#Alexandro Sabetti
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oggi, 4 maggio, a roma, all'ex mattatoio: "sintropie. mondo e mondo nuovo"
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#Alexandro Sabetti#Andy De Paoli#Ex Mattatoio#Federico Raponi#Gabriele Germani#Gaza#Gaza conflitto interiore#Il profeta velato#Kulturjam Edizioni#Largo Dino Frisullo#Latte bookstore#Multipopolare#Palestina#presentazione#Raul Mordenti#Samir Al Qaryouti#Sira F. De vanna#The Kintsugi Jar
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Le imbarazzanti capriole del giornalismo italiano per non condannare Israele
Le imbarazzanti capriole del giornalismo italiano per non condannare Israele
Alexandro Sabetti 15 Ottobre 2024 La copertura mediatica italiana degli attacchi israeliani in Medio Oriente evidenzia una crescente militarizzazione del discorso pubblico. I principali giornali e programmi televisivi si limitano a riproporre narrazioni ripetitive, giustificando o minimizzando le azioni israeliane, anche quando sfociano in evidenti crimini di guerra. Il giornalismo italiano e…
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Niente contributo di solidarietà: cari poveri, soffrire vi fa bene Dal reddito di cittadinanza, padre di tutti i mali moderni, al rifiuto del contributo di solidarietà, in Italia è il trionfo della retorica della sofferenza. Per i poveri, s’intende. Sua eccellenza il presidentissimo Draghi ha proposto un contributo di solidarietà contro il caro bollette: nulla di lontanamente avvicinabile all’opera di un Robespierre, e non significava una nuova tassa o un aumento di imposte, ma l’attuazione del taglio fiscale rimandata di un anno per i redditi sopra i 75mila euro, per destinare queste risorse al taglio delle bollette. Apriti cielo! Sono insorte la destra e Italia Viva ed è saltato tutto. Perchè la virtù degli sfruttatori è protesa verso un bene superiore: il loro. D’altronde la retorica del martirio e della sofferenza è stata sempre una carta vincente nelle mani delle clasi dominanti. “Sanguen est semen Christianorum“, ricordava Tertulliano: molti vescovi esortavano i seguaci del Messia a non temere le condanne, le torture, le belve. La morte tra le sevizie avrebbe spalancato loro le porte del Cielo. Nel II e III secolo d.C. alcuni vescovi non esitavano a magnificare il martirio purché fossero i poveri e gli umili ad essere dilaniati dalle fiere, non i cristiani delle classi dirigenti che, durante le persecuzioni, trovavano il magistrato compiacente subito pronto a rilasciare un certificato falso (il libellum) in cui si dichiarava che avevano sacrificato all’imperatore. Tutti i cristiani erano uguali, ma alcuni erano più uguali degli altri.Più o meno tranquilli, grazie alle loro aderenze i dignitari cristiani, mandavano al macello le pecore, decantando i benefici spirituali della morte tra le torture. È incredibile l’attualità di tutto ciò se pensiamo alla doppiezza con cui i chiericuti di oggi condannano le guerre per poi benedire gli eserciti e le bandiere. Noi ci arricchiamo con le banche armate e voi partite per il fronte. La glorificazione dei più folli, assurdi patimenti è in bocca a coloro che mai hanno veramente sofferto e aborrono anche solo da una lieve pena. Come cantavano gli Afterhours ne “La ballata dei topi”: “Scienziatelli musicali studian cornamuse anali all’interno delle proprie ricerche personali producendo disgustosi festival delle interiora dove cercan di insegnarti che a soffrire si migliora”. Alexandro Sabetti
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La rivista Achab, diretta dall’autore Nando Vitali, presenta a Napoli il XII volume dedicato al poeta e regista romano nell’ambito dell’evento “Pasolini, il poeta corsaro”
Sono trascorsi 100 anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini e tantissimi sono gli eventi in Italia che ricordano il grande artista, bolognese di nascita e romano di adozione. Anche la rivista letteraria Achab, fondata e diretta da Nando Vitali (ad est dell’Equatore edizioni), ha dedicato il suo speciale all’autore di “Ragazzi di vita”.
Il Convento di Piazza San Domenico Maggiore ospiterà l’evento di presentazione della rivista Achab dal titolo: “Pasolini, il poeta corsaro”, domenica 22 maggio 2022 alle ore 17. Interverranno, insieme a Nando Vitali, anche Domenico Ciruzzi e Davide D’Urso. Letture a cura dell’attrice Patrizia Di Martino. Videoproiezione a cura di Sasipro del docufilm “La sequenza del fiore di carta” di Pier Paolo Pasolini. “Pasolini, il poeta corsaro” fa parte del programma di appuntamenti culturali previsto dal Comune di Napoli nel mese di maggio.
