#3 febbraio 1941
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Traute Lafrenz
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Traute Lafrenz è stata l’ultima testimone della straordinaria esperienza della Rosa bianca, il coraggioso gruppo di giovani donne e uomini che si è battuto contro il nazismo durante la Seconda guerra mondiale, apportando un contributo inestimabile alla ricostruzione morale della Germania nel Dopoguerra.I suoi membri, che praticavano la non violenza, manifestarono la loro opposizione diffondendo le loro idee con la parola, con pubblicazioni e con la diffusione di volantini.Traute Lafrenz nacque ad Amburgo il 3 maggio 1919, si era avvicinata agli ideali anti-nazisti quando frequentava il liceo, grazie alle lezioni di Erna Stahl, insegnante illuminata che dopo essere sospesa dalla scuola dai nazisti, nel 1935, continuò a organizzare lezioni informali a casa sua, utilizzando l’arte e la letteratura come strumenti per discutere i pericoli del regime hitleriano.
Quando, nel 1941, si trasferì ad Amburgo per studiare medicina, entrò nel movimento clandestino dopo aver conosciuto Alexander Schmorell e Sophie e Hans Scholl.
Ha trasportato e distribuito i volantini destinati a risvegliare le coscienze, che sfidando il regime, ne denunciavano i crimini, incitando al sabotaggio dello sforzo bellico. Un atto di grande coraggio in un periodo storico in cui nessuna forma di dissenso era accettata che è costato la vita a tre dei suoi compagni.
Il 22 febbraio 1943, infatti, Sophie e Hans Scholl, insieme a Cristoph Probst, vennero decapitati dopo aver diffuso i volantini all’università di Monaco. Lei andò al funerale sfidando il divieto nazista che ne impediva la partecipazione a chi non faceva parte della famiglia.
Pochi giorni dopo venne arrestata e, per quasi due anni, detenuta in quattro carceri diverse prima di essere liberata dalle truppe statunitensi il 15 aprile 1945. Era in attesa di affrontare un nuovo processo che, molto probabilmente, si sarebbe concluso con la sua condannata a morte. Il tribunale del popolo nazista era intenzionato a schiacciare senza pietà le ultime forme di resistenza al regime.
Nel 1947, si è trasferita negli Stati Uniti dove, completati i suoi studi in medicina, sposò Vernon Page, medico con cui ha avuto quattro figli. Ha dedicato il resto della sua vita alla medicina, raccontando soltanto di rado le sue esperienze del tempo di guerra.
Seguace delle teorie del filosofo austriaco Rudolf Steiner, è stata una figura di spicco nel movimento antroposofico americano e tra i primi medici a praticare un approccio medico olistico ispirato da questa visione.
A Chicago ha diretto la Esperanza Therapeutic Day School per bambini svantaggiati fino alla morte del marito, nel 1995, quando si è trasferita a Charleston, in South Carolina, dove è morta il 6 marzo 2023.
Soltanto quando ha compiuto cento anni, nel 2019, le è stata conferita la Croce al Merito della Repubblica Tedesca con la motivazione: di fronte ai crimini dei nazisti, ebbe il coraggio di ascoltare la voce della sua coscienza e di ribellarsi contro la dittatura e il genocidio degli ebrei.
Centinaia di scuole e strade portano il suo nome, nel 2003 è stata nominata la quarta tedesca più amata della nazione.
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Hanno tolto art 18 ma non hanno aggiunto un articolo per lo scarso rendimento...
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Licenziamento per scarso impegno, se sei pigro e non produci
03 Febbraio 2023 Autore: Angelo Greco
Richiedi una consulenza ai nostri professionisti Si può licenziare un dipendente che non lavora, è pigro o lento? E se sì, in quali casi? Cosa è necessario provare per dimostrare la legittimità del licenziamento? Pubblicità Il licenziamento per scarso rendimento, quello cioè rivolto nei confronti dei lavoratori più lenti, pigri e che rendono poco sul lavoro, non è previsto da nessuna norma di legge. Nulla è cambiato anche dopo l’approvazione dei decreti attuativi del Jobs Act che non ha colmato la lacuna. Non resta che far riferimento alle sentenze dei tribunali per comprendere come si orientano i giudici in merito a questa fattispecie. Pubblicità
Indice 1 Cosa si intende per licenziamento per scarso rendimento? 2 Come si intima un licenziamento per scarso rendimento? 3 Quali sono le motivazioni del datore di lavoro? 4 Si può licenziare il lavoratore che non raggiunge i minimi di produzione stabiliti in programmi di produttività individuale? 5 Cosa cambia con il Job Act 6 Vietato licenziare per scarso rendimento chi è già stato sanzionato
Rischi a lasciare troppi SOLDI sul CONTO corrente
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Pubblicità Cosa si intende per licenziamento per scarso rendimento? Secondo un’interpretazione minoritaria, il licenziamento per scarso rendimento rientrerebbe in quello per giustificato motivo oggettivo (ossia per ragioni collegate all’azienda e all’organizzazione del lavoro): il lavoratore che opera con scarso rendimento, infatti, fornisce una prestazionelavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per il datore di lavoro, andando a incidere negativamente sulla produzione [1]. Pubblicità L’interpretazione invece più seguita dai Tribunali riconosce la possibilità di licenziamento per scarso rendimento e lo riconduce al tipo di licenziamento disciplinare (cosiddetto “giustificato motivo soggettivo”) caratterizzato, cioè, dal notevole inadempimento del lavoratore alproprio dovere di diligenza. Questo perché il lavoratore subordinato non è tenuto a garantire al datore di lavoro un determinato risultato dalla propria attività [2], ma è obbligato a svolgere la prestazione osservando gli “ordini” da quest’ultimo impartitegli [3]. Nel fare ciò, tuttavia, il lavoratore deve agire con la diligenza tipica di quella determinata prestazione. Proprio in applicazione di tali principi, la giurisprudenza ha detto che “il rendimento lavorativo inferiore al minimo contrattuale o d’uso non fa scattare automaticamente l’inesatto adempimento”. In altre parole, non c’è inadempimento solo per il fatto che non sia stato raggiunto il risultato atteso dall’azienda se il lavoratore non è responsabile di alcun comportamento negligente nello svolgimento della prestazione lavorativa. L’inadeguatezza del risultato della prestazione resa, infatti, ben potrebbe essere ascrivibile alla stessa organizzazione dell’impresa o comunque a fattori non dipendenti dal lavoratore [4]. Pubblicità [1] Cass. sent. n. 18678/2014. [2] Quel che si chiama “obbligazione di risultato”, cui è invece tenuto, per esempio, l’appaltatore. [3] Cosiddetta obbligazione di mezzi. [4] Tra le più recenti cfr. Cass. sent. n. 2291/2013; Cass. sent. n. 24361/2010; Cass. sent. n. 1632/2009; Cass. sent. n. 20050/2009. [5] Cass. sent. n. 8973/1991. [6] Cass. sent. n. 3876/2006. [7] Cass. civ, sez. lav., ord., 19 gennaio 2023, n. 1584 Autore immagine: 123rf com licenziamento
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Bologna, nuova mostra su Giorgio Morandi
Bologna, nuova mostra su Giorgio Morandi. Concluso il percorso di RE-COLLECTING, ciclo espositivo che ha approfondito particolari temi della collezione Morandi, valorizzandone opere solitamente non visibili o non più esposte da tempo, il Museo Morandi è lieto di ospitare e rendere fruibile al pubblico un importante nucleo di lavori di Giorgio Morandi provenienti dalla collezione privata di Antonio e Matilde Catanese. La mostra Giorgio Morandi. Opere dalla collezione Antonio e Matilde Catanese presenta 27 opere appartenenti a una raccolta nata dalla passione dei coniugi Catanese, che iniziano ad acquistare fin dagli anni Sessanta i primi Morandi, dando prova del loro gusto raffinato e lungimirante in una città come Milano, che nel Novecento ebbe un ruolo fondamentale nel mondo dell’arte e del collezionismo in particolare. L’esposizione - curata da Mariella Gnani e aperta al pubblico dal 3 dicembre 2022 al 26 febbraio 2023 con opening venerdì 2 dicembre 2022 h 18.00 - prende avvio dal desiderio della famiglia Catanese di rendere disponibile alla pubblica fruizione parte della propria collezione e dalla volontà dei figli di esprimere gratitudine verso i genitori per aver avuto la possibilità di crescere e affinare la propria sensibilità a contatto con capolavori. La collezione Catanese, rappresenta “un microcosmo esemplare per decifrare e intendere l’attività di Morandi”, come evidenzia Maria Cristina Bandera, storica dell’arte, membro del Consiglio Direttivo e della Commissione Scientifica della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi. Ciò soprattutto grazie al numero di opere presenti nella raccolta, realizzate in un arco temporale che copre quasi tutti gli anni dell’attività del maestro bolognese e che affrontano tutti i temi e le tecniche da lui trattati, nonché per l'indubbia rilevanza dei pezzi che ne fanno parte. Il percorso espositivo al Museo Morandi si apre con un raro Autoritratto giovanile del 1914, opera di primaria importanza, già collezione Valdameri, che nel 1939 prese parte alla Golden Gate International Exposition di San Francisco, e prosegue con una sfilata di nature morte, fiori e paesaggi, realizzati tra il 1918 e il 1959, di straordinario interesse storico e qualitativo, attraverso la quale è possibile seguire lo sviluppo della ricerca morandiana. La presenza di ben dieci lavori, tra oli, acquerelli e incisioni, aventi per soggetto il tema dei fiori tanto caro a Morandi, permette di ripercorrerne le varie tipologie a partire dall’acquerello del 1918 (P.1918/5) esemplare di rara maestria e testimonianza di una capacità tecnica già pienamente acquisita. Il tema della natura morta, interpretato attraverso il linguaggio pittorico e incisorio, con l’unica eccezione di un disegno, si sviluppa parallelamente a quello dei paesaggi tra cui compare il dipinto La strada bianca (V.341), motivo realizzato a Grizzana e ripreso in alcune varianti nel 1939 e nel 1941. Gran parte delle opere esposte vantano una storia collezionistica degna di rilievo: ne sono un esempio il Paesaggio, 1941 (V. 329) transitato dall’importante raccolta di Pietro Feroldi a quella di Gianni Mattioli e successivamente pervenuto in quella dei coniugi Plaza, i Fiori citati, già di collezione Jucker, o ancora la Natura morta, 1940 (V. 260), già nella collezione Rockefeller. È parte integrante della mostra una selezione di acqueforti (la collezione Catanese possiede quasi l’intera produzione), tecnica che Morandi praticò da autodidatta in modo magistrale e che considerò sempre come un linguaggio parallelo alla pittura, come testimoniato dalle sue ormai celebri parole: “dipingo e incido paesi e nature morte”. La passione e l’attitudine verso la produzione di Giorgio Morandi da parte dei coniugi Catanese è ben delineata da Antonio Catanese, in alcuni passaggi dell’intervista concessa alla curatrice della mostra: “Di fronte ad un’opera di Morandi mi sento un soggetto attivo, non passivo, come non mi accade per altri autori, se pur importanti, che ho scelto e di cui mi circondo. Ma con Morandi è diverso. La sua pittura mi costringe all’osservazione prolungata del soggetto. Ad ogni riflessione sulla pennellata, sulla lieve variazione di colore, sulla polvere percepita, sento che devo rimanere più a lungo, ritornare con il pensiero per cogliere di più”. È lo stesso ingegnere, spiegando a Mariella Gnani la propria curiosa abitudine di salutare le opere di Morandi, ad aggiungere: “Per farle capire la porto nell’ambito musicale. Quando un musicista sceglie uno strumento, che lo accompagnerà per tutta la vita, avviene il ‘fenomeno di coniugalizzazione’, lo scriva, perché ne sono fermamente convinto. Paganini chiamava il suo violino ‘Cannone’ per la potenza del suono. Non voglio portare l’attenzione solo sull’oggetto perché quello che importa è mettere in evidenza il senso profondo di una unione, il cui fondamento è di carattere amoroso. Con le opere che ho collezionato avviene il medesimo processo". Giorgio Morandi. Opere dalla collezione Antonio e Matilde Catanese è accompagnata da una pubblicazione edita da Silvana Editoriale, con testi critici di Mariella Gnani, Maria Cristina Bandera, Luca Cecchetto, Federica Bucolini, Paolo Triolo, Sabrina Burattini, Laura Valentini, e le schede delle 90 opere appartenenti alla collezione Catanese a cura di Stella Seitun. Per la realizzazione dell’esposizione si ringrazia l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo | Scuola di Conservazione e Restauro che ha affiancato la curatrice per il controllo delle opere durante il periodo espositivo e per alcune indagini legate alla caratterizzazione dei materiali, alla documentazione digitale e alla diagnostica non invasiva.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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3 febbraio 1941, inizia in A.O.I la battaglia per Cheren
3 febbraio 1941, inizia in A.O.I la battaglia per Cheren
All’alba del 3 febbraio 1941 i britannici dopo aver ammassato le cospicue forze ricevute in rinforzo ricevute nelle settimane precedenti, iniziarono a cannoneggiare con l’artiglieria pesante le nostre posizioni a Cheren. Nel mentre l’aviazione britannica riprendeva a bombardare e mitragliare le stesse, cosa che aveva fatto incessantemente nei giorni precedenti. Era l’inizio della grande offensiva…
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#ww2#3 febbraio 1941#Africa Orientale Italiana#Cheren#Regio Corpo Truppe Coloniali#second world war#Seconda guerra mondiale
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Quando gli italiani in 3 giorni massacrarono 30mila uomini, donne e bambini innocenti in Etiopia di Davide Falcioni Oltre trentamila civili etiopi uccisi, quasi tutti civili, molte donne, bambini, moltissimi mendicanti. In gran parte bruciati vivi, impiccati, ammazzati di botte, fucilati davanti alle loro case o in strada in virtù di una presunta superiorità razziale italiana e della cieca volontà di dominio di Benito Mussolini. Anche l'Etiopia ha le sue "giornate della memoria", a ricordo del cosiddetto massacro di Addis Abeba del 19, 20 e 21 febbraio del 1937, una strage commessa durante il periodo dell’occupazione da parte dell’Italia fascista (1935-1941). Esattamente ottantatré anni fa, tra il 19 e il 21 febbraio del '37, centinaia di civili italiani, militari del Regio Esercito e squadre fasciste diedero vita a una spietata rappresaglia dopo un attentato commesso dai partigiani etiopi contro il viceré Rodolfo Graziani ed altri ufficiali del suo seguito, gerarchi fascisti negli anni precedenti non aveva esitato a fare della popolazione etiope "carne da macello", anche riversando – su ordine proprio di Graziani – tonnellate e tonnellate di agenti chimici, come le bombe all'iprite vietate dalle convenzioni internazionali. Contro quel massacro combattevano i patrioti etiopi. Due eritrei della resistenza etiope la mattina del 19 febbraio lanciarono delle bombe a mano nel palazzo Guennet Leul di Addis Abeba causando la morte di sette persone e il ferimento di una cinquanta di presenti, tra cui Graziani, i generali Aurelio Liotta e Italo Gariboldi, il vice-governatore Armando Petretti e il governatore della capitale Alfredo Siniscalchi. La risposta del regime fascista fu brutale. In meno di tre giorni le strade di Addis Abeba vennero prese d'assalto da squadracce fasciste: militari italiani armati di tutto punto e moltissimi civili scesero in strada dando vita a quella che Antonio Dordoni, un testimone, definì "una forsennata caccia al moro". "In genere – si legge nel libro dello storico Angelo Del Boca – davano fuoco ai tucul con la benzina e finivano a colpi di bombe a mano quelli che tentavano di sfuggire ai roghi". Alla rappresaglia presero parte non solo i soldati italiani ma, in un clima di assoluta impunità, anche commercianti, autisti, funzionari e persone comuni che si macchiarono di violenze di ogni tipo. Gli etiopi che malauguratamente portavano addosso anche solo un coltello, venivano uccisi sul posto; in migliaia furono arrestati e torturati senza alcuna ragione, senza nessuna prova a loro carico. La ritorsione fu particolarmente feroce negli agglomerati di tucul lungo i torrenti Ghenfilè e Ghilifalign, che attraversano Addis Abeba da nord a sud. "Per ogni abissino in vista – scriveva Del Boca – non ci fu scampo in quei terribili tre giorni ad Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano". I corpi di migliaia di civili etiopi vennero gettati in fosse comuni: alla fine si contarono oltre 30mila vittime, tutte innocenti, tutte etiopi. (...)
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IL CORAGGIO DELLA PARTIGIANA NADA DIMIĆ CHE A 19 ANNI, CATTURATA DAGLI ITALIANI E CONSEGNATA AGLI USTASCIA, PREFERÌ SUBIRE IN SILENZIO LE TORTURE E LA MORTE PIUTTOSTO CHE TRADIRE I SUOI COMPAGNI
Era una ragazza come tante, Nada. Era nata il 6 settembre del 1923 da una famiglia serbo - croata di Divoselo, vicino Gospic, nella Croazia meridionale. Aveva terminato con successo il liceo e aveva cominciato a frequentare una scuola di economia quando la sua esistenza - come quella di milioni di jugoslavi - venne sconvolta dall’invasione nazista nella primavera del 1941. Dal 1938 faceva parte della sezione giovanile del partito comunista.
La ragazza alternava lo studio e la militanza politica e, con l’invasione delle forze italotedesche, la scelta di cosa fare fu quasi obbligata: si unì ai partigiani del 1° distaccamento di Sisak, la prima unità partigiana della Croazia. Dai libri Nada passò alle pistole, ai fucili, alle bombe e agli atti di sabotaggio. Una guerra contro un avversario molto più forte e meglio armato.
