#16 febbraio 1941
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claudiodangelo59 · 2 years ago
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OGGI 17 FEBBRAIO, ITALIANO RICORDA… 1943 SECONDA GUERRA MONDIALE FRONTE BALCANICO (ERZEGOVINA) MASSACRO DI PROZOR I PARTIGIANI TITINI, DOPO CHE AVEVANO CONQUISTATO LA CITTADINA, FUCILANO 771 FANTI ITALIANI DEL III° BATTAGLIONE DEL 259° REGGIMENTO FANTERIA “MURGE” UN CRIMINE TITINO CHE NON RICORDA NESSUNO (tratto da un testo di Pierluigi Romeo di Colloredo-Mels) PROZOR è il crimine di guerra più efferato di cui furono VITTIME MILITARI ITALIANI prima dell’ARMISTIZIO dell’8 settembre 1943; Soldati semplici, graduati, Sottufficiali e Ufficiali, feriti e mutilati, disarmati, arresisi per esaurimento delle munizioni dopo aver strenuamente difeso la località, vennero assassinati dai partigiani comunisti sino all’ultimo uomo, senza pietà alcuna né rispetto per le consuetudini di guerra e le leggi internazionali, di cui il REGNO di JUGOSLAVIA era firmatario e le formazioni partigiane titine NO !!! La 154ª Divisione di fanteria “Murge” era stata costituita il 1 dicembre 1941; inquadrata nel VI° Corpo d’Armata del Regio Esercito italiano comprendeva il 259° e il 260° Reggimento fanteria “Murge” ed il 154° Reggimento artiglieria “Murge”. Dal 5 aprile 1942 il reparto venne destinato all’OCCUPAZIONE dell’ERZEGOVINA, a presidio di MOSTAR, JABLANICA, KONJIC, CACKO e NEVESINJE. Costantemente impegnate contro la guerriglia partigiana, nella cosiddetta BATTAGLIA della NERETVA (come è nota dal nome croato della NARENTA) le posizioni del 259° Reggimento “Murge” furono attaccate da cinque Brigate partigiane: la 1a Brigata proletaria d’assalto dalmata, la 10a Brigata proletaria d’assalto dell’Erzegovina, la 2ª Brigata proletaria d’assalto serba e la 5ª Brigata proletaria d’assalto montenegrina che avevano oltrepassato il FIUME NERETVA per sfuggire all’inseguimento dei reparti dell’Asse e dei cetnici. I partigiani titini puntarono verso la piccola città di PROZOR, occupata dai fanti del III° Battaglione del 259° Reggimento “Murge”, fortificati nel CAPOSALDO, intimando loro la resa, intimazione che venne respinta dagli italiani. I partigiani comunisti jugoslavi erano diverse migliaia mentre gli italiani meno di ottocento. Il PRIMO ATTACCO su PROZOR nella notte tra il 15 ed il 16 febbraio 1943 fu RESPINTO dagli italiani, che si batterono con la forza della disperazione, ma non il SECONDO. Si combatté per tutta la notte tra il 16 ed il 17 febbraio 1943, quando la 5a Brigata d’assalto montenegrina, guidata dal suo comandante Sava Kovacevic riuscì a occupare PROZOR solamente dopo che gli italiani avevano terminate le munizioni. La città cadde dopo una feroce lotta all’arma bianca ed i partigiani catturarono tutti i superstiti ed i feriti del Battaglione italiano di presidio. I PRIGIONIERI ITALIANI VENNERO TUTTI MASSACRATI: Milovan Gilas ordinò l’esecuzione dell’intero Battaglione italiano, come ricordò nelle proprie memorie: “L’intero III° Battaglione del 259° Reggimento venne passato per le armi” (M. Gilas, “La guerra rivoluzionaria jugoslava. 1941-1945. Ricordi e riflessioni”, tr. it. Gorizia 2011, p. 276-277). I prigionieri italiani passati per le armi a PROZOR furono 740, questo perché il primo giorno dell’attacco i soldati italiani avevano rifiutato di arrendersi e avevano combattuto. Sorte identica ma in diversa località venne applicata agli Ufficiali che vennero portati a JABLANICA e passati per le armi. La STRAGE degli UFFICIALI ITALIANI a JABLANICA fu resa possibile dalla delazione di un Ufficiale triestino antifascista passato ai titini, il Capitano Riccardo Illeni (come ricordato da Gino Bambara ne “La guerra di liberazione nazionale jugoslava (1941-1943) edito da Mursia nel 1988) che consegnò la lista con i nomi di tutti gli Ufficiali ai partigiani. Il Comandante del III° Battaglione /259° Reggimento “Murge”, il Colonnello Molteni venne ucciso nella piazza di JABLANICA, con un colpo di pistola alla nuca dal capo della formazione, Sava Kovacevic. I partigiani non riuscirono dapprima a rintracciare un Tenente della Sussistenza, dunque non appartenente ad un reparto combattente, il cui nome risultava nel ruolino del Presidio italiano consegnato dal Capitano Illeni ai guerriglieri comunisti: pertanto questi annunciarono che avrebbero fucilato al suo posto venti soldati italiani. L’Ufficiale a questo punto si consegnò, venendo fucilato dai partigiani insieme ai venti fanti. Scrisse il Generale d’Armata Mario Roatta, Comandante della 2a Armata italiana in una sua relazione ufficiale inviata a ROMA: “… Sulla piazza di Jablanica (Erzegovina) una delle formazioni partigiane ha fucilato 21 [sic per 31] Ufficiali della Divisione Murge catturati poco prima in combattimento. Il Colonnello Molteni è stato ucciso, in detta piazza, con un colpo di pistola dal capo della formazione. E poiché non si trovava un Ufficiale della Sussistenza, che risultava dalla lista del Presidio caduta in mano ai partigiani, questi annunciarono che avrebbero fucilato al suo posto 20 soldati. L’Ufficiale che si era nascosto, avendolo saputo, si presentò senz’altro, ma malgrado questo suo esemplare contegno, venne anch’esso fucilato. Le salme del Colonnello Molteni e di altri Ufficiali furono recuperate dopo la rioccupazione di Jablanica dal Cappellano del 259° Fanteria, Padre Giuseppe de Canelli, che le