#24 settembre 1871
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Balla '12 Dorazio '60 Dove la luce
Collezione Giancarlo e Danna Olgiati
saggi di Gabriella Belli, Francesco Tedeschi, Gabriella Belli e Riccardo Passoni , intervista a Mario Botta
Mousse Publishing, Milano 2023, 184 pagine, Italiano/Inglese, rilegato, 21x30cm, ISBN 9788867495788
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
Catalogo della mostra (Lugano, 24 settembre 2023-14 gennaio 2024). ediz. illustrata
Balla ’12 Dorazio ’60. Dove la luce is published on the occasion of the eponymous exhibition at Collezione Giancarlo e Danna Olgiati in Lugano. As suggested by the title, which is inspired by a poem by Giuseppe Ungaretti, the central theme is light. Curated by Gabriella Belli and designed by Mario Botta, the exhibition offers a visual exploration of affinities between two of the most significant figures in twentieth-century Italian art: Giacomo Balla (1871–1958) and Piero Dorazio (1927–2005). The former, an undisputed master of Futurism, created his fascinating Compenetrazioni iridescenti in 1912, while the latter is one of the most interesting artists of the postwar period, with his marvelous Reticoli created in 1960, which are said to have been inspired by Balla’s works. Balla’s play with geometric forms, color, and especially light kick-started the abstract art movement, with Piero Dorazio perfectly in tune with his practice fifty years later.
This richly illustrated publication, featuring essays by Gabriella Belli, Francesco Tedeschi, and Riccardo Passoni and an additional interview with Mario Botta, highlights connections between Balla’s and Dorazio’s themes, techniques, and languages. The catalogue is informed by extensive archival research, rich critical apparatuses, and a dedicated section on the exhibition’s design by architect Mario Botta.
24/05/24
#Balla#Dorazio#art exhibition catalogue#Lugano 2023/24#Collezione Olgiati#Gabriella Belli#Mauro Olgiati#art books#fashionbooksmilano
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accadde...oggi: nel 1871 nasce Charlotte Dod
accadde…oggi: nel 1871 nasce Charlotte Dod

https://it.wikipedia.org/wiki/Charlotte_Dod
https://tennis.it/lottie-dot-la-campionessa-nata-prima-del-tennis/
Charlotte “Lottie” Dod (Bebington, 24 settembre 1871 – Sway, 27 giugno 1960) è stata una tennista e arciera britannica.
Benché meglio nota come tennista fu sportiva molto versatile, si dedicò infatti anche all’hockey su prato, al golf e al tiro con l’arco.
Vinse per ben cinque volte il
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Il santo del 4 giugno: San Filippo Smaldone

San Filippo Smaldone Filippo Smaldone nasce a Napoli il 27 luglio del 1848, l'anno delle rivoluzioni d'Italia e d'Europa. Quando aveva dodici anni, la monarchia borbonica, alla quale era fortemente attaccata la sua famiglia, conobbe il suo rovesciamento politico. La Chiesa, con la conquista di Garibaldi, conobbe momenti drammatici con l’esilio del suo Cardinale Arcivescovo Sisto Riario Sforza. Non erano tempi certamente favorevoli e ben promettenti per il futuro, specialmente per la gioventù, che subiva il forte travaglio del nuovo corso socio-politico-religioso. Ebbene,è in quella fase di crisi istituzionale e sociale che Filippo prese la decisione irrevocabile di ascendere al sacerdozio. Sceglie di legarsi per sempre al servizio della Chiesa, che vedeva osteggiata e perseguitata. Mentre era ancora studente di filosofia e di teologia, volle già dare un’impronta di servizio caritatevole alla sua carriera ecclesiastica dedicandosi all’assistenza di una categoria di soggetti emarginati, che erano particolarmente numerosi e fin troppo abbandonati in quei tempi a Napoli: i sordi. In questa sua intensa attività benefica si applicò e si distinse molto più che negli studi, per cui ebbe scarso successo in alcuni esami premessi alla ricezione degli ordini Minori. Ciò provocò il suo passaggio dalla arcidiocesi di Napoli a quella di Rossano Calabro, il cui Arcivescovo Mons. Pietro Cilento lo accolse generosamente in considerazione della sua bontà e del suo ottimo spirito ecclesiastico. Nonostante il cambio canonico di diocesi, che peraltro durò solo pochi anni, perché in seguito, nel 1876, fu reincardinato a Napoli, con licenza