua, mentre insieme ad Arsim si sedeva con loro. «Purtroppo, sembra che la nobiltà ci perseguiti anche qui.»
«Ti ricordo che sono esattamente qui accanto.» Esclamò Arsim.
Senua ghignò, rubando il boccale di Killik. «Appunto.»
Castalia si estraniò dalla conversazione, cenando in silenzio. L'indomani sarebbero partiti per Ostagar, c'era poco da stare allegri, l’Orda aveva invaso le Paludi. Avrebbero viaggiato in un piccolo gruppo, per evitare di attirare troppo l'attenzione. Julian aveva suggerito di andarci senza Castalia, in modo che se fossero stati sopraffatti, non sarebbero morti gli unici due Venator presenti nel Khanduras. L'idea non era male, ma se l'alternativa fosse stata restare a Bowerstone a far niente, piuttosto avrebbe rischiato di farsi impalare dalle corna di qualche bestia infernale.
«Castalia?» La voce di Kilik la riscosse dai suoi pensieri. «Riful ti stava cercando, oggi pomeriggio. Chiede di raggiungerla sotto al mulino, appena hai il tempo.»
Lei annuì. «Immagino non abbia dato spiegazioni...»
Miria ridacchiò, annuendo.
«Beh, allora vado.» Finì di bere la propria birra in lunghi sorsi, sentendo l'alcol frizzarle in testa. Uscì leggermente instabile sulle gambe, ma il vento freddo la riportò subito in sé.
La strada per il mulino era ripida e coperta di ghiaccio, fortunatamente almeno il buio non era un problema. Risalì il pendio della collina, mettendosi poi al riparo contro il muro dell'edificio, aspettando la Strega delle Paludi.
«Era ora. Sono qui da almeno due ore.»
In uno sbuffo di fumo, comparve Riful, un cipiglio seccato sul volto e un libro in mano. Castalia lo riconobbe subito, era quello che Ichabod aveva letto così ossessivamente per tutto quel tempo.
«Devo chiederti un favore.» Iniziò la donna, aprendo la porta di legno accanto a loro e facendole segno di entrare. Si sedettero su una pila di casse vuote, al riparo dal gelo. Con un incantesimo, la maga accese l'unica torcia appesa al muro.
Castalia raccolse le gambe contro il petto, cercando di scaldarsi, le braccia attorno alle ginocchia. «Strano che tu abbia bisogno di chiedere favori.»
«Purtroppo, mi vedo costretta in questa situazione a chiedere aiuto, in quanto mi è impossibile risolvere questo particolare problema da sola.» Le mostrò il libro, poggiandoselo sul grembo. «Penso tu sappia chi ce l'avesse, ma non è questo l'importante, adesso. Non è di proprietà dell’Accademia, e neppure della Fratellanza, bensì era stato sottratto a mia madre tempo fa. Ne sono venuta in possesso da un paio di giorni, ma ho avuto modo di studiarlo nei dettagli.»
«Quindi?»
«Quindi, ciò che ho trovato mi preoccupa.» Gli occhi gialli della strega brillavano nella penombra, le ombre gettate dalla fiammella che danzavano attorno a loro. «A quanto pare, nel grimorio è contenuto il segreto della lunga vita di mia madre.»
Castalia si mosse sulla cassa, a disagio. Asha'bellanar, “la donna dai molti anni”, era temuta e rispettata dal suo Clan e dagli altri Druidi, famosa per essere vendicativa e capricciosa, propensa tanto ad uccidere quanto ad aiutare coloro che si recavano a chiederle aiuto. Scoprire i segreti di una persona così potente, non poteva portare a nulla di buono. Tuttavia, la cosa sembrava turbare parecchio Riful, quindi decise di dare alla compagna di viaggio una possibilità.
«Nelle storie, si è sempre parlato di molte Streghe delle Paludi, figlie di Muriel. Tuttavia, non ne ho mai incontrata una, e ora capisco perché, è legato al segreto della sua immortalità: una volta che il suo corpo non è più in grado di ospitare la sua anima, tenuta probabilmente in vita da un Risvegliato a cui si è legata secoli fa, prende possesso di una delle sue figlie, addestrata in anticipo nelle arti magiche.» Fece una pausa, la rabbia impressa sul volto. «Non ho intenzione di aspettare inerme che mi usi come contenitore.»