Da Filippo La Porta ad Ascanio Celestini, da Erri de Luca a Carmelo Musumeci e poi Andrea Di Consoli, Elżbieta Jachelewska e S.R. Fazel. Sono oltre 30 gli autori, i poeti, gli illustratori, i saggisti italiani e stranieri che hanno partecipato a questo numero speciale di Achab, ciascuno con una testimonianza, un ricordo, un pensiero, un’osservazione sul poeta. Una sorta di mondo aperto sulla geniale e molteplice arte pasoliniana.
“Pasolini vuol dirci che vivere davvero vuole dire sprecarsi. La ricotta alla quale tendiamo vale per tutti, a volte con una segreta nota parodica (a Napoli il ricottaro è colui che vive sulle spalle di un altro, solitamente una donna prostituta), ma l’allegoria può essere allargata alla società degli uomini di ogni tempo, al di là dei miti. Siamo barche in mezzo al mare. Credo se potessi incontrare Pier Paolo Pasolini, domandandogli chi siamo, mi riderebbe in faccia col suo viso asciutto, dicendomi “Hic sunt leones”, affannando subito dietro a un pallone in quel modo turbolento e fanatico che si usa nei campetti di periferia”, commenta Nando Vitali
“Lo scopo del nostro lavoro non è nella cristallizzazione o celebrazione della memoria di Pier Paolo Pasolini ma è quello di indagare la realtà contemporanea attraverso la sua poliedricità artistica, le controversie, i temi sociali, territoriali e ambientali, le guerre a cui lui stesso ha mostrato particolare attenzione e ancora la poesia, il cinema, la scrittura, il pensiero politico e filosofico che lo hanno reso partecipe della rivoluzione culturale italiana degli anni Sessanta e Settanta e che a tutt’oggi resta motivo di riflessione sulla società per il loro significato profetico”, spiega Giuliana Vitali, caporedattrice di Achab.
Hanno collaborato al XII numero di Achab:
Nando Vitali, Filippo La Porta, Andrea Di Consoli, Angelo Ferracuti, Ascanio Celestini, Nicola Vicidomini, Nicola Fano, Paolo Vanacore, Simona Baldelli, Nicola Guarino, Erri De Luca, Carmelo Musumenci, Paolo Restuccia, Daniela Mastronola, Davide Grittani, Giuliana Vitali, Alexandro Sabetti, Emilia Santoro, Elżbieta Jachleweska, A. C. Whistle, Sandro Medici, Andrea Carraro, Barbara Napolitano, Marco Debenedetti, Valentina Di Cesare, Shirin Ramzanali Fazel, Michele Caccamo, Giuseppe Cozzolino, Lillo Siracusa, Daniela Tani, Jack Vitiello, Marta Santone.
source https://www.ilmonito.it/la-rivista-achab-diretta-dallautore-nando-vitali-presenta-a-napoli-il-xii-volume-dedicato-al-poeta-e-regista-romano-nellambito-dellevento-pasolini-il-poeta-corsa/
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"sintropie": il 4 maggio a roma
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#Alexandro Sabetti#Andy De Paoli#Ex Mattatoio#Federico Raponi#Gabriele Germani#Gaza conflitto interiore#Il profeta velato#Kulturjam Edizioni#Largo Dino Frisullo#Latte bookstore#Multipopolare#presentazione#Raul Mordenti#Samir Al Qaryouti#Sira F. De vanna#The Kintsugi Jar
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Gli Stati Uniti sanno quello che vogliono ma l’Europa invece?
Gli Stati Uniti sanno quello che vogliono ma l’Europa invece?