Ma i tedeschi e gli italiani non erano i soli nemici da affrontare: al loro fianco si erano organizzati anche gli Ustascia, un movimento di estrema destra della componente croata della popolazione che appoggiava gli eserciti occupanti. Come spesso accade in situazioni simili, i collaborazionisti locali furono tra le truppe più sanguinarie e feroci utilizzate nella repressione dei partigiani. Furono proprio loro a catturare Nada per la prima volta, nel 1941, e la portarono a Zagabria per interrogarla. Fu allora che la ragazza ingoiò del veleno per uccidersi ed evitare di sottoporsi alle torture degli Ustascia. Ma i partigiani di Zagabria la soccorsero in tempo e la salvarono da morte certa. Nada aveva sfiorato la morte, ma non era certo un motivo sufficiente per interrompere la lotta. Una volta che fu di nuovo in forze, infatti, partì alla volta di Karlovac per infiltrarsi come agente sotto copertura. Questa volta furono gli italiani a catturarla, verso la fine del 1941, dopo che sparò a un ustascia che voleva identificarla.
Sempre gli italiani la consegnarono, il 3 dicembre, nuovamente agli Ustascia. Seguirono settimane di torture continue, alle quali seguì solo il suo silenzio: Nada non disse una sola parola riguardo i suoi compagni e le attività partigiane della zona. Nel febbraio del 1942 venne quindi trasferita nel famoso campo di prigionia di Stara Gradiska.
Nada Dimic fu fucilata il 17 marzo 1942 a neanche 19 anni.
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“ La #pace ✌ #nasce dal #far #proprie le #speranze e le #esigenze degli #altri. La pace ✌ nasce dalla #fatica di #dire #no #quando è #necessario ” Sergio Mattarella #Repost #23Luglio 2018 @laRepubblica .it ・・・ Il #23luglio 1941 nasce a Palermo Sergio Mattarella, dodicesimo presidente della Repubblica Italiana dal 3 febbraio 2015 #AccaddeOggi #SergioMattarella #PresidenteMattarella #AccaddeOggi #Anniversari
#repost#necessario#proprie#esigenze#dire#accaddeoggi#nasce#quando#23luglio#speranze#no#presidentemattarella#sergiomattarella#pace#fatica#far#altri#anniversari
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VENERDÌ 05 NOVEMBRE 2021 - SAN GUIDO MARIA CONFORTI Guido Maria Conforti (Casalora di Ravadese, 30 marzo 1865 – Parma, 5 novembre 1931) è stato un arcivescovo cattolico italiano. Fondò la Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere (Saveriani). È venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Sono numerose le notizie di grazie straordinarie attribuite alla intercessione di Guido Maria Conforti, segnalate sia in Italia, sia in altre parti del mondo dove operano i Saveriani. Significativi sono i due episodi che la Chiesa ha esaminato in vista della beatificazione e della canonizzazione, ed è eloquente che essi abbiano avuto luogo in terre di missione: uno in Burundi e uno in Brasile, dove, nell'ottobre del 1965, per sua intercessione, una ragazza di dodici anni, Sabina Kamariza, ormai dimessa senza speranza dall'ospedale di Bujumbura, capitale del Burundi, ritorna alla vita. E in Brasile, quando Thiago Joâo Dos Apostolos Souza, nato prematuro il 3 agosto 2003, a Santa Luzia, nella Diocesi di Belo Horizonte, fu strappato alla morte per cause umanamente inspiegabili. Guido Maria Conforti, con la sua intercessione, rispose all'appello delle preghiere. Nel 1941, a dieci anni dalla morte, in seguito al perdurare della fama di santità, mons. Evasio Colli, primo successore di Conforti come vescovo di Parma, apre il processo ordinario informativo sulla fama di santità, sulle virtù, sui miracoli e sugli scritti del suo predecessore. Il processo si conclude nel settembre 1942. Nel 1961 viene celebrato il processo apostolico presso la Curia di Parma e concluso a Roma, postulatore della causa di beatificazione fu Don Luigi Grazzi, padre saveriano]. L'eroicità delle virtù di Guido Maria Conforti viene approvata con decreto l'11 febbraio 1982. Viene beatificato da papa Giovanni Paolo II nella basilica di San Pietro il 17 marzo 1996. Il 23 ottobre 2011, nel corso di una solenne cerimonia in piazza San Pietro, è canonizzato da papa Benedetto XVI. Da Il Santo del Giorno #Tradizioni_Barcellona_Pozzo_di_Gotto_Sicilia #Sicilia_Terra_di_Tradizioni Rubrica #Santo_del_Giorno (presso Parma, Italy) https://www.instagram.com/p/CV5ShCKsqKC/?utm_medium=tumblr
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 Italia - Repubblica - Socializzazione
 . da  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=46869 Il mondialismo ebraico-americano da Pearl Harbor a Damasco  don Curzio Nitoglia (24/12/2013) Prologo Nei due articoli sulle cause delle due guerre mondiali (1), pubblicati recentemente nel sito doncurzionitoglia.com, ho parlato delle occasioni create dagli USA per entrare in guerra ed estendere il suo dominio sull'Europa (2). Nel presente articolo cerco di far un po' di luce sulle vicende vicino e medio orientali, che dall'Afghanistan (2001), all'Iraq (2003), alla Libia, alla Tunisia e Siria (2011-2013) ci stanno portando sull'orlo di una guerra mondiale, in cui la posta in palio è il dominio della quasi totalità del globo che l'imperialismo americano e israeliano (3) vogliono estendere anche sul mondo arabo («Nuovo Ordine Mondiale») e di lì arrivare alla Russia di Putin (già intaccata dalle rivoluzioni arancioni del Novanta, pilotate dalla CIA, e riscoppiate proprio in questi giorni in Ucraina (4)) e ad arrestare l'avanzata economica della Cina (5), la quale nel 2004 ha firmato un contratto di scambi economici, concernenti il petrolio ed i gas naturali, di 120 miliardi di dollari con Teheran. Ecco uno dei motivi per cui la Cina si opporrebbe ad un cambio di regime in Siria, che significherebbe la rovina dell'Iran e una grave crisi economica cinese. Si noti che milioni di musulmani qaidisti vivono in Russia ed in Cina. Basta guardare una cartina geografica e si vede che a partire dal Libano -andando verso l'est- si giunge in Siria, da questa all'Iraq, e quindi all'Iran al nord-est del quale si giunge in Russia, la quale a sua volta confina ad est con la Cina e a sud-est con l'Afghanistan. Quindi la caduta della Siria comporterebbe un terremoto nei Paesi confinanti: il Libano ad ovest (vicino oriente), l'Iraq e l'Iran ad est (medio oriente) ed infine la Russia e la Cina (estremo oriente). Dopo di che il «Nuovo Ordine Mondiale» sarebbe concluso e perfetto dall'Atlantico al vicino, medio ed estremo oriente, ossia «a mare usque ad marem». L'ultima occasione sfruttata dall'America, come abbiamo visto, è stata quella della base navale e aerea di 'Pearl Harbor' nel dicembre del 1941. Dopo la fine della seconda guerra mondiale gli USA e l'URSS si impadronirono a Yalta (1945/46) del mondo dividendolo in due blocchi: quello occidentale/atlantico e quello orientale/bolscevico. Il crollo dell'URSS (1989-1991) Con il crollo dell'Impero sovietico, dopo la caduta del «muro di Berlino» e la sconfitta dei sovietici in Afghanistan (1989-1991), la parte orientale del globo si trovava senza un padrone, in preda ad un terremoto geopolitico, con ricadute probabilissime anche sul mondo arabo. Essa poteva essere occupata dagli USA, che erano restati l'unica superpotenza mondiale, la quale dispone tutt'ora nel medio oriente di due alleati di ferro: Israele e l'Arabia Saudita (6), accomunati dall'odio verso il nazionalismo-sociale arabo e l'Iran (7). Ma per entrare in guerra la Costituzione americana esige che gli USA siano attaccati o si trovino sotto un grave pericolo imminente. Quindi doveva presentarsi all'orizzonte americano «una nuova Pearl Harbor». L'11 settembre o la nuova 'Pearl Harbor' L'11 settembre del 2001, con l'attacco alle Due Torri Gemelle (8), l'America ha avuto la sua 'nuova Pearl Harbor', ha invaso l'Afghanistan (7 ottobre 2001) (9) e poi l'Iraq (20 marzo 2003) (10), quindi nel 2011 son scoppiate le rivoluzioni «primaverili» arabe che le hanno dato la possibilità di estendere il suo dominio in Egitto, Libia, Tunisia, ma si è impantanata in Siria, la quale è stata aiutata dall'Iran, dal Libano, dalla Russia di Putin e dalla Cina (11). Gli USA stanno cercando di erigere il 'Nuovo Ordine Mondiale' nel vicino e medio oriente, i quali negli anni Novanta non gravitavano più sotto l'impero sovietico e che solo con la Russia di Putin hanno ritrovato un potente alleato in quest'ultima diecina di anni. Israele (appoggiato dai neocon americani, Kristol, Perle, Wolfowitz, Rumsfeld, Kagan, Pipes, Bennett, Bolton e Leeden (12)) ha elaborato un piano analogo. Nel
febbraio del 1982 il giornalista israeliano Oded Yion ha scritto per il ministero degli Esteri di Tel Aviv un interessante articolo pubblicato sulla rivista israeliana "Kivunim" su La strategia d'Israele negli anni Ottanta del Novecento (13). Tale piano prevedeva già nel 1982 la «dissoluzione della Siria, dell'Iraq e del Libano» (14). Si tratta di una «instabilità costruttiva», la quale si basa su tre pilastri: 1°) creare e gestire conflitti inter-etnici in medio oriente; 2°) favorire lo spezzettamento geopolitico del mondo arabo; 3°) favorire il settarismo salafita, wahabita, qaidista, jihaidista e della 'Fratellanza Musulmana'. La frammentazione del mondo arabo voluta dal Mondialismo Il mondo arabo attuale è stato messo assieme da Francia e Inghilterra alla fine della prima guerra mondiale, con la caduta dell'impero ottomano nel 1917-18 alleato con la Germania e l'Austria-Ungheria, al solo scopo di controllare le zone ricche di petroli e gas naturali (15). L'impero ottomano fu diviso allora in 19 Stati, formati da gruppi etnici e confessioni islamiche non omogenee, in modo tale che vivesse in perpetua instabilità e in un possibile conflitto interno e perciò debole ed incapace di sussistere senza l'apporto delle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale (Inghilterra, Francia e USA) (16). L'Inghilterra il 2 novembre del 1917 aveva promesso all'ebraismo internazionale «un focolare nazionale» (Dichiarazione Balfour) (17), creando così già i primi attriti con il pur variegato mondo arabo (18), che hanno destabilizzato, in gran parte, il vicino e medio oriente ed hanno portato alla situazione attuale. Nel 1920 la Siria cercò di rendersi indipendente dal protettorato francese, ma la Francia invase Damasco il 25 luglio del 1920 e pose fine al disegno «panarabo» siriano di raccogliere attorno a Damasco alcune delle neo-Nazioni arabe, che prima del 1918 facevano parte del grande impero ottomano (19). È importante sapere che già nel 1957 i servizi segreti inglesi e americani avevano stilato un documento congiunto intitolato A Collision Course for Intervention, il quale è stato riesumato nel 2003 dal giornalista Ben Fenton (Macmillan Backed Syria Assassination Plot, in "The Guardian", 27 settembre 2003). Il documento in questione stabiliva per la Siria il seguente progetto: «occorre dispiegare uno sforzo per eliminare alcuni individui-chiave (20), destabilizzare zone interne in Siria. La 'CIA' è pronta, e il 'SIS' (oggi 'MI6') tenterà di montare sabotaggi minori e degli incidenti all'interno della Siria. Gli scontri alle frontiere forniranno un pretesto all'intervento» (21). Dopo la fine della seconda guerra mondiale nel vicino oriente frammentato si troveranno fianco a fianco lo Stato d'Israele (1948), gli Stati nazionalisti e autoritari (Siria, Iraq, Libia e Tunisia), la monarchia ultra islamista ma filo-occidentale (Arabia Saudita (22)) e le sue galassie (Giordania, Egitto e Marocco) (23). I Saud e il wahabismo Per capire quel che succede nel mondo arabo a partire dal 1948 (fondazione dello Stato d'Israele in Palestina) sino ad oggi, è necessario distinguere nell'islam i suoi due rami principali e ufficiali (sunnismo e sciismo) dalle sette scismatiche ed ereticali, che sono specialmente il wahabismo, il salafismo ed hanno come braccio armato al-qa'ida, i 'Fratelli Musulmani' e i jaidisti foraggiati dai sauditi. Queste sette odiano l'islam laico, sociale, nazionalista e pronto a collaborare con le altre confessioni religiose per il bene della Nazione (Iraq, Siria, Libia, Tunisia) e lo combattono per distruggerlo, finanziate da USA e Israele. La guerra in Siria non è una guerra civile, come dicono i media, ma un'aggressione dei wahabiti e sauditi con l'appoggio di USA, Gb e Israele. Perciò il destino della Siria riguarda, nell'immediato, anche quello dei due milioni di cristiani che abitano in essa ed attorno ad essa e, nel futuro, quello del globo intero poiché a partire dalla distruzione della Siria si vuol costruire un «Nuovo Ordine Mondiale» diretto dal giudaismo, dalla massoneria, dal calvinismo americanista e dal
liberismo selvaggio dei neocon, che si servono del qaidismo come testa d'ariete. Perciò, la questione che tratto è di capitale importanza non solo per ogni uomo ma per i cristiani, che sarebbero i primi a rimetterci in caso di vittoria dei wahabiti qaidisti. Infatti dall'Arabia Saudita, nata nel 1932 con il placet dell'Inghilterra, la famiglia regnante al-Sa'ud di confessione wahabita, ha finito per destabilizzare il già fragile equilibrio interno al mondo arabo (24). Infatti i Sauditi sono i paladini all'interno del mondo arabo dell'islam combattente (25), ma nello stesso tempo all'estero sono legati all'occidente anglo/americano e allo Stato d'Israele. Essi, perciò, lanciano l'islamismo radicale wahabita-salafita (26) contro i regimi nazionalistici arabi (sia sciiti che sunniti (27) non-wahabiti), a tutto favore del sionismo (28) e dell'americanismo, mentre all'interno professano un feroce estremismo farisaico/calvinista (29) di stampo petrolifero/islamista, come vedremo meglio innanzi. Giustamente Paolo Sensini ha scritto: «gli Stati del Golfo e l'Arabia Saudita sono fragili contenitori che racchiudono solo petrolio» (30). Wahabismo salafita contro nazionalismo arabo Si badi bene che il wahabismo e il salafismo cercano di nascondersi dietro il sunnismo e si presentano come avversari dello sciismo, ma in realtà non hanno nulla a che vedere neppure con il sunnismo. Infatti il wahabismo è un'eresia e una setta islamica, scissa sia dal ramo sunnita che da quello sciita, fondata da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792) e già allora ostile ai sunniti, inoltre Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab, è ritenuto dagli storici dell'islam comunemente un «marrano» (in arabo «ma 'min» e in turco «donme») ossia un cripto-ebreo (cfr. W. Madsen, The Donme, in «Strategic Culture Foundation», 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010). Quanto all'ideologia salafita il suo fondatore è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah(cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Nel 1924 quando i wahabiti conquistarono la Mecca massacrarono i sunniti che vi abitavano. Ora l'islam si è definitivamente diviso nel 680, quasi subito dopo la morte di Maometto (632), in due rami principali: il sunnismo (che comprende circa l'80% dei musulmani, cioè 680 milioni di persone) e lo sciismo (che ne comprende circa il 16 %, vale a dire 130 milioni), mentre il wahabismo rimonta al 1700 e il salafismo al 1800, cioè circa 900/1000 anni dopo la morte di Maometto e la divisione in due rami dell'islam. I 'Fratelli Musulmani' addirittura risalgono al 1928. I media ci presentano il wahabismo come la vera tradizione islamica, invece esso si presenta e si considera come sunnita, ma in realtà è considerato dagli storici delle religioni una setta scismatica dell'islam, che «si pone agli antipodi della tradizione islamica. Si tratta di un settarismo che, grazie alle enormi disponibilità finanziarie dei Saud, si fa passare per 'islam sunnita', ma che non lo è affatto e si attribuisce da sé la qualifica di 'autentico islam' in contrasto con ogni altro ramo dell'islamismo» (La storica visita del presidente iraniano al Cairo: Ahmadinejad piange sulle tombe dei pii musulmani, in "European Phoenix", 6 febbraio 2013 (31)). Una probabile terza guerra mondiale? Il giudice Ferdinando Imposimato ha scritto un interessantissimo libro (La grande menzogna. Il ruolo del Mossad, l'enigma del Niger-gate, la minaccia atomica dell'Iran, Roma, Koinè Nuove Edizioni, 2006). In esso, con documenti alla mano, spiega la genesi degli attentati dell'11 settembre 2001, la guerra all'Iraq del 20 marzo 2003 e la probabilmente futura guerra (nucleare) all'Iran, che scatenerà una catena di ritorsioni nucleari, capaci di sconvolgere la faccia della Terra. Il magistrato parte da un recente attacco verbale contro l'ONU (Firenze, 12 novembre 2005) da parte di