del suo nuovo Arcivescovo, restò a Napoli, dove proseguì gli studi ecclesiastici sotto la guida di uno dei Maestri del celebre Almo Collegio dei Teologi, mentre proseguiva con immutata dedizione la sua opera di assistenza ai sordi. Mons. Pietro Cilento, che lo stimava, volle ordinarlo personalmente a Napoli suddiacono il 31 luglio 1870. Il 27 marzo 1871 fu ordinato diacono e finalmente, il 23 settembre 1871, con dispensa di alcuni mesi dall’età canonica dei 24 anni richiesti, fu ordinato sacerdote a Napoli. Appena sacerdote, iniziò un fervido ministero sacerdotale come assiduo catechista nelle “cappelle serotine”, un movimento dove si incontrava la gente povera per ascoltare la buona novella; si prega e canta con i linguaggi di piazza e di strada, che da fanciullo aveva frequentato con profitto. Collaboratore zelante in varie parrocchie, specialmente in quella di Santa Caterina in Foro Magno. Inoltre, come visitatore assiduo e ricercato di ammalati in cliniche, in ospedali e in case private. La sua carità raggiunse il massimo della generosità e dell’eroismo in occasione di una forte pestilenza a Napoli, dalla quale restò anche lui colpito e portato in fin di vita, e dalla quale fu guarito dalla Madonna di Pompei, che divenne la sua devozione prediletta per tutta la vita. Ma la cura pastorale privilegiata di Don Filippo Smaldone era quella per i poveri sordi, ai quali avrebbe voluto dedicare le sue energie con criteri più idonei e convenienti, diversi da quelli che vedeva applicati dagli addetti a quel settore educativo. Gli causava, infatti, grande pena che, per quanti sforzi e tentativi si facessero, l’educazione e la formazione umano-cristiana di quegli sventurati, equiparati ai pagani, di fatto, rimanevano per lo più frustrate. Ad un certo punto, forse per dare una espressione più diretta e concreta al suo sacerdozio, pensò di partire missionario nelle missioni estere. Ma il suo confessore, che l’aveva guidato costantemente fin dall’infanzia, gli fece conoscere che la sua "missione" era fra i sordomuti di Napoli. Da allora si tuffò interamente in questo tipo di apostolato. Lasciò la casa paterna e andò a vivere stabilmente con un gruppo di sacerdoti e laici, che intendevano istituire una Congregazione di Preti Salesiani. Col tempo acquistò una grande competenza pedagogica nel settore. Gradatamente andò progettando di realizzare lui stesso, se così al Signore fosse piaciuto, una istituzione stabile e idonea per la cura, l’istruzione e l’assistenza umana e cristiana dei sordi. Il 25 marzo 1885 partì per Lecce per aprire, insieme con Don Lorenzo Apicella, un istituto per sordi. Vi condusse alcune "suore", che egli era andato formando in precedenza. Gettò così le basi della Congregazione delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori, che, benedetta e largamente sostenuta dai Vescovi di Lecce, Mons. Salvatore Luigi dei Conti di Zola e Mons. Gennaro Trama, ebbe una rapida e solida espansione. All’istituto di Lecce, con sezioni femminile e maschile, che ebbe sedi sempre più ampie per il crescente numero degli assistiti fino all’acquisto del celebre ex-convento delle Scalze. Divenne la sede definitiva e Casa Madre, fece seguito nel 1897 quello di Bari. Don Filippo non sapeva dire di no alle richieste di tante famiglie povere. Ad un certo puntocominciò ad ospitare, oltre le sorde, anche le fanciulle cieche e le bambine orfane ed abbandonate. Né dimenticava i bisogni umani e morali della gioventù in genere. Aprì diverse case con annesse scuole materne, con laboratori femminili, con pensioni per studentesse. Ne apre anche una a Roma. Durante la sua vita, l’Opera e la Congregazione, nonostante le dure prove, cui andò soggetta sia dall’esterno sia dall’interno medesimo, conobbero un discreto allargamento e consolidamento. Fu proprio in questi momenti che vennero alla luce le virtù dello Smaldone, ed apparve chiaro che la sua fondazione era voluta da Dio, il quale purifica con la sofferenza i suoi figli migliori e le opere nate nel suo nome. Per circa un quarantennio Don Filippo Smaldone si prodigò in tutti i modi per sostenere materialmente ed educare moralmente i suoi cari sordi, verso i quali aveva affetto e cure di padre; fece altrettanto per formare alla vita religiosa perfetta le sue Suore Salesiane