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#Angelo Mosca
ringthedamnbell · 4 months
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Top Five: Identity Theft - Nicknames Shared By Multiple Wrestlers
Top Five: Identity Theft - Nicknames Shared By Multiple Wrestlers
Rob Faint Wrestling is full of unique characters.  And some not-so-unique characters.  Here is a list of nicknames that have been used by more than one wrestler.  Continue reading Top Five: Identity Theft – Nicknames Shared By Multiple Wrestlers
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tempi-dispari · 10 months
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Raff, la fortuna è cieca...
Contesto storico
(Fonte)
Il mondo camminava con tutta la sua umanità verso un assetto che sarebbe stato quello della fine della guerra fredda e l’inizio di nuove ere sempre più convulse, come quella dei nostri giorni che spesso ci asteniamo dall’interpretare. Stati Uniti e Cina fecero accordi che stabilivano una priorità per entrambi in funzione antisovietica e l’Urss sentendosi circondata invase l’Afghanistan poco prima di Natale. I carri sovietici a Kabul, con rovesciamento di governo e inizio di dieci anni di guerriglia afghana alimentata dagli americani per dare filo da torcere a Mosca.
Fu così che questi strani personaggi che imparammo a conoscere – i Mujaheddin – diventarono popolari. In Italia nacque RaiTre per il Partito comunista: l’assetto era perfettamente lottizzato e anche bilanciato: il Pci che fino a quel momento era stato tenuto fuori dal governo diretto della Rai, diventò titolare di un’intera rete televisiva. RaiUno restava saldamente demo cristiana, Rai Due altrettanto saldamente socialista anzi craxiana e una gentile signorina molto sexy apparve sullo schermo per avvertire che d’ora in poi ci sarebbe stato questo piacevole terzo incomodo, RaiTre.
Il telegiornale della nuova rete fu inizialmente diretto da Agnes ma la personalità più caratteristica e caratterizzante fu quella di Sandro Curzi, vecchio giornalista comunista dall’età di quattordici anni, un sindacalista che avevamo imparato a conoscere nelle redazioni perché veniva a illustrare con il suo smisurato impermeabile, lo stato dell’informazione. Il suo Tg3 fu ribattezzato “Tele-Kabul”, qualcosa di rovesciato rispetto a Radio-Londra, perché Curzi aveva intenzione di rompere gli schemi e quando verrà il momento della caduta del muro di Berlino, riuscì ad appropriarsi di quell’evento di per sé “anticomunista” e farne un cavallo di battaglia di sinistra.
Ma questo accadrà dieci anni dopo, quando anche il corpo di spedizione sovietico in Afghanistan se ne tornerà sconfitto e umiliato, in un Paese- l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche – destinato a finire di lì a pochi anni. La Terza Rete della Rai diventerà gradualmente un grande laboratorio guidato da Angelo Guglielmi, uno degli intellettuali del “Gruppo 63” e questo fu un notevole rimescolamento di carte televisive, con un elemento costante. In fondo, anche oggi si può vedere che il Tg1 non è più grillino con grande malumore di Conte e il Tg2 è pallidamente leghista, ma il Tg3 e la rete sono e restano i rappresentanti dell’area di sinistra dominata allora dal Pci ed oggi dal Pd.
I morti ammazzati furono ancora moltissimi: gli scontri fra neofascisti e gruppi armati di sinistra lasciavano cadaveri sulle strade mentre proseguivano anche le vigliacche esecuzioni con un colpo alla nuca delle Brigate Rosse o di Prima Linea, come quello che uccise il giudice Emilio Alessandrini che indagava sulla pista fascista di piazza Fontana. A proposito della strage di piazza Fontana, in quell’anno ci fu una prima sentenza che sembrava definitiva e non lo fu, ma che condannava i soliti Freda, Ventura (che riuscì a evadere e fu poi riacciuffato in Argentina) e Guido Giannettini.
Assolti l’anarchico Mario Merlino e Marco Pozzan. Ma altre sentenze rovesciarono il verdetto fino a una estenuazione dell’attenzione pubblica che nel frattempo aveva dimenticato piazza Fontana e quel tremendo 12 dicembre del 1969 quando per la prima volta dai tempi dell’occupazione tedesca era avvenuta una strage di civili in un pomeriggio avanzato nella filiale della Banca dell’Agricoltura a Milano. Il primo febbraio l’ayatollah Khomeini lasciò Parigi che lo aveva ospitato per oltre dieci anni e sbarcò a Teheran accolto da folle deliranti che pensavano di aver conquistato la libertà dopo la cacciata di Reza Pahlavi.
La dittatura di Khomeini e degli altri ayatollah mostrò al mondo occidentale qualcosa che ancora non aveva mai visto: un regime autoritario religioso sciita, cioè nemico dell’altra metà dell’Islam che è sunnita, come era ad esempio l’Iraq di Saddam Hussein con cui il nuovo Iran ingaggerà una guerra estenuante e sanguinosissima durante la quale il dittatore iracheno farà largo uso di gas letali.
Sparisce in un attimo la Teheran moderna delle impiegate in minigonna dei tempi dello Shah e comincerà la repressione contro le donne costrette a indossare il velo e il burka che lascia visibili soltanto gli occhi. Il mondo faceva anche i conti con le scorte petrolifere perché il nuovo regime esercita un potere militare sul Golfo Persico da cui transitavano e transitano le petroliere che portano milioni di tonnellate di rifornimenti petroliferi in Occidente e fu subito ansiosamente l’apertura di un nuovo fronte: non più e non solo quello fra capitalisti americani e comunisti sovietici, ma quello con gli islamici.
E neppure tutti gli islamici, ma solo quelli fedeli alla tradizione del cognato Alì del Profeta. L’Urss si era gettata in un certo senso a capofitto nel primo conflitto mondiale di carattere etnico e religioso attaccando l’Afghanistan che è in prevalenza sciita e dunque con una popolazione che allora come oggi guarda a Teheran più che alla Mecca. Tutto ciò era totalmente nuovo per il mondo occidentale che aveva pochissima confidenza con le diverse culture ed etnie di religione islamica.
L’ayatollah Khomeini durante i quindici anni trascorsi in un compound parigino protetto dallo Stato francese, aveva spiegato in decine di interviste il carattere autoritario religioso della dittatura che avrebbe instaurato una volta rientrato nel suo Paese e dunque nessuno poté sentirsi davvero sorpreso.
Tuttavia, la sorpresa fu egualmente enorme e ben presto sarebbe arrivato il momento della resa dei conti fra Iran khomeinista e gli Stati Uniti d’America, e il primo round andò nettamente a favore di Teheran, con la crisi degli ostaggi nell’ambasciata americana e il maldestro tentativo del presidente americano Jimmy Carter di risolvere la situazione con un colpo di mano miseramente fallito.
Dunque, dopo le guerre fra Israele e i Paesi confinanti con lo Stato ebraico, adesso sia l’Occidente filoamericano che l’Oriente filosovietico si trovavamo a fare i conti con una realtà che avrebbe pesato sempre di più sullo scenario internazionale. In Italia a marzo termina il processo per lo scandalo Lockheed, di cui si è persa ormai traccia nella memoria collettiva, che invece quarantadue anni fa fu quasi travolta da una storia di tangenti e imbrogli che portarono alle dimissioni del presidente della Repubblica Leone su cui gravava il sospetto – mai dimostrato – di essere il misterioso “Antilope cobbler” (il ciabattino o il massacratore di antilopi) secondo una indicazione in codice di uno dei personaggi americani della trattativa che incluse in molti Paesi d’Europa e del mondo delle stecche destinate ai politici che facilitarono il contratto.