di Alexandro Sabetti 25 Settembre 2024 Gli USA, nel loro furore neoliberista, sanno quello che vogliono e cercano di ottenerlo a qualsiasi costo. E l’Europa imbelle invece? Gli Stati Uniti sanno quello che vogliono, l’Europa? Nell’agenda mondiale la questione multipolarismo è segnata in rosso. Oggi abbiamo una superpotenza totale USA, sia dal punto di vista militare che per quello economico.…
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Renzi con il “reddito di criminalità” tocca il grado zero della decenza Chiariamolo subito, il RdC può sicuramente essere migliorato, come tutto. Ma definire reddito di criminalita una misura di sostegno a debolezze e fragilità di chi fatica ad andare avanti tutti i giorni, con una dignità che spesso le classi dirigenti di questo paese, invischiate in vicende molto poco edificanti (è un eufemismo), non conosceranno mai. Addirittura il premier Draghi, l’unto dal signore tra i neoliberisti, ha sempre riconosciuto, almeno formalmente, il ruolo di argine alla sofferenza del RdC durante la pandemia. Solo una classe politica che ha perso il senso della realtà, può scendere a un tale livello espressivo su una questione così delicata. D’altronde il pensiero del leader di Italia Viva sul punto è chiaro, quest’estate l’aveva manifestato senza giri di parole: per lui la gente “deve soffrire”. La morale educativa da Matteo Renzi parte dal presupposto di voler abolire il reddito di cittadinanza per “riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare“, “spaccarsi la schiena come i nostri nonni“. Secondo molti, questo starebbe a significare come il senatore di Rignano Flaminio non abbia la minima idea di quanti in Italia vivano senza diritti, sottopagati, senza futuro, per anni. Invece è probabile che lo sappia fin troppo bene e la sua sia una scelta di campo: tra sfruttatori e sfruttati Renzi si erge a paladino dei primi. D’altronde, retorica per retorica, a parti invertite, vorremmo capire Renzi dove ha rischiato, sudato, spaccato la sua di schiena, perchè a quel che le cronache riportano, nel suo curriculum vitae, oltre alla partecipazione a un quiz televisivo in giovane età, vengono riportati solo incarichi politici, aiutato da una famiglia molto inserita proprio in ambito politico. Siamo alla morale per i paria dell’Alberto Sordi, Marchese del Grillo di “io so io,voi nun siete un cazzo” . Il dato grave di tutto ciò non è l’attacco di Renzi e di tutti quelli che evocano la sofferenza come strumento di stimolo sociale. Il neoliberismo è sempre stato questo, solo chi era in malafede poteva guardare, anche a sinistra, i Marchionne o le svolte blairiane come un progresso anche nel campo delle sinistre. Il neoliberismo ha da sempre celebrato la necessità dello smantellamento dei corpi intermedi, del posto fisso, dello statuto dei lavoratori e del welfare state nell’illusione che questo avrebbe creato nuove opportunità e ricchezza. Quello che preoccupa è che nel panorama politico italiano non ci sia nessuna forza sociale che abbia come obiettivo quello di proteggere le classi popolari, alleviare la loro sofferenza, incrementare la redistribuzione, individuando come problemi reali coloro i quali hanno accumulato patrimoni immensi e controllano giornali dettando l’agenda politica del paese. Alexandro Sabetti
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Ma chi l’ha detto che i pacifisti in piazza non sono contro Putin? Schiacciati dalla propaganda che sovrintende al morale di un paese in guerra a sua insaputa, i pacifisti in piazza sono accusati di indifferenza o di sostenere Putin. Ma la storia di questi anni ci dice esattamente il contrario. La stampa italiana e il palazzo politico hanno ignorato completamente la grande manifestazione per la pace di sabato, dove per “pace”, molto semplicemente, per i campioni delle forzature interpretative, s’intende il concentrare gli sforzi della comunità internazionale su ogni iniziativa diplomatica per far cessare la guerra, e non prodigarsi con l’invio di armi al fronte. Ma invece i guerrafondai da tastiera, con l’appoggio dei media con l’elmetto in testa (come l’inviata di LA7 che qualche giorno si collegava in assetto da guerra parlando concitatamente da un parcheggio mentre alle sue spalle si vedevano persone che camminavano tranquillamente con le buste della spesa tra le mani) vogliono convincerci che il Paese è interventista quanto e più del pugnace Riotta, che pubblica direttamente su repubblica la lista degli italiani “amici di Putin”, in cui mancavano solo gli indirizzi di casa. L’informazione generale è infarcita di pornografia dei sentimenti ma non da alcuna notizia: gli inviati sono appostati in stazioni, alberghi e si limitano a intervistare povera gente che scappa dalle bombe e chiede loro: “Signora, cosa prova?”