dei Sacri Cuori. A Lecce, oltre alla universale benemerenza come direttore dell’Istituto e fondatore delle Suore Salesiane, ebbe anche quella di un intenso, molteplice ministero sacerdotale.Assiduo e stimato confessore di sacerdoti e seminaristi, confessore e direttore spirituale di diverse comunità religiose. È fondatore della Lega Eucaristica dei Sacerdoti Adoratori e delle Dame Adoratrici, fu Superiore della Congregazione dei Missionari di San Francesco di Sales per le missioni popolari. Non per nulla fu decorato della Croce pro Ecclesia et Pontifice, annoverato tra i canonici della cattedrale di Lecce, decorato da una Commenda dalle Autorità civili. Finì i suoi giorni a Lecce, sopportando con ammirata serenità, una malattia diabetica complicata da disturbi cardiocircolatori e da generale sclerosi. Si spense santamente alle ore ventuno del 4 giugno 1923, dopo aver ricevuto tutti i conforti religiosi e la benedizione dell’Arcivescovo Trama, attorniato da diversi sacerdoti, dalle sue Suore e dai sordi, all’età di 75 anni. È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996.È stato canonizzato dal papa Benedetto XVI il 15 ottobre 2006, a Roma in Piazza san Pietro. Ed ecco quello che ha detto papa Ratzinger su di lui nell'omelia di canonizzazione: " San Filippo Smaldone, figlio del Meridione d'Italia, seppe trasfondere nella sua vita le migliori virtù proprie della sua terra. Sacerdote dal cuore grande, nutrito di costante preghiera e di adorazione eucaristica, fu soprattutto testimone e servo della carità, che manifestava in modo eminente nel servizio ai poveri, in particolare ai sordomuti, ai quali dedicò tutto se stesso. L'opera che egli iniziò prosegue grazie alla Congregazione delle Suore Salesiane dei Sacri Cuori da lui fondata, e che è diffusa in diverse parti d'Italia e del mondo. Nei sordomuti San Filippo Smaldone vedeva riflessa l'immagine di Gesù, ed era solito ripetere che, come ci si prostra davanti al Santissimo Sacramento, così bisogna inginocchiarsi dinanzi ad un sordomuto. Raccogliamo dal suo esempio l'invito a considerare sempre indissolubili l'amore per l'Eucaristia e l'amore per il prossimo. Anzi, la vera capacità di amare i fratelli ci può venire solo dall'incontro col Signore nel sacramento dell'Eucaristia." Read the full article
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Stanley e Leopoldo
A volte era spregevolmente infantile. Desiderava che i sovrani lo andassero a ricevere alle stazioni ferroviarie del suo viaggio di ritorno da qualche orribile luogo sperduto in cui intendeva compiere grandi cose. (CdT, p. 219)
Nel maggio 1873, il famoso missionario-esploratore David Livingstone morì a Ilala, nel cuore dell’Africa. Per Livingstone, Commercio, Cristianesimo e Civilizzazione dovevano allearsi per contrastare la tratta degli schiavi, che era ancora in espansione nell’area degli spostamenti di Livingstone in Africa, con Zanzibar (controllata dagli arabi) e i possedimenti portoghesi come centri maggiori. Uno dei ricordi di Conrad in Geography and Some Explorers allude a questa tratta:
Tutto era buio sotto le stelle. Tutti gli altri bianchi a bordo stavano dormendo. Ero contento di essere da solo sul ponte a fumare la pipa della pace dopo una giornata inquieta. Il sommesso, rombante borbottio delle cascate Stanley aleggiava nella pesante aria notturna dell’ultimo tratto navigabile del Congo superiore, mentre a non più di dieci miglia di distanza, nel campo di Reshid proprio sopra alle cascate, il non ancora insidiato potere degli arabi nel Congo dormiva sonni inquieti. (LE, pp. 24-25)
Reshid era il nipote del noto mercante di schiavi Hamid Ibn Muhammad, noto come Tippu Tib. Forse Conrad non parla dello schiavismo arabo in Cuore di tenebra perché la “guerra contro lo schiavismo” in Africa era un argomento spesso utilizzato per giustificare l’espansione coloniale. Oppure, forse decise di non farvi riferimento per sottolineare la sensazione di Marlow di “un corso d’acqua deserto, un silenzio profondo, una foresta impenetrabile” (CdT, p. 103). La narrazione accentua l’isolamento dell’uomo bianco e la “misteriosità” degli africani allo scopo di riprodurre il paradigma dell’eroico esploratore com’è esemplificato nel popolare racconto dell’incontro tra Stanley e Livingstone.