Lo scandalo stroncò anche la carriera del leader democristiano Luigi Guy – totalmente innocente ma dato per due anni in pasto agli attacchi giornalistici e politici – e il segretario del Partito Socialdemocratico Mario Tanassi che fu condannato a un paio d’anni di servizi sociali.
Ricordo di averlo intervistato all’inizio dello scandalo e Tanassi mi disse che sospettare di lui equivaleva a sospettare il papa di essere un molestatore di bambini. Il curioso paragone fece il giro del mondo e non giovò alla sua causa. Comunque, lo scandalo Lockheed, legato all’acquisto di alcuni aerei americani militari da trasporto Hercules, richiese la formazione di una Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Mino Martinazzoli che sarebbe diventato un giorno il segretario della Democrazia Cristiana, l’ultimo. Diventammo amici – io ero uno dei giornalisti di Repubblica che avevano seguito la vicenda fin dall’inizio – perché condividevamo la passione per il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein e del suo “Tractatus Logico-philosophicus”. Il Pci schierò uno dei suoi più onesti intellettuali, Ugo Spagnoli.
Fu quella una battaglia durissima che anticipò la crisi della Repubblica prima ancora che cadesse il sistema basato sugli equilibri della guerra fredda. La vicenda giudiziaria italiana era peraltro figlia di quella americana: negli Stati Uniti era stata istituita un’altra Commissione di indagine congressuale sulle stesse vicende, guidata dal senatore Frank Church, che a sua volta era il seguito o lo sviluppo di un’altra inchiesta sulle malefatte della Cia, guidata dal senatore Pike e che già aveva messo a sconquasso il campo dei servizi segreti in tutto il mondo. L’inchiesta giudiziaria che aveva viaggiato parallelamente a quella parlamentare si era chiusa con un punto interrogativo: era davvero Giovanni Leone – stando al suo cognome – quel “divoratore di antilopi”, citato in un rapporto segreto americano?
Ebbi la ventura di intervistare per ultimo Giovanni Leone poco prima della sua scomparsa per La Stampa e l’ex Presidente, profondamente traumatizzato ancora a molti anni di distanza mi giurò di non aver saputo mai nulla della storia di quegli aerei e mi ricordò quanto non avesse bisogno di farsi concedere mance dai fornitori stranieri per un tenore di vita che aveva raggiunto da molto tempo con i suoi mezzi di grande avvocato napoletano, prima ancora che come Presidente prima della Camera e poi della Repubblica. Io stesso ero stato uno dei giornalisti che, sia pure indirettamente, aveva fatto parte della campagna che specialmente l’Espresso e la Repubblica avevano condotto contro di lui con il massimo spiegamento di forze giornalistiche e confesso che provai un grande imbarazzo e per lui una pena profonda perché credevo alle sue parole.
Pile di teschi a milioni: le foto invasero televisioni e giornali e settimanali rotocalco: il più feroce regime del mondo, quello dei Khmer rossi in Cambogia venne deposto con l’intervento armato della Repubblica del Vietnam e del suo esercito regolare che cacciano Pol Pot – in testa alle classifiche mondiali dei peggiori assassini di massa insieme a Stalin e Hitler. Ma di questo ed altro parleremo nella seconda puntata dedicata a questo anno di grandi eventi e impreviste trasformazioni.
In questo contesto nascevano i Raff
E’ in questo periodo (1978) che nasce la leggenda dei fratelli Bianco. Chris e Fabiano (Master) sono cresciuti in una famiglia che viaggiava spesso per il mondo, il padre lavorava nella moda e per otto anni i due ragazzi si ritrovarono a New York, dove frequentarono le scuole primarie, cominciando ad appassionarsi molto alla musica rock, un interesse favorito dalla facilità con cui riuscivano a reperire materiale su vinile rock e punk, gruppi che in Italia ancora non venivano adeguatamente distribuiti.
Rientrati a Milano i fratelli Bianco si misero subito alla ricerca di ragazzi disposti a dar vita a un progetto rock’n’roll punk. E così nacquero i Trancefusion.
DAI TRANCEFUSION AI RAFF Tra il 79 e l’ 80 la famiglia si trasferì a Roma per motivi di lavoro, per cui anche l’attività musicale dei Trancefusion ne risentì, con un drastico cambio di line-up. I fratelli Bianco, arrivati nella Capitale, rimisero in piedi la band, reclutando nuovi innesti romani e cambiando però anche nome. Nacque il monicker THE RAFF.
Le cose sembrarono andare subito alla grande. La EMI tramite un giornalista amico dei Bianco, dichiarò di volerli mettere sotto contratto. Nella formazione di quel momento, oltre ai fratelli Chris al basso e Master alla batteria, c’erano: alle chitarre Lu Cillis e Fausto Roddo Donato e alla voce solista Vittorio Zammarano.
THE RAFF registrarono un singolo che nelle speranze del gruppo avrebbe dovuto imporne il nome sulla scena punk. La sfortuna però cominciò a ricamar sodo sopra la band. Malgrado i concerti super affollati al Sebastian, al Tube e il Titan, e la popolarità dei RAFF che cresce velocemente, come per i Sex Pistols, il rapporto con la EMI non andò molto bene e finì per interrompersi. Dissidi interni e discografici innervorono il gruppo fino alla rottura. Il singolo rimase nel cassetto (non ricordo se poi è uscito ufficialmente).
La crescente scena metal colpì in pieno volto anche i Raff che decisero di cambiare pelle. Chris passa alla voce solista (oltre che a suonare il basso) e si parlò di un chitarrista inglese che avrebbe sostituito il punker Cillis. Si vociferò addirittura che sarebbe stato Clive Wisbey fondatore della prima incarnazione dei Tygers Of Pan Tang e… in effetti così fu. Si trasferì in Italia e poco dopo militò nei Raff per un periodo!
I RAFF E BRUCE DICKINSON
Nell’estate del 1980 i Raff aprirono il concerto romano dei Ramones a Castel S.Angelo. Nell’82 seguirono il tour italiano degli Iron Maiden che erano freschi di cantante nuovo. Lo stesso Bruce Dickinson appare nelle foto ufficiali degli Irons con una spilletta dei Raff infilata nel bavero del suo giubbotto di pelle.
L’anno seguente (1983) suonarono di supporto alla Gillan Band. Ormai i Raff venivano considerati la miglior band metal italiana soffiando il titolo persino ai milanesi Vanadium di Pino Scotto. Ne è conferma la classifica del magazine Rockerilla che li piazzò al terzo posto tra i più lanciati gruppi rock, dietro a Litfiba e Denovo e precedendo appunto i Vanadium, che erano usciti con l’album d’esordio.
Il 1983 fu un anno importantissimo per la band, segnato dal solito cambio di formazione (ora erano un trio con Gianni Russo alla chitarra) e la firma con King Steve Records che li chiuse in studio per registrare quello che avrebbe dovuto finalmente essere il lancio definitivo dei Raff nel gotha della musica metal internazionale non La band si presentò al Festival di Certaldo. con la convinzione che presto avrebbe assaporato location ancora più suggestive in giro per l’Europa.
PROBLEMS!?
Purtroppo, in un momento così delicato, le cose cominciarono ad andare storte. A parte il nuovo cambio di line-up, con il bassista Brian Vagnarelli entrato a sostituire Chris al basso (mentre lui si sarebbe solo occupato delle voci) ci fu lo split con il chitarrista Gianni Russo, che decise di abbandonare la band, a registrazioni in corso, subito dopo la partecipazione al concerto estivo di Ostia Antica con Vanadium e i Crossbones.
La ricerca del sostituto di Gianni non era certo facile e come se non bastasse, la King Steve commise una serie di grossi errori a livello di organizzazione. Impose ai ragazzi il chitarrista Dave Sumner, già con i Primitives di Mal. Sicuramente un grande strumentista, per carità, ma lontano dalle rasoiate metal di Gianni.