. E cosa si può provare?! Tutto ciò ha ben poco a che fare con l’informazione ma appare più un modello “orwelliano” da Ministero della Propaganda che sovrintende al morale di un paese in guerra a sua insaputa. Tutto questo si riversa inevitabilmente su tutte quelle persone che hanno il torto di fermarsi un istante a ragionare su quello che sta accadendo e che si trovano immediatamente col dito puntato contro, accusati di “vigliaccheria” o di essere direttamente fiancheggiatori dell’invasione russa. Quel che volutamente si strumentalizza è che, un conto è ragionare sulla geopolitica e uscire dalle logiche della propaganda, della narrazione di guerra a senso unico, che è quello che si prova a fare, un altro è “appoggiare” qualcuno o essere “indifferenti” come citano a sproposito e male gli opportunisti guerrafondai di casa nostra. Chi è per la pace, lo fa ragionando. E soprattutto, lo è sempre. I pacifisti in piazza sono forse tra i pochi che in questi anni hanno denunciato il problema dell’autoritarismo di Putin. Io me la ricordo la manifestazione per la pace del 2003 contro la guerra in Cecenia. E mi ricordo le fiaccolate in memoria di Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa per aver indagato su quello che accadeva in quella regione martoriata. Così come mi ricordo di Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, giornalisti freelance, uccisi volontariamente dalle milizie nazionaliste di Kiev, come le inchieste hanno poi svelato, a colpi di mortaio il 24 maggio 2014 in Ucraina, alla periferia della città di Sloviansk, mentre documentavano i massacri nel Donbass, ignorati da quello stesso sistema mediatico che ora accusa i pacifisti di “indifferenza”. In quei casi, dov’erano tutti quelli che ora si agitano, come ad esempio il senatore di Rignano Flaminio e tutto il suo “giglio magico”, con l’ineffabile portavoce Luciano Nobili, che ora danno patenti di “libertà”? Ah, si, era a Mosca per fare affari nel consiglio di amministrazione della Delimobil. Alexandro Sabetti
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L’Italia è tornata l’italietta confindustriale dei giovani invecchiati L’Italia di Draghi sta regredendo in maniera generalizzata all’italietta confindustriale: mediocre, retriva, gretta e vigliacca, che pensa all’impresa nei termini di “roba propria; che trasforma i giovani in giovani vecchi, una categoria indipendente dall’età; che sceglie di eliminare i controlli a sorpresa nelle imprese e di privatizzare i servizi locali. Il fatto stesso che le leggi “neoliberissime” del governo non stiano incontrando alcuna opposizione ne è un segno inequivocabile. L’Italietta è meschina e sommamente egoista. L’italietta è un paese per vecchi che ha capovolto l’ordine naturale delle cose. La storia nostra, nel senso di liberismo e familismo, ha ucciso la natura. E la storia ha cancellato i giovani. Non esistono più come fascia generazionale, come passaggio temporale, ma li ha trasformati in un categoria a parte, indifferente all’età stessa. I giovani esistono come esistono i precari, gli statali, gli sportivi, gli artigiani, le veline… i giovani tout court, anagraficamente, sono pochi. La classe dirigente giovane, che invocavamo, è nata già vecchia: i Renzi, Meloni, Salvini, Letta che si contendono lo scettro, sono vecchi mestieranti della politica, già presenti da ere geologiche, che con un trucco d’avanspettacolo sono riusciti a passare per “novità”. Poi ci si chiede perchè non c’è mai un sussulto “rivoluzionario” nel paese, come sospirava Mario Monicelli.. È un fatto puramente demografico: in Tunisia l’età media è di 24 anni. Da noi è molto oltre i 40. Chi dovrebbe avere questi sussulti? Il padre di famiglia che deve capire come andare avanti? La mamma che si divide tra casa e lavoro quando c’è? È logico che cerchino alla fine il compromesso per sopravvivere. Gli si può dar torto? La rabbia giovane è dispersa, sottovuoto. Appare con fiammate e poi viene circoscritta dai pompieri del “vivere civile”. Un paese di vecchi terrorizzati dalle facce degli zingari e dei neri per strada, che si stringono nelle borse e si guardano le spalle, ma che non si accorgono del futuro cancellato dei loro nipoti, se non nelle tiritere tra vicini di casa quando parlano da finestra a finestra commentando le ultime notizie con l’immancabile: ”qui non si capisce più niente!” I vecchi non sono più gli “anziani” di un tempo, come nelle comunità antiche dove pochi di essi con la loro esperienza guidavano i giovani per portarli alla successione. No, oggi occupano tutto quel che c’è da occupare, distruggono e lasciano briciole, conservano rendite di posizione decennali da lasciare alla loro progenie ormai prossima all’ invecchiamento come loro. E nelle cronache degli ultimi giorni vediamo-come ultima profetica visione del Pasolini di Salò, l’idea della nostra destra affascinata dall’epifania finale dell’anziano Signor B. concupiscente, portato al Quirinale. Come scrisse Boris Izaguirre: “l’unica opzione per l’uomo maturo moderno, e ineluttabilmente attrae un elettorato che condivide sogni di eterna gioventù “. Eppure il futuro è già qui. Il futuro sono i barbari che appaiono all’orizzonte. Così temuti da chi tiene le redini, spauracchio dei nostri vecchi. I barbari che si mescolano a noi ed hanno le facce dei Mohammed, Chen, Thomas, Dindane, Aruna… Il loro sangue giovane è anche il nostro. Alexandro Sabetti