Stanley, che aveva “trovato” Livingstone sul lago Tanganica nel novembre 1871, tornò in Europa l’anno dopo in un fulgore di popolarità. Come ha osservato Felix Driver, il giornalista e poi esploratore Stanley non era solo un assiduo promotore di se stesso – con titoli come How I Found Livingstone (Come ho trovato Livingstone, 1872), Through the Dark Continent (Attraverso il Continente nero, 1878), The Congo and the Founding of Its Free State (Il Congo e la fondazione del suo Stato libero, 1885) e In Darkest Africa – ma era anche l’oggetto di una pubblica polemica:
La prima e la più famosa di queste polemiche ebbe luogo nell’estate del 1872, quando Stanley tornò dalla sua ricerca di Livingstone. La seconda scoppiò nel 1876, quando a Londra arrivò notizia di violenze compiute nella sua seconda spedizione africana; e la terza nacque nel 1890-91, alla vigilia della missione di Stanley per “salvare” Emin Pasha, il governatore tedesco del Sudan equatoriale3.
Le polemiche del 1872 venivano da tre fronti: giornali rivali, amici dell’agente britannico a Zanzibar (che Stanley aveva criticato) e la Royal Geographical Society. La disputa tra Stanley e la Royal Geographical Society aveva per oggetto “questioni di posizione sociale, meriti scientifici e legittimità morale” (Driver, p. 147), ma la polemica coinvolse anche quello che era sentito come il tentativo di Stanley di appropriarsi della reputazione di Livingstone: non solo Stanley aveva trovato Livingstone, ma gli erano anche stati affidati – come succede a Marlow con Kurtz – i diari e le lettere di Livingstone4.
Nell’aprile 1874, il corpo di Livingstone giunse finalmente in Inghilterra per ricevervi, nell’abbazia di Westminster, un funerale da eroe, con Stanley a portare la bara. Più tardi, quello stesso anno, Stanley tornò in Africa. Raggiunse Zanzibar per una spedizione – commissionata dal «New York Herald» e finanziata anche dal «Daily Telegraph» – che l’avrebbe portato attraverso l’Africa fino a Boma. La polemica del 1876 fu attizzata da una notizia di giornale relativa a un violento episodio avvenuto sull’isola di Bambireh, sul lago Vittoria5. Nel 1875 Stanley si era scontrato con gli abitanti dell’isola: gli avevano rifiutato il cibo, l’avevano minacciato con lance e frecce, gli avevano strappato i capelli e gli avevano rubato i remi della barca, la Lady Alice, dal nome della sua “Promessa sposa”, Alice Pike. Successivamente, Stanley era tornato a Bambireh con una forza di 280 uomini e, dopo aver attirato gli abitanti sulla spiaggia, aveva sparato raffiche di pallottole contro di loro. Non fu semplicemente il fatto che Stanley avesse usato la forza ciò che sollevò la polemica, ma la natura crudele della forza e l’evidente compiacimento che traspariva dalla sua rievocazione dell’episodio. Come osservò la «Saturday Review»: “Egli non ha nessun interesse nella giustizia, nessun diritto di amministrarla; si presenta senza nessun decreto, nessuna autorità, nessuna giurisdizione – nient’altro che pallottole esplosive e una copia del ‘Daily Telegraph’.”
La questione venne riaperta dalla Royal Geographical Society al ritorno in Inghilterra di Stanley nel 1878. La polemica questa volta riguardava l’abisso che c’era tra i proclami di alti scopi morali fatti da Stanley e il suo metodo di “esplorazione con la guerra”. Stanley aveva scritto nel suo diario che sperava di succedere a Livingstone nell’impresa di “aprire l’Africa alla luce splendente del Cristianesimo”, ma in Through the Dark Continent aveva osservato che gli africani rispettano solo “la forza, il potere, il coraggio e la decisione”. Una commissione congiunta della Società antischiavista e di quella per la Protezione degli Aborigeni espresse così la sua protesta sul «Colonial Intelligencer»: “I criminosi atti di rappresaglia che ha commesso sono indegni di un uomo che si è recato in Africa professandosi come un pioniere della civiltà”.