Iniziò così un lungo braccio di ferro tra i Raff e l’etichetta, che non digeriva le rimostranze dei ragazzi per la scelta obbligata e fuori luogo. Ricordo un bellissimo show al Teatro Colosseo del settembre 1983 che è rimasto impresso nella mente della nostra generazione metallica. 750 paganti con i Fingernails di supporto. Lo show dei Raff seppur di ottima fattura, regredì nell’impatto sonoro. Dave era assolutamente inadeguato e non dava la spinta necessaria al metal aggressivo dei ragazzi.
L’INIZIO DEL PEGGIO Dopo quel concerto, Lo stesso discografico si impossessò del cospicuo incasso della serata e annunciò ai ragazzi che aveva subìto una rapina. Nessuno venne pagato tranne che una cena pagata al ristorante di Rione Monti con tanto di caos ai tavoli, ubriachezza molesta, bicchieri rotti e proprietario che ci cacciò tutti via.
Si arrivò alla rottura totale anche perché l’album era finito e con la copertina già pronta, ma la King Steve non dava più segni di vita. Pare che di mezzo a questa improvvisa mancanza di entusiasmo per i Raff ci fosse un contratto firmato dalla band con l’etichetta svedese che aveva lanciato gli Heavy Load.
Lo ricordo perché lo stesso manager del gruppo mi fece vedere il contratto. Ora non capisco cosa sia successo, se fossero gli stessi ragazzi a non voler far uscire il vinile per la King Steve o se fosse il discografico a chiedere denaro per il trasferimento, fatto sta che dagli uffici dell’etichetta sparì il master premixato del disco. Si racconta che sia stato proprio Master Bianco a scavalcare la finestra dello studio dove si trovavano i master e di averli trafugati.
Rimane ancora oggi tutto avvolto nel mistero, comunque. L’episodio indispettì il manager dell’etichetta e la notte di quel capodanno, durante lo show organizzato dai discografici (suonammo noi dei Fingernails) i Raff rifiutarono di esibirsi con la scusa di non aver ricevuto il budget accordato. Tant’è che la serata ebbe degli incresciosi episodi di teppismo, con metallari che rubarono birre e alcolici dal bar del locale e un energumeno che quasi venne alle mani con noi.
A quel punto i rapporti tra la band e la King Steve si interruppero e Sumner ovviamente fu fatto fuori dai Raff. Da quel punto, la carriera del gruppo subì un imprevisto stop. Il gruppo cercò di rimediare al difficile momento con il ritorno di Fausto Donato alle chitarre.
Nel 1985 parteciparono alle registrazioni della compilation Metallo Italia curata da Al Festa che riunì una folta rappresentanza delle migliori band metal italiane tra cui Steel Crown, Crossbones, TIR, Vanexa, Elektradrive e altri.
Ne venne fuori un prodotto probabilmente non all’altezza delle produzioni internazionali ma il film documentario che ne seguì l’uscita ebbe un buon ritorno d’immagine soprattutto grazie alle visioni TV della Rai.
I Raff eseguirono il brano I Trust con la novità della batteria elettronica Simmons suonata da Master. Fu in apparenza il segno di una svolta per la band, che presto si registrò il primo Ep su vinile con quattro tracce.
Purtroppo l’album non risultò all’altezza del potenziale dei Raff. Chris febbricitante terminò il lavoro con grande fatica. Il pubblico ebbe difficoltà a seguire il nuovo corso dei Raff e la nascente scena thrash metal rese tutto molto più difficile.
In quel periodo Master partì per gli States assieme agli emiliani Raw Power che avrebbero girato per tre mesi in tour nel 1985 (aprile/giugno e in settembre). A causa di un’indisponibilità del cantante originale, la Toxic Records contattò Chris Bianco per partecipare al tour di circa quattro mesi come cantante solista degli stessi Raw Power.
A quel punto anche Fausto Donato dei Raff si unì al gruppo reggiano. La variazione della formazione non venne accolta con favore dai membri originali dei Raw Power che ripresero in mano la gestione della band mettendo alla porta i membri dei Raff.
Ritornati in Italia i fratelli Bianco decisero di provare con un ultimo assalto. Donato uscì dal gruppo per far posto a due chitarristi: Dani Macchi e Max Annibaldi che riportano il sound della band su binari meno commerciali. Purtroppo la carriera dei Raff non decollò e nel 1988, dopo un ultimo spettacolo al Piper di Roma, decisero di sciogliersi.
2001 – IL RITORNO
Nel 2001, dopo tredici anni di silenzio la band inaspettatamente torna in pista. Oltre i fratelli Bianco e Gianni Russo alla chitarra, troviamo la collaborazione di Angus Bidoli (me stesso) e alla voce Anthony Drago. Con questa formazione i Raff fanno diversi concerti nella Capitale. Sono anche invitata al festival metal di Chicago, evento che verrà però rifiutato a causa dei mancati accordi economici.
Nel 2002 il gruppo apre allo show romano degli Uriah Heep e compaiono nella compilation Fuoricentro prodotta dalla Gridalo Forte Rc. I Raff partecipano con un brano live registrato nell’estate del 2001 al Foro Italico. A questo punto si decide di suonare il concerto evento del 2003 con la presenza dei chitarristi Dani Macchi e Fausto Roddo Donato e del bassista Brian Vagnarelli, show che sancirà un nuovo scioglimento.
Un paio di anni dopo però si torna ancora in sella con la partecipazione a un paio di concerti nella provincia laziale, senza la collaborazionme di Drago e mia, ma con Donato e Vagnarelli. Sono solo uscite estemporanee perchè i Raff si fermano di nuovo per qualche anno, tornando nuovamente nel 2012 con la formazione a trio (Chris, Master e Gianni Russo) e partecipano ai festival Heavy Night di Villa Rosa e il Roman Hard’n’Heavy Festival all’Atlantico.
Dopodichè al posto di Gianni Russo subentra Tony Arcuri con il quale il gruppo registra l’album d’esordio (!) con tutti i vecchi brani anni ’80 che sarebbero dovuti uscire nell’83 per la King Steve. Inoltre suonano live in giro per l’Italia. E nel 2015 i Raff decidono di ritirarsi di nuovo e questa volta sembra definitivamente.
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giancarlonicoli · 1 year
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9 lug 2023 10:05
LUISITO, UN UOMO, UN MITO! SE NE VA A 88 ANNI LUISITO SUAREZ, IL REGISTA DELLA "GRANDE INTER" - ARRIVÒ DAL BARCELLONA PER 300 MILIONI DI LIRE, VOLUTO A TUTTI I COSTI DAL "MAGO" HERRERA. CON I NERAZZURRI HA VINTO TRE SCUDETTI, DUE COPPE CAMPIONI E DUE COPPE INTERCONTINENTALI. È STATO PALLONE D'ORO NEL 1960 – IL PARAGONE CON PIRLO (“ABBIAMO IN COMUNE DIVERSE CARATTERISTICHE”), L’EUROPEO UNDER 21 VINTO CON LA SPAGNA CONTRO GLI AZZURRINI DI VICINI NEL 1986, IL LEGAME CON MORATTI E GLI ESILARANTI SIPARIETTI CON MAURIZIO MOSCA… -
Nicola Cecere per gazzetta.it
Luis Suarez Miramontes ci ha lasciati stamattina presto. Il regista della Grande Inter si è spento a 88 anni dopo una breve malattia. Il mondo del calcio italiano si unisce nel cordoglio a quello catalano perché prima di sbarcare a Milano, Luisito era stato una colonna del Barcellona: 176 partite con 80 reti tra il 1954 e il 1961.