La Venator non sapeva cosa rispondere. Che Asha'bellanar usasse della magia sconosciuta per restare in vita così a lungo era ovvio, ma che si potesse spingere al punto di possedere il corpo delle sue stesse figlie... era un pensiero spaventoso. «Vuoi che la uccida, prima che lei uccida te.»
Riful si voltò verso di lei, annuendo. «Non ho altra scelta che chiedere a te. Ne avete già sconfitto uno, ma mia madre è molto più forte di un comune Drago, quando è in quella forma. Ritengo siate in grado di batterla, ma dovrete andarci preparati, e sarà uno scontro difficile.»
«Perché dovremmo rischiare la pelle per te?»
Le labbra della strega si sollevarono in una smorfia divertita. «Mi aspettavo una risposta del genere. Dopotutto, non mi sono fatta molti amici.»
«Non solo, sia io che Julian dobbiamo la vita ad Asha'bellanar. Ucciderla non mi sembra il miglior modo per ripagare il nostro debito.»
Riful scoppiò a ridere, una risata fredda, che risuonò tetra tra le pareti spoglie. «Credi davvero che vi abbia salvati senza un secondo fine?»
Castalia scosse la testa. «No, ma questo non cambia la realtà dei fatti.»
«Non penso che riuscireste ad ucciderla in modo definitivo, in ogni caso. Quello che voglio è renderla inoffensiva abbastanza a lungo da ottenere il suo vero grimorio, che tiene in un baule della sua capanna nelle Paludi, studiarne il contenuto e trovare un modo per contrastarla.»
La Venator sospirò, non sapendosi decidere. «Mi stai chiedendo molto. E anche se riuscissi a convincere me, dubito che gli altri acconsentirebbero a rischiare la vita per te, senza alcuna ricompensa.»
«Potrei dare al mago alcune pagine copiate dal grimorio, e insegnargli l'arte del cambiare forma. Mi sono rifiutata già due volte di spiegargli i rudimenti, quando me l'ha chiesto. Ritengo sia un premio più che adeguato.»
«Può darsi che il topo di biblioteca accetti, ma gli altri?»
«Sono certa che ti inventerai qualcosa. Anche se ho sentito che le squame e le ossa di drago sono ottime per costruire armi ed armature. Con quello che avete già raccolto dal drago di Birchwood, più i resti di mia madre...»
Castalia fece una smorfia. «Mi stai proponendo di indossare le ossa di tua madre?»
«Potresti sempre venderle.»
«Sarebbe inutile chiederti di andare a parlarci, vero?»
«Strano che sia tu a proporlo.» Riful inarcò un sopracciglio. «Che faresti nella mia situazione?»
«Non credo di riuscire ad immaginarmi in una situazione del genere...»
La donna si alzò di scatto dalla cassa di legno, spolverandosi le vesti e mettendosi in testa il cappuccio del mantello. «Bene, io ti ho chiesto quello che volevo. Ora sta a te decidere come agire. Buona serata, Castalia.»
La Venator la guardò uscire nella tormenta, richiudendo la porta dietro di sé.
Non poteva uccidere Asha'bellanar. Aveva salvato loro la vita, dopotutto. Senza contare che era una strega potentissima e ultracentenaria, probabilmente immortale, che sapeva trasformarsi in un enorme drago assassino. E Castalia non aveva alcuna intenzione di affrontarne un altro.
Partirono alle prime luci dell'alba, diretti ad Ostagar. Ci misero giorni per avvistare il limitare delle Paludi Korkari, e l'imponente fortezza in rovina che si stagliava all'orizzonte.
La luce andava scemando e l'aria pungente della notte si insinuava sotto i vestiti mentre procedevano a passo spedito.
Castalia procedeva in testa al gruppo, mentre Julian chiudeva la fila, in modo da percepire in anticipo eventuali attacchi da parte dell’Orda. Arsim, la grande ascia in spalla, sembrava non vedere l'ora di combattere contro quei mostri, mentre Ichabod si limitava a camminare a testa bassa, chiaramente di cattivo umore.