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L’Italia è tornata l’italietta confindustriale dei giovani invecchiati L’Italia di Draghi sta regredendo in maniera generalizzata all’italietta confindustriale: mediocre, retriva, gretta e vigliacca, che pensa all’impresa nei termini di “roba propria; che trasforma i giovani in giovani vecchi, una categoria indipendente dall’età; che sceglie di eliminare i controlli a sorpresa nelle imprese e di privatizzare i servizi locali. Il fatto stesso che le leggi “neoliberissime” del governo non stiano incontrando alcuna opposizione ne è un segno inequivocabile. L’Italietta è meschina e sommamente egoista. L’italietta è un paese per vecchi che ha capovolto l’ordine naturale delle cose. La storia nostra, nel senso di liberismo e familismo, ha ucciso la natura. E la storia ha cancellato i giovani. Non esistono più come fascia generazionale, come passaggio temporale, ma li ha trasformati in un categoria a parte, indifferente all’età stessa. I giovani esistono come esistono i precari, gli statali, gli sportivi, gli artigiani, le veline… i giovani tout court, anagraficamente, sono pochi. La classe dirigente giovane, che invocavamo, è nata già vecchia: i Renzi, Meloni, Salvini, Letta che si contendono lo scettro, sono vecchi mestieranti della politica, già presenti da ere geologiche, che con un trucco d’avanspettacolo sono riusciti a passare per “novità”. Poi ci si chiede perchè non c’è mai un sussulto “rivoluzionario” nel paese, come sospirava Mario Monicelli. È un fatto puramente demografico: in Tunisia l’età media è di 24 anni. Da noi è molto oltre i 40. Chi dovrebbe avere questi sussulti? Il padre di famiglia che deve capire come andare avanti? La mamma che si divide tra casa e lavoro quando c’è? È logico che cerchino alla fine il compromesso per sopravvivere. Gli si può dar torto? La rabbia giovane è dispersa, sottovuoto. Appare con fiammate e poi viene circoscritta dai pompieri del “vivere civile”. Un paese di vecchi terrorizzati dalle facce degli zingari e dei neri per strada, che si stringono nelle borse e si guardano le spalle, ma che non si accorgono del futuro cancellato dei loro nipoti, se non nelle tiritere tra vicini di casa quando parlano da finestra a finestra commentando le ultime notizie con l’immancabile: ”qui non si capisce più niente!” I vecchi non sono più gli “anziani” di un tempo, come nelle comunità antiche dove pochi di essi con la loro esperienza guidavano i giovani per portarli alla successione. No, oggi occupano tutto quel che c’è da occupare, distruggono e lasciano briciole, conservano rendite di posizione decennali da lasciare alla loro progenie ormai prossima all’ invecchiamento come loro. E nelle cronache degli ultimi giorni vediamo-come ultima profetica visione del Pasolini di Salò, l’idea della nostra destra affascinata dall’epifania finale dell’anziano Signor B. concupiscente, portato al Quirinale. di Alexandro Sabetti
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I furbetti del reddito di cittadinanza e i veri criminali dell’imprenditoria di Alexandro Sabetti L’incredibile campagna mediatica contro sussidi e reddito di cittadinanza ha toccato vette parossistiche quest’estate, puntando il dito contro gli scansafatiche, i giovani che non vogliono lavorare, la presunta mancanza di mano d’opera. Tutte cose puntulmente smentite dall’evidenza dei dati. Ora il bersaglio mediatico sono diventati i cosiddetti furbetti del reddito, cioè i percettori della misura senza averne i requisiti: ogni giorno a reti unificate vengono raccontte storie di malaffare, sempre più incredibili, in cui si arriva alla conclusione che le mafie hanno smesso di occuparsi di droghe, appalti e riciclaggio per dedicarsi esclusivamente al reddito di cittadinanza. Tutto questo proprio mentre una serie di controlli dell’ispettorato del lavoro sta segnalando una criminalità imprenditoriale diffusa, ignorata dai grandi media. Siamo al capovolgimento della realtà. Una classe dirigente come quella italiana, fatta in larga parte di ereditieri – di patrimoni familiari, aziende, titoli, corsie preferenziali – fa la morale a chi è aggrappato a qualche sussidio come il Rdc che dura al massimo18 mesi, si aggira in media sui 546 euro (checché ne dicano nei numeri buttati a caso per far colpo nei dibattiti) e con il quale, grosso modo, ci puoi fare solo la spesa e comprare medicine per tutti i vincoli d’uso che ha. Siamo al vampirismo sociale esibito e rivendicato. Il reddito di cittadinanza non sta affatto risolvendo i problemi di povertà dei percettori ma sta avendo un effetto positivo imprevedibile: sta permettendo alle persone di evitare il ricatto dello sfruttamento- dell’accettare lavori al limite dello schiavismo -se non oltre – per pochi spiccioli, e questo non sta andando assolutamente giù a una classe imprenditoriale divenuta isterica che sta manifestando, con attacchi continui e forsennati ai sussidi, la propria natura da padroni delle ferriere. (...) L’entità dei controlli messi in atto per scovare i cosiddetti furbetti del reddito non è affatto banale: l’Inps avrebbe rifiutato un milione di domande di accesso al sostegno economico, circa il 40%, grazie a controlli incrociati su reddito e patrimonio. In seguito, l’Inps avrebbe revocato circa 130mila domande per motivi vari tra cui “false dichiarazioni di reddito, di patrimonio, di residenza, di nucleo, oppure omissione di dichiarazione di condannati per specifici reati, all’interno del nucleo”. Dunque, nonostante la grancassa mediatica, resta una delle misure più controllate.(...) Ma questi dati al momento sembra non interessino nella grande narrazione contro il demone reddito, perchè il vero bersaglio sotto attacco è la logica redistributiva.