L’anno in cui, su insistita richiesta di Helenio Herrera, l’allenatore approdato all’Inter proprio da Barcellona, lo acquistò Angelo Moratti investendo una cifra record per l’epoca, 300 milioni. Il Barça la utilizzò per ampliare lo stadio Camp Nou, l’Inter presentò ai suoi tifosi il Pallone d’Oro di quell’anno. Con lui nelle vesti di centrocampista incursore la squadra catalana aveva vinto due volte la Liga, due volta la Coppa Nazionale e due volte la Coppa delle Fiere, progenitrice della Coppa Uefa. Mentre con la Nazionale Luis conquisterà l’Europeo 1964. In maglia nerazzurra Suarez venne trasformato nel secondo anno della gestione Herrera, il celebre Mago, in regista davanti alla difesa.
 In tutto nell’Inter ha disputato 333 partite realizzando 55 reti e vincendo tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Fu, insomma, un pilastro di quello squadrone. Elegante e preciso come un architetto (il soprannome che gli venne dato a quei tempi) Luisito era dotato di grande tecnica, ottima mobilità e riusciva a pescare con lanci millimetrici da quaranta-cinquanta metri, le due frecce offensive, Jair e Sandro Mazzola, che scattavano nella metà campo altrui.
Era uno schema, il contropiede, molto caro a Herrera che prediligeva farsi attaccare dall’avversario e poi lo trafiggeva con queste micidiali incursioni ispirate dalla maestria di Suarez. I più giovani, per avere una idea delle sue qualità devono pensare ad Andrea Pirlo, paragone che Luisito stesso autorizzava: “In effetti abbiamo in comune diverse caratteristiche”.
ALLENATORE
La carriera da calciatore fu conclusa da un triennio alla Sampdoria, dove ritrovò da compagno colui che era stato il suo marcatore fisso nei derby milanesi, cioè Giovanni Lodetti: e lì, a Genova, nacque una bella e duratura amicizia. Da regista illuminato ad allenatore il passo divenne naturale ma l’esito non fu altrettanto fortunato.
La maggiore soddisfazione in panchina è stato il titolo di campione d’Europa Under 21 vinto ai rigori sull’Italia nel 1986. Luisito ha guidato pure la nazionale maggiore al nostro Mondiale 1990 (amara eliminazione agli ottavi) e si è tolto lo sfizio di cominciare la nuova attività di tecnico proprio dall’Inter, subentrando a Enea Masiero (suo ex compagno di squadra) nel campionato 1974-75, terminato però con un deludente nono posto. Le altre due esperienze sulla panchina nerazzurra, nel 1992 e nel 1995, furono di breve durata. Ma Massimo Moratti lo volle inserire nello staff della sua Inter tra gli osservatori di fiducia.
Zamorano e Recoba sono due dei giocatori visionati e consigliati da Luisito. Che intorno al Duemila viene invitato sempre più spesso da varie televisioni italiane e spagnole come opinionista. Dotato di un eloquio disinvolto era capace di sdrammatizzare le situazioni più delicate e le critiche più aspre con folgoranti battute di spirito. Questa sua attività davanti alle telecamere l’ha mantenuta sino a pochi mesi fa, ed era particolarmente fiero dell’incarico ricevuto da una seguitissima radio Catalana che voleva solo la sua voce per le partite del Barça e della Nazionale.
IMMAGINE—  Luisito lascia di sé l’immagine di un gran signore, una persona semplice, disponibile, affabile e mai sopra le righe, formatasi nella bottega di macellaio del papà, a La Coruna. Un tipo allegro, sempre pronto a regalare frasi scherzose, leggere. E del resto ha avuto una vita di successo, la sorte gli ha decisamente sorriso: rimarrà nella storia del calcio come uno dei più grandi giocatori degli anni Sessanta.
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circusfans-italia · 1 year
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JURGEN BONACCINI RADDOPPIA CON UN SECONDO CIRCO
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JURGEN BONACCINI RADDOPPIA CON UN SECONDO CIRCO Jurgen Bonaccini raddoppia e propone in Grecia, dove agisce dal mese di ottobre 2022) un secondo circo realizzato in società con la famiglia di Ronni Denji che si appresta a debuttare il 17 marzo a Patrasso e che si chiama appunto Circo Italiano Bonaccini 2 & Denji Show "Italian Experience". Lo spettacolo non si avvale di animali a causa della ormai nota limitazione che impedisce l'esercizio di circhi con animali. GUARDA IL VIDEO DELLE STRUTTURE Lo spettacolo si avvale di strutture messe a disposizione da Jurgen Bonaccini e dallo spettacolo e tutta l’organizzazione logistica a cura della famiglia Denji.
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Il primo montaggio a Patrasso Nello spettacolo troviamo: -  il team di Tairon Tabares e Jennifer Brescianini (in forza fino a poco fa al Circo Greca Orfei della famiglia Mavilla) con il globo della morte che si apre (con 4 moto) e i numeri di antipodismo, laserman e hula hop - Angelo Roccuzzo, giocoliere in bouncing - Tomas Nistorov, equilibrista ai rulli e giocoliere tradizionale - Te Siogun, strong man - Spiderman, uomo mosca (camminata a testa in giù) - Comicità sudamericana - Sandy Denji, contorsionista - Luca Palmieri, grandi illusioni Jurgen Bonaccini ha aperto il proprio circo a marzo 2017 in Romania, un passo dopo l’altro, con la testa sul collo, grande impegno e determinazione a altrettanta umiltà ed entusiasmo. Per chi fa questo lavoro, le difficoltà non mancano, ma il lavoro e l’impegno spesso ottengono anche gratificazione e risultati.
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Il Circo Italiano Bonaccini nel 2018 in Romania Jurgen oltre ad essere un valido artista (lo ricordiamo in Italia con un bel numero di coccodrilli e poi alla ruota della morte) è anche un uomo di circo completo e circondandosi di validi collaboratori ha costruito il suo circo giorno per giorno, crescendo costantemente. Nel 2021 abbiamo presentato la svolta “acquatica” (GUARDA LE FOTO) con la pista d’acqua, fontane e zampilli, in un circo ordinato e curato in ogni dettaglio.
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2021. Il Circo Italiano Bonaccini diventa Acquatico (Foto Enzinger) Dopo essersi affermato in Romania come uno dei principali circhi del paese, nell'ottobre 2022 (LEGGI LA NEWS) si è imbarcato per la Grecia e oggi deve essere soddisfatto di avere con sé tante famiglie di artisti e tanti collaboratori. E di inaugurare una nuova società con la famiglia Denji che condivide con Jurgen la stessa passione e la stessa voglia di fare.
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Il nuovo circo di Bonaccini e Denji a Patrasso dal 17 marzo al 9 aprile
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Il Circo Italiano Bonaccini 2 & Denji Show "Italian Experience" sulla prima piazza di Patrasso pronto per il debutto del 19 marzo Oggi dunque in Grecia troviamo contemporaneamente il Circo Acquatico Bonaccini (che si trova a Volos fino al 26 marzo) e appunto il Circo Italiano Bonaccini 2 & Denji Show "Italian Experience" a Patrasso dal 17 marzo al 9 aprile.