Michael Ledeen (personaggio legato alla Loggia massonica P2 e al SISMI) e Richard Perle, entrambi neoconservatori americani, che dietro imput di Cheney e Rumsfeld, vogliono lanciare l'attacco atomico contro l'Iran, mettendo prima a tacere le resistenze delle Nazioni Unite. Richard Perle è «un ebreo legato al Likud, partito di estrema destra israeliana» (p. 20) e specialmente con Benjamin Netanyahu ha scavalcato a destra anche Ariel Sharon, troppo moderato verso i palestinesi. Assieme a Michael Ledeen, egli dirige l'American Enterprise Institute «noto anche in Italia per i contatti con la P2 e i servizi segreti italiani» (p. 22). Imposimato, citando Albert Einstein, si chiede: «esiste il rischio di un conflitto nucleare di portata apocalittica, che porterebbe alla fine 2/3 dell'umanità?» (p. 25). Egli risponde affermativamente, asserendo inoltre che l'Iran e la Siria sono i prossimi obiettivi dell'America. Quanto alla 2ª guerra contro l'Iraq, essa non fu la conseguenza dell'11 settembre 2001, ma «fu decisa molto tempo prima dell'attacco alle Torri gemelle» (p. 26), verso il 1999/2000. Tale guerra fu fatta «per conquistare le risorse petrolifere del medio oriente ed allargare il dominio degli USA, offrendo protezione ad Israele, esposta al rischio di un nuovo olocausto» (p. 27). Inoltre, prosegue Imposimato, è falso che «tutto sia cominciato con l'11 settembre 2001». Infatti già nel febbraio del 1993 «un camioncino con 700 chili di semtex esplose nel parcheggio del WTC» (p. 99). Il 7 agosto 1998 «alcuni camion di esplosivo con kamikaze devastarono le ambasciate americane di Nairobi in Kenia e Dar Es Salam in Tanzania» (p. 100). Infine ci fu l'informazione ricevuta dall'FBI nell'agosto 2001 di «attacchi terroristici imminenti, su larga scala, contro obiettivi altamente visibili» (p. 103). Dunque, conclude il giudice, si conosceva, e si era già costatato sin dal 1993, la capacità operativa del terrorismo anche in terra americana; ma si è voluto lasciar fare, per attaccare guerra in medio oriente, come a Pearl Halbor nel XX secolo contro il Giappone, e sulle coste di Cuba nel XIX secolo contro la Spagna. Secondo Imposimato (che dimostra sempre quel che scrive), «un governo mondiale invisibile muove le fila dei governi nazionali (…). Tutto ciò con l'avallo dell'estrema destra ebraica, il Likud…, dietro gli eventi del terzo millennio vi è un gigantesco complotto ordito per giustificare la guerra all'Iraq e preparare quella all'Iran» (p. 27). Dopo lo smacco subito in Iraq, l'America penserebbe di impiegare «armi nucleari di tipo nuovo, piccole bombe atomiche ad effetto territoriale limitato» (p. 32). George W. Bush «si avvale di consiglieri preziosi, come Karl Rove, ebreo legato al Likud, e come Dick Cheney, che ha al suo fianco Lewis Libby, anche lui ebreo vicino a Bibi Netanyahu, capo del Likud. A decidere non è solo Bush, ma lui e il suo staff, che serve anche altri padroni (…). Bush, manovrato da Cheney e Rove, pedine di Netanyahu, intende dominare il mondo con la forza e a furia di guerre preventive può coinvolgere anche l'Europa, a partire all'Iran» (p. 35). Imposimato scrive che «Bin Laden e al-Qa'ida avevano preparato e organizzato…, la sfida militare agli USA» (p.40). Ma ammette anche che «del piano sapevano in molti, e primo tra tutti il Mossad, con infiltrati ovunque, e non fecero nulla per impedire l'evento… Dall'11 settembre, il sostegno dell'America a Israele fu automatico» (p. 40). Inoltre lo scandalo dell'uranio che Saddam avrebbe voluto comprare in Niger, per prepararsi la bomba atomica, risulta essere un falso, preparato nel 2000, da un ex agente dei servizi segreti italiani e poi rilanciato dall'Inghilterra. Esso ha costituito la famosa «canna fumante» per scatenare la guerra all'Iraq che non poteva esser tirato dentro l'11 settembre, poiché estraneo alla mentalità di al-Qa'ida (cfr. pp. 41-54).Tuttavia, questa volta, la forza militare e nucleare iraniana è reale e «non può essere sottovalutata» (p. 82). Infatti «il potenziale militare dell'Iran è notevole. Teheran è in possesso di più di 500 missili
balistici Sheab-1 e Sheab-2 con una gittata da 300 a 500 km; e di un numero indeterminato di Sheab-3 che hanno una portata di 3000 km ed una carica esplosiva di 700 kg e sono in grado di raggiungere le città e le basi israeliane» (pp. 152-153). «Manca la certezza della vittoria» (p. 83) ed è solo per questo che non è ancora stata ingaggiata guerra. Inoltre, con Ahmadinajead al potere in Iran, la vittoria di Hamas in Palestina, gli Hezbollah in Libano diretti dalla Siria, si corre verso uno scontro frontale con Israele, alimentato da sionisti, neoconservatori americani e per contrapposizione da al-Qa'ida e Bin Laden. Penso -data anche l'attuale situazione creatasi in Siria, Libano e Turchia- che sia certa la guerra, resta incerto solo chi attaccherà per primo: il blocco arabo anti-israeliano oppure il sionismo-americanista? Purtroppo, uno dei due lo farà sicuramente, scatenando la reazione dell'altro, che porterà alla catastrofe nucleare mondiale. Imposimato ci ricorda che «l'Italia, secondo le dichiarazioni del generale James Jones al "New York Times", sarebbe immediatamente coinvolta nel conflitto nucleare più di altri Paesi. Essa, infatti, ospita da Aviano e Ghedi, per conto della NATO, 90 armi atomiche di cui 50 in dotazione di aerei statunitensi e 40 di aerei italiani… L'Italia rappresenta, dunque, un obiettivo nucleare dei nemici dell'America» (p. 135). Il magistrato conclude così il suo libro: «È prevedibile una serie di reazioni a catena dopo l'attacco all'Iran… Sarebbe l'apocalisse più volte evocata da Einstein» (p. 151). L'alawismo siriano e il wahabismo Ritornando alla Siria, essa non è anti-sunnita, come scrive comunemente la stampa politicamente corretta, ma anti-wahabita. In Siria i sunniti godono di piena libertà religiosa e il presidente siriano Bashar al-Assad partecipa regolarmente alle celebrazioni sunnite. Invece in Arabia Saudita è proibito insegnare la teologia sunnita tradizionale. Bashar al-Assad è nusayrita o alawita. Muhammad ibnNusayr, il fondatore del nusayrismo o alawismo, nell'872 si separò dallo sciismo e assieme ai suoi seguaci emigrò in Siria dall'Iraq. I nusayriti o alawiti sono una corrente dello sciismo di circa 1 milione di persone che vivono in Siria e nelle valli del Libano. «È grottesco che la pretesa di difendere i sunniti siriani venga proprio dall'Arabia Saudita, un regime diretto da una setta ignorante e fanatica, che ha perseguitato e assassinato i sunniti per oltre 200 anni» (32). I nusayriti si distinguono per la loro dottrina del giusto mezzo tra lo zelo esagerato («gulùw») e la negligenza («gafà») nell'osservanza dell'islam. Essi sono stati accusati dai movimenti estremisti di miscredenza («kufr») peggiore di quella degli ebrei e dei cristiani. Gli alawiti trasferitisi in Siria adottarono ivi degli elementi cristiani, si aprirono ad una certa accettazione della SS. Trinità (ma'nà, ism, bàb), festeggiano l'Epifania e la Pentecoste, hanno numerose cerimonie simili alla Messa cattolica (cfr. Mircea Eliade, Enciclopedia delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 17-18). Il movimento wahabita-salafita predica l'odio e la guerra civile inevitabile tra i rami dell'islam, favorendo la politica anglo/americana e israeliana del divide et impera. Il wahabismo-salafita ha vari bracci armati, i 'Fratelli Musulmani' (33), i qaedisti, i talebani, che lanciano una guerra santa non contro l'occidente, ma contro i regimi nazionalisti arabi sia sciiti che sunniti. Si noti che il wahabismo è stato fondato da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792), ritenuto comunemente un «marrano», ossia un cripto-ebreo, che ha fatto finta esteriormente e pubblicamente di essere musulmano mentre in privato era rimasto ebreo, così come pure il primo re saudita 'Abdal-'Azizibn Sa'ud (1902-1969) (34). Non deve perciò stupire più di tanto l'alleanza tra il wahabismo e il sionismo. Infatti il wahabismo è religiosamente zelota, fanatico, farisaico e marrano; politicamente collaborazionista dell'occidente e del sionismo; socialmente liberista (35), economicamente calvinista (36) e affamatore dei poveri. Quindi
esso è capace di fornire all'America e a Israele una massa di sudditi consenzienti, sottomessi e quiescenti nella lotta contro il nazionalismo sociale arabo moderatamente islamico. Certamente all'interno dell'Arabia Saudita la monarchia Saud ha creato un'enorme povertà di massa, ma ha saputo dirottare verso l'esterno (nazionalismo arabo) il malcontento dei suoi sudditi, totalmente sottomessi ai Saud, e senza saperlo agli USA e a Israele (37). Stéphane Lacroix ha ben capito e descritto il ruolo del wahabismo saudita: «esso 1°) conferisce una forte identità ad una massa di individui alienati e impoveriti; 2°) una visione del mondo certa e assoluta, sino al manicheismo, diviso in bene e male assoluti; 3°) fornisce un surrogato di protesta contro l'ordine stabilito in Arabia Saudita, trasferendolo altrove; 4°) garantisce un rifugio spirituale e ideologico ad una massa altrimenti incerta e diseredata; 5°) promette una vita migliore anche su questa terra redenta dall'islam wahabita e jiaidista» (LesIslamistes Saoudiens, Parigi, PUF, 2010; Id. Islam in Revolution, New York, Syracuse University Press, 1995, p. 49). Il salafismo-wahabita predicando la necessità della jahd tra i diversi rami dell'islam ritiene come al-Qa'ida e Osama bin Laden (38) che ogni vero musulmano (wahabita) ha il dovere di uccidere gli infedeli, compresi i sunniti e gli sciiti. Inoltre dopo la cacciata dei sovietici dall'Afghanistan i media americani hanno tramutato i qaidisti da ex eroi anticomunisti in acerrimi nemici dell'occidente durante l'invasione americana dell'Afghanistan (2011), riempiendo il vuoto lasciato dal crollo dell'URSS e fornendo una giustificazione lungo gli anni Novanta al riarmo degli USA e all'occupazione di enormi aree strategiche per ripresentarli poi nel 2011 come i neo-patrioti contro il dittatore siriano. Di fatto molte formazioni terroristiche, violente, ramificate e ben organizzate sono marionette di alcune superpotenze che tramite i loro servizi segreti (CIA, MI6, Mossad) le riforniscono di armi, le addestrano e le supportano (39). Giovanni Filoramo spiega che il wahabismo ha suscitato una certa diffidenza i sunniti, dato il suo zelo eccessivo, esaltato, che risultava intollerabile alla mentalità sunnita tradizionale. Esso ha potuto sussistere solo grazie all'alleanza, stipulata nel 1744, con lo sceicco IbnSa'ud della casa reale Saudita e alle sue ingenti ricchezze. La polemica dei sunniti contro il wahabismo si fonda soprattutto sull'atteggiamento manicheo e farisaico dei wahabiti, i quali disprezzano tutti gli altri islamici (sunniti e sciiti) come non veri musulmani e ritengono solo se stessi l'unico vero islam (come il fariseo che sale al Tempio a pregare Dio disprezzando in cuor suo il pubblicano e tutti gli altri uomini). I teologi sunniti e sciiti ritengono che il wahabismo sia un'eresia scismatica islamica, fondata su un settarismo intemperante e fanatico, pronto a scomunicare e uccidere tutti quelli che non condividono le loro idee, in quanto ritenuti infedeli e politeisti e quindi degni di morte (cfr. G. Filoramo, Islam. Storia, dottrina, tradizioni, Bari, Laterza, 2005, pp. 260-261). Mircea Eliade sottolinea il carattere di alleanza tra wahabismo e sauditi fondato sulla divisione dei compiti: la dottrina ai wahabiti e la politica ai Saud per cui ne è nata una setta con due facce: l'una ferocemente integralista in religione (wahabismo) e l'altra pragmatica e pronta al compromesso politico (Saud); cfr. Enciclopedie delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 684-685. Importanza teologico/escatologica della Siria nell'islam Paolo Sensini (Divide et impera, cit., p. 265) scrive che per i salafiti e i wahabiti la Siria come è oggi non esiste: essa sarebbe solo un'espressione geografica ed anzi una creazione degli infedeli, come l'Iraq. Infatti secondo il salafismo il nazionalismo, anche arabo e musulmano, che si consacra alla prosperità del proprio Paese, commette un peccato di «associazionismo» (in arabo «shirk»), ossia associa all'unico vero Dio, Allah, una miriade di false divinità o idoli, come la Nazione, la
Patria, il Popolo. I nazionalisti arabi violano il dogma religioso dell'Unicità divina (in arabo «tawhid») e quindi meritano la morte. Per i salafiti l'unica azione lecita pro Patria è la jihad o guerra santa per conquistare all'islam il medio e vicino oriente e poi il mondo intero. Il panarabismo nazionalista musulmano moderato laico e sociale è, sempre per il salafismo, un sacrilegio in quanto distrugge il dogma della madre patria musulmana in tutto l'orbe (in arabo «umma») (40). Inoltre la Siria per l'escatologia jiadista islamica rappresenta l'ultimo campo di battaglia, ossia la terra della resurrezione e del giorno del giudizio divino. Damasco, storicamente, ha un valore enorme per l'islam jihadista poiché sino al 750 fu la capitale del primo califfato, quello omayyade (41), che secondo il salafismo deve essere esteso a tutto il mondo, mediante la «guerra santa», ed oltrepassare le singole Nazioni ed anche l'Arabia intera (42). In questa divisione dell'impero ottomano a macchia di leopardo sono stati creati ad arte alcuni piccoli Stati opulenti (Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), che concentrano in sé la quasi totalità della ricchezza disponibile, mentre un'enorme massa di diseredati vive nella più completa indigenza per mantenere l'intera regione araba in uno stato di continua agitazione e perpetua strisciante guerra clandestina che la indebolisca e la renda facile preda degli interessi israeliani e statunitensi (P. Sensini, Divide et impera, cit., p. 39). La Siria è considerata comunemente il cuore del nazionalismo arabo o «panarabismo», fondato sull'islam non religiosamente integralista, ma politicamente antisionista ed antiamericanista, analogamente ai regimi autoritari come l'Iraq e diametralmente contrapposta al wahabismo saudita. Perciò la «primavera araba» è stata un colpo di Stato dell'islamismo wahabita e al-Qa'idista estremista contro i popoli e le Nazioni dei Paesi arabi non soggetti a Israele e agli USA (43). Come si vede il salafismoqaidista e jiaidista è radicalmente anti-nazionalista ed anti-panarabo. Di qui la guerra dei musulmani radicali contro la Siria, la Libia, il Libano, l'Iraq e la Palestina e l'estrema ferocia con cui si combatte da parte salafita il regime di Bashar al-Assad, con il sostegno del calvinismo massonico americanista e del fariseismo zelota sionista (44). Nell'ottica salafita il governante non è l'autorità in quanto legittimamente eletto, ma esso è l'autorità legittima in quanto «giusto» o santo, ossia integralmente salafita. Se il governante non è «giusto» o santo, cioè colui che governa secondo gli stretti dettami della legge divina, non è l'autorità legittima (45). Non deve, quindi, destare meraviglia se il nemico principale della Siria è l'Arabia Saudita (assieme allo Yemen, all'Oman e al Qatar (46)), mentre suoi alleati sono il Libano, la Palestina, l'Iraq e l'Iran. Anzi proprio per disintegrare l'asse dell'islamismo religiosamente moderato, ma politicamente nazionalista, che impediva la creazione, nel secondo dopoguerra mondiale, del «Nuovo Medio Oriente» (47) da inglobarsi nel «Nuovo Ordine Mondiale», gli USA e Israele si son serviti del wahabismo saudita e della jihad afgano/qaidista per abbattere -con una «guerra santa»- la Libia, la Tunisia e poi la Siria, la quale resiste ancora, anche in quanto appoggiata da Libano (Hezbollah), Palestina (Hamas), Iran, e specialmente Russia e Cina. Vedremo più avanti perché. Inoltre la Siria è il tallone d'Achille o il punto debole dell'alleanza che va dal Libano all'Iran. Quindi si cerca di abbatterla per poi colpire il Libano e l'Iran. Infine il piano destabilizzante riguardo il medio oriente non prevede, come scrive il generale Fabio Mini, «una Siria senza al-Assad, ma nessuna Siria» (48). Paolo Sensini, nel suo interessantissimo libro 1°) si chiede come mai l'antagonismo occidente/islam radicale è riuscito nel 2011 a far fronte comune per difendere la democrazia contro i governi autoritari e nazionalisti del mondo arabo 2°) osserva che l'islamismo wahabita radicale filo-occidentale è una sorta di ossimoro perché rappresenta un