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Destra, sinistra e democrazia tra meme e hashtag By Alexandro Sabetti Quante volte l’abbiamo sentito dire negli ultimi anni, destra e sinistra non esistono più? Da Grillo a Salvini, passando per i Di Maio e Di Battista, i Briatore e Bonomi, gli statisti e i grandi manager, fino a tanti altri politologi della domenica: tutti uniti nel sostenere che destra e sinistra sarebbero ormai categorie obsolete, ferri vecchi del Novecento, rottami ideologici. (...) Ci sono poi quelli che invece la parola sinistra la riesumano solo in occasione di primarie ed elezioni, un po’ come la Raggi che durante la sua campagna elettorale andava al Cinema Palazzo Occupato parlando di presidio di cultura da tutelare, poi viene eletta, lo fa sgomberare e se ne vanta anche; e che dire di quelli di destra che ti dicono come devi essere di sinistra, che fanno facce strane, come a dire ancora con questa storia? e con malcelato fastidio spiegano che i criteri vanno aggiornati, che siamo entrati in un’epoca nuova, e che ciò che poteva sembrare di destra può essere di sinistra e viceversa. Insomma, il mantra è ben noto: destra e sinistra come le conoscevamo non esistono più. Quello che invece non è per nulla chiaro riguarda le implicazioni che tale scomparsa ha comportato e che durante questa pandemia è apparso lampante. Il leit motive dominante degli ultimi anni è stato, per l’appunto, che non esistendo più steccati ideologici, si dovesse guardare tutti alla stessa meta, il che potrebbe anche teoricamente andar bene. Ma quale meta? E qui son dolori… Destra e sinistra non esistono più? E allora basta lottare contro le diseguaglianze sociali, contro l’idea di sviluppo corrente, contro il Pil come unico strumento di valutazione della felicità di un paese. Tutte cose che sono ancora non solo centrali ma addirittura acuite dalla crisi sanitaria. Chi osa farlo viene immediatamente accusato di resuscitare battaglie ideologiche dei tempi che furono (...) C’è solo un unico meraviglioso mercato da salvare e puntellare in questa fase di pandemia coi soldi pubblici -cioè di tutti- per farlo poi ripartire e dividere le ricchezze -tra i soliti pochi. Tutto naturale, ineluttabile, come se tutto ciò, pandemia compresa, fosse qualcosa nato fuori dalla storia, piovutoci addosso da un altrove misterioso e dispettoso, e non conseguenza di un modello degenerativo di società. Eppure nulla fa pensare di trovarci per la prima volta nella storia umana di fronte a un fenomeno fatto e compiuto, immodificabile. Tutto nella storia che conosciamo ha sempre avuto un inizio e una fine, nonché la possibilità di correggere in corsa il modello. Dunque questo destra e sinistra non esistono più, non è una constatazione ma una formula esorcizzante di chi lavora incessantemente credendo che per neutralizzare le ragioni basti cancellare le parole. Orwell docet. Così ci ritroviamo sondaggi in cui percentuali di cittadinanza deprimenti per noi vecchia arnesi del ‘900, si dicono favorevoli alla pena di morte; autorevoli esperti di nightclubbing come Briatore che più volte ha proposto la ricetta della dittatura a tempo. Di leghisti e fratellini d’Italia vari nemmeno a ricordare le loro uscite pubbliche su questi argomenti. Era rimasto il PD, indipendentemente dalla sua collocazione politica, unico partito a resistere con una struttura organizzata novecentescamente, con sezioni, scuola di formazione politica, organismi e direttivi, ma poi arrivò Renzi, il partito liquido e sappiamo tutti com’è finita. In definitiva la democrazia sta equiparandosi nella percezione generale all’ideologia: una parola desueta, distorta, declassata a negazione dell’ordine e ostacolo allo sviluppo del paese. Stiamo armando i carnefici tra meme e hashtag.