rinvenne; quella del Colonnello Molteni squartata, sepolta in una fossa comune con alcuni soldati e i quadrupedi morti del Presidio” L’ECCIDIO di PROZOR, anche se una parte della storiografia ha recentemente affermato una differenza di trattamento cui sarebbero stati destinati i Soldati dell’Esercito Italiano rispetto alle Camicie Nere catturate, è necessario specificare che essa non rappresentò assolutamente la regola. Episodi di un comportamento benevolo nei confronti dei Soldati italiani devono piuttosto riferirsi ai casi di diserzione da parte di singoli elementi. Le 771 VITTIME ITALIANE della STRAGE di PROZOR sono il doppio rispetto ai 335 CADUTI delle FOSSE ARDEATINE, di più dei 560 CIVILI MASSACRATI di SANT’ANNA di STAZZEMA, quasi identica ai 770 CIVILI MASSACRATI di MARZABOTTO: i responsabili tedeschi furono perseguiti (spesso con molto ritardo), condannati, incarcerati: quelli jugoslavi no. Su questa CEFALONIA BALCANICA nessuno in ITALIA ha scritto, dedicato saggi e memoriali, nessun magistrato ha mai aperto inchieste, anche per i taciti accordi post bellici tra il Maresciallo Tito e la Repubblica Italiana. Il fatto è che una certa storiografia continua a sottolineare i crimini di guerra italiani nei BALCANI, ma non accenna mai a una tale mattanza, ingiustificabile da ogni punto di vista. Paradossalmente le RAPPRESAGLIE ITALIANE (e dell’Asse) nei BALCANI furono sicuramente criminali, spesso eccessive, ma furono, nella massima parte dei casi, perfettamente legittime secondo leggi e le convenzioni internazionali di guerra vigenti all’epoca. La più pesante RAPPRESAGLIA ITALIANA in JUGOSLAVIA, quella di PODHUN (PIEDICOLLE, PROVINCIA del CARNARO) del 12 luglio 1942 causò 91 morti (RAPPRESAGLIA effettuata in conseguenza dell’assassinio dei due maestri elementari italiani del paese e di 16 militari seviziati ed uccisi: data l’entità delle vittime, si preferì dimezzare la consueta ratio di 10 a 1, portandola a 5 a 1). Infine, a PROZOR, una volta riconquistata la località, gli italiani non eseguirono alcuna rappresaglia. La STRAGE era stata opera delle BANDE TITINE, in quel momento in fuga dall’offensiva italo- tedesca, e quindi le popolazioni locali non erano da ritenere coinvolte. Inoltre, applicare la proporzione di 10 fucilati per ogni Caduto italiano avrebbe significato la fucilazione di 7.710 CIVILI JUGOSLAVI !!! Per altri, alleati o nemici, forse quest’ultimo dato non avrebbe rappresentato un problema, per gli italiani, ancorché sottoposti al regime fascista, evidentemente lo fu. GRAN BRUTTA COSA LA GUERRA !!!
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italianiinguerra · 4 years ago
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I bollettini di guerra del 17 febbraio 1941-42-43
I bollettini di guerra del 17 febbraio 1941-42-43
Il Bollettino del Quartier Generale delle Forze armate venne diramato in Italia a partire dall’ 11 giugno 1940, giorno in cui venne emesso il n° 1, fino al tragico 8 settembre 1943, per un totale di 1.201 comunicati. Esso, come venne indicato nelle disposizioni ufficiali, a partire dal 15 giugno 1940, sarà diramato alle ore 13 e conterrà tutto quanto concernente lo svolgimento delle operazioni…
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ibrahimalbadriroleplay71 · 2 years ago
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Papa Benedetto XVI (latino: Benedictus XVI; nato Joseph Aloisius Ratzinger; 16 aprile 1927 – 31 dicembre 2022) è stato il capo della Chiesa cattolica e sovrano dello Stato della Città del Vaticano dal 19 aprile 2005 fino alle sue dimissioni il 28 febbraio 2013. come papa si è verificato nel conclave papale del 2005 che ha seguito la morte di papa Giovanni Paolo II. Benedetto ha scelto di essere conosciuto come "Papa emerito" dopo le sue dimissioni e ha mantenuto questo titolo fino alla sua morte nel 2022.
Joseph Ratzinger soldato e la seconda guerra mondiale
Nel 1941 Ratzinger fu comunque costretto ad aderire alla Gioventù hitleriana perché, in quell'anno, i nazisti resero obbligatoria l'adesione all'organizzazione. Aveva 14 anni all'epoca. Tuttavia, ottenne rapidamente una dispensa grazie alla sua formazione in seminario. Eppure due anni dopo, all'età di 16 anni, non riuscì a sottrarsi al servizio militare obbligatorio. Fu inviato a Monaco per sottoporsi ad addestramento come "aiutante antiproiettile", e divenne uno delle migliaia di giovani arruolati nell'esercito durante le fasi finali della guerra. Poco dopo, fu inviato ai margini della capitale bavarese per unirsi a un'unità che proteggeva una fabbrica BMW che produce motori per aerei. Ratzinger insiste di non aver mai preso parte a un combattimento o sparato un colpo, a causa di un dito gravemente infetto. Successivamente è stato inviato in Ungheria dove ha piazzato trappole per carri armati. All'inizio del 1944, decise improvvisamente di lasciare la sua unità, ben sapendo che le unità delle SS avevano l'ordine di sparare a vista ai disertori. Ha registrato il suo terrore quando, dopo aver disertato la sua unità, è stato fermato da altri soldati: "Grazie a Dio erano quelli che ne avevano abbastanza della guerra e non volevano diventare assassini", ha scritto nelle sue memorie. Non ci sono prove che la famiglia Ratzinger si sentisse incline ad aiutare i pochi ebrei rimasti in città, o l'infarinatura di combattenti della resistenza antinazista che osarono opporsi al regime.