Ellena, Tundra al fianco, proteggeva il fianco sinistro, mentre Kamal camminava alla loro destra.
Non era stato difficile convincere Senua, e Kilik a restare a Bowerstone, mentre Castalia aveva praticamente dovuto ordinare a Kyra di restare al villaggio, non sapendo quanto si fosse effettivamente ripresa dalle ferite riportate ad Birchwood. Miria si era offerta di tenerla d'occhio e Riful li aveva salutati senza fare una piega.
«Grazie per averci seguito.» Disse Castalia a Lisandra, rallentando l'andatura per affiancarsi all'anziana maga.
La donna annuì, un cipiglio severo in volto. «Possiamo anche non pensarla allo stesso modo, ma il compito che vi è stato affidato è troppo importante, e avrete bisogno anche del mio aiuto per portarlo a termine.»
«Ho detto a Ichabod di non usare mai più la sua magia contro uno di noi, non c'è motivo di preoccuparsi.» Cercò di rassicurarla. Lisandra le piaceva, nonostante tutto: era affezionata all’Accademia e aveva una visione assurda della Fratellanza e della magia, ma le ricordava un po' sua Madre.
Lo sguardo dell'anziana maga si assottigliò un poco, mentre con la coda dell'occhio sbirciava alle proprie spalle Ichabod, che non sembrava prestare attenzione a ciò che stava succedendo. «Se dovesse metterci in pericolo, Kamal e Julian sapranno renderlo inoffensivo.»
«Non ce ne sarà bisogno. Ho fiducia in lui.» Ribatté fermamente Castalia, chiudendo la conversazione. Non voleva tornare a litigare.
Prima che Lisandra potesse risponderle, Castalia ordinò al gruppo di fermarsi.
«Sicura?» Chiese Julian. «Abbiamo ancora un'oretta di luce, credo.»
Castalia scosse la testa. «Non mi fido a proseguire oltre, siamo ormai quasi alle Paludi...»
«Ha ragione. Anche se potete avvertire l’Orda con più chiarezza di noialtri, quei mostri ci vedono perfettamente anche al buio. Di notte siamo prede fin troppo facili.» Disse Arsim guardandosi attorno, la mano che accarezzava la lama dell'ascia.
Trovarono un riparo sotto gli alberi, scavando nella neve e spostandola in modo da fare spazio ai giacigli per la notte. Non si fidarono ad accendere un fuoco, ma pescarono tra le provviste che avevano negli zaini.
Stanchi, si sistemarono in fretta per la notte.
Sentì piano piano gli altri appisolarsi. Arsim russava sommessamente, mentre Julian parlottava nel sonno. Ichabod era immobile, dando le spalle al resto del gruppo. Qualcosa non andava in lui, da giorni, ma il mago aveva evitato qualsiasi domanda. Ellena era appoggiata a Tundra, le zampe che si muovevano leggermente come se stesse scavando. Persino Lisandra dormiva profondamente, provata dai giorni di marcia.
Lei invece scrutava il buio attorno a loro, inquieta. Si voltò: Kamal, ad una ventina di metri da lei, montava la guardia, lo sguardo puntato in direzione opposta alla sua. Il barbaro sembrò accorgersi di essere osservato, perché girò la testa, facendole segno che era tutto tranquillo.
Le Paludi erano immobili, una calma innaturale aleggiava su di loro: raramente si sentiva un grido di qualche rapace notturno, mentre il ronzio degli insetti aveva un qualcosa di sinistro, come distorto. Cercando di scacciare il senso di inquietudine che le attanagliava lo stomaco, si avvolse ulteriormente nel mantello di pelliccia, massaggiandosi le orecchie infreddolite.
Chiuse gli occhi per un attimo, la stanchezza che prendeva il sopravvento...
Un ruggito terribile le rimbombò nelle orecchie. Riaprì gli occhi con un sussulto, terrorizzata, l'immagine di Urthemiel vivida di fronte a sé. Si tirò in piedi di scatto, afferrando la spada accanto a sé.
«Cosa…»
Un orrendo stridio le perforò i timpani, e prima che il resto del gruppo potesse accorgersene, cinque creature mostruose comparvero dal nulla, gettandosi su di loro con zanne e artigli affilati.