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Comunali 2021, astenuti e contenti: vincere tra le macerie Alexandro Sabetti Nonostante il giorno in più di seggi aperti rispetto al precdente appuntamento per le amministrative di quattro anni fa, si registra un calo dell’affluenza dell’8% circa. Il dato finale sull’affluenza è pari al 54,69% per cento. Un elettore su due non ha votato. Un elemento che ci dice molto più di tanti altri della crisi della politica. La rappresentazione plastica di quello che accade è nel centrodestra, un’area che nella pancia del corpo elettorale, in realtà comprende anche larghe parti dei 5 Stelle. Se si votasse a livello nazionale una coalizione di centro-destra-molto destra, vincerebbe a mani basse. Nelle elezioni comunali invece ha preso una batosta senz’appello. Questo è possibile poichè c’è una netta divisione tra il leaderismo di facciata e l’impostazione ideologica che si può dare nel complesso, rispetto al locale dove emerge clamorosamente la mancanza di una classe politica presentabile e qualificata. Il populismo delle destre ha azzerato i corpi intermedi. Ci sono leader mediatici che occupano la scena e sotto di loro il nulla. Dall’altra parte, nel centro-sinistra, resiste la figura del professionista della politica, costruito in casa, con idee generiche intercambiabili, conservative, eeuna capacità di comunicazione ai minimi termini, spesso del tutto scollegata con il sentire del proprio elettorato. L’altro elemento che non si puo non sottolineare è l’abisso che si coglie tra la narrazione dei tg, in cui ogni giorno si canta il “laudato sia Draghi” e dove aumenta l’occupazione, la produzione industriale, il PIL, la nostra credibilità internazionale, e la realtà dove le uniche cose che aumentano per i cittadini sono invece toccabili con mano: bollette, benzina, generi alimentari. Un mondo virtuale dorato, che però ha la stessa consistenza dei social: è bastato il blocco delle maggiori piattaforme proprio nella giornata elettorale, per essere tornati di colpo al ‘900… Le elezioni sono frequenti e senz’alcuna sacralità, i miglioramenti annunziati e promessi ogni volta nell campagne elettorali, talmente improbabili, che il corpo elettorale non si sente più investito da alcuna missione, tant’ è vero che non c’è nessuna sorpresa. I risultati sono compresi sempre nella forbice delle possibilità già calcolate. Bobbio la chiamava “apatia democratica“. Il politigolo Revelli ha commentato così i risultati di queste elezioni: “In questa astensione leggo anche una quota dell’effetto Draghi: la verticalizzazione della politica che assorbe tutta la sfera delle decisioni nel punto più alto, in una cerchia sempre più stretta fino ad identificarsi con il “Migliore”. E sotto rimane inevasa la domanda che non si incontra con le decisioni che vengono prese, ristagna, non trova canali di comunicazione alla fine viene neutralizzata dalle risse da pollaio tra partiti”. La crisi della politica è figlia di tutto questo: i movimenti politici sono stati del tutto commissariati dall’economia e dalla finanza e non provano nemmeno ad immaginare di poter incidere sui sistemi sociali. Si limitano ad amministrare come fossero delle riunioni di condominio.
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Se in Italia il problema è Bella Ciao e non chi spara By Alexandro Sabetti Se per una parte del paese il problema è Bella Ciao e non il girare armati, minacciare, inneggiare all’odio, siamo di fronte a un grave cambiamento del senso comune. Se in Italia il problema è Bella Ciao… L’omicidio di Youns El Boussetaoui, 39enne cittadino marocchino da parte dell’assessore alla sicurezza di Voghera, il leghista Massimo Adriatici, nella sua gravità, paradossalmente, va a saldarsi a un episodio decisamente minore accaduto qualche giorno prima, le minacce pubbliche degli ultras della Lazio al calciatore Hysaj, reo di aver cantato Bella Ciao: sta drammaticamente cambiando il senso comune di alcune cose in Italia. C’è una parte del paese che ritiene un problema cantare una canzone partigiana e non girare armati, minacciare, inneggiare all’odio. Si tollera perfino che chi è nel governo inviti i giovani a non vaccinarsi durante una pandemi mondiale ed emetta sentenze di assoluzione per un caso di omicidio ad indagini in corso. Torniamo al caso Hysaj, il calciatore reo di aver cantato un brano della Resistenza italiana durante il ritiro della Lazio. Il suo agente ha rilasciato un intervista in cui si è quasi scusato perché il suo assistito ha osato cantare un brano antifascista. Siamo praticamente a “Hysaj non lo farà più“. Mossa tra l’altro inutile poiché nelle stesse ore a Roma, dopo lo striscione appeso a un ponte di qualche giorno fa, è comparsa una scritta su un muro contro il calciatore albanese: “Hysaj verme, Ultras Lazio”. E non sarà l’unica. La società Lazio con un comunicato ha difeso il giocatore imbarazzati giri di parola per evitare la parola fascismo, parla di “strumentalizzazioni politiche” come se ci fosse qualche cosa da strumentalizzare. E si riparte come niente fosse. Eppure non è tanto paradossale come vicenda, se si pensa che la scorsa settimana, durante l’ennesima presentazione-comizio del libro “Io sono Giorgia“, in presenza della Meloni, stavolta in quel