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Il Circo Acquatico di Jurgen Bonaccini a Bovos fino al 26 marzo JURGEN BONACCINI RADDOPPIA CON UN SECONDO CIRCO Visita le nostre sezioni PAGINE DI CIRCO ARCHIVIO ALMANACCO DEL FESTIVAL DI MONTE-CARLO  TOURNEE' Per rimanere sempre aggiornati sulle tappe dei circhi italiani Se questo articolo ti è piaciuto condividilo sui tuoi social utilizzando i bottoni che trovi qui sotto     Read the full article
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catchthepinfalls · 1 year
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From Maple Leaf Wrestling in 1980, Angelo Mosca challenges The Iron Sheik for the NWA Canadian Heavyweight Title in the confines of a steel cage
#prowrestling
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sfondami-il-cuore · 2 years
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Innessa resta dopo il sesso. Vasha non ha dubbi che lo faccia perché ha capito quanto preferisca quei momenti al piacere vero e proprio; dopotutto, una donna di quarantacinque anni ha già superato la fase della follia cieca in preda alla passione e necessita, segretamente, che qualcuno smussi la propria corazza. 𝐿𝑒𝑖 le è stesa accanto, nuda e ancora accaldata, i capelli sciolti le vestono il profilo del corpo. Quando le accarezza la pancia con le dita, Vasha rimpiange che, per incontrarla, si limi le unghie. Il rimpianto muore nell’istante in cui Innessa si trascina tra le sue cosce e torna a sfiorarla, su e giù, imprimendosi nella carne ancora fradicia dall’orgasmo imbrattato della sua stessa saliva.
“L’offerta per venire a Mosca è ancora valida.”
Hanno scopato talmente tanto da aver sbloccato l’abitudine di conversare, tra un’oscenità e l’altra. Una ciocca corvina di Innessa le dondola contro lo zigomo. Si tiene col gomito puntellato nel materasso e l’altra mano si impegna per farla sospirare, eppure oggi sembra avere gli occhi vispi che suggeriscono buonumore.
Infatti, le propina una risposta che la fa sorridere. “Ti ho già detto di no. Fanculo alla Madrepatria.”
“Ho un regalo per te, pensavo ti avrebbe convinta a raggiungermi questo inverno.”
Il respiro caldo di Innessa le coccola la mandibola, è di nuovo eccitata. “Mh?” Le morde la pelle del collo e le falangi strisciano pigramente tra le pieghe del suo piacere, senza lasciarsi mai risucchiare dal desiderio. Vasha si nega la tentazione di bloccarle il polso.
“Ho trovato tuo padre. Il tuo vero padre.”
Il dito affusolato di Innessa la viola dolcemente. “Ah, sì?”
Vasha inclina il mento per guardarla perdersi col muso tra i propri seni e sa che non smetterà mai di ringraziare Byunghun per rinvigorire ogni suo viaggio a Seoul col regalo meraviglioso ch’è sua moglie.
“Ti piacerebbe conoscerlo, Innessa?”
Il naso le struscia sullo sterno nello scuotimento lento del collo. “No, angelo.” Vasha ama come le braccia toniche di Innessa si flettano sotto lo sforzo muscolare di addentrarsi in lei con la voracità di una bestia affamata fin dal primo risveglio. Sta già allargando le cosce per la quarta volta in due ore.
“Non sei curiosa nemmeno di sapere che tipo sia?”
“Lo vorrei tenere in vita solo per torturarlo fino ad annoiarmi delle sue patetiche suppliche addolorate, ma di certo non ho intenzione di sapere quanto cazzo ami, che ne so, il giardinaggio.”
Vasha ingoia un sospiro: Innessa le sta infilando la lingua nell’ombelico, prima di morderle la carne tenera che lo circonda. “Quello che dici è sexy da morire. Ti sfido a trovare la parte negativa.”
“Io, con gli esseri umani, mi comporto come mi comporto con le bestie: un solo colpo e sono fuori dai giochi, ma non c’è punto di ritorno se inizi a trattare gli uomini da uomini. Ho ancora tempo per perdere l’ultima forma di altruismo che mi rimane.”
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“Penso di essere sociopatica,” le dice un giorno.
“No, sei solo stupida.”
Non lo è, ma si comporta come tale. Come quando stanno sull’autobus e Innessa inizia a infossarsi il lecca lecca talmente a fondo nella guancia da farlo venire duro ad un vecchio davanti a loro, per esempio. Nel ripensarci, quindici minuti dopo, 𝐕𝐚𝐫𝐯𝐚𝐫𝐚 è così arrabbiata che le tira le trecce lunghissime. La fa sbilanciare dall’altalena e quasi si rompe il collo, Innessa, e quasi lo rompe a lei in segno di vendetta. “Ma che hai in testa, idiota?”
“Non capisco perché devi sempre fare così.”
“Così come?”
“Scopare con tutti. Sempre. Sei ossessionata.”
Innessa si sistema e, finalmente, la fissa. Succede poche volte, ma quando accade, Varvara si sente al centro di un occhio di bue gigante che proviene dall’alto, un faro luminosissimo che la schiaccia tra le travi di un parquet immaginario. Anche se sua sorella non ha niente, al di sotto delle ciglia, se non due piccole iridi svuotate.
“Se non dico di no, non possono stuprarmi.”
Il cielo è plumbeo, pare quasi voglia caderle addosso e diventare tutt’uno con l’erba incolta del parco. A proposito, le sta solleticano da dieci minuti i polpacci, dà fastidio. Varvara fatica a spostare lo sguardo da quello di Innessa sedicenne. Si presuppone che certe cose si dicano puntando gli occhi altrove, ma 𝐿𝑒𝑖 la osserva come se le volesse far vomitare a forza una reazione dalla gola. Anche Varvara ha paura della verità. Non è sempre stata l’eccezionale sorella maggiore che vuole far credere agli altri. A quattordici anni, qualcosa la fa talmente arrabbiare che l’unico modo per non farsi rompere una costola, per Innessa, è stato quello di contrattaccare e scappare in bagno con un’intera ciocca dei suoi capelli in mano, il naso colante di sangue e almeno dieci perché incagliati tra i denti. Probabilmente non le verrà mai perdonato il fatto che quel pomeriggio non abbia indagato.
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Cuba l’ha privata del segno dell’abbronzatura: dai pantaloncini inesistenti non spuntano più quelle due striscioline sottili che le abbracciano i fianchi, lasciando solo che emergano le ossa pelviche oltre la pelle sottile del ventre. Sua zia è sdraiata sul divano, la testa sul bracciolo e i piedi che gli tapinano le cosce ogniqualvolta le sue mani allentano la pressione dei palmi. La sta massaggiando da mezzora, ormai. 𝐿𝑒𝑖 è in silenzio, guarda il soffitto, qualche volta sussurra robaccia in russo. 𝐒𝐞𝐨𝐣𝐢𝐧 oggi ha l’ossessione per le ossa dei polsi, vorrebbe spezzarglieli.
“Non avrò mai un figlio, per questo motivo Byunghun non mi inserirà mai nel testamento come unica erede di tutte le sue ricchezze.” Innessa non gli sta propriamente parlando, piuttosto sta pensando ad alta voce, conscia della fedeltà che nutre nei suoi confronti. Le alliscia il collo del piede, una Winston incastrata tra i denti; 𝐿𝑒𝑖 sta fumando un sigaro. Souvenir, l’ha chiamato. “Come tutte le cose che amo troppo, penso sia arrivato il momento di disfarmene.”
Le dita di Seojin si bloccano sulla sua pelle; Innessa lo schiaffeggia con la pianta del piede e lui torna a macinarle la carne, silenzioso come un sacerdote. “Come vorresti farlo?”
“Non lo so. So solo che dovrò sposare quello schifoso di tuo padre, lui è così stupido che mi inserirebbe nel testamento intestandomi tutto. Ed ecco che a me va la fortuna dei Jung, togliendo quello che spetta a te. L’unico problema è che vorrà scoparmi, chissà se ci riuscirebbe. Dopotutto, suo figlio non è che abbia segnato il traguardo” Lui esercita troppa pressione e 𝐿𝑒𝑖 gli schiaffeggia nuovamente la guancia. Non sa se lo raccapriccia più l’idea di immaginare Innessa e suo padre assieme o la tendenza a denigrare gli uomini che intercorre in tutte le sue frasi del cazzo. Lo irrita. “Mi disferei anche di lui.”