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fotopadova · 4 years ago
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Nathan Lerner: lo sguardo fotografico di un pittore “impressionista”
di Lorenzo Ranzato
(prima parte)
--- La biografia
 -- Nato nel 1913 a Chicago - da una famiglia di ebrei provenienti dall’Ucraina ed emigrati negli Stati Uniti - e morto l'8 febbraio del1997, all’età di 83 anni, Nathan Lerner ha potuto vivere tutte le vicende storiche del Novecento. La sua biografia ci restituisce l’immagine di un personaggio poliedrico, con una lunga carriera di fotografo, pittore, designer e docente di arti visive che resta però “indissolubilmente legata alla storia della cultura visiva di Chicago” - come ricorda un’articolo del New York Times, scritto pochi giorni dopo la sua morte.
Lerner inizia a studiare pittura all'età di 16 anni, presso Louis Rittman, seguace della pittura impressionista, e negli anni 1931-32 frequenta l’Accademia delle Arti di Chicago, utilizzando la macchina fotografica per perfezionare le sue abilità compositive.
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© Kiyoko Lerner-Nathan Lerner, The Swimmer, Chicago 1935
A partire dal 1935, inizia a fotografare uno dei quartieri più antichi della città, "Maxwell Street", "gateway" per immigrati, dove convivono ebrei, greci, russi, tedeschi, italiani, afroamericani e messicani. Nel 1936 fa un viaggio fra le città minerarie del sud dell’Illinois con lo scrittore Murray, per un progetto di libro sulle condizioni di vita dei minatori (non realizzato).
Nel 1937, entra a far parte come studente del New Bauhaus, fondato a Chicago da Lazlo Moholy-Nagy nello stesso anno. I suoi interessi si orientano sempre di più verso la sperimentazione fotografica, realizzando immagini semi-astratte e fortemente costruttiviste, ottenute mediante proiezioni luminose, solarizzazioni e altri metodi sperimentali. Il suo interesse nel manipolare la luce lo porta a inventare la prima "scatola luminosa"… Nel 1939 diventa assistente di Gyorgy Kepes, capo dell'officina leggera della scuola, con il quale scrive The Creative Use of Light (1941).
Dopo aver lavorato come esperto civile per la Marina di New York durante la seconda guerra mondiale, Lerner torna alla scuola (che prende il nuovo nome di Institute of Design) e, dopo la morte di Moholy-Nagy nel 1946, diventa direttore della Scuola.
Conclusa la sua esperienza di docente nel 1949, Lerner apre un ufficio di progettazione e diventa noto a livello nazionale realizzando mobili, sistemi di costruzione e contenitori in vetro e plastica. Nel 1955 fonda il Low-Cost Modern, che propone su catalogo “oggetti belli e moderni” a meno di 10 dollari e promuove “il fai da te”, ottenendo un largo successo. Nel 1968 Lerner sposa Kiyoko Asia, pianista di musica classica giapponese, e nei due decenni successivi fa numerosi viaggi in Giappone, dove scatta le sue prime fotografie a colori.
In ambito fotografico, ha realizzato la sua prima mostra personale nel 1973, a cui hanno fatto seguito numerose mostre in Europa al Bauhaus-Archiv di Berlino, a Boston, a New York, a Tokio, a Parigi e in molti altri stati americani. Oggi i suoi lavori sono inclusi in collezioni di fotografia e design di tutto il mondo e molte gallerie americane hanno in portafoglio sue opere fotografiche e artistiche [1].
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© Kiyoko Lerner-Nathan Lerner, Indian picnic, 4th of July, New Mexico
Già le prime fotografie degli anni ’30 ci consentono di comprendere come il linguaggio fotografico di Lerner sia stato influenzato dalla pittura. Quando inizia a fotografare, lo fa come farebbe un giovane pittore “impressionista”: la fotocamera gli serve soprattutto per affinare il senso della composizione artistica e la fotografia diventa “un esercizio dello sguardo”, per rappresentare la realtà così come viene percepita dal suo occhio nel momento in cui scatta. Una pratica singolare - come ricorda Gèrard Audinet [2] - dematerializzata, completamente arroccata sul momento dell’inquadratura e dello scatto, come una sorta di schizzo mentale… Tant’è che gran parte delle sue fotografie non vengono stampate in quegli anni, ma molto più tardi, addirittura dopo gli anni ’60.
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© Kiyoko Lerner-Nathan Lerner, Lilian 1935
Così Audinet commenta il ritratto di Lillian, una giovane donna vista attraverso un vetro di una finestra: “le portrait…s’inscrit également dans cette étude impressioniste d’une vision analytique de la forme à travers l’effet de la lumière” [3].
Lo sguardo impressionista su Maxwell street: un mondo che “si guadagna da vivere”
Dopo questo breve inquadramento, indispensabile per capire il modo di pensare e vedere la fotografia di Nathan Lerner, proviamo a calarci nel mondo multietnico di “Maxwell street”: un quartiere che a partire dalla fine dell’Ottocento, grazie alla presenza degli ebrei dell'Europa orientale, si trasforma in breve tempo in uno dei più grandi Mercati all'aperto degli Stati Uniti, dove si vende qualsiasi cosa, dai lacci delle scarpe ai vestiti costosi.