Castalia si gettò di peso contro il più vicino, dando a Lisandra il tempo di mettersi in piedi ed afferrare il proprio bastone magico. La lama calò sulla testa del mostro, tranciando la carne e recidendo gran parte del collo. Ignorando il fiotto di sangue scuro sull'armatura, finì il nemico con un ultimo fendente, gettando di lato il corpo e preparandosi ad affrontare il successivo, andando in aiuto di Ichabod e Kamal, che ne stavano affrontando due.
Vide Arsim fare a pezzi uno di quei mostri, mentre Lisandra lanciava una barriera di protezione sull'intero gruppo. Julian e Ellena ne eliminarono un altro.
«Maledizione, sono spuntati dal nulla!» Esclamò il Venator, guardandosi attorno allarmato. «State tutti bene?»
Castalia stava per rispondere, quando un movimento alle sue spalle catturò la sua attenzione. Una di quelle creature si ritrasse verso il fitto della foresta. Senza nemmeno pensarci un attimo, si lanciò all'inseguimento. Saltò agilmente sulle grosse radici di un albero, ricoperte di ghiaccio e neve.
Grazie alle sue abilità da Venator lo raggiunse velocemente e senza esitare lo gettò a terra.
Quando vide il mostro in faccia, rimase pietrificata.
«C…Cast..alia...»
Le ginocchia picchiarono dolorosamente sul terreno ghiacciato, incapaci di reggerla in piedi. Di fronte a lei, una figura dagli inequivocabili occhi azzurri la fissava implorante. Nonostante la pelle fosse butterata e macchiata, di un colorito violaceo e malato, lei avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.
«Caleb...»
«Non… guar…darmi…...» Parlava come se non vi fosse più abituato, il suono che ne usciva era raschiante, persino gli occhi azzurri avevano perso la loro luce, ma era lui.
Paralizzata, sentì le lacrime scenderle lungo il viso, incapace di fermarle. «Come...» farfugliò, allungando una mano verso di lui.
Caleb si ritrasse, come spaventato, strisciando nella neve. «Non... non avvicinarti!»
Castalia non capiva. Sbatté le palpebre, barcollando in avanti, afferrandogli la mano. Era scheletrica, la pelle squamosa, così simile a quella dei morti che formavano l’Orda di Urthemiel, ma non la lasciò andare.
«No! No!» Cercò di dibattersi l'altro, ma la presa della Venator era d'acciaio. «Lasci…ami… io… mostro!» Gettò un grido disumano, in preda al panico. «Lui… vuole… che…uccida…»
Lei cercava di immobilizzarlo, ma era sorprendentemente forte.
«Cast…alia...»
«Caleb, ti prego, possiamo aiutarti…»
«No… niente…aiuto…» Con uno strattone, le fece perdere l'equilibrio, riuscendo a liberarsi. Indietreggiò carponi, ma un getto di luce lo immobilizzò all'istante.
«Castalia, sta' attenta!»
La Venator si girò di scatto. Ichabod, il respiro affannoso per aver corso, teneva il bastone magico puntato verso di loro.
«Fermo, non fargli del male!» Urlò terrorizzata lei, frapponendosi tra Caleb e il mago. «Lo conosco!»
«Chiunque fosse, ora è un servo dell’Orda, un mostro.» Ribatté l'uomo, ma abbassò leggermente l'arma. «Mi dispiace.»
«No, deve esserci qualcosa che possiamo fare...»
«È troppo tardi.» Si voltò di nuovo verso Caleb. Accanto a lui, Julian, leggermente chino sull’uomo, scosse la testa. «La corruzione si è ormai impossessata di lui. L'unica cosa da fare è…»
Castalia si ritrovò in piedi, afferrando il bavero del Venator. «Non osare!» Ringhiò, fuori di sé. «Non dirlo neanche! Possiamo curarlo, come Rylan ha fatto con me!»
«Castalia...»
«Sta zitto!»