fronte comune assai eterogeneo in quanto comprende l'interventismo mondiale statunitense, il neo-colonialismo franco/britannico, il fariseismo settario e 'petrol/dollifero' del wahabismo; 3°) si domanda come mai gli emirati si sentono minacciati dall'Iran e non da Israele, che pur essendosi auto-definito come «l'unica democrazia del vicino oriente» si è alleato con l'Arabia Saudita e gli emirati arabi, che sono monarchie dispotiche e tiranniche 4°) si chiede infine come mai i cristiani viventi in Siria si sentono minacciati dall'esportazione della democrazia americana ed europea tramite i sauditi mentre si sentono protetti dal dittatore siriano al-Assad? (Divide et impera, cit., p. 37-38). Sensini abbozza una prima e breve risposta: non si tratta di esportare la democrazia, ma di impadronirsi del petrolio e del medio oriente per costruire il Mondialismo globalizzante. Per far ciò occorre mascherare un fine così materiale (il petrolio e la terra) dietro un ideale umanitario, ossia l'esportazione della democrazia nel mondo arabo autoritario nazional/sociale moderatamente islamico, che rappresenta il nuovo impero del male dopo il crollo dell'URSS e che è esportatore per sua natura di uno «scontro di civiltà» tra islamo/fascismo e giudeo-«cristianesimo/calvinista» in cui la lotta contro l'imperialismo sionista e americano non ha nulla a che vedere. Bernard Lewis lancia lo «scontro di civiltà» nel 1976 Di questo «scontro di civiltà» ne ha parlato per primo lo storico dell'università di Princeton, nonché membro del 'Bilderberg club' ed ex ufficiale dei servizi segreti britannici, Bernard Lewis (The Return of Islam, in "Commentary", gennaio 1976, pp. 39-49) che ha ripreso il tema di quest'articolo nel 1979 durante la Conferenza del 'Bilderberg club' ed ha lanciato il piano di una strategia anglo/americana in alleanza col movimento wahabita e coi Fratelli Musulmani (49) per promuovere una balcanizzazione o «libanizzazione» dell'intero mondo arabo, basandosi sulle rivalità etniche e religiose, intrinseche alla sua riedificazione, scientemente volute dall'imperialismo ottocentesco dell'Inghilterra e della Francia dopo il crollo dell'impero ottomano, ed analogamente - nel Novecento/Duemila - dal neo imperialismo degli USA e d'Israele, che stanno ridisegnando il nuovo medio oriente in maniera ancor più frammentata ed esplosiva al suo interno in vista della costruzione del «Nuovo Ordine Mondiale». Successivamente Bernard Lewis, che era divenuto -con l'amministrazione Reagan, Bush padre e figlio- un pezzo grosso del Dipartimento della Difesa americano, scrisse nel 1992 un memoriale per la rivista "Foreign Affairs" del 'CFR' titolato Rethinking the Middle East (Ripensare il medio oriente). In quest'articolo Lewis prospettava una politica nuova verso il medio e vicino oriente: finita la guerra fredda con l'URSS, egli individuava nel fondamentalismo qaidista e wahabita, nemico del nazionalismo arabo e dell'islam moderato e laico, un elemento destabilizzatore e frantumatore dell'unità geopolitica del medio oriente per poterlo «libanizzare» o balcanizzare, ossia governarlo grazie alla divisione tra le tribù e le etnie che lo compongono messe in guerra permanente l'una contro l'altra. L'analista politico e storico statunitense Webster Tarpley scrive che «dal 1945 gli USA e i satelliti della NATO si sono sistematicamente contrapposti all'alternativa ragionevole del nazionalismo laico e sociale negli Stati arabi moderatamente islamici (chiamato dai neocon «islamo/fascismo»), mentre hanno favorito immancabilmente le alternative fondamentaliste, preferendo quelle più retrive e farisaiche per disgregare il medio oriente. Non si tratta di errore, ma di una ben precisa scelta politica imperialista» (50), che seminando la divisione nel mondo arabo lo governa secondo l'adagio degli antichi Romani: «dìvide et ìmpera». Paolo Sensini commenta che appena gli USA hanno cominciato ad esercitare la loro egemonia sul medio oriente, i 'Fratelli Musulmani' erano già presenti quali umili servitori degli USA per seminare l'odio tra sunniti e sciiti, sposando
l'ideologia settaria wahabita e salafita (51). Il medio oriente è strategicamente di capitale importanza per il mondialismo e la globalizzazione. Infatti esso è confinante con l'URSS, contiene i ¾ del petrolio mondiale, ed è già in conflitto costante con uno degli Stati più potenti del mondo, Israele. Si capisce che entrare pienamente nel medio oriente equivale a iniziare a mettere i piedi nella Russia, a bloccare l'avanzata economico/finanziaria cinese e a governare quasi tutto il mondo. È per questo che la Russia di Putin e la Cina sono intervenute con le loro flotte per impedire l'attacco dell'America e d'Israele contro Siria e Libano. Il delirio d'onnipotenza ebraico foriero di catastrofi Ma sino a quando gli USA riusciranno a temperare gli ardori del fanatismo zelota di Israele e Netanyahu? Solo Dio lo sa! Infatti il giudaismo è vittima di un delirio di onnipotenza, poiché si ritiene ancora l'eletto, il superiore e il prediletto tra tutti i popoli. Martin Buber scrive: «l'umanità ha bisogno del giudaismo, perché esso è l'incarnazione delle più alte aspirazioni dello spirito» (52), ed Emmanuel Lévinas continua: «L'ebraismo è necessario all'avvenire dell'umanità (…), esso è come una scala vivente che raggiunge il cielo» (53). Pierre Lévy spiega che «gli ebrei possono essere di destra o di sinistra, liberali, marxisti o ortodossi, credenti o atei, ma non possono non essere partigiani dell'Impero globale d'Israele» (54). Questa è l'unità del giudaismo rabbinico, apparentemente differenziato ma sostanzialmente uniforme; essa è una «utopia di cui l'ebraismo vive» (55) e tale scopo sta per essere raggiunto con il mondialismo, la globalizzazione e il «Nuovo Ordine Mondiale», che hanno avuto il loro exploit con le due guerre del Golfo persico (1991, 2003), ma che hanno segnato anche l'inizio della decadenza degli USA e probabilmente - nell'immediato - anche di quella d'Israele, che si appresta ad affrontare militarmente Iran, Libano, Siria e Palestina. Anche perché la cruda verità, come scrive il generale Fabio Mini, è che gli americani giocano con l'immagine falsata di un'autorità che non hanno su Israele: «quando dicono di concedere un sostegno politico a Israele in realtà si tratta di sottomissione alla potente lobby ebraica» (Mediterraneo in guerra, cit., p. 174 (56)). Hungtinton rilancia lo «scontro di civiltà» nel 1993 Quest'idea dello «scontro di civiltà» è stata ripresa recentemente da Samuel Hungtinton prima (nell'estate del 1993) in un articolo su "Foreign Affairs", la rivista del 'CFR', intitolato The Clash of Civilizations? e poi elaborato nel 1996 in un libro noto a tutti: Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, tr. it., Milano, Garzanti, 1997. Lewis riteneva di dover mettere l'estremismo wahabita e qaidista musulmano contro l'URSS per impedire ad essa di esercitare un forte influsso nell'area del mondo arabo, visto che gli estremisti musulmani avrebbero diffidato dell'URSS atea più ancora che degli USA solamente agnostici, i quali avrebbero potuto godere delle lotte tra islam radicale e URSS e, come si sa, «tra i due litiganti il terzo gode». La dottrina Lewis (57) (1976/79, 1992) ha fatto scuola tra i servizi segreti americani, britannici, i neocon (58), l'amministrazione Reagan (1980) e poi è stata rivista da Huntington (1993/1996) con l'amministrazione Bush (1990-2002) e non ha cessato di farsi sentire in pratica (anche se non sbandierata in teoria) con l'amministrazione Barak Obama, che nel vicino e medio oriente prosegue praticamente la politica di Reagan e Bush, mentre se ne distanzia solo a parole. Trozkismo e neoconsevatorismo Paolo Sensini scandaglia la comune radice trozkista (59) dei neoconservatori o «sion-con» americani (quasi tutti di origine ebraica (60)). L'idea di Trotskij della rivoluzione comunista permanente e universale è stata mutuata dai neocon ed applicata al vicino e medio oriente come esportazione della democrazia americana nel mondo intero quale fattore di lotta permanente e destabilizzatrice delle Nazioni che si vogliono dominare dopo averle sprofondate nel caos
(Divide et impera, cit., p. 48). Quest'idea ha influenzato e quasi determinato la decisone di Bush padre e figlio d'invadere l'Afghanistan (7 ottobre 2001) e l'Iraq (20 marzo 2003) e puntare poi sulla Libia, Tunisia, Egitto per giungere alla Siria, all'Iran, alla Russia e ridimensionare l'emergere del potere economico cinese. I neocon vogliono fondare una politica estera di tipo trozkista, che esporti la rivoluzione e il caos permanente e una politica interna agli USA di tipo psico-poliziesco «staliniano» condito dalla concezione affaristica del liberismo selvaggio di Milton Friedmann (61), che soffochi le persone con uno stato di «psico-polizia» per prevenire un nuovo 11 settembre e per gettare nella povertà la piccola e media classe con i mutui senza condizioni, che portino all'indebitamento i cittadini ai quali le banche toglieranno ed esproprieranno i mezzi di sussistenza privata. La trappola dell'Afghanistan: «il cimitero degli eserciti» Zbnigniew Brezinski, consigliere per la sicurezza degli USA, ha ammesso in un'intervista (V. Jauvert, Lesrévelations d'un ancien conseiller de Carter: «Oui, la CIA est entrée en Afghanistan avant le Russes», in «Le Nouvel Observateur», n. 1732, 15-21 gennaio 1998, p. 76) che il presidente americano Jimmy Carter il 3 luglio 1979 firmò la prima direttiva per fornire appoggio militare, tramite la CIA, ai mujahidin afgani oppositori del regime filosovietico di Kabul. Questo passo, racconta Brezinski, spinse fortemente l'URSS ad invadere l'Afghanistan (considerato dagli strateghi «il cimitero degli eserciti nemici») il 24 dicembre 1979 e a cadere nella trappola di una guerra durata circa 10 anni da cui l'URSS uscì nel 1989 con le reni spezzate e che segnò il declino dell'impero sovietico. Il crollo dell'URSS valeva l'appoggio ai talebani. Si capisce perché la Russia di Putin ora sostenga la Siria con tanta fermezza e quale sia l'importanza dell'esito dell'aggressione alla Siria: il 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele, degli USA e del fondamentalismo wahabita. La questione della Siria ci riguarda non solo come uomini sociali o politici, ma anche e soprattutto come cattolici romani, che nulla hanno a che spartire con i «cristianisti» americano/calvinisti o «teo/sion/conservatori». Circa agli inizi del 1992 l'America iniziò a formulare una nuova fase della sua politica estera, che è arrivata al suo pieno svolgimento dopo l'11 settembre del 2001. Infatti nel 1992 Dick Cheney (il segretario alla Difesa degli USA) diede incarico a Paul Wolfowitz (il numero tre del Pentagono) di redigere il Defense Planning Guidance (Guida al piano di difesa), chiamato anche «piano per governare il mondo» (Plan for Global Dominance). Questo documento del 1993, che in seguito è stato comunemente chiamato «la Dottrina Wolfowitz» (riprendeva il pensiero di Bernard Lewis, 1976 e Samuel Huntington, 1993), è comparso quasi subito dopo il crollo dell'URSS a causa della disfatta in Afghanistan; esso fondeva inseparabilmente e sempre più strettamente gli interessi americani e quelli sionisti servendosi del wahabismo per evitare che sorgesse un nuovo rivale a rimpiazzare l'URSS in medio oriente. Gli USA erano oramai convinti di essere soli al vertice del potere mondiale: militarmente, economicamente, tecnologicamente e «culturalmente». Perciò bisognava cavalcare l'onda della lotta culturale tra occidente giudaico/calvinista contro il mondo arabo, servendosi dell'integralismo wahabita-salafita contro i regimi nazionalistici («islamo/fascismo») e autoritari del vicino e medio oriente. Infatti Hungtinton come Lewis pensava che le lotte del XXI secolo non sarebbero state determinate soprattutto da interessi economici o sociali, ma soprattutto «culturali», ammesso che si possa parlare di una «cultura» americana e non piuttosto di una «tecnica» o «pratica». La domanda di Lewis, Hungtinton, Wolfowitz era la seguente: come dividere il mondo, e specialmente quello arabo, dopo il crollo dell'URSS per governarlo e dominarlo totalmente? La risposta consisteva nell'asserzione di dover destrutturare le sovranità
nazionali, anche in medio oriente (la vecchia Europa le aveva già perse nel 1945(62)) e ricomporre il tutto in un mosaico di etnie, religioni e staterelli in perpetuo conflitto tra loro per esercitare la leadership americana, come scrisse senza troppa ipocrisia il "The San Francisco Chronicle" del 26 settembre 2001. In effetti, commenta Paolo Sensini (cit., p. 65), ovunque si trova al- Qa 'ida, seguono a ruota l'esercito statunitense e le grandi imprese economico/finanziarie. In breve gli USA volevano promuovere un «Nuovo Ordine Mondiale» dal caos del medio oriente, secondo il motto della massoneria «ab caohordo» (63). Tuttavia l'idealistico e «culturale» (o meglio «prammatico») scontro di civiltà fungeva da paravento per nascondere interessi molto più prosaici, ossia il dominio della terra che contiene i grandi giacimenti petroliferi ed i gas naturali mediante una barbarica dissociazione delle società civili. don Curzio Nitoglia Note 1) "La fonte ed il fine delle due guerre mondiali"; "Tre occasioni create dagli usa per entrare in guerra". 2) Cfr. S. Romano, Anatomia del terrore, Milano, Rizzoli, CS, 2004. 3) Cfr. P. Serra, Americanismo senza America, Bari, Dedalo, 2002; O. Foppiani, La nascita dell'imperialismo americano, Roma, Settimo Sigillo, 1998; A. Jennings, La creazione dell'America, Torino, Einaudi, 2003; M. Molinari, George W. Bush e la missione americana, Bari, Laterza, 2004G. Alivi, Il secolo americano, Milano, Adelphi, 1996 G. Batault, Judaisme et Puritanisme, rit., Waterloo, Javelot, 1994; A. Donno, Gli Stati Uniti, il sionismo e Israele, Roma, Bonacci, 1932; . 4) Cfr. M. Blondet, Stare con Putin, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2004. In Russia vi sono jihaiddisti ceceni che osteggiano fortemente Putin e che sono entrati in Siria per combattere al-Assad; cfr. M. Adomanis Chechen Volunteers in Syria, in "Forbes", 24 luglio 2012. Il venerdì 12 ottobre 2012 lo sceicco al-Qaradawi, che nel febbraio 2011 aveva lanciato una fatwa condannando a morte Gheddafi, ha gridato dallo schermo della TV qatarinaAljazeera: "La Russia è il nemico numero uno dell'islam" ed ha incitato i musulmani alla lotta contro russi, cinesi e iraniani perché sostengono la Siria. (Cfr. "Al Madanar", 13 ottobre 2012). 5) In questo articolo mi baso sull'ottimo libro di Paolo Sensini, Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel vicino e Medio Oriente, Milano, Mimesis, 2013 ([email protected]) e lo integro qua e là, invitando il lettore a studiare attentamente quest'opera, la quale getta una luce abbastanza forte sulle vicende attuali nel medio oriente, che potrebbero portare a un 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele e USA con il wahabismo saudita quale vassallo. 6) Cfr. Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 7) S. Ritter, Obiettivo Iran: perché la Casa Bianca vuole una nuova guerra in Medio Oriente, Roma, Fazi, 2007. 8) G. Chiesa, Zero2. Le pistole fumanti che dimostrano che la versione ufficiale sull'11/9 è un falso, Milano, Piemme, 2011; M. Blondet, 11 settembre 2001: colpo di Stato in USA, Milano-Viterbo, Effedieffe, 2002. 9) Si calcolano circa 4 milioni e mezzo di morti afghani nella guerra mossa dagli USA all'Afghanistan il 7 ottobre 2011. Cfr. G. Polya, 4, 5 Millions Dead in Afghan Genocide, in "Afghan Holocaust", 2 gennaio 2010. 10) Si contano circa 3 milioni e mezzo di morti iracheni nell'invasioni americane dell'Iraq del 17 gennaio 1991 e 20 marzo 2003. Cfr. S. Ross, Us-Uk Genocide Against Iraq 1990-2012 Killed 3, 3 Millions, in "Uruknet.info", 4 dicembre 2012. 11) P. Sensini, Libia 2011, Milano, Jaca Book, 2011. 12) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, Francoforte sul Meno, Zambon, 2007. 13) Quest'articolo è stato tradotto in inglese da Israel Shahak con il titolo The Zionist Plan for the Middle East, Belmont, Association of Arab-American UniversityGraduates, 1982. 14) Ibidem, p. 78. 15) P. Sella, Prima d'Israele, Milano, Edizioni Uomo Libero, 2006. 16) E. Goldstein, Gli accordi di pace dopo la Grande guerra, Bologna, Il Mulino, 2005; Z. Brzezinski, La
Grande Scacchiera, Milano, Longanesi, 1998. 17) J. Hamilton, Il Dio in armi. La Gran Bretagna e la nascita dello Stato d'Israele, Milano, Corbaccio, 2006. 18) S. Thion, Sul terrorismo israeliano, Genova, Graphos, 2004; E. Nolte, Il terzo radicalismo, islam e occidente nel XXI secolo, Roma, Liberal Edizioni, 2012; M. Mlecin, Perché Stalin creò Israele, Roma, Teti, 2010; A. Mariantoni, Gli occhi bendati sul Golfo, Milano, Jaca Book, 1991; C. Nitoglia, Sionismo e Fondamentalismo, Napoli, Controcorrente, 2000. 19) M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Milano, Bompiani, 2006; F. Mini, Mediterraneo in guerra, Torino, Einaudi, 2012. 20) Si pensi a Saddam Hussein, Yasser Arafat, Muhammad Gheddafi, Ben Alì ed in parte Hosni Mubarak. 21) Durante la guerra alla Siria il giornalista John Pilger ha rispolverato questo documento nel quotidiano francese "Le GrandSoir", 9 settembre 2012, in un articolo intitolato La manièrelibérale de diriger le monde. 22) Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 23) G. Corm, Il mondo arabo in conflitto, Milano, Jaca Book, 2005; M. Mamdani, Musulmani buoni e cattivi, La guerra fredda e le origini del terrorismo, Bari, Laterza, 2005. 24) G. Corm, Il Vicino Oriente. Un montaggio irrisolvibile, Milano, Jaca Book, 2004. 25) Cfr. S. K. Samir, Cento domande sull'islam, Genova, Marietti, 2002. 26) La Salafiyyah è un movimento moderno islamico nato nella metà dell'Ottocento, come il wahabismo, che si rifà agli "antenati" in arabo "salaf". Il capo dell'ideologia salafita è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah, essa ha avuto l'appoggio della Gran Bretagna e pian piano ha radicalizzato, specialmente nel Novecento, in maniera farisaica e calvinista la sua ideologia (che inizialmente era modernizzante) sotto l'influsso della setta wahabita dei Saud. L'erede principale di queste due scuole di pensiero sono i Fratelli Musulmani nati nel 1928 sotto la direzione di Hasan al-Banna. Oggi i 'Fratelli Musulmani' sono il braccio politico e armato del movimento wahabita e salafita (cfr. M. Campanini, Islam e politica, Bologna, Il Mulino, 2003). I salafiti sono stati resi giuridicamente pubblici ed ufficiali a partire dalla fondazione del Regno dell'Arabia Saudita nel 1924-1932, mentre teologicamente sono diffusi anche al di fuori della Penisola arabica (cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Quando nel 1924 ʿAbd Al-ʿAzīzIbnSaʿŪd prese il potere in Arabia, e lo consolidò nel 1932, il nuovo Stato adottò il wahabismo come dottrina ufficiale e trasse la sua legittimità dal possesso di due fra i tre grandi luoghi santi dell'Islam, la Mecca e Medina. Ma la sua influenza non sarebbe stata così importante se il suo territorio non avesse custodito, insieme alla Mecca e alla Medina, una straordinaria ricchezza petrolifera. È questa la ragione per cui il Regno della Famiglia Saud, costituzionalmente legittimato dal wahabismo nella sua missione spirituale tipicamente "farisaica" negli affari interni e prodigiosamente arricchito dal petrolio, giuoca un ruolo molto importante nella politica Medio Orientale, alleato - laicisticamente - e modernisticamente, con gli USA negli affari esteri. I wahabiti sauditi sono religiosamente moralisti/ipocriti e politicamente sono alleati degli USA, come i farisei dei tempi di Gesù erano alleati di Roma. Questa mentalità farisaica all'interno e libertaria all'esterno propria del wahabismo lo accomuna all'americanismo e al teoconservatorismo, che si sono costituiti su tre principali realtà: il giudaismo post-biblico, il calvinismo supercapitalistico ed il massonismo imperialistico mondialista. La monarchia saudita si è sempre sentita legittimata a proporre un regime di tipo tradizionale, teocratico e fondamentalista quanto ad assetti politici interni e a costumi (rigida separazione dei sessi). Tuttavia la Famiglia reale saudita, in politica estera, ha