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© Kiyoko Lerner-Nathan Lerner, Maxwell street 1936-37
È un mondo che “si guadagna da vivere”. Makes a living: questa è l’espressione che usano gli anziani abitanti di Maxwell street, per indicare il percorso di vita degli immigrati che ambiscono a riscattare le loro condizioni di indigenza e guadagnarsi libertà e dignità. Da ciò potrebbe derivare quel misto di distacco ed empatia tipico degli scatti di Natahn Lerner. In fondo anche lui è stato un immigrato, seppur con altri mezzi e capacità individuali che lo caratterizzano come self made man.
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© Kiyoko Lerner-Nathan Lerner, Maxwell street 1936-37
In effetti, tutte le sue “fotografie di strada”, scattate nel corso degli anni ’30, a San Francisco, a New York [4], nel sud dell’Illinois manifestano in varia misura una visione della realtà influenzata dai suoi studi di pittura, in particolar modo dall’estetica impressionista. Si ha la sensazione che lo sguardo di Lerner non sia interessato a documentare, secondo i canoni delle nuove tendenze americane della fotografia sociale, piuttosto: “son intérêt est d’abord plastique, et s’attache particulièrement à la composition et au cadrage [5]”. Ma l’incontro con Lazlo Moholy-Nagy e l’iscrizione al New Bauhaus nel 1937 segneranno una svolta decisiva nella sua successiva formazione di artista, fotografo e designer…e questo sarà l’argomento della seconda parte: l’esperienza fotografica e artistica di Lerner all’interno del New Bauhaus, alle sue sperimentazioni e “all’uso creativo della luce”.
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© Kiyoko Lerner-Nathan Lerner, Bambini e auto 1936
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[1] Nathan Lerner va ricordato anche per aver scoperto e contribuito a far conoscere l'arte di Henry Darger, uno dei grandi artisti stranieri del secolo, il cui lavoro è stato oggetto di una retrospettiva al Museum of American Folk Art di Manhattan, alla fine del secolo scorso. La scoperta del tutto casuale ha dell’inverosimile: appena dopo la morte di Darger nel 1972, Lerner rovistando nella stanza che gli aveva affittato, ha notato che era piena zeppa di fantastici scritti e dipinti… E da quel momento ha iniziato un’altra attività, un altro impegno della sua vita: quello di salvaguardare e divulgare l’opera di Henry Darger.
[2] Gèrard Audinet, “Nathan Lerner, le lumières de la ville”, in Nathan Lerner, l’héritage du Bauhaus à Chicago, Catalogo MahJ 2008. Gèrard Audinet, conservatore del Musèee d’Art Moderne de la Ville de Paris, è l’autore del testo di presentazione del Catalogo, a cui faremo riferimento nel seguito.
[3] Ibidem.
[4] http://nathanlerner.com/articles/maxwell-street.html
[5] Dall’introduzione alla Mostra del Musée d’art et d’histoire du Judaisme (MahJ), 13 novembre 2008-11 gennaio 2009. (https://www.mahj.org/fr/programme/nathan-lerner-l-heritage-du-bauhaus-a-chicago-16027)
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ceneredirose · 6 years ago
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Bruno Ganz  (22 marzo 1941 – 16 febbraio 2019)
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samdelpapa · 4 years ago
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 Italia - Repubblica - Socializzazione
 . da  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=46869 Il mondialismo ebraico-americano da Pearl Harbor a Damasco  don Curzio Nitoglia (24/12/2013) Prologo Nei due articoli sulle cause delle due guerre mondiali (1), pubblicati recentemente nel sito doncurzionitoglia.com, ho parlato delle occasioni create dagli USA per entrare in guerra ed estendere il suo dominio sull'Europa (2). Nel presente articolo cerco di far un po' di luce sulle vicende vicino e medio orientali, che dall'Afghanistan (2001), all'Iraq (2003), alla Libia, alla Tunisia e Siria (2011-2013) ci stanno portando sull'orlo di una guerra mondiale, in cui la posta in palio è il dominio della quasi totalità del globo che l'imperialismo americano e israeliano (3) vogliono estendere anche sul mondo arabo («Nuovo Ordine Mondiale») e di lì arrivare alla Russia di Putin (già intaccata dalle rivoluzioni arancioni del Novanta, pilotate dalla CIA, e riscoppiate proprio in questi giorni in Ucraina (4)) e ad arrestare l'avanzata economica della Cina (5), la quale nel 2004 ha firmato un contratto di scambi economici, concernenti il petrolio ed i gas naturali, di 120 miliardi di dollari con Teheran. Ecco uno dei motivi per cui la Cina si opporrebbe ad un cambio di regime in Siria, che significherebbe la rovina dell'Iran e una grave crisi economica cinese. Si noti che milioni di musulmani qaidisti vivono in Russia ed in Cina. Basta guardare una cartina geografica e si vede che a partire dal Libano -andando verso l'est- si giunge in Siria, da questa all'Iraq, e quindi all'Iran al nord-est del quale si giunge in Russia, la quale a sua volta confina ad est con la Cina e a sud-est con l'Afghanistan. Quindi la caduta della Siria comporterebbe un terremoto nei Paesi confinanti: il Libano ad ovest (vicino oriente), l'Iraq e l'Iran ad est (medio oriente) ed infine la Russia e la Cina (estremo oriente). Dopo di che il «Nuovo Ordine Mondiale» sarebbe concluso e perfetto dall'Atlantico al vicino, medio ed estremo oriente, ossia «a mare usque ad marem». L'ultima occasione sfruttata dall'America, come abbiamo visto, è stata quella della base navale e aerea di 