Lo schiocco del ceffone rimbombò tutto attorno. Julian si portò una mano alla guancia, dove il guanto metallico di Castalia l'aveva ferito. Gli occhi color nocciola di lui fissi nei suoi, pieni di tristezza. La ragazza sollevò l'altra mano, per colpirlo di nuovo, ma rimase immobile, stringendola a pugno. Si morse un labbro, le lacrime che scendevano copiose. «Deve esserci un modo. Vi prego.»
«Anche con il rituale del Vincolo, Julian ha ragione, è troppo tardi.»
«Qualche magia, qualche... Non posso...»
«Cast… alia....»
Lo sguardo appannato si posò su Caleb. Immobilizzato dalla runa di Ichabod, sbatté le palpebre. «Ucc…idimi… ti prego...»
Strisciò verso di lui, afferrandogli il volto con entrambe le mani, tremando come una foglia. Caleb sorrise, triste, mentre con la mano copriva la sua. «Io… ti… amo...»
«È stata tutta colpa mia.» Singhiozzò. «Se non avessimo trovato quella sfera, se ti avessi fermato...»
Castalia appoggiò la fronte alla sua, mentre con la mano libera afferrava il pugnale da caccia e, tremante, appoggiava la punta contro il suo petto, all'altezza del cuore.
«Gra…zie...»
Un gesto rapido.
Caleb i accasciò contro di lei, mentre il sangue colava su entrambi, inzuppandole le vesti e l'armatura. Lo strinse forte, fino a farsi male, scossa dai singhiozzi.
“Che Falon'Din mi guidi presto da te.” Pensò la Venator.
Reggeva il corpo di Caleb tra le braccia. I sussulti cessarono, il freddo che le entrava nelle ossa. Sentì a un tratto qualcuno che le sistemava un mantello attorno alle spalle.
«Non possiamo stare qui, è pericoloso.»
Julian.
Tirò su col naso, la voce che faticava ad uscire. «E allora andate.»
«Mi dispiace. Ma è stata la cosa giusta da fare, non c'era altro modo...»
Non rispose. Come poteva essere giusto? Caleb l'aveva cercata per tutto quel tempo e lei non aveva potuto fare niente per aiutarlo. Era ancora viva solo grazie a lui. Voleva soltanto farla finita, non aveva più forze.
«Alzati.» Le intimò Ichabod. «Non puoi fare più nulla per lui, a parte dargli una sepoltura dignitosa. Se restiamo qui verremo fatti a pezzi, e non avrai la possibilità di uccidere quel maledetto di Urthemiel.»
Urthemiel.
Se lo avesse ucciso, avrebbe impedito che molti altri facessero la stessa fine, infettati dalla Corruzione.
«Non ho un seme di albero.» Balbettò dopo una lunga pausa. L’acero era il preferito di Caleb. Con le sue foglie rosse, e il dolce nettare che il ragazzo amava tanto raccogliere dalla corteccia. «Non posso lasciarlo qui, devo...» Si rialzò in piedi, sollevando il corpo, così leggero, troppo, per essere appartenuto al Druido con cui cacciava nei boschi solo qualche mese prima. Incespicò in avanti, e fu solo grazie a Julian che non crollò a terra.
Trovarono poco lontano un grande albero coi rami spioventi, che sfioravano il laghetto gelato sotto di esso.
Castalia si inginocchiò accanto ad esso, facendo scivolare il corpo di Caleb tra le radici con dolcezza. Gli chiuse gli occhi, accarezzandogli un'ultima volta la guancia. Prese il coltello e si tagliò una ciocca di capelli, ponendogliela tra le mani gelide. «Che Falon'Din mi guidi da te, quando sarà il mio turno.» Disse, prima di fare un cenno a Ichabod.
Il mago batté il bastone magico per terra terra e Caleb cominciò a sprofondare nel terreno, che si richiuse sopra il corpo in volute di pietra, fino a che non sparì completamente, inghiottito sotto le radici contorte del grande salice.
«Tornate dagli altri. Ho... bisogno di un momento.»
Il mago annuì, girando i tacchi e andandosene.
Julian rimase qualche secondo immobile accanto a lei, incerto se lasciarla sola o meno. «Qualcuno dovrebbe restare, se venissi attaccata...»
Castalia non aveva nemmeno la forza di ribattere. Lasciò che le si sedesse accanto, le lacrime che non accennavano a fermarsi.