Seojin tace. La guarda da sotto la frangia corvina, Innessa sta ricambiando con un sopracciglio inarcato. Certo, è ovvio che 𝐿𝑒𝑖 conosca la domanda che sta per rifilarle: “E io?”
“Se sposo tuo padre potrò adottarti, bambino mio. Diventerei la tua mammina sexy e si chiuderebbe il cerchio.”
Passa forse un minuto, un minuto e mezzo, un’eternità, prima che lui le risponda. “Quando lo faresti?”
Ma Innessa ride, gli molla un altro calcio sulla guancia e si riempie la bocca da puttana col fumo del sigaro. “Chissà. Era solo un’idea.” Lo poggia in bilico sul bracciolo per sollevarsi e riempirsi il bicchierino del Brandy, che giace a terra. Lo manda giù tutto d’un sorso, la lunga treccia si infila tra le scapole e le dondola contro le chiappe semi-scoperte. Seojin ancora non ha superato la fase in cui vorrebbe spremerci il naso come fanno i cani. Sua zia si lascia cadere nuovamente con la schiena sul divano e gli strofina il retro del collo con un polpaccio, attirando la sua attenzione sul lieve avvallamento che congiunge quelle cosce spalancate. Riesce a distinguere la forma della sua fica demoniaca nonostante la presenza della stoffa. Le vorrebbe tappare la bocca con una mano e farla stare finalmente zitta mentre conquista ciò ch’è suo di diritto. “Dopo i trent’anni. Eliminati quei due, angelo, finalmente potrai avermi. Tutta per te.”
Seojin non ha intenzione di aspettare i trent’anni di Innessa.
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Le sue giornate si costruiscono sempre sulla stessa semplicità. Si sveglia, prepara due uova al tegamino, fuma una sigaretta e si consuma la bocca con almeno cinque sbadigli filati. I primi giorni, l’impresa titanica è stata quella di tornare, o meglio, di diventare abile ai fornelli dopo anni ad essere rimpinzata dalla cucina egregia degli chef personali. Quindi, pranzo o cena che siano, 𝗜𝗻𝗻𝗲𝘀𝘀𝗮 butta nell’acqua pesce e verdure e va avanti di zuppa o carne alla griglia. Lava i piatti nel ruscello che si nasconde tra gli alberi, sapone biologico alla mano che sgrassa solo unito all’olio di gomito, e se il freddo non le punge troppo la pelle si spoglia e si butta nell’acqua. Restare puliti è la vera sfida. Quando può, monta a cavallo della sua Jeep e scende fino a Geiranger, altrimenti deve ingegnarsi con la doccetta da campeggio o i flussi gelidi che offre la Norvegia. D’altronde Innessa ripudia la convenzione dei vestiti e ogni occasione è buona per liberarsene; una maglia buttata a terra, gli slip che pendono dagli aghi della tenda come fossero bandiere colonialiste, un calzino qui e un calzino lì. Dal punto in cui si è stabilita non vede la città: ci sono solo lei e qualche impronta rosea lontanissima che le ricorda di premersi l’Imperiale Montecarlo contro il fianco.
Dormire in tenda è strano. Lo è fino alla fine della sua permanenza nel Geirangerfjord. Le pareti sono inesistenti e percepisci la natura pulsarti addosso come se volesse spremerti nei suoi grossi polmoni bestiali. Innessa non chiude occhio se non nelle ore diurne, almeno per i primi due giorni. L’adrenalina che le morde il ventre la fa sentire viva. Qualcosa scricchiola all’esterno e le dita scattano sul grilletto. Il terzo giorno si addormenta. Il quarto, invece, si infila una mano tra le cosce e si crogiola nell’amplesso più bello che abbia mai avuto con se stessa. Masturbarsi nel bel mezzo del nulla è qualcosa che tutti dovrebbero fare una volta nella vita.
Si è stanziata a ridosso di uno strapiombo. L’erba si fa scivolosa di rugiada e fa slittare i piedi ogniqualvolta che Innessa venga spinta dalla curiosità a raggiungere il confine del suo isolotto. La roccia precipita nell’acqua. Basterebbe lasciarsi cadere e il primo impatto si avrebbe con una delle ossa che emergono dallo scheletro della montagna, prima di frantumarsi sulla superficie del mare. Lanciarsi è stato il primo desiderio di morte che ha avuto. È facile, veloce, probabilmente indolore se hai la fortuna di non restare paralizzato in uno stato comatoso del cazzo.
Preferisce addormentarsi in quella porzione di mondo, a ridosso del dirupo. Dapprima lo fa di giorno, per recuperare le ore in cui non ha dormito nella notte. Qualche volta in slip, qualche volta nuda, raramente con più di una maglietta addosso. Pancia rivolta verso il terreno, il sangue dell’erba spalmato su una guancia, sulle ginocchia, sui punti di contatto tra lei e la pelle verde della natura. La seconda volta si sveglia e ha un piede che galleggia nell’aria. Si spaventa così tanto che lo fa una terza volta, ma alla quarta non ha già più paura.
L’unico vero talento di Innessa è sapersi togliere dalle palle nel momento più opportuno. Sceglie l’intercapedine perfetta tra un istante e l’altro ed è lì che scompare in un mare di rose, come il più stupido dei trucchi di magia. Possono spingerle addosso qualsiasi altro pregio, ma in realtà è solo questo. Innessa non è nulla di più. Si sente minuscola e meravigliosa e impettita e incodardita come chiunque davanti gli immensi obbrobri di Madre Natura.
Al quinto giorno sta ballando attorno al fuoco, quando decide di attaccarsi alla bocca invitante del Brandy. Si sente uno schifo. Le prende così male che ripensa a quella volta in cui si è procurata un aborto. Ah, è passato solo un mese. Povero Seojin, pensa. Nato e cresciuto in una famiglia tanto rispettabile, solo per diventare una pedina sulla scacchiera della Signora Nessuno.
La notte fa freddo per davvero, cazzo. Innessa batte i denti. Morire di ipotermia è una delle poche eventualità a non galvanizzarla. Inizia a pizzicarsi la pelle con le unghie e la mattina dopo si ritrova piena di graffi: racconterà di essere stata aggredita nella notte da qualche animale. Un uomo, forse. La differenza tanto sta nella dignità, no? Uno ce l’ha, l’altro no.
Un pomeriggio si imbatte in un fotografo naturalistico. Entrambi si beccano un grande spavento. Finiscono per sorseggiare birra attorno al fuoco, gli offre di dormire nella sua Jeep mentre lei resta in tenda. Innessa parla di Byunghun, di quello che le disse la prima volta che s’incontrarono, qualcosa sul preferire le donne povere perché sanno essere anche molto cattive. Il cielo appare vicinissimo, Innessa nutre il presagio che, da un momento all’altro, la risucchierà nella sua voragine di astri. Sono dieci, quindici giorni che non tocca un uomo. Il tipo, un norvegese dalla zazzera biondissima, le allunga una mano sulla coscia. “Non mi va.” “Okay.” “Oh, è stato facile.” “Un no basta e avanza.” “Eppure sembra che i miei no non vengano mai rispettati. Forse sono poco convincente. Forse non mi piace essere rispettata.” Non si ricorderà mai il suo nome.