'Pearl Harbor' nel dicembre del 1941. Dopo la fine della seconda guerra mondiale gli USA e l'URSS si impadronirono a Yalta (1945/46) del mondo dividendolo in due blocchi: quello occidentale/atlantico e quello orientale/bolscevico. Il crollo dell'URSS (1989-1991) Con il crollo dell'Impero sovietico, dopo la caduta del «muro di Berlino» e la sconfitta dei sovietici in Afghanistan (1989-1991), la parte orientale del globo si trovava senza un padrone, in preda ad un terremoto geopolitico, con ricadute probabilissime anche sul mondo arabo. Essa poteva essere occupata dagli USA, che erano restati l'unica superpotenza mondiale, la quale dispone tutt'ora nel medio oriente di due alleati di ferro: Israele e l'Arabia Saudita (6), accomunati dall'odio verso il nazionalismo-sociale arabo e l'Iran (7). Ma per entrare in guerra la Costituzione americana esige che gli USA siano attaccati o si trovino sotto un grave pericolo imminente. Quindi doveva presentarsi all'orizzonte americano «una nuova Pearl Harbor». L'11 settembre o la nuova 'Pearl Harbor' L'11 settembre del 2001, con l'attacco alle Due Torri Gemelle (8), l'America ha avuto la sua 'nuova Pearl Harbor', ha invaso l'Afghanistan (7 ottobre 2001) (9) e poi l'Iraq (20 marzo 2003) (10), quindi nel 2011 son scoppiate le rivoluzioni «primaverili» arabe che le hanno dato la possibilità di estendere il suo dominio in Egitto, Libia, Tunisia, ma si è impantanata in Siria, la quale è stata aiutata dall'Iran, dal Libano, dalla Russia di Putin e dalla Cina (11). Gli USA stanno cercando di erigere il 'Nuovo Ordine Mondiale' nel vicino e medio oriente, i quali negli anni Novanta non gravitavano più sotto l'impero sovietico e che solo con la Russia di Putin hanno ritrovato un potente alleato in quest'ultima diecina di anni. Israele (appoggiato dai neocon americani, Kristol, Perle, Wolfowitz, Rumsfeld, Kagan, Pipes, Bennett, Bolton e Leeden (12)) ha elaborato un piano analogo. Nel
febbraio del 1982 il giornalista israeliano Oded Yion ha scritto per il ministero degli Esteri di Tel Aviv un interessante articolo pubblicato sulla rivista israeliana "Kivunim" su La strategia d'Israele negli anni Ottanta del Novecento (13). Tale piano prevedeva già nel 1982 la «dissoluzione della Siria, dell'Iraq e del Libano» (14). Si tratta di una «instabilità costruttiva», la quale si basa su tre pilastri: 1°) creare e gestire conflitti inter-etnici in medio oriente; 2°) favorire lo spezzettamento geopolitico del mondo arabo; 3°) favorire il settarismo salafita, wahabita, qaidista, jihaidista e della 'Fratellanza Musulmana'. La frammentazione del mondo arabo voluta dal Mondialismo Il mondo arabo attuale è stato messo assieme da Francia e Inghilterra alla fine della prima guerra mondiale, con la caduta dell'impero ottomano nel 1917-18 alleato con la Germania e l'Austria-Ungheria, al solo scopo di controllare le zone ricche di petroli e gas naturali (15). L'impero ottomano fu diviso allora in 19 Stati, formati da gruppi etnici e confessioni islamiche non omogenee, in modo tale che vivesse in perpetua instabilità e in un possibile conflitto interno e perciò debole ed incapace di sussistere senza l'apporto delle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale (Inghilterra, Francia e USA) (16). L'Inghilterra il 2 novembre del 1917 aveva promesso all'ebraismo internazionale «un focolare nazionale» (Dichiarazione Balfour) (17), creando così già i primi attriti con il pur variegato mondo arabo (18), che hanno destabilizzato, in gran parte, il vicino e medio oriente ed hanno portato alla situazione attuale. Nel 1920 la Siria cercò di rendersi indipendente dal protettorato francese, ma la Francia invase Damasco il 25 luglio del 1920 e pose fine al disegno «panarabo» siriano di raccogliere attorno a Damasco alcune delle neo-Nazioni arabe, che prima del 1918 facevano parte del grande impero ottomano (19). È importante sapere che già nel 1957 i servizi segreti inglesi e americani avevano stilato un documento congiunto intitolato A Collision Course for Intervention, il quale è stato riesumato nel 2003 dal giornalista Ben Fenton (Macmillan Backed Syria Assassination Plot, in "The Guardian", 27 settembre 2003). Il documento in questione stabiliva per la Siria il seguente progetto: «occorre dispiegare uno sforzo per eliminare alcuni individui-chiave (20), destabilizzare zone interne in Siria. La 'CIA' è pronta, e il 'SIS' (oggi 'MI6') tenterà di montare sabotaggi minori e degli incidenti all'interno della Siria. Gli scontri alle frontiere forniranno un pretesto all'intervento» (21). Dopo la fine della seconda guerra mondiale nel vicino oriente frammentato si troveranno fianco a fianco lo Stato d'Israele (1948), gli Stati nazionalisti e autoritari (Siria, Iraq, Libia e Tunisia), la monarchia ultra islamista ma filo-occidentale (Arabia Saudita (22)) e le sue galassie (Giordania, Egitto e Marocco) (23). I Saud e il wahabismo Per capire quel che succede nel mondo arabo a partire dal 1948 (fondazione dello Stato d'Israele in Palestina) sino ad oggi, è necessario distinguere nell'islam i suoi due rami principali e ufficiali (sunnismo e sciismo) dalle sette scismatiche ed ereticali, che sono specialmente il wahabismo, il salafismo ed hanno come braccio armato al-qa'ida, i 'Fratelli Musulmani' e i jaidisti foraggiati dai sauditi. Queste sette odiano l'islam laico, sociale, nazionalista e pronto a collaborare con le altre confessioni religiose per il bene della Nazione (Iraq, Siria, Libia, Tunisia) e lo combattono per distruggerlo, finanziate da USA e Israele. La guerra in Siria non è una guerra civile, come dicono i media, ma un'aggressione dei wahabiti e sauditi con l'appoggio di USA, Gb e Israele. Perciò il destino della Siria riguarda, nell'immediato, anche quello dei due milioni di cristiani che abitano in essa ed attorno ad essa e, nel futuro, quello del globo intero poiché a partire dalla distruzione della Siria si vuol costruire un «Nuovo Ordine Mondiale» diretto dal giudaismo, dalla massoneria, dal calvinismo americanista e dal