«Julian...»
«Si?»
«Grazie....»
L'alba li trovò già in viaggio.
Nessuno aveva chiuso occhio dopo quanto accaduto, così riuscirono ad arrivare alle porte della fortezza di Ostagar in breve tempo.
Castalia camminava in testa al gruppo, insensibile al vento e alla neve che aveva ricominciato a cadere.
«Le mura sono crollate.» Sentì Julian commentare. «Sarà più facile entrare da quella parte, basterà nasconderci tra gli alberi.»
«Non hanno una vista molto sviluppata, contano soprattutto sull'olfatto e sull'udito.» Confermò Arsim, mentre avanzavano circospetti verso il luogo dove avrebbe dovuto esserci la chiave sepolta tra le macerie. «Dovremo essere fuori di qui entro sera.»
«Eccolo, è quello.» Indicò Lisandra, puntando il dito verso una pila di pietre cadute ai piedi di una statua spezzata a metà.
Recuperata la chiave, si guardarono attorno.
«Non pensavo sarei mai tornata qui.» Commentò Lisandra.
«Gli credevo, sai?» Disse Julian, chinatosi ad afferrare qualcosa sul terreno. «Che avremmo sbaragliato il nemico in una gloriosa battaglia...» Si fermò ad osservarlo.
Castalia si voltò verso di lui. Uno scudo giaceva infranto, lo stemma della Fratellanza macchiato di sangue rappreso.
«Non tutto è perduto, Julian.»
«Sì, ma avrei voluto che Rylan fosse qui con noi.»
Rylan. Al solo sentire quel nome, Castalia poteva sentire l'astio montarle dentro. Se solo si fosse impegnato di più a cercare Caleb, magari ora sarebbe stato lì con lei.
Prima che potesse ribattere, qualcosa si stava avvicinando.
Julian sfoderò la sua arma, e tutti si affrettarono ad imitarlo.
Lo scontro che seguì fu breve. Evidentemente, erano rimasti soltanto piccoli gruppi di Risvegliati a guardia della fortezza: il grosso delle forze di Urthemiel era impegnato a distruggere l'intero paese, sparpagliandosi per il territorio.
«Guardate.»
Si voltò verso Julian, che indicava un cadavere. «Quella. È l'armatura di Adelasia.»
Gli spallacci erano contusi e le fibbie ormai logore e consunte, il pettorale squarciato al punto che soltanto una parte delle insegne era ancora visibile, ma non vi erano dubbi.
«Dobbiamo trovare quelle lettere, Julian.» Cercò di spronarlo Ellena.
Il Venator annuì, senza però muoversi, lo sguardo puntato a terra. «È sbagliato, che sia qui. Indossato da questi esseri corrotti. Era suo.»
«Non è stata la prima Divina a cadere in battaglia e non sarà l'ultima.» Si intromise Lisandra.
«Lo so ma...»
Castalia osservò Ellena avvicinarsi al ragazzo alzando una mano come per sfiorargli il braccio. Improvvisamente, la Von Meyer sembrò ripensarci, fermandosi a poco da lui, il braccio che ricadeva lungo il fianco.
Il Venator sembrò non accorgersene. «Andiamo.»
Trovarono il forziere di Adelasia tra i resti del padiglione reale. Recuperati i documenti, non ebbero nemmeno il tempo di sfogliarli che vennero attaccati nuovamente.
Respinsero i nemici fino al ponte sullo strapiombo che collegava l'accampamento alla torre di Ishal.
Castalia aveva ancora impressa a fuoco quella notte, come probabilmente anche Julian e Lisandra. Le fiamme che ruggivano alte fino al cielo, l’Orda spuntata dal nulla in numero soverchiante, i cadaveri, la puzza di bruciato, le mura che venivano buttate giù, le urla, il fumo.
Ora, la coltre neve bianca copriva tutto, i loro passi ovattati l'unico suono udibile, le macerie e i pochi resti a testimoniare quella disastrosa battaglia. Castalia si ricordava di come era rimasta senza parole a guardare la vallata sotto di loro, la prima volta che aveva attraversato il ponte che collegava le due parti della fortezza.