In ogni caso, se Stanley venne criticato in Inghilterra, ricevette un’accoglienza molto differente in Belgio. Durante il suo viaggio di ritorno in Inghilterra, era stato avvicinato, l’8 gennaio 1878, da segreti emissari di re Leopoldo alla stazione ferroviaria di Marsiglia. Due anni prima Leopoldo era stato molto colpito da una relazione sull’Esplorazione dell’Africa apparsa sul «Times», nella quale veniva descritta una terra di “indicibili ricchezze” che aspettava soltanto che “un intraprendente capitalista... prendesse in mano la faccenda”. Leopoldo si era interessato all’impresa coloniale fin dagli anni ’50 del secolo. Per usare le parole di Neal Ascherson, il colonialismo, per Leopoldo, significava “la scienza molto limitata” di servirsi di popolazioni tecnologicamente meno avanzate “per produrre ricchezza dalle risorse naturali del loro paese”. Leopoldo si era anche reso conto che il “lavoro forzato” era un modo di produzione ancora più economico del lavoro pagato. Sei mesi dopo aver letto l’articolo sull’Esplorazione dell’Africa, nel settembre 1876, aveva organizzato il primo congresso geografico sull’Africa centrale, la Conférence Géographique Africaine, alla quale furono invitati vari celebri esploratori. In occasione del congresso Leopoldo bandì la sua crociata morale: “Aprire alla civiltà l’unica parte del nostro globo alla quale essa non è ancora arrivata, penetrare la barriera di tenebra che avvolge intere popolazioni, è una crociata degna di questo secolo di progresso”. Nel giugno del 1878 Stanley accettò l’invito di Leopoldo a Bruxelles. Entro l’autunno si era già accordato con lui per servirlo in Africa per un periodo di cinque anni: la missione “filantropica e scientifica” avrebbe aperto l’Africa alla civiltà sotto gli auspici dell’Associazione Internazionale (Association Internationale pour l’Exploration et la Civilisation en Afrique) attraverso una serie di “stazioni” e tramite la costruzione di una strada tra Boma e Stanley Pool; l’intenzione nascosta, come Stanley capì ben presto, era quella di fare del bacino del Congo una colonia belga.
L’ultima spedizione di Stanley (1887-90) aveva come pretesto quello di soccorrere Emin Pasha (allora apparentemente minacciato dal movimento mahdista). Per ragioni politiche, comunque, la spedizione diretta in Sudan venne instradata attraverso il Congo. Leopoldo aveva affidato a Stanley due incarichi diplomatici: il primo – che venne portato a termine – era quello di convincere il mercante di schiavi Tippu Tib a diventare governatore della regione delle cascate Stanley (dal momento che lo Stato del Congo non aveva abbastanza soldi per permettersi una guerra contro gli arabi, che erano in competizione per il controllo dell’Africa centrale); il secondo – nel quale Stanley fallì – era di convincere Emin Pasha a unire la sua provincia, Equatoria, allo Stato libero del Congo. La prima fase del viaggio portò Stanley e le sue forze a risalire il Congo dalla foce fino a Matadi – lo stesso viaggio che Conrad e Marlow avrebbero compiuto pochi anni dopo. La narrazione di In Darkest Africa inizia con lo stato di tensione provocato dal bisogno urgente di raggiungere Emin Pasha (“Emin sarà perduto se non gli viene portato aiuto immediato”) e dai ritardi causati dall’assenza di battelli adatti alla navigazione del Congo superiore. Stanley osserva: “La fornitura navale promessa non esisteva per niente tranne che nell’immaginazione dei gentiluomini del Bureau di Bruxelles” (DA, p. 50). I battelli erano “distrutti, marci, oppure senza caldaie e motori” (DA, p. 50), e Stanley descrive le riparazioni, le sostituzioni delle lamiere e così via, che si resero necessarie prima che la spedizione potesse proseguire. Anche questi due leitmotiv – l’urgenza di risalire il fiume per raggiungere qualcuno e i ritardi causati dalla necessità di riparare un battello – avrebbero fatto parte dell’esperienza di Marlow. È forse il caso di spiegare che Emin Pasha era un titolo e non un nome: l’uomo che la spedizione di Stanley stava cercando di raggiungere si chiamava Eduard Schnitzler, che Stanley descrisse come “un grande poliglotta, esperto di turco, arabo, tedesco, francese, italiano e inglese” (DA, p. 40). Si potrebbe anche notare che – anche limitandoci a quel che dice Stanley – la spedizione non era stata organizzata solo per salvare Emin Pasha, e nemmeno per esplorare l’area tra il Congo e il Sudan equatoriale. Stanley osserva, in In Darkest Africa, che “Emin Pasha possedeva circa settantacinque tonnellate d’avorio. Una tale quantità d’avorio equivarrebbe a 60.000 sterline” (DA, p. 42), e prese accordi non solo per portare indietro l’avorio ma anche per dividere le 60.000 sterline.