liberismo selvaggio dei neocon, che si servono del qaidismo come testa d'ariete. Perciò, la questione che tratto è di capitale importanza non solo per ogni uomo ma per i cristiani, che sarebbero i primi a rimetterci in caso di vittoria dei wahabiti qaidisti. Infatti dall'Arabia Saudita, nata nel 1932 con il placet dell'Inghilterra, la famiglia regnante al-Sa'ud di confessione wahabita, ha finito per destabilizzare il già fragile equilibrio interno al mondo arabo (24). Infatti i Sauditi sono i paladini all'interno del mondo arabo dell'islam combattente (25), ma nello stesso tempo all'estero sono legati all'occidente anglo/americano e allo Stato d'Israele. Essi, perciò, lanciano l'islamismo radicale wahabita-salafita (26) contro i regimi nazionalistici arabi (sia sciiti che sunniti (27) non-wahabiti), a tutto favore del sionismo (28) e dell'americanismo, mentre all'interno professano un feroce estremismo farisaico/calvinista (29) di stampo petrolifero/islamista, come vedremo meglio innanzi. Giustamente Paolo Sensini ha scritto: «gli Stati del Golfo e l'Arabia Saudita sono fragili contenitori che racchiudono solo petrolio» (30). Wahabismo salafita contro nazionalismo arabo Si badi bene che il wahabismo e il salafismo cercano di nascondersi dietro il sunnismo e si presentano come avversari dello sciismo, ma in realtà non hanno nulla a che vedere neppure con il sunnismo. Infatti il wahabismo è un'eresia e una setta islamica, scissa sia dal ramo sunnita che da quello sciita, fondata da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792) e già allora ostile ai sunniti, inoltre Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab, è ritenuto dagli storici dell'islam comunemente un «marrano» (in arabo «ma 'min» e in turco «donme») ossia un cripto-ebreo (cfr. W. Madsen, The Donme, in «Strategic Culture Foundation», 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010). Quanto all'ideologia salafita il suo fondatore è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah(cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Nel 1924 quando i wahabiti conquistarono la Mecca massacrarono i sunniti che vi abitavano. Ora l'islam si è definitivamente diviso nel 680, quasi subito dopo la morte di Maometto (632), in due rami principali: il sunnismo (che comprende circa l'80% dei musulmani, cioè 680 milioni di persone) e lo sciismo (che ne comprende circa il 16 %, vale a dire 130 milioni), mentre il wahabismo rimonta al 1700 e il salafismo al 1800, cioè circa 900/1000 anni dopo la morte di Maometto e la divisione in due rami dell'islam. I 'Fratelli Musulmani' addirittura risalgono al 1928. I media ci presentano il wahabismo come la vera tradizione islamica, invece esso si presenta e si considera come sunnita, ma in realtà è considerato dagli storici delle religioni una setta scismatica dell'islam, che «si pone agli antipodi della tradizione islamica. Si tratta di un settarismo che, grazie alle enormi disponibilità finanziarie dei Saud, si fa passare per 'islam sunnita', ma che non lo è affatto e si attribuisce da sé la qualifica di 'autentico islam' in contrasto con ogni altro ramo dell'islamismo» (La storica visita del presidente iraniano al Cairo: Ahmadinejad piange sulle tombe dei pii musulmani, in "European Phoenix", 6 febbraio 2013 (31)). Una probabile terza guerra mondiale? Il giudice Ferdinando Imposimato ha scritto un interessantissimo libro (La grande menzogna. Il ruolo del Mossad, l'enigma del Niger-gate, la minaccia atomica dell'Iran, Roma, Koinè Nuove Edizioni, 2006). In esso, con documenti alla mano, spiega la genesi degli attentati dell'11 settembre 2001, la guerra all'Iraq del 20 marzo 2003 e la probabilmente futura guerra (nucleare) all'Iran, che scatenerà una catena di ritorsioni nucleari, capaci di sconvolgere la faccia della Terra. Il magistrato parte da un recente attacco verbale contro l'ONU (Firenze, 12 novembre 2005) da parte di
Michael Ledeen (personaggio legato alla Loggia massonica P2 e al SISMI) e Richard Perle, entrambi neoconservatori americani, che dietro imput di Cheney e Rumsfeld, vogliono lanciare l'attacco atomico contro l'Iran, mettendo prima a tacere le resistenze delle Nazioni Unite. Richard Perle è «un ebreo legato al Likud, partito di estrema destra israeliana» (p. 20) e specialmente con Benjamin Netanyahu ha scavalcato a destra anche Ariel Sharon, troppo moderato verso i palestinesi. Assieme a Michael Ledeen, egli dirige l'American Enterprise Institute «noto anche in Italia per i contatti con la P2 e i servizi segreti italiani» (p. 22). Imposimato, citando Albert Einstein, si chiede: «esiste il rischio di un conflitto nucleare di portata apocalittica, che porterebbe alla fine 2/3 dell'umanità?» (p. 25). Egli risponde affermativamente, asserendo inoltre che l'Iran e la Siria sono i prossimi obiettivi dell'America. Quanto alla 2ª guerra contro l'Iraq, essa non fu la conseguenza