Ora, però, a mozzare il respiro a tutti era uno spettacolo decisamente più brutale: su una rozza croce di legni marci, giaceva appesa una donna, nuda, il cadavere deturpato e ormai deforme dai colpi ricevuti, il torace squarciato e banchetto per i corvi, orrendi uccelli neri e malati dal contatto con la corruzzione dell’Orda. Ciò che restava della Divina Adelasia.
Castalia non la degnò di un secondo sguardo, ma scelse di dare il tempo aa Julian di assimilare la cosa. Era pur sempre la sua sorrelastra, anche se a stento si erano conosciuti...
Con la coda dell'occhio, vide un movimento all'estremità opposta del ponte.
Una figura in tunica nera agitava un bastone sopra la testa.
Gli scheletri accanto a loro cominciarono a sussultare, rimettendosi in piedi traballanti e fiondandosi su di loro. Li respinsero, cercando di avanzare verso la Torre di Ishal.
«Sono troppi!» Urlò Ichabod ad un certo punto, colpendone un paio con una palla di fuoco e mandandoli in frantumi di cenere. Dietro ce n'erano altri. «Dobbiamo liberarci del negromante!»
Corsero a perdifiato fino alla torre, buttando giù la porta con un pugno di pietra di Lisandra.
Inseguirono il negromante per tutti i sotterranei della torre, combattendo i cadaveri rianimati giusto lo stretto necessario, preferendo intrappolarli tra i piani e farli cadere tra le voragini nel pavimento, le ossa che andavano in frantumi quando toccavano il terreno.
Finalmente usciti, si ritrovarono sul campo di battaglia, quello dove erano morti così tanti Venator e la Divina in persona, con la maggior parte della sua guardia.
Un enorme cadavere spiccava tra gli altri: ciò che restava di chissà quale Abominio, era il mostro più grosso che avessero mai visto, una spada e un pugnale che gli spuntavano dal petto, incastrati nella cassa toracica. Il negromante mosse nuovamente il suo bastone. L'abomino sussultò, gli enormi artigli a fendere l'aria.
«Oh no che non lo fai!»
Una runa di paralisi immobilizzò il mostro sul posto, impedendogli di ultimare l'incantesimo. Castalia lo caricò di peso, mozzandogli di netto la testa. Soddisfatta, rinfoderò la spada, ringraziando Ichabod con un cenno.
«Abbiamo quei documenti, ora andiamo a seppellire la Divina.»
Ricevette in risposta sguardi spiazzati.
«Veramente, i membri della Fratellanza bruciano i loro morti...» riuscì a dire il mago.
Castalia scrollò le spalle. «Ai morti non cambia niente.»
«Julian?»
Ellena guardava l'altro Venator con preoccupazione.
Il ragazzo si era arrampicato con difficoltà sul cadavere dell'abomino e aveva estratto le due lame che spuntavano dalla bestia. Scese con un salto, mostrandole al resto del gruppo. «Erano di Rylan.»
«Pensi che ci possa essere anche il suo corpo, qui?» Chiese titubante Ellena.
L'altro si guardò attorno, gli occhi lucidi. «Non credo. In ogni caso, non possiamo attardarci troppo, non avrebbe voluto ci mettessimo in pericolo per una cosa del genere.»
Inaspettatamente, fu Arsim ad avvicinarsi a lui, annuendo solennemente. «I Venator muoiono da soli, circondati dal male. Si è fatto onore, ad uccidere un essere come quello. Porta con te la sua spada, nelle battaglie future.»
Julian abbassò il capo, accarezzando con la punta delle dita l'acciaio pallido della lama. Tolse quindi la propria dal fodero, sostituendola con quella di Rylan. Dopo un attimo di esitazione, porse l’altra a Castalia. «So che non l'hai ancora perdonato per averti reso un Venator, ma è una buona arma, e avrebbe voluto restasse coi Venator, ed io voglio che l’abbia tu.»
Castalia rimase sorpresa. Era sicura che stesse piangendo, invece negli occhi dell'altro c'era solo una ferma determinazione, e fu quella che la spinse ad accettare quella spada, nonostante tutto.
«Ora torniamo dalla Divina.»
Castalia annuì, seguendolo.
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