mantenuto un costante orientamento filo-occidentale. Per questo è tacciata di rigorismo morale 'farisaico' interno e di doppiezza politica 'machiavellica'esterna: si rigetta all'interno del Paese farisaicamente ogni costume non-musulmano, ma si è alleati in politica estera con l'occidente americanista teoconservatore, il quale è il maggior esportatore dei costumi corrotti, che il wahabismo dice di voler combattere all'interno, mentre in realtà si serve e vive di essi, anche economicamente e militarmente, in politica estera. L'influenza del wahabismo è molto forte sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici, che si propongono di disegnare nuovi equilibri geo-strategici planetari in funzione dell'eccellenza del modello islamico nel medio oriente, ma con l'aiuto degli USA. Ecco come si spiega il ruolo svolto dall'Arabia Saudita nell'invasione - sotto l'egida di USA, Israele ed Ue -della Tunisia, Libia, Egitto e Siria. Inoltre il pensiero wahabita riesce ad affrontare positivamente lo spinoso problema del rapporto fra modernità occidentale ossia americanista e islam: rifiuto puramente teorico ed 'in casa propria', ma cooperazione pratica e reale nella 'politica estera'. Il salafismo jihadista qaidista, di carattere rivoluzionario, propugna la guerra santa armata e non ascetica-personale. La Siria è il "banco di prova" a partire dal quale il futuro prossimo del globo può prendere una direzione oppure un'altra. Infatti in Siria si fronteggiano gli USA ed Israele, che si servono come di bassa manovalanza dei salafiti e wahabiti qaidistitrans- nazionalisti o mondialisti - da una parte - contro l'Iran, la Russia di Putin e la Cina dall'altra, che si ritrovano a fianco di un Regime autoritario locale nazionalista e baathista. 27) A. Vanzan, Gli sciiti, Bologna, Il Mulino, 2008. 28) Cfr. C. Nitoglia, Per padre il diavolo. Introduzione al problema ebraico, Milano Cusanino, Edizioni Barbarossa, 2002, cap. XXIV, "Il sionismo, un magnifico sogno o un terribile scacco?", pp. 313-346. 29) Cfr. T. Bonazzi, Il sacro esperimento. Teologia e politica nell'America puritana, Bologna, Il Mulino, 1970; T. Iurlano, Sion in America, Firenze, Le Lettere, 2004; A. Hertzeberg, Gli ebrei in America, Milano, Bompiani, 1993; S. Bercovitch, America puritana, Roma, Editori Riuniti, 1992; G. Giussani, Teologia protestante americana, Genova-Milano, Marietti-1820, 2003 . 30) P. Sensini, Divide et impera, Milano, Mimesis, 2013, p. 30. 31) Cfr. F. Imposimato, Terrorismo internazionale, Roma, Koinè, 2002; P. Di Pasquale, Hezbollah, Roma, Koinè, 2003. 32) Cfr. Mohamed Omar, I sunniti sono oppressi in Arabia Saudita, non in Siria, in "Eurasia", 13 agosto 2012. 33) M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 34) Cfr. W. Madsen, The Donme, in "Strategic Culture Foundation", 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010. 35) Cfr. L. Binder, Islamic Liberalism, Chicago, University of Chicago Press, 1988. 36) Cfr. F. Bugart, L'Islamisme en face, Parigi, La Découverte, 2007. 37) Cfr. P. Ménoret, Sull'orlo del vulcano. Il caso Arabia Saudita, Milano, Feltrinelli, 2004. 38) Cfr. M. Blondet, Osama bin Laden, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2003. 39) A. G. Marshall, The Imperial Anatomy of al-Qaida, in "Global Research", 5 settembre 2010. 40) Cfr. BatharKimyongur, Le terrorisme anti-syrien et sesconnexionsinternationales, in «Internationalnews», 16 aprile 2012; Id., Syriana, la conquete continue, Bruxelles, CoulerLivres et Investig'action, 2011. 41) Cfr. B. E. SelwanKhoury, Bilad al-Sam, ritorno al Califfato, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 125. 42) Cfr. Tariq Ramadan, Il riformismo islamico, Troina, Città aperta, 2004. 43) Negli anni Ottanta durante il conflitto dell'URSS contro i talebani qa 'idisti Hollywood rappresentava i mujahidin come eroi, combattenti per la libertà. In realtà essi hanno rappresentato allora le "brigate islamiche" della CIA, che li ha addestrati anche in America assieme al loro capo Osama bin Laden mentre a partire dall'11 settembre (le 'Due Torri
Gemelle') e dal 7 ottobre 2001 (invasione americana dell'Afghanistan) sono diventati il male assoluto e poi con le primavere arabe nel 2011 son tornati ad essere i patrioti della democrazia. In realtà i talebani sono stati sempre controllati dalla famiglia Sudary, che rappresenta il clan più filoamericano e filoisraeliano della famiglia reale saudita Saud; cfr. R. Baer, La disfatta della CIA, Casale Monferrato, Piemme, 2003; F. Heisbourg, Dopo al Qaida. La nuova generazione del terrorismo, Roma, Armando, 2013; W. G. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, Bologna, Arianna, 2007; S. Zunes, La scatola esplosiva. La politica americana in Medio Oriente e le radici del terrorismo, Milano, Jaca Book, 2003. 44) Cfr. E. Sivan, Radical Islam, New Haven & London, Yale University Press, 1991; M. Campanini, L'alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, Milano, Bruno Mondadori, 2012; AA. VV., Islam e occidente. Il caso del fondamentalismo islamico, Macerata, Liberilibri, 2005. 45) Cfr. B. Etienne, L'islamisme radical, Parigi, Hachette, 1987. 46) Il Qatar è uno Stato dell'Asia, retto da una monarchia assoluta ereditaria, proteso sulla costa occidentale del golfo Persico, confinante ad oriente con l'Arabia Saudita e a sud con gli Emirati arabi. Il suo territorio consiste in una striscia di 160 km di lunghezza e di 50/80 di larghezza. La sua popolazione (circa 600 mila persone) si è quintuplicata negli anni Settanta con la scoperta del petrolio nel suo sottosuolo e per i 4/5 è costituita da immigrati dal Pakistan e dell'India. In esso vi sono enormi disuguaglianze sociali. La religione di Stato è il wahabismo. Il Qatar si è costituito in sceiccato nel settecento e sino al 1914 ha fatto parte dell'impero ottomano, poi è divenuto uno sceiccato sotto il protettorato britannico ed infine nel 1971 ha ottenuto l'indipendenza e si è legato strettamente all'Arabia Saudita. La sua capitale è Doha. Assieme all'Oman e allo Yemen subisce attualmente una certa influenza dell'Arabia Saudita e notevoli infiltrazioni di qaidisti. 47) Il termine "Nuovo Medio Oriente" è stato coniato da Condoleezza Rice, l'ex segretario di Stato americano dell'amministrazione Bush, nel giugno del 2006 a Tel Aviv in contrapposizione e sostituzione al vecchio concetto di "Grande Medio Oriente"; cfr. A. Macchi, Rivoluzioni SpA. Chi c'è dietro la Primavera Araba, Lecco, Alpine Studio, 2012. 48) Due anni dopo e un giorno prima, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 40. 49) Cfr. M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 50) W. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, cit., p. 529. 51) M. Eliade (a cura di), Enciclopedia delle religioni: L'islam, Milano, Jaca Book, 2004; G. Filoramo (diretta da), La storia delle religioni: l'Islam, Bari, Laterza, 2005. 52) M. Buber, Judaisme, Parigi, Verdier, 1982, p 31. 53) E. Lévinas, Difficile liberté, Parigi, Albin Michel, 1995, 3a ed., p. 326. 54) P. Lévy, World philosophie, Odile Jacob, 2000, p. 12. 55) A. Memmi, La Libération duJuif. Portrait d'un Juif, vol. II, Parigi, Gallimard, 1966, p. 127. 56) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, cit., p. 42. 57) Sulla dottrina di B. Lewis vedi Edward W. Said, Covering Islam. Come i media e gli esperti determinano la nostra visione del resto del mondo, Massa, Transeuropa, 2012. 58) G. Borgognone, La destra americana: dall'isolazionismo ai neocon, Bari, Laterza, 2004; C. Nitoglia, Dal giudaismo rabbinico al giudeo americanismo, Genova, Effepì, 2008; J. Mearshemeir - S. M. Walt, La Israel lobby e la politica estera americana, Milano, Mondadori, 2007. 59) Cfr. A. Frament, Connaissanceélémentairedu Trotskisme, Parigi, AFS, 2001. 60) Secondo uno dei massimi esponenti del neoconservatorismo americano, MaxBoot "appoggiare Israele è un principio cardine del neoconservatorismo" (What the Heckis a neocon?, in "The Wall Street Journal", 30 dicembre 2002). 61) Innanzitutto occorre sapere che Milton Friedman è stato il fondatore della Mont Pelerin Society, che è una "lobby" molto potente composta da economisti, filosofi ed uomini
politici molto influenti, riuniti in un "club", o meglio una 'Super-Loggia', per influenzare la politica interna ed estera degli USA e Gb, promuovere un mercato ed una finanza "assolutamente liberi" da ogni ingerenza dello Stato e dell'etica. La suddetta Society è nata in Svizzera, presso le terme di Mont Pelerin, da cui ha preso il nome, il 10 aprile del 1947 da 36 grandi-fratelli fondatori. La Mont Pelerin Society ha sempre cercato di passare agli occhi dell'opinione pubblica come un'innocua accademia di studiosi e non un think-tank ("serbatoio di cervelli pensanti" capaci di cambiare il mondo) politico/finanziario di tendenza anti cattolico-romana, fortemente democraticista, liberale, liberista e libertaria, quale realmente è. Uno dei suoi obiettivi è la creazione di un "Ordine Internazionale o Mondiale", che salvaguardi la Libertà (intesa come un assoluto ed un fine e non come un mezzo per raggiungere il Fine ultimo), la Pace (americana) e le Relazioni Economiche Internazionali, ossia il potere dell'alta finanza mondiale, delle Banche, deibankster e la globalizzazione mondialista anglo/americana. Tra i suoi membri, oltre a Milton Friedman, figurano anche Friedrich August von Hayek, Ludwig von Mises, Karl Popper, Walter Lippman, e per l'Italia Luigi Einaudi, Sergio Ricossa, Antonio Martino, Bruno Leoni. Tra i 76 consiglieri economici del Presidente statunitense Ronald Reagan ben 22 erano della Mont Pelerin Society. Dalla Mont Pelerin Society è nato il pensiero neocon, che ha influenzato la politica estera e la finanza americana dagli anni Ottanta sino all'Amministrazione Bush jr (2008) e continua in maniera strisciante ancor oggi ad influenzare il Presidente statunitense Barac Obama, con le relative guerre geopolitiche di esportazione della democrazia contro l'Iraq e il default o fallimento della finanza mondiale grazie ai mutui ad alto rischio, concessi da Alan Greenspan Presidente della Federal Reserve (Banca Centrale) americana, che non potevano essere pagati dai "beneficiari", i quali perdevano i risparmi e la casa. Questo default o fallimento è arrivato sino all'Europa, che ne è stata infettata e si trova in una crisi finanziaria mai vista prima, neppure nel 1929. Friedman ha influenzato a partire dagli anni Ottanta sino ad oggi (a sette anni dalla sua scomparsa), potentemente e trasversalmente, la politica (sia democratica che repubblicana) del Presidente statunitense Ronald Reagan, poi di Bill Clinton, di Bush padre e figlio e persino di Barac Obama nell'attuale congiuntura siriana; inoltre ha influenzato anche la politica europea dei Primi Ministri britannici Margaret Thatcher, Tony Blair e David Cameron rifacendosi al pensiero filosofico di Edmund Burke, Karl Raimund Popper, Russel Kirk ed anche la pratica finanziaria della "Banca Centrale Americana", alla luce del pensiero degli economisti della "Scuola di Vienna" Von Mises e Von Hayeck. Infatti da questi ultimi assieme a Friedman sono nati i Chicago boy's e i dirigenti neoconservatori dell'Amministrazione Bush (Paul Wolfowitz, Richard Perle, David Roomsfeld, Dick Cheney, eccetera), che analogamente alla "Scuola di Francoforte" (1922-1979) di Adorno & Marcuse son riusciti ad unire (da una posizione di "destra" liberal-conservatrice) il marxismo di Trotskij e il liberismo "mini-archista" (che vuole concedere il minimo spazio al potere dello Stato) se non francamente anarchico/conservatore. Adorno & Marcuse, invece, avevano sposato (da una posizione di "sinistra" anarchico-rivoluzionaria) il Trozkismo con la psicanalisi freudiana. Si può dire, perciò, che mentre Adorno & Marcuse univano sinistra e libertarismo per la conquista psicologica delle menti di tutti gli uomini (la "Rivoluzione intellettuale" del 1968), i neoconservatori sposano il libertarismo liberal-democratico con la "destra" conservatrice angloamericana per la conquista militare e geopolitica del globo (il "Nuovo Ordine Mondiale" dal 2001 al 2013). In realtà il neoconservatorismo, ispirato da Friedman, ha spinto gli USA (come braccio armato a favore d'Israele) in una guerra totale contro
l'Iraq, l'Afghanistan, il Pakistan dalla quale sta uscendo con le ossa rotte, come pure Israele ha subìto una umiliante "vittoria di Pirro" in Libano nel 2006 nonostante che avesse sganciato "oltre 1 milione di bombe a grappolo"(61) ed a Gaza nel 2008-2009 abbia gettato "bombe al fosforo bianco" nella famigerata "operazione piombo fuso". Sembrerebbe che questi ultimi avvenimenti (assieme alle "Rivoluzioni primaverili" in Tunisia, Libia, Egitto e all'imminente guerra contro la Siria nella quale il pensiero di Friedman si fa ancora sentire anche nell'Amministrazione democratica di Barac Obama) potrebbero segnare l'inizio della fine della supremazia israelo/americana, la quale nell'agosto del 2013 si straccia le vesti (come Anna e Caifa nel 33) per l'uso dei gas tossici in Siria (pur non sapendo con certezza da parte di chi), mentre i caporioni di essa hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, le bombe al fosforo su Dresda, le bombe all'uranio impoverito sul Kosovo, le bombe a grappolo in Libano ed al fosforo bianco su Gaza. La crisi economico/finanziaria, che ha portato nel 2011/2013 gli USA e l'Europa sull'orlo del fallimento è iniziata nel 2005/2008, con "la più grande frode finanziaria della storia mondiale" operata dall'operatore di Borsa Bernard Lawrence Madoff e portata avanti dal Presidente della 'Federal Reserve' o 'Banca Centrale' degli USA Alan Greenspan, che -ispirato dalle teorie finanziarie di Friedman- ha iniziato con un grandioso boom economico per finire con un miserabile crack, facendo "arricchire" gli americani incitandoli a 'spendere e spandere', pur non avendo denaro sufficiente, senza paura di pignoramento, comprando e vendendo case, mediante mutui senza garanzie e coperture, che -si badi bene- non avrebbero potuto essere pagati ed avrebbero condotto infine alla miseria l'incauto compratore il quale si era accollato mutui ipotecari ad alto rischio (subprime), scientificamente studiati ed immessi - a mo' di liberismo selvaggio - sul mercato da Greenspan, le cui prodezze stiamo ancora pagando e non si sa se riusciremo ad estinguere il prestito ipotecario o a finire ipotecati ed espropriati. Il crack della "Monte Paschi di Siena" in Italia nel 2013 è una delle conseguenze collaterali dell'imbroglio iniziato nel 2005 da Greenspan. L'economia mondiale è sembrata avanzare sino al 2008, mentre era già malata da almeno tre anni ed è entrata in crisi nel 2009 per arrivare al quasi fallimento o al crack (o default, come lo si chiama adesso in maniera più soft) nel 2012. I lavoratori americani, i quali non erano in grado, come previsto, di rendere il denaro, che in realtà non avevano mai posseduto, a causa dell'aumento del petrolio e dei tassi d'interesse non son riusciti più a pagare i mutui. Quindi in brevissimo tempo milioni di case son rientrate in possesso delle banche dalle quali erano uscite solo apparentemente ("sopra la banca la casa campa, sotto la banca la casa crepa!"). Di conseguenza i poveri degli USA si son ritrovati più poveri di prima. Questo è il risultato della teoria usuraia legalizzata, e promossa con il massonico 'Premio Nobel', di Milton Friedman e fratelli. Si può concludere che come Wolfowitz ha rovinato l'esercito americano trascinandolo in guerra contro l'Iraq nel 2003, così Greenspan, ispirato da Friedman, ha disastrato la finanza degli americani trascinandoli nella bancarotta dei mutui ad alto rischio. 62) Si noti che ora in Europa a Bruxelles oltre il parlamento europeo vi è anche quello israeliano; v. First Ever European Jewish Parliament inaugurated in Brusels, in "EJU News", 16 febbraio 2012. 63) Cfr. A. Joxe, L'impero del caos. Guerra e pace nel nuovo disordine mondiale, Milano, Sansoni, 2002. Condividi
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BATTAGLIA DI SINGAPORE
«Tutto quello che voglio sapere è se l'Esercito britannico intende arrendersi; risponda: SI o NO?»