dell'11 settembre 2001, ma «fu decisa molto tempo prima dell'attacco alle Torri gemelle» (p. 26), verso il 1999/2000. Tale guerra fu fatta «per conquistare le risorse petrolifere del medio oriente ed allargare il dominio degli USA, offrendo protezione ad Israele, esposta al rischio di un nuovo olocausto» (p. 27). Inoltre, prosegue Imposimato, è falso che «tutto sia cominciato con l'11 settembre 2001». Infatti già nel febbraio del 1993 «un camioncino con 700 chili di semtex esplose nel parcheggio del WTC» (p. 99). Il 7 agosto 1998 «alcuni camion di esplosivo con kamikaze devastarono le ambasciate americane di Nairobi in Kenia e Dar Es Salam in Tanzania» (p. 100). Infine ci fu l'informazione ricevuta dall'FBI nell'agosto 2001 di «attacchi terroristici imminenti, su larga scala, contro obiettivi altamente visibili» (p. 103). Dunque, conclude il giudice, si conosceva, e si era già costatato sin dal 1993, la capacità operativa del terrorismo anche in terra americana; ma si è voluto lasciar fare, per attaccare guerra in medio oriente, come a Pearl Halbor nel XX secolo contro il Giappone, e sulle coste di Cuba nel XIX secolo contro la Spagna. Secondo Imposimato (che dimostra sempre quel che scrive), «un governo mondiale invisibile muove le fila dei governi nazionali (…). Tutto ciò con l'avallo dell'estrema destra ebraica, il Likud…, dietro gli eventi del terzo millennio vi è un gigantesco complotto ordito per giustificare la guerra all'Iraq e preparare quella all'Iran» (p. 27). Dopo lo smacco subito in Iraq, l'America penserebbe di impiegare «armi nucleari di tipo nuovo, piccole bombe atomiche ad effetto territoriale limitato» (p. 32). George W. Bush «si avvale di consiglieri preziosi, come Karl Rove, ebreo legato al Likud, e come Dick Cheney, che ha al suo fianco Lewis Libby, anche lui ebreo vicino a Bibi Netanyahu, capo del Likud. A decidere non è solo Bush, ma lui e il suo staff, che serve anche altri padroni (…). Bush, manovrato da Cheney e Rove, pedine di Netanyahu, intende dominare il mondo con la forza e a furia di guerre preventive può coinvolgere anche l'Europa, a partire all'Iran» (p. 35). Imposimato scrive che «Bin Laden e al-Qa'ida avevano preparato e organizzato…, la sfida militare agli USA» (p.40). Ma ammette anche che «del piano sapevano in molti, e primo tra tutti il Mossad, con infiltrati ovunque, e non fecero nulla per impedire l'evento… Dall'11 settembre, il sostegno dell'America a Israele fu automatico» (p. 40). Inoltre lo scandalo dell'uranio che Saddam avrebbe voluto comprare in Niger, per prepararsi la bomba atomica, risulta essere un falso, preparato nel 2000, da un ex agente dei servizi segreti italiani e poi rilanciato dall'Inghilterra. Esso ha costituito la famosa «canna fumante» per scatenare la guerra all'Iraq che non poteva esser tirato dentro l'11 settembre, poiché estraneo alla mentalità di al-Qa'ida (cfr. pp. 41-54).Tuttavia, questa volta, la forza militare e nucleare iraniana è reale e «non può essere sottovalutata» (p. 82). Infatti «il potenziale militare dell'Iran è notevole. Teheran è in possesso di più di 500 missili
balistici Sheab-1 e Sheab-2 con una gittata da 300 a 500 km; e di un numero indeterminato di Sheab-3 che hanno una portata di 3000 km ed una carica esplosiva di 700 kg e sono in grado di raggiungere le città e le basi israeliane» (pp. 152-153). «Manca la certezza della vittoria» (p. 83) ed è solo per questo che non è ancora stata ingaggiata guerra. Inoltre, con Ahmadinajead al potere in Iran, la vittoria di Hamas in Palestina, gli Hezbollah in Libano diretti dalla Siria, si corre verso uno scontro frontale con Israele, alimentato da sionisti, neoconservatori americani e per contrapposizione da al-Qa'ida e Bin Laden. Penso -data anche l'attuale situazione creatasi in Siria, Libano e Turchia- che sia certa la guerra, resta incerto solo chi attaccherà per primo: il blocco arabo anti-israeliano oppure il sionismo-americanista? Purtroppo, uno dei due lo farà sicuramente, scatenando la reazione dell'altro, che porterà alla catastrofe nucleare mondiale. Imposimato ci ricorda che «l'Italia, secondo le dichiarazioni del generale James Jones al "New York Times", sarebbe immediatamente coinvolta nel conflitto nucleare più di altri Paesi. Essa, infatti, ospita da Aviano e Ghedi, per conto della NATO, 90 armi atomiche di cui 50 in dotazione di aerei statunitensi e 40 di aerei italiani… L'Italia rappresenta, dunque, un obiettivo nucleare dei nemici dell'America» (p. 135). Il magistrato conclude così il suo libro: «È prevedibile una serie di reazioni a catena dopo l'attacco all'Iran… Sarebbe l'apocalisse più volte evocata da Einstein» (p. 151). L'alawismo siriano e il wahabismo Ritornando alla Siria, essa non è anti-sunnita, come scrive comunemente la stampa politicamente corretta, ma anti-wahabita. In Siria i sunniti godono di piena libertà religiosa e il presidente siriano Bashar al-Assad partecipa regolarmente alle celebrazioni sunnite. Invece in Arabia Saudita è proibito insegnare la teologia sunnita tradizionale. Bashar al-Assad è nusayrita o alawita. Muhammad ibnNusayr, il fondatore del nusayrismo o alawismo, nell'872 si separò dallo sciismo e assieme ai suoi seguaci emigrò in Siria dall'Iraq. I nusayriti o alawiti sono una corrente dello sciismo di circa 1 milione di persone che vivono in Siria e nelle valli del Libano. «È grottesco che la pretesa di difendere i sunniti siriani venga proprio dall'Arabia Saudita, un regime diretto da una