Il 29 Agosto vuole morire più degli altri giorni. Il cielo è grigio. Guarda verso il basso, è completamente nuda, le braccia dietro alla schiena e il fucile schiaffato ad un paio di metri di distanza. I capelli le pendono da tutte le parti, chissà se si animerebbero per salvarla durante la caduta. Ci sono momenti in cui Innessa o sente troppo o non sente niente. È una montagna russa del cazzo e lei non ci sta seduta, no, ma rimane incastrata con la caviglia durante il tentativo di lanciarsi giù e quindi si fa strattonare di qui e di lì, tenuta solo per un’estremità del corpo. Oggi è uno di quei momenti in cui non prova nulla ed è l’unica cosa che la terrorizza da tutta la vita. Madre Natura le respira addosso, le bacia il collo e la spinge per i fianchi. La sta reclamando. Concimami, dice. Fertilizzami, incalza. Innessa vorrebbe risponderle che l’avvelenerebbe, ma Madre Natura insiste, perché lei è l’unica a non vederla come erbaccia da estirpare. Si sente più vuota di quello che segue lo strapiombo. Fa danzare un piede nell’atmosfera. Innessa vuole smettere di avere paura.
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lamilanomagazine · 2 years
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Boxe, Joseph Ladiri sarà al mondiale
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Boxe, Joseph Ladiri sarà al mondiale. Ennesimo grande obiettivo raggiunto dal Team Kick and Punch di Angelo Valente: venerdì 18 novembre all’ Indoor Stadium (12.000 posti) a Kallang,  Singapore, in un grande evento organizzato da One Championship (la più importante organizzazione asiatica di sport da combattimento) il fuoriclasse monzese  Joseph Lasiri sfiderà sulla distanza delle 5 riprese da 3 minuti ciascuna il campione del mondo dei pesi mosca (61,200 kg) Rodtang Jitmuangnon con le regole della muay thai: pugni, calci, gomitate, ginocchiate e proiezioni, ma quando l’avversario è a terra bisogna interrompere l’azione. Il combattimento si svolgerà all’interno di una gabbia e i due campioni indosseranno dei guantini invece dei classici guantoni. Imponente la copertura mediatica: oltre che in Asia, l’evento sarà trasmesso in diretta streaming negli Stati Uniti e in Canada da Amazon Prime e in Italia da Eleven Sports. Nella stessa organizzazione, Joseph Lasiri è campione del mondo dei pesi paglia (56,600 kg) di muay thai. “Joseph non ha dovuto abbandonare il titolo dei pesi paglia per sfidare Rodtang – spiega Angelo Valente – ed infatti One Championship ha già programmato altri incontri per Joseph in cui difenderà il suo titolo. Rodtang è il migliore della sua categoria di peso e quindi è anche il più pericoloso avversario che ci potessero offrire: sa fare tutto e spesso abbassa la guardia per farsi colpire, vuole dare spettacolo e far capire all’avversario che lui incassa tutto senza problemi. Infatti, è soprannominato Iron Man. Detto questo, Joseph ha le carte in regola per battere Rodtang: si è allenato alla palestra Kick and Punch Downtown Milano (in Via Vivaio 1) facendo sparring con tre fuoriclasse dello stile K-1 (pugni, calci e ginocchiate) di kickboxing: il campione del mondo dei pesi gallo Wako-Pro Luca Cecchetti, il campione del mondo dei pesi piuma Wako-Pro Luca Grusovin ed il campione del mondo dei pesi superwelter Wako-Pro Georgian Cimpeanu. Ha fatto sparring anche con Tommaso Pantarotto e con il pugile Shakib El Kadimi, che fanno parte del nostro team. Joseph è salito sul ring anche con atleti di altre regioni italiane. Non sono io che li cerco, sono loro che mi contattano per allenarsi con Joseph. Ho ricevuto richieste anche dalla Sicilia. Joseph è un grande professionista: si allena tutti i giorni e quando gli dico che almeno un giorno alla settimana dovrebbe riposare, sorride e si allena lo stesso. Joseph ha una grande passione per il suo lavoro che grazie al contratto firmato con One Championship è diventato un lavoro a tempo pieno.” Al sito internet di One Championship, Rodtang ha dichiarato quanto segue: “Se fossi Joseph Lasiri, avrei fatto la stessa scelta: combattere contro uno come me. Lui non ha niente da perdere in caso di sconfitta. Se vince, avrà un enorme guadagno. Il suo punto di forza è la sua esperienza nella muay thai: ha combattuto contro molti atleti di alto livello e si è anche allenato in Thailandia. Un altro suo pregio è l’agilità. E’ al mio livello in tutto tranne che nella potenza: sono sicuro che i miei pugni siano più pesanti dei suoi e se lo colpisco bene lo mando al tappeto.”... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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anotherone13 · 2 years
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October 10
67 Baton Rouge LA Jack Dalton LOUISIANA HEAVYWEIGHT CHAMPION
69 Atlanta GA Ray Gunkel & Buddy Fuller NWA GEORGIA TAG TEAM CHAMPIONS
70 Omaha NE Tex McKenzie OMAHA MIDWEST CHAMPION
72 Tampa FL Sputnik Monroe & Norvel Austin FLORIDA TAG TEAM CHAMPIONS
74 Shreveport LA Stan Hansen & Bruiser Brody NWA TRI STATES US TAG TEAM CHAMPIONS
76 Knoxville TN Jimmy Golden & Mike Stallings NWA SOUTHEASTERN TAG TEAM CHAMPIONS
77 Memphis TN Jerry Lawler MEMPHIS SOUTHERN HEAVYWEIGHT CHAMPION
78 Macon GA Angelo Mosca MACON HEAVYWEIGHT CHAMPION
78 Tampa FL Steve Kerin NWA FLORIDA HEAVYWEIGHT CHAMPION
80 Atlanta GA Fabulous Freebirds NWA GEORGIA TAG TEAM CHAMPIONS
81 Greensboro NC Ricky Steamboat MID ATLANTIC HEAVYWEIGHT CHAMPION
83 Memphis TN Jessie Ventura MEMPHIS SOUTHERN HEAVYWEIGHT CHAMPION
87 Memphis TN RPMS MEMPHIS SOUTHERN TAG TEAM CHAMPIONS
88 Tokyo Japan Honey Wings WOMENS ALL JAPAN TAG TEAM CHAMPIONS
93 Johnson city TN Bobby Blaze SMOKEY MTN US JUNIOR HEAVYWEIGHT CHAMPION
93 Mexico City Mexico LA Diabolica CMLL WOMENS CHAMPION
98 Cameron NC Border Patrol NWA TAG TEAM CHAMPIONS
03 Louisville KY Aron Stevens & Nova OVW SOUTHERN TAG TEAM CHAMPIONS
06 Jacksonville FL Chris Benoit WWE US CHAMPION
10 Daytona Beach FL Tara TNA KNOCKOUTS CHAMPION
10 Daytona Beach FL Jeff Hardy TNA HEAVYWEIGHT CHAMPION
11 Tokyo Japan Masoto Tanaka IWGP INTERCONTINENTAL CHAMPION
14 Yubucoi PR Gilbert WWC PUERTO RICO CHAMPION
15 Dyersburg TN Heatseekers NWA WORLD TAG TEAM CHAMPIONS
15 Berwyn IL Madison Eagles SHIMMER WOMENS CHAMPION
16 Tokyo Japan Guerillas of Destiny IWGP TAG TEAM CHAMPIONS
18 Louisville KY Abyss OVW HEAVYWEIGHT CHAMPION
21 Osaka Japan Katsuhiko Nakajima GHC HEAVYWEIGHT CHAMPION
21 Osaka Japan Eita & Nosawa Rongi GHC JUNIOR HEAVYWEIGHT TAG TEAM CHAMPIONS
11 Tokyo Japan No Remorse Corps IWGP JUNIOR HEAVYWEIGHT TAG TEAM CHAMPIONS
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edida · 2 years
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Lo spartito