Il generale Yamashita, 15 febbraio 1942
Nel 1941, il Giappone decise di attaccare gli inglesi a Singapore.
La piazzaforte di Singapore contava 80.000 soldati e poderose fortificazioni sul lato del mare, ma era praticamente sguarnita sul lato che la collegava alla terraferma attraverso la giungla.
Gli inglesi riteneva impossibile un attacco da quel lato ma i giapponesi, svilupparono, in soli 3 mesi, un equipaggiamento e una strategie per riuscire nell'impresa.
Con sole 9.000 perdite, i giapponesi conquistarono una piazzaforte strategica e imponente, inflissero altrettante perdite agli inglesi e fecero 130.000 prigionieri.
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I bollettini di guerra del 6 febbraio 1941-42-43
I bollettini di guerra del 6 febbraio 1941-42-43
Il Bollettino del Quartier Generale delle Forze armate venne diramato in Italia a partire dall’ 11 giugno 1940, giorno in cui venne emesso il n° 1, fino al tragico 8 settembre 1943, per un totale di 1.201 comunicati. Esso, come venne indicato nelle disposizioni ufficiali, a partire dal 15 giugno 1940, sarà diramato alle ore 13 e conterrà tutto quanto concernente lo svolgimento delle operazioni…
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. Xª FLOTTIGLIA MAS 29 settembre del 1943 il Battaglione, chiamato "Valanga", come la gloriosa 9° Compagnia del cap. Morelli, che già aveva indossato il cappello con la piuma essendo un reparto alpino a tutti gli effetti, era inquadrato su comando di battaglione e tre compagnie. Successivamente venne aggregata una 4° compagnia, chiamata "Sereneissima", proveniente dal Battaglione N.P. e quindi reparto di Marina. Nell'aprile del 1944 entrò a far parte della Decima MAS assumendo il nome di "Luca Tarigo", una unità della classe "esploratori" affondata nel Mediterraneo nel 1941, come tradizione per i reparti della X MAS e cambiando il copricapo dal cappello alpino al basco con il giro di bitta della Marina. Queste varianti durarono però pochissimo e, probabilmente, non furono mai adottate dalla maggioranza dei Guastatori. Un'episodio accelerò infatti l'abolizione di queste varianti: una compagnia al comando del Cap. Satta venne inviata ad espugnare il rifugio alpino "Gastaldi", situato a 3200 metri d'altezza sul ghiacciao della Ciamarella in Piemonte, nel quale erano asseragliati 200 partigiani. Sebbene questi fossero molti di più dei Guastatori, meglio armati ed in una posizione più favorevole, i Guastatori alpini ebbero velocemente la meglio. Borghese si volle complimentare con Morelli e, giunto al reparto, lo trovò schierato senza alcun copricapo. Meravigliato chiese conto a Morelli di questo fatto e, il Comandante del Valanga, falsamente sorpreso (aveva organizzato tutto), disse ai Guastatori di andarsi a mettere il cappello. Tutti tornarono con il cappello alpino! Borghese capì ed in perfetto dialetto romano disse: "Va bè, Morelli ho capito, fai come ti pare!" E così il Valanga rimase Valanga e portò il cappello alpino! Solo la compagnia "Serenissima" continuò ad indossare il basco che già portava. Durante il periodo della R.S.I. il reparto operò dal fronte occidentale a quello orientale, soprattutto contro le infiltrazioni degli slavi del IX e X Corpus titino. E' anche grazie al "Valanga" che a Selva di Tarnova vennero salvati i 150 Bersaglieri del "Fulmine" sopravvissuti a tre giorni di combattimenti. Questi accerchiati da oltre 2500 slavi, furono liberati dai Guastatori che riuscirono ad avere la meglio sebbene in netta inferiorità numerica. Verso la fine del 1944 il "Valanga" raggiunse Jesolo dove si acquartierò nella colonia estiva "Dux", in riva al mare. Venne subito iniziato l'addestramento nella vicina Asiago al termine del quale fu conseguito il brevetto di specialità da tutti gli effettivi. A Jesolo i guastatori provvidero al minamento della spiaggai ed ebbero la responsabilità della difesa costiera. Alla fine di luglio il comando della divisione "Decima" decise di scardinare lo schieramento partigiano nelle Alte Valli piemontesi e il battaglione fu trasferito ad Ivrea da dove iniziò la marcia di avvicinamento che portò, tra le altre azioni, alla presa del rifugio Gastaldi. Nella prima decade di ottobre il battaglione lasciò il Piemonte e si trasferì a Vittorio Veneto, accantonandosi nelle scuole "Francesco Crispi". Quando in dicembre la divisione iniziò le operazioni contro il IX Corpus jugoslavo, al battaglione "Valanga" venne assegnato il compito di fermare il nemico nel settore settentrionale dello schieramento. Dopo un violento scontro a fuoco il battaglione, guidato dal Cap. Morelli, occupò stabilmente Tramonti di Sotto dove vennero rinvenute ingenti quantità di materiali, importanti documenti e catturati numerosi prigionieri, tra cui un maggiore britannico in uniforme. Sulla base dei documenti rinvenuti si decise di annientare il comando partigiano situato in una baita di Palcoda e il compito venne affidato a un plotone mitraglieri della 3° compagnia e a venti uomini della 2° compagnia "Uragano", della quale facevano parte i sergenti Grillo e Janiello. L'attacco si concluse con la cattura di circa cinquanta partigiani che vennero interrogati singolarmente il giorno dopo per giungere alle precise responsabilità dei singoli sulle efferate uccisioni avvenute nella zona. I colpevoli, in numero di dieci, vennero fucilati sul posto mentre gli altri furono avviati al comando della "Decima". Debellato il comando del X Corpus e liberata la val Meduna il battaglione "Valanga" rientrò a Vittorio Veneto per celebrare il Natale del 1944 ma il 26 dicembre vennero uccisi due guastatori in un agguato teso in città da alcuni guerriglieri della banda "Castelli". Dopo l'assassinio dei due guastatori, il battaglione riprese le azioni contro la banda "Castelli" nell'intento di catturarne il capo. Durante una di queste azioni cadde eroicamente il Sergente Maggiore Renato Grillo, il proprietario del distintivo. Il sottufficiale, indossato sull'uniforme un impermeabile inglese di quelli in uso presso le bande, si era introdotto da solo in una casa dove aveva luogo una riunione di partigiani, intimando loro la resa. Ma una raffica, sparatagli alle spalle lo uccise prima che tutta la pattuglia potesse intervenire. In questa occasione il suo amico e commilitone Janiello deve aver recuperato il distintivo che poi ha donato a Paolo Caccia Dominioni dopo la fine della guerra. Dopo la battaglia della Selva di Tarnova, le due compagnie rimaste a vittorio Veneto riuscirono a debellare la banda "Castelli", catturandone il capo. Il Castelli, che risultò responsabile anche del tragico agguato del 26 dicembre, venne fucilato. Nella prima decade di marzo il "Valanga si trasferì a Bassano del Grappa; in aprile riprese l'addestramento sulle falde del Monte Grappa. Il giorno 26 aprile rientrò dal campo ed al suo passaggio per le vie di Bassano la popolazione si radunò applaudendo i guastatori. Il giorno dopo giunse al battaglione l'ordine di abbandonare Bassano e raggiungere Thiene. Alle 19 il "Valanga" si mosse verso Thiene ma restò bloccato a Marostica perchè le colonne germaniche in ripiegamento occupavano la strada. Il 28 aprile il CLN di Marostica iniziò le trattative con il Capiano Morelli e venne convenuto che il battaglione avrebbe raggiunto nuovamente Bassano per sciogliersi: gli uomini sarebbero stati muniti di un lasciapassare e messi in libertà. Il 30 aprile il battaglione "Valanga" venne dichiarato disciolto. Agli ufficiali vennero lasciate le armi e a tutti i guastatori venne distribuito il brevetto in bronzo della specialità. La 2° compagnia che non si era ancora arresa raggiunse Trento, con un convoglio di Brigate Nere e, dopo accordi presi con il Vescovado si presentò ai carabinieri che, ricevute le armi, lasciarono liberi gli uomini. Era il 2 maggio 1945. A Morelli, che era stato decorato con due argenti al V.M. uno preso nel giugno 1940, in Francia (fu una delle prime decorazioni conferite) ed uno il 17 gennaio 1943 a Rossosch, furono revocate entrambe le medaglie insieme al grado, perché condannato, grazie ad una falsa testimonianza, per il periodo quando aveva comandato il Valanga. Non potendolo giudicare per un fucilazione di partigiani, eseguita secondo le regole del Diritto Penale Militare, si inventarono che aveva fatto la borsa nera! Benché ci fosse statal'amnistia, si rifiutò, sempre, di richiederla. Ma ebbe la sua rivincita. Senza aiuti, dimenticato dall'Esercito, degradato a geniere (soldato semplice), divenne uno dei più famosi direttori di produzione del cinema. Tra l'altro fu il direttore di produzione del film "La dolce vita". ( Notizie storiche tratte dal volume "Gli Ultimi in Grigioverde" di Giorgio Pisanò, dall'articolo di Sergio Coccia pubblicato sul numero 22 della Rivista "Uniformi & Armi" del febbraio 1991, dagli articoli pubblicati sui numeri 85 e 106 della stessa rivista e sul numero 16 del mensile "Militaria" del dicembre 1994 )
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“Senza Stalin, eravamo tutti nazisti, questa è la realtà. Non come quella mascalzonata di Benigni in “La vita è bella”, quando alla fine fa entrare un carro armato con la bandiera americana. Quel campo, quel pezzo d’Europa la liberarono i russi, ma… l’Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà”
Mario Monicelli
Il 2 febbraio ricorre l’anniversario della gloriosa vittoria di Stalingrado che arresta l’avanzata nazista e segna la riscossa dell’Armata Rossa, delle masse popolari sovietiche e di tutto il mondo.
Il nome Grande Guerra Patriottica è indicativo della strategia adottata dal PCUS per far fronte all’aggressione nazista: unire in uno sforzo congiunto tutte le masse popolari sovietiche, mobilitandole per rispondere alla minaccia nazista che incombeva. La Grande Guerra Patriottica, in quella fase, fu il principale processo pratico attraverso cui le masse popolari dell’Unione Sovietica proseguirono la loro trasformazione in classe dirigente e rafforzarono il legame con il Partito Comunista. Facendo della lotta contro i nazisti un elemento di avanzamento nella costruzione del socialismo il PCUS guidò il popolo sovietico nell’impresa di spezzare l’assedio di Stalingrado. Fu per questa via che lo guidò a trasformare il momento di maggior pericolo per la sopravvivenza del paese guida del movimento rivoluzionario internazionale, e il più buio per le masse popolari di tutto il mondo che a esso guardavano come al sole dell’avvenire – il periodo di maggior espansione del fascismo su scala internazionale – nel suo opposto, nel primo passo di una marcia che si fermerà solo a Berlino con la sconfitta del nazismo e con la bandiera rossa che sventola sopra il Reichstag.
L’“operazione Barbarossa”. L’attacco nazista all’Unione Sovietica (la cosiddetta operazione Barbarossa) era iniziato nel giugno del 1941 e aveva travolto un’Armata Rossa ancora in fase di addestramento, riammodernamento ed elaborazione di una strategia difensiva, impreparata a reggere l’urto dell’esercito della coalizione fascista (insieme ai tedeschi vi erano i reparti rumeni, italiani, ungheresi, finlandesi, slovacchi e di volontari francesi e spagnoli), considerato fino ad allora imbattibile, forte di circa 3 milioni e mezzo di uomini, migliaia di carri, aerei e pezzi d’artiglieria. Il primo anno di guerra si risolse in una rapida avanzata dei tedeschi, che sfruttarono la difficoltà a difendere un fronte così vasto come quello russo, e una serie di sconfitte e ritirate dell’Armata Rossa che subì ingenti perdite e fu costretta a cedere vasti territori, mentre le industrie pesanti venivano smontate, caricate su convogli ferroviari e rimontate lontano dal fronte.
“Essi non avevano alcun interesse a “bruciare” alcunché, ma avevano invece interesse a salvare i beni per se stessi e a portarli via al nemico. In ogni stabilimento industriale, appena il nemico si avvicinava, gli operai si organizzavano in gruppi per smontare il macchinario, ungerlo, imballarlo e spedirlo a est. Gli operai andavano a est con i loro macchinari e rimettevano in piedi gli stabilimenti nelle zone loro assegnate in Siberia o negli Urali.
Quando la città di Karkhov venne occupata dai tedeschi, la fabbrica di trattori Karkhov fu orgogliosa per il fatto di non avere mai smesso, neppure per un giorno, di fabbricare carri armati contro Hitler. La maggior parte degli operai si trasferì a est con il macchinario, ma un certo numero di operai rimase a Karkhov per mettere insieme le parti già costruite, e guidare gli ultimi carri armati contro il nemico. Prima che la produzione venisse fermata a Karkhov, la fabbrica stava di nuovo producendo nell’est”.
Da L’era di Stalin di A. L. Strong – Pagg 138 – 10 euro.
Ordinalo con un versamento sul CC Postale n. 60973856 intestato a M. Maj
via Tanaro 7 – 20128 Milano info: [email protected] / 02.26.30.64.54
Nel frattempo la Wehrmacht (le forze armate tedesche) applicava nei territori conquistati e verso i prigionieri di guerra una spietata politica da guerra di sterminio: consegna immediata alle SS dei commissari politici, dei partigiani e degli ebrei catturati, privazione dei civili di qualsiasi diritto di appello e impunità di fatto dei soldati tedeschi da qualsiasi pena per i crimini commessi contro di loro, compresi omicidi, stupri, violenze e saccheggi. L’avanzata era stata bloccata solo alle porte di Mosca, sfruttando le difficoltà dei tedeschi nell’affrontare il rigido inverno russo, mentre a nord resisteva Leningrado e a sud, cadute l’Ucraina e la Crimea, i tedeschi puntavano al Caucaso con i suoi pozzi di petrolio.