di Bologna, le forze dell’ordine sono intervenute in un bar adiacente, identificando titolare e lavoratori, perché avevano osato far suonare la canzone Bella ciao nella versione dei Modena City Rambler. Una canzone da fastidio dunque, mentre invece è considerato tollerabile minacciare chi la canta. Per non parlare del rispuntare di tutti i sostenitori della “legittima difesa” nel caso Voghera, quelli che ritengono giusto sparare a un uomo disarmato – in maniera accidentale o meno sarà la magistratura a chiarirlo- facendosi giustizia da se. Soprattutto se l’altro è il nemico perfetto, il bau bau evocato continuamente da una classe politica irresponsabile: extracomunitario, irregolare, con precedenti penali. Praticamente è un condannato a prescindere, qualcosa che andava estirpato. Tutto ciò è il segno di come, in questo paese la semplificazione estrema di tutto, le scorciatoie violente, la legge del branco e del più forte, la paura come regolatore della vita sociale, stia diventando senso comune. Dichiararsi fascisti e comportarsi come tali in buona parte dell’opinione pubblica è considerato come dichiararsi antifascisti e questo è inaccettabile. Non si può avere una posizione neutrale fra chi è fascista e chi non lo è, come se si trattasse di un dibattito in par condicio. Non c’è nessuna polemica, come vengono derubricate sui tg certe notizie, non c’è nessun “caso”: l’antifascismo è la nostra normalità, Bella ciao è la nostra normalità, la giustizia nei tribunali è (dovrebbe…) la nostra normalità. Tutto il resto cerca risonanza e legittimità, facendo finta di non ricordare che in questo paese la maggior parte del sangue, dalle tragedie, delle provocazioni, sono venute dalla stessa parte e da chi la coccolava e blandiva. Siamo nello zeitgeist, lo spirito del tempo, ed è li che bisogna adoperarsi con un nuovo sforzo di condivisione ed educazione ai valori della convivenza civile, del diritto e dei doveri all’interno di una comunità. Il problema non è Bella ciao, il problema sono i fascisti consapevoli e inconsapevoli.
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Ferragosto 2021: la grande festa sul Titanic Il Ferragosto 2021 è attraversato da una scia di stanca euforia isterica, una sindrome che sta colpendo vari strati della popolazione, trasversalmente; una coazione a ripetere i soliti comportamenti, le abitudini di sempre nel periodo della festa d’agosto, tra i proclami entusiasti di ripresa, rimbalzo del Pil, e sordi apparentemente ai richiami degli oscuri presagi che da più parti arrivano. Come gli zombie di George Romero fuori al grande centro commerciale, accalcati ai vetri per entrare, senza sapere il perché, ma con una memoria semiotica del proprio agire. Eppure non si coglie alcuna gioia in molte di queste manifestazioni: nella folla che si accalca per gli aperitivi nelle località balneari, nella lotta per accaparrarsi la propria porzioni di spiaggia, misurando il metro di distanza dal vicino, nei ristoranti fotografando il proprio greenpass assieme alle pietanze, nei ragazzi ammassati in improbabili serate in discoteca per ascoltare due pezzi in playback del super ospite pagato a peso d’oro, con il suo tormentone del momento. E subito dopo le polemiche ad orologeria sui social per il mancato rispetto delle norme anticovid. È come se questa strana malia identificasse tutto ciò come una sorta di ultimo Ferragosto. Anche quest’anno si è puntato tutto, emotivamente, su quest’estate, come un’enorme bolla in cui isolarsi e stordirsi, sapendo che tutto quello che si è letto in questi mesi in chiave puramente numerica e di sigle (Pil, debito pubblico, prima tranch dl Pnrr) si trasformerà nei prossimi mesi in questioni pratiche per tutti i cittadini. (...) Ci si appresta a riaprire le scuole, vaccinati o meno, non si sa come e per quanto, a tornare negli uffici, scaglionati, part time, nelle fabbriche; e poi a riattivare rapidamente il ciclo delle filiere, a strappare foreste e risucchiare petrolio, a infestare l’atmosfera e cementificare i suoli. A ripristinare insomma quelle nostre attitudini devastatrici, come specie, che sono anche tra le concause della pandemia col quale conviviamo da quasi due anni. Si tornerà al punto di partenza: solo più malconci e incolleriti. A guidare le nostre sorti, in giro per il pianeta, poiché la questione non è solo del nostro piccolo giardino, commissioni e comitati, agenzie, organi, consulenze, commissari, una pletora che neanche la fantasia burocratica del Saramago di Tutti i nomi avrebbe mai osato immaginare. Ma si tratta in prevalenza degli stessi che hanno agito e gestito il prima, economisti e manager, finanzieri e lobbisti, affaristi e faccendieri. Si preferisce mettere in quarantena mezzo mondo, invece di risanare la catena alimentare. Meglio trovare un vaccino che riconvertire un apparato produttivo. Non sembra possibile fare diversamente. Troppo costoso sacrificare profitti e fatturati: la competizione economica globalizzata non lo permette. E allora facciamo finta di nulla, godiamoci il mare, dimenticando tutto. Anche i corpi che galleggiano in fondo a questo stesso mare, ormai a migliaia. D’altronde sono parte dello stesso problema: eccedenza umana . By Alexandro Sabetti
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