Al suo ritorno, Stanley fu accolto come un eroe a Bruxelles e a Londra. Il 19 aprile 1890 il gruppo di Stanley venne ricevuto alla frontiera francese da un treno speciale inviato da Leopoldo, che a sua volta venne ricevuto alla Gare du Midi da una guardia d’onore, e il 26 aprile Stanley fu ancora accolto da una folla festante a Londra alla stazione di Charing Cross6. Conrad, nel frattempo, era stato a Bruxelles nel febbraio 1890 per un colloquio di lavoro e, dopo un soggiorno di dieci settimane in Polonia, era di ritorno a Bruxelles il 29 aprile per la conferma del suo impiego di tre anni in Congo.
Oltre a svolgere il suo lavoro per Leopoldo, Stanley non esitò ad associare le sue missioni con la promozione di vari interessi materiali – i belgi in Congo, gli inglesi nell’Africa orientale e in Sudan, e persino gli americani a Zanzibar. Come osserva Driver: “L’assoluta varietà delle rivendicazioni politiche su Stanley suggerisce che egli non rappresentava gli interessi di nessun impero in particolare: era piuttosto un pioniere del nuovo imperialismo in generale” (Driver, pp. 165-66). Driver lo paragona a Kurtz (“‘tutta l’Europa’ contribuì alla sua formazione”); ma allo stesso modo ci si potrebbe chiedere con Marlow “quante potenze delle tenebre ne rivendicassero il possesso”. (CdT, p. 155).
Note:
3 Felix Driver, Henry Morton Stanley and His Critics: Geography, Explorationand Empire, in «Past & Present», 133 (November 1991), pp. 134-64, particolarmente p. 136; d’ora in avanti citato come Driver. Devo a questo articolo gran parte delle notizie utilizzate nel mio discorso su Stanley.
4 Driver osserva che a Stanley “mancavano le credenziali di gentiluomo o di scienziato” (Driver, p. 147); Stanley era guardato con sospetto in quanto americano e in quanto giornalista; inoltre, si scoprì che, sotto la sua condizione sociale americana d’adozione, Stanley nascondeva le sue origini di figlio illegittimo proveniente da un ospizio di mendicità gallese.
5 «Daily Telegraph», 7 e 10 agosto 1876.
6 Poco dopo, comunque, venne attaccato dalla Società Antischiavista, quando si scoprì che aveva trasportato manodopera non libera da Zanzibar in Congo. Successivamente, la Società Antischiavista criticò il legame di Stanley con Tippu Tib durante la sezione nel basso Congo della spedizione e una serie di azioni che avevano accompagnato la sua spedizione, quali il far bastonare i “miscredenti”, l’incendio di villaggi e la messa in schiavitù o il massacro dei loro abitanti.
Tratto dalla prefazione di Cuore di Tenebra (1995, Penguin: Londra) scritta Robert Hampson.
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accadde...oggi: nel 1871 nasce Florence Scovel Shinn
accadde…oggi: nel 1871 nasce Florence Scovel Shinn
Florence Scovel Shinnè nata nel New Jersey nel 1871 e vissuta a New York, fu illustratrice, scrittrice e insegnante di metafisica, esponente del New Thought. I suoi scritti, notevolmente rivoluzionari e all’avanguardia per l’epoca in cui visse, racchiudono una profonda saggezza e hanno ispirato migliaia di persone per numerosi decenni, fino a influenzare il lavoro dei moderni leader del…
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