Non più un passo indietro! Proprio da qui, nella primavera del ‘42, Hitler riprese le operazioni militari con il lancio della cosiddetta “operazione Blu”, per conquistare i bacini del Don e del Volga e distruggere le importanti industrie di Stalingrado, principale centro produttivo e snodo di comunicazione nell’area. Quando a luglio i tedeschi entrarono in collisione con l’Armata Rossa nella grande ansa del Don che ospita Stalingrado, il comando generale sovietico aveva deciso per la resistenza a oltranza. L’esercito sovietico, numeroso ma male armato, e l’intera popolazione della città erano decisi a tradurre in pratica la direttiva del Commissario del Popolo per la difesa di Stalingrado e proveniente direttamente da Stalin: “…è giunto il momento di cessare la ritirata: non più un passo indietro!”. Il comando nazista lanciò contro la città oltre un milione di soldati e reparti corazzati, mentre si abbattevano incessanti sulla popolazione i bombardamenti dell’artiglieria e dell’aviazione. Nonostante questa brutale offensiva, la Wehrmacht riuscì ad avanzare solo di 60 km in un mese grazie alla resistenza opposta dall’Armata Rossa e dalla popolazione. Il 19 novembre, proprio pochi giorni dopo l’annuncio di Hitler di aver conquistato Stalingrado “salvo due o tre isolotti insignificanti”, la città viene svegliata da un rombo proveniente da nord e da sud: con un attacco a sorpresa che colse impreparato il comando nazista, i reparti meccanizzati dell’Armata Rossa (che nel frattempo aveva ammassato un grande numero di truppe e mezzi, riuscendo nel difficile compito di tenerli nascosti ai tedeschi) chiudevano le armate nemiche con una manovra a tenaglia. Era la fine dell’assedio di Stalingrado (durato più di un anno) e del mito dell’imbattibilità tedesca (tra i 250 e i 280 mila soldati tedeschi vennero accerchiati nella “sacca di Stalingrado”) e l’inizio della riscossa per l’Unione Sovietica e le masse popolari di tutto il mondo. In quei giorni a Stalingrado brillò la fiamma più splendente della guerra: l’eroismo di massa del popolo sovietico, l’eroismo che le aveva insegnato il partito comunista.
In ogni situazione, per quanto sfavorevole, i comunisti possono guidare le masse popolari alla vittoria, se hanno raggiunto un’adeguata comprensione della lotta di classe e applicano le leggi proprie della trasformazione del mondo. Il Partito comunista riuscì a dirigere gli eventi, anziché subirli, grazie a una superiore comprensione delle leggi della lotta di classe e dei suoi sviluppi. La gloriosa resistenza e la vittoria di Stalingrado hanno una premessa. Nel 1939, con il patto Molotov-Ribbentrop, il Partito comunista guidato da Stalin evitò che la guerra iniziasse con un attacco all’Unione Sovietica, su cui sarebbero stati concordi tutti i paesi imperialisti, anche quelli “democratici” (come aveva dimostrato la guerra civile in Spagna). Facendo invece leva sui sentimenti antifascisti delle masse popolari francesi, inglesi e statunitensi, costrinse i governi a farla finita con il doppio gioco per cui pubblicamente condannavano gli stati fascisti e le loro azioni mentre segretamente li appoggiavano e, dopo l’invasione della Polonia, a dichiarare guerra alla Germania nazista. Che la linea seguita dai comunisti sovietici fosse giusta è confermato dall’esito finale della guerra, che vede il rafforzamento dell’URSS e la nascita di un vasto campo socialista, cui dopo pochi anni si sarebbe unita anche la Cina, dove i comunisti avevano sconfitto i fascisti giapponesi.
Le conseguenze della vittoria nel mondo: la riscossa del movimento comunista e la sconfitta del fascismo. La vittoria di Stalingrado rendeva evidente ai partiti comunisti dei paesi caduti sotto il giogo fascista che loro era la responsabilità di guidare le masse popolari nella resistenza. Quella vittoria diede nuova vita e forza al movimento rivoluzionario internazionale, dimostrò che sconfiggere i nazisti era possibile, fu la scintilla che riaccese la fiamma della riscossa nelle masse popolari di tutto il mondo che avevano nell’Unione Sovietica un esempio di coraggio e tenacia da emulare, per porre fine alla guerra e alla barbarie naziste e conquistare un futuro luminoso.
Le conseguenze della vittoria in Italia: gli scioperi del ’43 e la Resistenza. Fu la vittoria di Stalingrado a dare impulso nel nostro paese a quella che, in virtù del ruolo assunto dal PCI nella clandestinità, passando per gli scioperi del marzo ’43, la caduta di Mussolini e l’invasione tedesca, vide migliaia di persone prendere la via delle montagne e della clandestinità dando inizio alla Resistenza, mentre nelle fabbriche la lotta partigiana si diffondeva, riprendeva forza il movimento dei lavoratori e si attuava il sabotaggio della produzione. Mettendosi alla testa della guerra contro i fascisti e i nazisti, il PCI raccolse migliaia di uomini e donne, migliaia di elementi delle classi popolari che all’inizio della Resistenza non erano comunisti ma, mossi inizialmente dall’avversione a un regime di cui avevano sperimentato direttamente la condotta terroristica e antipopolare, lo sarebbero diventati sotto l’impulso della loro esperienza diretta.
Con l’eroismo, il coraggio, la dedizione, il sacrificio, anche, i soldati, gli uomini e le donne che hanno sconfitto le armate naziste a Stalingrado e i nazifascisti in Italia hanno scritto la storia e ci lasciano in eredità un insegnamento: le masse popolari diventano classe dirigente imparando da un processo pratico alla scuola del Partito comunista. Combattendo imparano a combattere, combattendo imparano a vincere.
La guerra di tutto il popolo
Ricevuto da Hitler l’ordine di prendere Stalingrado per il 25 agosto, i tedeschi si rovesciarono sul Volga, incuranti delle perdite. Venne così un giorno tragico per Stalingrado: il 23 agosto 1942. In quel giorno alcune divisioni di fanteria e una divisione carri, a prezzo di enormi perdite, riuscirono a rompere il fronte della 62° armata nel settore Vertiaci-Peskovatka. L’attacco principale era diretto su Stalingrado. Le avanguardie nemiche, appoggiate da cento carri, raggiunsero il Volga nella zona dell’abitato Rynok. Nel corridoio di 8 km così creato, il comando tedesco gettò alcune divisioni di fanteria, motorizzate e corazzate. Si creò una situazione estremamente pericolosa. La minima esitazione, la minima manifestazione di panico sarebbero state fatali. E gli hitleriani contavano proprio su questo. E proprio per provocare confusione e panico, e approfittarne per entrare nella città, il 23 agosto bombardarono selvaggiamente Stalingrado. I fascisti gettarono sulla città un’intera armata di aerei. Mai dall’inizio della guerra si erano avuti bombardamenti di tale intensità. La grande città, estendendosi per 50 km lungo il Volga, divenne un mare di fiamme. Tutto bruciava, tutto crollava. Il dolore e la morte colpirono migliaia di famiglie. Ma la risposta all’attacco nemico non furono il panico e la confusione. All’appello del consiglio di guerra del fronte e delle organizzazioni di partito della città, i difensori di Stalingrado – soldati e cittadini- risposero stringendo le proprie file. L’orgoglio di Stalingrado, l’industria, le famose fabbriche di trattori Barricady e Ottobre Rosso, lo Stalgres divennero i bastioni della difesa. Gli operai forgiarono le armi e, con i soldati, difesero le fabbriche. I canuti veterani della difesa di Tsaritsin, i fonditori, i costruttori dei trattori dell’Ottobre Rosso, i marinai e gli scaricatori del Volga, i ferrovieri e gli operai dei cantieri navali, gli impiegati e le donne di casa, padri e figli, tutti divennero soldati di Stalingrado, si levarono come un sol uomo in difesa della città natale. E presto accorsero in loro aiuto le unità del generale Saraev, dei colonnelli Gorkhov e Andriucenko, del tenente colonnello Bolvinov.
La battaglia assunse un carattere sempre più accanito. Gli hitleriani furono costretti a conquistare ogni metro di terreno a prezzo di enormi perdite. Quanto più le orde tedesco-fasciste si avvicinavano alla città, tanto più duri si facevano i combattimenti, tanto più intrepidamente combattevano i soldati sovietici. Se ci si permette un paragone, in quei giorni la nostra difesa ricordava una molla che, premuta, acquista maggior forza.
Il 23 agosto gli hitleriani raggiunsero i Volga a nord di Stalingrado, ma non riuscirono ad allargare la breccia. Le borgate di Rynok, Spartanovka, Orlovka, in cui era tempestivamente stata organizzata la difesa, divennero barriere insormontabili. Ai combattimenti nella periferia settentrionale della città parteciparono centinaia di migliaia di lavoratori di Stalingrado, che lottarono valorosamente al fianco dei soldati della 62° armata. I fascisti non passarono.
A sud, nel settore della 64° armata, i fascisti, contrattaccati dalle nostre truppe, non riuscirono a raggiungere il Volga.
Il punto più debole della nostra difesa era allora la zona della stazione di Kotublan e dello scalo di Konnyi, sul fianco destro della 62° armata. Se gli invasori avessero attaccato in quel punto, anche con solo due divisioni, lungo la linea ferroviaria verso sud, avrebbero potuto facilmente sboccare sulla stazione di Voroponovo, nelle retrovie della 62° e 64° armata, e tagliarle fuori da Stalingrado. Ma i generali hitleriani evidentemente volevano prendere due piccioni con una fava, cioè prendere d’assalto Stalingrado e circondare tutte le truppe della 62° e 64° armata. La cosa li attraeva tanto che non si accorsero della crescente resistenza opposta dalla 62° e 64° armata, dell’allungamento del fronte e delle vie di comunicazione, elementi che alla fine, anche questa volta, fecero fallire i piani degli strateghi hitleriani. Il calcolo di creare panico e sfiducia nella città con il selvaggio bombardamento che avevano effettuato, si dimostrò errato. La popolazione sostenne anche questa durissima prova.
V. Ciuikov, La battaglia di Stalingrado, Ed. Riuniti
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La nascita dell’Africa Orientale Italiana, fra le tante problematiche imposte dalla creazione e dall’unificazione in una struttura nuova, organica e omogenea delle vecchie colonie e dei nuovi territori acquisiti, rese opportuno anche un’armonizzazione dei sistemi di registrazione degli autoveicoli tanto più che la guerra del 1935-36 aveva causato un incremento eccezionale della motorizzazione: moltissimi automezzi erano stati importati dall’Italia, altri erano stati trasformati localmente e di altri si erano perse le tracce perché distrutti o “cannibalizzati” per fornire pezzi di ricambio e il tutto, di fronte all’urgenza imposta dal conflitto e poi dalla frenetica costruzione delle prime grandi opere, era avvenuto senza nessuna formalità così che il settore doveva essere completamente riordinato.
Prima della guerra italo-etiopica la situazione della motorizzazione nel Corno d’Africa era la seguente:
– In Abissinia circolavano non più di un migliaio di autoveicoli appartenenti a pochi notabili, ai diplomatici e agli stranieri residenti, oltre a un numero molto limitato di autocarri, autobus e taxi. La registrazione era su base locale con targhe in caratteri amarici indicanti i nomi della città o l’impiego cui era destinato il mezzo.
– L’Eritrea aveva raggiunto un buon livello di motorizzazione quantificabile in circa un autoveicolo ogni dieci abitanti italiani, cioè una densità molto superiore a quella madrepatria che sarebbe stata raggiunta solo negli anni ’60, e l’automobile aveva cominciato a diffondersi anche fra gli indigeni più abbienti e i commercianti che, tra l’altro, si erano dimostrati autisti provetti. Le targhe erano identiche a quelle nazionali, ma anziché la sigla provinciale portavano per esteso la dicitura “Eritrea”.
– In Somalia, anche per la carenza di strade, il numero di autoveicoli, al di fuori di Mogadiscio e del complesso industriale del Villaggio Duca degli Abruzzi, restava limitato. Nel 1935 era stato istituito il Pubblico Registro Automobilistico e le targhe portavano la dicitura “Somalia” o la sigla “SO”.
Dopo un primo periodo di completa “anarchia” il 2 febbraio 1937 fu promulgato il Decreto del Vicerè n. 45 che istituì per ogni Governatorato il Pubblico Registro Automobilistico e impose l’adozione di targhe analoghe a quelle italiane, ma caratterizzate da una striscia tricolore che portava sovrimpressa la sigla A O I.
Sulle targhe posteriori tale striscia era applicata sul lato sinistro per tutta la sua lunghezza, mentre su quelle anteriori era i caratteri erano posti superiormente, su di un talloncino in dimensioni ridotte.
Le targhe erano prodotte localmente – da qui una certa differenza della grafica dei singoli caratteri rispetto a quelli standard in uso in Italia – e portavano il cosiddetto “punzone ufficiale” costituito da un disco alluminio con impresso il fascio littorio che ne attestava l’autenticità.
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I tipi previsti dalla normativa erano i seguenti:
Colore
Dimensioni (cm)
Dimensioni della striscia tricolore (cm)
Fondo
Scritte
Autoveicoli (posteriore)
Nero
Bianco
22×36
22×6
Autoveicoli (Anteriore)
“
“
7×30
3×6
Rimorchi
“
“
22×36
22×6
Motocicli
Bianco
Azzurro
16×24
14×4
Le sigle di immatricolazione erano le seguenti:
AA (Addis Abeba)
AM (Amara)
ER (Eritrea)
GS (Galla e Sidama)
HA (Harar)
SO (Somalia)
A seguito della trasformazione del Governatorato di Addis Abeba in Governo dello Scioà (RDL 11 novembre 1938) vennero rilasciate anche targhe con la sigla SC.
La n.1 dell’Eritrea fu rilasciata il 15 marzo ad una Fiat 508 dell’Ufficio Eritreo dell’Economia (Cioè la locale Camera di Commercio), la n.1 della Somalia ad una Lancia Augusta il 30 aprile 1937 e la n.1 di Addis Abeba ad un furgone Fiat 508 della società Olivetti.
Dopo il 1941 gli uffici italiani, pur sotto tutela inglese, continuarono a funzionare e a rilasciare le targhe senza soluzione di continuità nella numerazione, anche se naturalmente queste non portavano più la striscia tricolore che su quelle esistenti venne tagliata, ricoperta da una mano di vernice oppure i tre colori furono sostituiti da quelli etiopici. Scomparve ovviamente anche il punzone ufficiale, facilmente eliminabile perché consisteva in un dischetto di alluminio avvitato.
Sono molto curiose le vicende successive agli anni ‘40: infatti le targhe continuarono ad essere rilasciate senza modificazioni nelle dimensioni e nella grafica rispetto a quelle dell’epoca coloniale.
Quelle etiopiche si limitarono a cambiare le sigle adottando l’alfabeto amarico al posto di quello latino, mentre in Eritrea addirittura sopravvissero immutate durante il periodo di federazione con l’Etiopia e solo nel 1960 cambiarono la sigla ER in AS (Asmara) in amarico.
In Somalia, pur con qualche modifica, continuarono ad essere rilasciate sia durante l’amministrazione fiduciaria italiana che per un trentina d’anni dopo l’indipendenza scomparendo in pratica negli anni ’90 con la disgregazione del paese.
Perfino la numerazione, che era iniziata con il numero 1 nel 1937, era proseguita consequenziale.
I nuovi assetti politici odierni, l’informatizzazione e non ultima, l’imitazione dei sistemi introdotti all’estero, hanno profondamente modificato le targhe attuali somale ed etiopiche. L’Eritrea indipendente adottò invece una targa ispirata a quella precedente agli anni ’60 che non si può negare abbia mantenuto una certa “aria di famiglia” venendo sostituita da un tipo più anonimo solo in tempi recentissimi.
di Guglielmo Evangelista
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Le targhe automobilistiche dell’Africa Orientale La nascita dell’Africa Orientale Italiana, fra le tante problematiche imposte dalla creazione e dall’unificazione in una struttura nuova, organica e omogenea delle vecchie colonie e dei nuovi territori acquisiti, rese opportuno anche un’armonizzazione dei sistemi di…
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26 nov 2018 09:54
VITA, PENSIERI E RACCONTI DI BERTOLUCCI: ‘’QUANDO PROIETTAI ‘NOVECENTO’, ALLA FINE DEL PRIMO TEMPO PAJETTA MI ABBRACCIÒ. POI, VEDENDO LE IMMAGINI DELLA LIBERAZIONE IN CUI MOSTRAVO ANCHE IL LATO OSCURO, SI ALZÒ FURIOSO E SE ANDÒ GRIDANDO. AMENDOLA DISSE CHE ERA BRUTTISSIMO, VELTRONI…’’ - FRASI: ‘I CRITICI SONO ALPINI DI PIANURA’ (IL PADRE ERA UN CRITICO CINEMATOGRAFICO). ‘LA LUNGHEZZA DI UNA GONNA, SOPRA O SOTTO IL GINOCCHIO, A VOLTE È PIÙ IMPORTANTE DI UN’IDEA DI SCENEGGIATURA’
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Biografia di Bernardo Bertolucci
Da www.cinquantamila.it, sito a cura di Giorgio Dell'Arti
Parma 16 marzo 1941. Regista. Debuttò nella regia con La commare secca (1962). Poi: Prima della rivoluzione (1964); Partner (1968); Strategia del ragno (1970); Il conformista(1970); Ultimo tango a Parigi (1972, il film di maggior successo assoluto nella storia del cinema italiano con circa 14 milioni di spettatori, compresi quelli della riedizione Titanus dell’87.