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:: di Stefano Angelo :: È facile, ce la posso fare. Devo solo eseguire i passaggi in sequenza come mi hanno insegnato. Due pannelli, un po’ di fili da tagliare e l’allarme sarà disattivato. È facile, ce la posso fare. Peccato che abbia il cuore in gola e le mani sudate. Peccato che se non ci riesco Nick mi taglierà la gola, senza particolari emozioni. A lui le mani non sudano mai. Cazzo sto pensando, basta! È facile, ce la posso fare, incominciamo. La mia respirazione è affannosa. La gola secca. Forzo facilmente e silenziosamente la serratura del primo pannello. Tre fili rossi, li taglio in sequenza. Tutto bene. Apro il secondo pannello, un vistoso filo nero e due azzurri. Ma come!? Nessuno mi aveva detto di un filo nero. Che ci fa quel maldito filo nero in mezzo a due scatole bianche. Cazzo faccio. Lo taglio, non lo taglio? Non capisco più niente. Il tempo passa e non ne ho. Ok lo taglio. No, no no no. Scatta l’allarme. Si accendono le luci del giardino della villa. Mi giro istintivamente verso le finestre della casa di fronte. Vedo, immagino, delle tende muoversi. Mi hanno visto, cazzo mi hanno visto. Il cuore pulsa più forte di prima, sento esplodere le vene della mia testa. Rompo con furia le due scatole bianche, sradico il contenuto senza sapere cosa sia mentre con la coda dell’occhio vedo un terzo pannello, più piccolo, in basso sulla destra. Mi avvento su di lui senza pensare, inizio a tagliare e schiacciare pulsanti come in un delirio privo di senso. All’improvviso l’allarme si spegne e le luci del giardino pure. Una manciata di secondi, lunghi un secolo, si concludono nell’oscurità. Ma il danno è fatto. Nessuno penserà a un errore del sistema. La polizia starà già arrivando. Qui muovono eserciti all’istante per qualsiasi cagata di mosca. E la cacca di mosca, questa volta, sono io. Era il terzo pannello! Era il maldito terzo pannello. Non penso con lucidità. Scavalco velocemente il muretto di cinta, salto sulla bici con cui sono venuto e inizio a pedalare come un matto. Ho lasciato nel giardino la mia piccola borsa per gli attrezzi da pseudo scassinatore, ma in un primo istante non me ne frega niente, devo solo allontanarmi. Dopo un paio di chilometri, rallento, cerco di ricordare il contenuto della borsa rovesciato e abbandonato freneticamente sul suolo, non dovrebbe esserci nulla che la polizia possa utilizzare per identificarmi. Un brivido mi assale, so già che il mio capo si incazzerà lo stesso, come una bestia. Penso ora alla mia gola e al coltello da macellaio di Nick. Intanto pedalo. Scappo via con la mia bici nera. Più nera di me. Una bici un po’ piccola per la mia statura, per la mia età, ma non mi importa. Ha un adesivo di un magnifico dragone appiccicato sul tubo obliquo. La forca con gli ammortizzatori, i freni a tamburo e tre marce, di quelle che si cambiano con la leva montata sul tubo orizzontale del telaio. Sono orgoglioso della mia bicicletta, trovata in una discarica, quasi nuova. I bianchi buttano di tutto, anche cose non usate. I bianchi sono pazzi. Mentre pedalo sul marciapiede di un viale alberato vedo una macchina della polizia bianca, come i due energumeni che ci sono dentro, che accende le luci e parte a tutta velocità, facendo una inversione a U, verso la villa da dove vengo io. Istintivamente svolto sulla destra e pedalo lungo una strada un po’ stretta che porta verso un viale parallelo. Il panico mi assale di nuovo. E se mi hanno visto mentre scappavo con la bicicletta? Scendo e la lascio appoggiata su un albero prima di arrivare all’incrocio con il viale. Continuo a piedi. Bestemmio e mi maledico, ma devo continuare a piedi. Credo di non avere scelta. Sull’angolo vedo ammonticchiate delle cianfrusaglie, abbandonate al lato di un cassonetto, con in cima degli spartiti e dei dépliant di vecchi saggi di scuola di musica. Li prendo senza pensare. Intanto mi giro e vedo che qualcuno sta portando via la mia bicicletta, è una ragazza, intravedo la sagoma. Impreco di nuovo. Vorrei correrle dietro per recuperare la mia bici ma un’altra macchina della polizia sta arrivando. Trattengo il fiato e continuo a camminare lungo il viale tenendo stretti sotto il braccio gli spartiti e i dépliant. Dopo un centinaio di metri vedo una terza macchina della polizia. Ma questa volta è un posto di blocco. Tutto questo per un tentato furto in una casa di un bianco? Non è possibile. Devo continuare, anche se vorrei girarmi e scappare via. Cazzo un ufficiale. Si riconoscono subito quelli. Alto, in civile, col naso aquilino e i capelli lisci, leggermente lunghi, un po’ fuori norma. Quando mi vede mi fa un cenno con la mano per dirmi di avvicinarmi. Lo faccio a testa bassa, mentre mi si gela il sangue. Vede gli spartiti e i foglietti dei saggi musicali stretti sotto il mio braccio. Mi chiede se faccio musica nella parrocchia di don Carlo. Gli dico di sì con la testa, sempre con lo sguardo verso il basso, senza proferire parola. L’ufficiale mi dice che gli piace la musica e che gli piace quel pazzo di don Carlo. Bisogna proprio esserlo per insegnare musica a dei negri in una città comandata dai bianchi. Mi dà un rettangolino di carta. C’è scritto su il grado, il suo nome e un telefono. Mi dice di chiamarlo se mi metto nei guai. Me lo dice come se fosse una cosa “normale" mettersi nei guai. Sono un negro in una zona di bianchi. Mi dà una pacca sulla spalla e mi dice di filare a casa. Sette giorni dopo scoprirò che, quella notte, Nick e il resto della banda avevano svaligiato un’altra casa vicino a quella dove ero io. La villa “Corazón ligero”. Che nome idiota per una casa. Ma l’idiota, in quella notte, ero stato io. Mi avevano usato come esca. Come un verme da sacrificare. Ma l’avevo scampata. Mentre loro no...Sette giorni passati, inutilmente, nella mia stanza. L’ottavo, presi uno dei dépliant dei saggi musicali, conservati senza apparente ragione insieme agli spartiti. L’indirizzo della parrocchia di don Carlo era dall’altra parte della città, in un quartiere in cui di solito non mi avventuravo mai. Uscii di casa e iniziai a camminare, verso la parrocchia, stringendo uno spartito tra le mani. © Testo e foto – Stefano Angelo :: Editing a cura di edida.net :: Read the full article
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ringthedamnbell · 5 months
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Top Five Like Father, Not Like Son
Top Five Like Father, Not Like Son
Rob Faint It can be a daunting task to join the family business.  Athletics or entertainment seem to make it even harder to succeed.  In some cases, the son surpasses the father (Randy Orton, The Rock, Jeff Jarrett) but in many situations the father’s accomplishments are too much to overcome.  This list includes 5 sons who could not match up to dear old dad.  Continue reading Top Five Like…
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Most Beloved WWE Wrestler Tournament
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nwonitro · 3 years
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ANGELO MOSCA breaks up the Gary Hart, Kevin Sullivan and Mark Lewin interview! NWA Mid-Atlantic 1984
Angelo “Big Nasty” Mosca 1937-2021
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angrymarks · 3 years
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KENTA beats Hiroshi Tanahashi for the IWGP US Title, Angelo Mosca has passed away, MLW War Chamber results.
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Angelo Mosca
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alcreed · 6 years
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Angelo Mosca (Hamilton Tiger-Cats)!
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