Fece epoca soprattutto la scena in cui Marlon Brando, per favorire una penetrazione anale in Maria Schneider, ricorre all’aiuto del burro (vedi sotto); Novecento (Atto I e II, 1976); La luna (1979); La tragedia di un uomo ridicolo (1981); L’ultimo imperatore (1987, vincitore di nove Oscar); Il tè nel deserto (1990); Piccolo Buddha (1993); Io ballo da sola (1996); L’assedio(1998); The dreamers (2003); Io e te (2012, dal romanzo di Niccolò Ammaniti). «Io spero sempre che i miei film non vengano compresi fino in fondo».
• Vita Figlio del poeta Attilio e di Ninetta Giovanardi, nata in Australia da mamma irlandese e padre ingegnere parmigiano costretto a emigrare (era la fine dell’Ottocento) per ragioni politiche. Fratello del regista Giuseppe. «Ha vissuto fino a 12 anni in campagna, in una casa che “da quando è morto mio padre non ho più il coraggio di rivedere”. Arrivato a Roma, nuovi amici, nuovo quartiere borghese – Monteverde vecchio –, nuova casa al quinto piano in via Carini. “I miei genitori hanno costruito un incantesimo, nel quale mi sento tuttora immerso. Anche per questo, forse, non sono mai diventato padre”. Il rito di iniziazione alla regia ha luogo proprio in via Carini. È domenica pomeriggio, alle tre, ora del riposo.
“Avevo quattordici anni, vado ad aprire, vedo un giovane vestito a festa, con un ciuffo strano. Chiedo: cosa vuole? E lui: cerco Attilio Bertolucci, sono Pier Paolo Pasolini. Mi spavento, gli dico di aspettare, lo lascio fuori, chiudo il portone. Vado da mio padre e gli racconto: c’è un tipo strano, ho paura che sia un ladro. E papà: ma no, è un poeta, fallo entrare”. Pier Paolo porta sua madre Susanna ad abitare al primo piano di via Carini e Bernardo – da giovanissimo aspirante poeta – scende le scale di corsa per far leggere le sue creazioni all’amico più grande» (Barbara Palombelli).
• «Quando avevo 17 anni, sempre sul portone di via Carini, un giorno Pier Paolo mi chiede: vuoi fare il mio aiuto-regista in Accattone? Io ribatto: ma non lo so fare, e lui a me: nemmeno io. In quel periodo, ho assistito all’invenzione del cinema, giorno per giorno, una scuola unica».
• Il padre fu uno dei primi critici cinematografici italiani. «Mi ricordo che, doveva essere il 1949 o il 1950, andava a vedere quei film americani di guerra. Poi tornava a casa e faceva una cosa incredibile. Telefonava al giornale. Si faceva passare lo stenografo e dettava tutta la sua recensione al telefono, senza esitazioni. Senza averla scritta prima. Dopo se la faceva rileggere e cambiava al massimo due parole».
• Quindicenne, con una 16 mm presa in prestito, girò i suoi primi cortometraggi: La teleferica, storia di tre bambini che si perdono nella foresta, e Morte di un maiale, unico piano sequenza all’interno di un mattatoio.
• A 21 anni vinse il Viareggio opera prima con una raccolta di toccanti liriche intitolata In cerca del mistero. Poi si decise per il cinema.
• «Eravamo all’inizio degli anni Sessanta. Con Glauber Rocha avevamo deciso di chiamare i nostri film “i miura”. I miura sono una razza di tori dalla pelle durissima. Non solo la spada del torero non riusciva a entrare nella cervice. Ma si diceva che neppure una zanzara poteva entrargli nel buco del culo. Nelle sale dove davano i nostri film nessuno entrava. Nessuno andava a vedere i nostri miura. Poi ho avuto un senso di soffocamento. E mi sono detto: “Voglio sentire il pubblico”. Voglio che la gente entri a vedere i miei film. E nel 1970 mi sono ritrovato a fare Strategia del ragno. E poi Il conformista, sentendomi un po’ come un traditore dei princìpi che fino a quel momento mi avevano formato. Era il passaggio dalla pura espressione alla comunicazione».
• «Quando Sergio Leone mi chiamò per sceneggiare C’era una volta il West (era il 1967, ndr), la prima cosa che mi chiese era come sparassi. Se impugnassi la pistola solo con una mano o se le usassi tutte e due. A me sembrò un marziano, ma aveva ragione lui: bisogna credere in quello che si fa» (a Paolo Mereghetti).
• Dopo la scomparsa di Maria Schneider (il 3 febbraio 2011), è tornato a parlare più volte della scena di sesso anale in Ultimo tango a Parigi per cui lei non l’aveva mai perdonato: «Sì, sono stato colpevole per la Schneider, ma non potranno portarmi in tribunale per questo. L’idea è venuta a me e a Brando mentre facevamo colazione, seduti sulla moquette. A un certo punto lui ha cominciato a spalmare il burro su una baguette, subito ci siamo dati un’occhiata complice. Abbiamo deciso di non dire niente a Maria per avere una reazione più realistica, non di attrice ma di giovane donna. Lei piange, urla, si sente ferita. E in qualche modo è stata ferita perché non le avevo detto che ci sarebbe stata la scena di sodomia e questa ferita è stata utile al film. Non credo che avrebbe reagito allo stesso modo se l’avesse saputo. Sono cose gravi ma è anche così che si fanno i film: le provocazioni a volte sono più importanti delle spiegazioni» (a Silvia Fumarola). [la Repubblica 18/11/2013]
• Dal 19 febbraio 2008 ha una “stella d’oro” sul marciapiede delle star, la Walk of Fame dell’Hollywood Boulevard di Los Angeles davanti al Chinese Theatre, premio che fu assegnato, tra gli italiani, a Rodolfo Valentino, Anna Magnani, Arturo Toscanini, Enrico Caruso, Sofia Loren.
• Nel 2007 fu premiato a Venezia con un super Leone d’oro («non è alla carriera, odora di prepensionamento, ma per il 75° compleanno della Mostra»).
• Nel 2011 a Cannes ha ricevuto la Palma d’oro alla carriera («La dedico agli italiani che hanno la forza di indignarsi»).
• È stato presidente della giuria alla 70esima edizione del Festival di Venezia.
• Nel 2000 fu operato per quella che sembrava una banale ernia del disco, da lì ne conseguirono altre quattro operazioni alla colonna vertebrale. Dodici mesi a letto, la depressione, poi la riabilitazione. Da anni è costretto a muoversi su una carrozzina. «Ho imparato ad accettare questa mia nuova condizione. Da allora è diventato tutto più facile. E ho ripreso a fare film. E ho capito che fare film è la sola terapia». [Alessandro Piperno, Cds 14/10/2012]
• È sposato con l’inglese Claire Peploe, regista e sceneggiatrice. Non ha figli. «Può darsi benissimo che il mio desiderio di paternità si materializzi nei miei film».
• Critica «Il suo è un cinema sotto la costellazione Marx-Freud-Verdi. Ama gli attori e sa sceglierli. Ama le scene di ballo e pochi come lui sanno far danzare la cinepresa su un dolly. Sa coniugare Proust al culatello, Hopper e Magritte al melodramma di Giuseppe Verdi. Bertolucci è un regista creolo» (Morando Morandini).
• «Ho capito che non riuscirò mai a eguagliarlo, perché viene da una cultura diversa dalla mia, suo padre è un poeta e lui stesso ha pubblicato delle poesie, è stato allevato con una coscienza politica, al contrario di me, che sono cresciuto in una casa dove non c’erano libri...» (Martin Scorsese).
• Frasi «I critici sono alpini di pianura».
• «È come se il mestiere di cineasta appartenesse a un’altra epoca come i lavori che scompaiono, tipo il sellaio. Credo che il lungometraggio, la forma film, abbia imboccato una strada di inesorabile declino, un po’ come quello che è successo con l’opera lirica».
• «A un certo punto è avvenuto in me un grande cambiamento. Mi è sembrato che i film che noi andiamo a guardare invece guardino noi».
• «Arriverei a dire che la lunghezza di una gonna, sopra o sotto il ginocchio, a volte è più importante di un’idea di sceneggiatura».
• «Quando finisco un film nuovo, provo un senso di pienezza a dir poco imbarazzante, che cerco di nascondere a tutti gli altri che si salutano con i visi tristi. Senti il bisogno di nasconderlo e di esorcizzarlo. Pensa che l’ultimo giorno di lavorazione di Io e te ho chiesto di essere truccato da donna. Alla fine sembravo una vecchia bagascia giapponese. Poi ho detto a tutti: “Vedete? Sono come Sean Penn. Più mi trucco più divento virile”» (ad Alessandro Piperno). [La Lettura 14/10/2012]
• Politica «Prima proiezione del mio Novecento, un film in cui raccontavo una saga familiare a partire dalla nascita del comunismo in Emilia Romagna. Eravamo nel 1976, in pieno compromesso storico e mi sembrava di dover celebrare un rito, pensavo di rendere omaggio alla storia del Pci. Paese Sera, quotidiano comunista romano, organizzò un dibattito con lo storico Paolo Spriano e Giancarlo Pajetta.
Alla fine del primo tempo, Pajetta, entusiasta, mi abbracciò. Poi, vedendo le immagini della Liberazione, in cui mostravo anche le vendette private, i processi popolari contro i fascisti, si alzò furioso e se ne andò gridando: mi rifiuto di partecipare. Giorgio Amendola disse che il film era bruttissimo. La Fgci di Walter Veltroni, invece, mi appoggiò.
Da allora, la mia tessera del Pci, presa nel 1969 contro l’estremismo filocinese dell’estrema sinistra, proprio nel momento in cui ci fu la rottura del partito con il gruppo del Manifesto, si è andata via via scolorendo... Alla metà degli anni Ottanta ho smesso di rinnovarla, non ero un militante, ho iniziato a vivere più all’estero che qui. Oggi, mi pare di non avere più trasporto politico per nessuno: salverei proprio soltanto Veltroni, perché è capace di guardare al futuro senza dimenticare le radici in cui tutti amiamo riconoscerci».
• Vizi «Sono ateo, grazie a Dio. Come diceva Buñuel».
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A 107 anni ci lascia il generale dell’Aeronautica Oreste Genta. L’Aeronautica piange colui che ha scritto un importante pezzo di storia d’Italia
Il due novembre scorso il Generale dell’Aeronautica Militare Oreste Genta aveva compiuto 107 anni e oggi si è spento un grande uomo e un grande comandante che ha segnato con il suo coraggio e il suo servizio la storia dell’aviazione e dell’Aeronautica militare italiana. La Forza Armata ha sempre ricordato con orgoglio l’ufficiale pilota che nella sua carriera ha percorso la storia dell’Aeronautica Militare e che ancora nel 2016, con lucidità fuori dal comune, riusciva a percorrere i passaggi storici e decisivi dell’Arma Azzurra e dell’Italia, durante i periodi più bui della seconda guerra mondiale. https://www.youtube.com/watch?v=ThtKqZaIFKU Il Generale Oreste Genta nacque a Frasso Sabino, in provincia di Rieti, il 2 novembre del 1911. Nel 1931 entrò nella Regia Aeronautica come allievo presso la Regia Accademia Aeronautica di Caserta dove frequentò il Corso Leone. Venne promosso Sottotenente il 1 ottobre 1933, e conseguì il brevetto di pilota d’aeroplano il 3 giugno 1934 volando a bordo di un biplano da addestramento Breda Ba.25, ed in seguito quello di pilota militare il 19 febbraio 1935. Promosso Tenente pilota il 15 luglio 1935, conseguì il brevetto di Osservatore Marittimo il 5 gennaio 1936, prendendo servizio il 1 febbraio 1937 nell’Aviazione dell’Alto Tirreno volando su velivoli idrovolanti Savoia-Marchetti S.59. Dal febbraio 1937 si imbarcò sull’incrociatore leggero Armando Diaz volando a bordo dei ricognitori catapultabili IMAM Ro.43 Maggiolino. Il 16 giugno successivo passò sull’incrociatore pesante Trieste, per passare poi sul Duca degli Abruzzi e quindi sul Pola. Venne promosso Capitano in data 15 luglio 1938. Nell’aprile 1939 prese parte alle operazioni per l’occupazione dell’Albania e il 16 settembre dello stesso anno fu assegnato alla Scuola di Osservazione Marittima come comandante della 3ª Squadriglia dotata di idrovolanti Savoia-Marchetti S.62. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, nel mese di luglio assunse il comando della 141ª Squadriglia da Ricognizione Marittima Lontana, di base a Brindisi, ed equipaggiata con gli idrovolanti CANT Z.501 Gabbiano. Il 13 ottobre 1941 venne trasferito presso il Comando dell’Aviazione per la Marina in Libia, dove assunse il comando della 196ª Squadriglia R.L.M. di base a Bengasi. Il 18 aprile 1942, ai comandi di un idrovolante Z.501, mentre era di scorta ad un convoglio navale, aiutò a respingere un attacco portato da velivoli avversari, e per questo fu decorato con una prima Medaglia d’argento al valor militare. Nell’agosto 1942 prese servizio presso il Comando Aviazione per lo Jonio e Basso Adriatico come comandante della 142ª Squadriglia R.L.M., dotata sia dei CANT Z.501 che dei più potenti trimotori CANT Z.506 Alcione Promosso Maggiore il 20 ottobre successivo, a partire dal 26 aprile 1943 prese servizio presso lo Stato maggiore della Regia Aeronautica decentrato a Palestrina, Roma. Giudice presso il Tribunale militare di Taranto, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 rimase in servizio presso l’Italian Co-Belligerent Air Force, e il 27 settembre 1944 assunse il comando del 82º Gruppo Idrovolanti di stanza sull’idroporto Luigi Bologna di Taranto. Dopo la fine delle ostilità transitò in servizio nella neocostituita Aeronautica Militare, e passato alla Scuola addestramento idro venne promosso Tenente Colonnello il 1 dicembre 1948, imbarcandosi poi sulla nave da battaglia Caio Duilio come Ufficiale di collegamento. Dopo aver frequentato il Corso Superiore presso la Scuola di guerra aerea, nel 1951 venne destinato all’Istituto di Guerra Marittima come insegnante di Arte Militare Aerea. Promosso Colonnello il 1 febbraio 1952, dopo aver frequentato la Scuola di Volo Senza Visibilità di Latina assunse il Comando del Reparto Volo della 46ª Aerobrigata. Divenne Generale di Brigata Aerea il 12 marzo 1960, e il 15 settembre 1962 assume il comando della 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica, equipaggiata con i missili balistici a testata nucleare PGM-19 Jupiter, avente Quartier generale a Gioia del Colle. Lasciò il prestigioso incarico il 1 luglio 1963, in seguito alla decisione di chiudere la Grande Unità dopo la crisi dei missili di Cuba, per assumere il comando del Settore Aereo della Sardegna. Il 20 novembre 1965 è promosso Generale di Divisione Aerea, e il 31 dicembre 1968 Generale di Squadra Aerea, assumendo il comando della III Regione Aerea di Bari il 18 ottobre 1969. Lasciò il comando della Regione Aerea al Generale Emanuele Annoni il 1 febbraio 1972 e venne posto in posizione ausiliaria, per passare in congedo assoluto il 3 novembre 1984. Dopo la fine della sua carriera militare fu per quattro anni presidente dell’opera Nazionale Figli degli Aviatori (ONFA). Nel corso della sua lunga e brillante carriera è stato insignito con una serie di importanti e prestigiose onorificenze. Medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione “Comandante di una Squadriglia, primo pilota a bordo di un apparecchio da R.M. in missione di scorta a.s. ad un nostro importante convoglio, attaccato da tre apparecchi nemici accettava e sosteneva eroicamente l’impari lotta. Ferito insisteva nel combattimento e per tre volte riportava il suo apparecchio contro il nemico che intanto aveva colpito altri due membri dell’equipaggio e gravemente danneggiato i cavi di comando. Deciso a proteggere dal bombardamento il prezioso convoglio aveva finalmente ragione della superiorità numerica avversaria mettendo in fuga gli assalitori. Cielo del Mediterraneo centrale, 28 aprile 1942”. Medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “Comandante di Squadriglia da Ricognizione Marittima, partecipava a numerose missioni di volo di scorta a.s. e di esplorazione su zone di mare particolarmente soggette all’insidia aerea e navale nemica, prodigandosi al buon esito delle missioni. Dava prova di senso del dovere e di sprezzo del pericolo. Cielo del Mediterraneo e dell’Africa Settentrionale Italiana, luglio 1940 – XVIII – giugno 1942 – XX”. Medaglia di bronzo al valor militare con la seguente motivazione: “Comandante di Squadriglia da ricognizione marittima, partecipava a numerose missioni di guerra. Capo Equipaggio nel corso di una missione di scorta ad un nostro convoglio, veniva attaccato da numerosi apparecchi nemici. Con l’apparecchio colpito in varie parti, riusciva a disimpegnarsi e concalma esemplare, si portava nuovamente sulla zona delle ricerche dando le relative segnalazioni sui naufraghi di un piroscafo colpito. Esempio di attaccamento al dovere e di elevate virtù militari. Cielo dello Jonio, 30 agosto 1942- 2 maggio 1943”. Croce di guerra al valor militare “Cielo dello Jonio, 30 agosto 1942- 2 maggio 1943”. Croce al merito di guerra Medaglia commemorativa della Campagna di Spagna (1936-1939) Medaglia commemorativa della spadella spedizione in Albania Medaglia commemorativa del periodo bellico 1940-1943 Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (27 dicembre 1969) Medaglia Mauriziana al merito di 10 lustri di carriera militare Croce d’oro per anzianità di servizio Read the full article
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