setta ignorante e fanatica, che ha perseguitato e assassinato i sunniti per oltre 200 anni» (32). I nusayriti si distinguono per la loro dottrina del giusto mezzo tra lo zelo esagerato («gulùw») e la negligenza («gafà») nell'osservanza dell'islam. Essi sono stati accusati dai movimenti estremisti di miscredenza («kufr») peggiore di quella degli ebrei e dei cristiani. Gli alawiti trasferitisi in Siria adottarono ivi degli elementi cristiani, si aprirono ad una certa accettazione della SS. Trinità (ma'nà, ism, bàb), festeggiano l'Epifania e la Pentecoste, hanno numerose cerimonie simili alla Messa cattolica (cfr. Mircea Eliade, Enciclopedia delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 17-18). Il movimento wahabita-salafita predica l'odio e la guerra civile inevitabile tra i rami dell'islam, favorendo la politica anglo/americana e israeliana del divide et impera. Il wahabismo-salafita ha vari bracci armati, i 'Fratelli Musulmani' (33), i qaedisti, i talebani, che lanciano una guerra santa non contro l'occidente, ma contro i regimi nazionalisti arabi sia sciiti che sunniti. Si noti che il wahabismo è stato fondato da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792), ritenuto comunemente un «marrano», ossia un cripto-ebreo, che ha fatto finta esteriormente e pubblicamente di essere musulmano mentre in privato era rimasto ebreo, così come pure il primo re saudita 'Abdal-'Azizibn Sa'ud (1902-1969) (34). Non deve perciò stupire più di tanto l'alleanza tra il wahabismo e il sionismo. Infatti il wahabismo è religiosamente zelota, fanatico, farisaico e marrano; politicamente collaborazionista dell'occidente e del sionismo; socialmente liberista (35), economicamente calvinista (36) e affamatore dei poveri. Quindi
esso è capace di fornire all'America e a Israele una massa di sudditi consenzienti, sottomessi e quiescenti nella lotta contro il nazionalismo sociale arabo moderatamente islamico. Certamente all'interno dell'Arabia Saudita la monarchia Saud ha creato un'enorme povertà di massa, ma ha saputo dirottare verso l'esterno (nazionalismo arabo) il malcontento dei suoi sudditi, totalmente sottomessi ai Saud, e senza saperlo agli USA e a Israele (37). Stéphane Lacroix ha ben capito e descritto il ruolo del wahabismo saudita: «esso 1°) conferisce una forte identità ad una massa di individui alienati e impoveriti; 2°) una visione del mondo certa e assoluta, sino al manicheismo, diviso in bene e male assoluti; 3°) fornisce un surrogato di protesta contro l'ordine stabilito in Arabia Saudita, trasferendolo altrove; 4°) garantisce un rifugio spirituale e ideologico ad una massa altrimenti incerta e diseredata; 5°) promette una vita migliore anche su questa terra redenta dall'islam wahabita e jiaidista» (LesIslamistes Saoudiens, Parigi, PUF, 2010; Id. Islam in Revolution, New York, Syracuse University Press, 1995, p. 49). Il salafismo-wahabita predicando la necessità della jahd tra i diversi rami dell'islam ritiene come al-Qa'ida e Osama bin Laden (38) che ogni vero musulmano (wahabita) ha il dovere di uccidere gli infedeli, compresi i sunniti e gli sciiti. Inoltre dopo la cacciata dei sovietici dall'Afghanistan i media americani hanno tramutato i qaidisti da ex eroi anticomunisti in acerrimi nemici dell'occidente durante l'invasione americana dell'Afghanistan (2011), riempiendo il vuoto lasciato dal crollo dell'URSS e fornendo una giustificazione lungo gli anni Novanta al riarmo degli USA e all'occupazione di enormi aree strategiche per ripresentarli poi nel 2011 come i neo-patrioti contro il dittatore siriano. Di fatto molte formazioni terroristiche, violente, ramificate e ben organizzate sono marionette di alcune superpotenze che tramite i loro servizi segreti (CIA, MI6, Mossad) le riforniscono di armi, le addestrano e le supportano (39). Giovanni Filoramo spiega che il wahabismo ha suscitato una certa diffidenza i sunniti, dato il suo zelo eccessivo, esaltato, che risultava intollerabile alla mentalità sunnita tradizionale. Esso ha potuto sussistere solo grazie all'alleanza, stipulata nel 1744, con lo sceicco IbnSa'ud della casa reale Saudita e alle sue ingenti ricchezze. La polemica dei sunniti contro il wahabismo si fonda soprattutto sull'atteggiamento manicheo e farisaico dei wahabiti, i quali disprezzano tutti gli altri islamici (sunniti e sciiti) come non veri musulmani e ritengono solo se stessi l'unico vero islam (come il fariseo che sale al Tempio a pregare Dio disprezzando in cuor suo il pubblicano e tutti gli altri uomini). I teologi sunniti e sciiti ritengono che il wahabismo sia un'eresia scismatica islamica, fondata su un settarismo intemperante e fanatico, pronto a scomunicare e uccidere tutti quelli che non condividono le loro idee, in quanto ritenuti infedeli e politeisti e quindi degni di morte (cfr. G. Filoramo, Islam. Storia, dottrina, tradizioni, Bari, Laterza, 2005, pp. 260-261). Mircea Eliade sottolinea il carattere di alleanza tra wahabismo e sauditi fondato sulla divisione dei compiti: la dottrina ai wahabiti e la politica ai Saud per cui ne è nata una setta con due facce: l'una ferocemente integralista in religione (wahabismo) e l'altra pragmatica e pronta al compromesso politico (Saud); cfr. Enciclopedie delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 684-685. Importanza teologico/escatologica della Siria nell'islam Paolo Sensini (Divide et impera, cit., p. 265) scrive che per i salafiti e i wahabiti la Siria come è oggi non esiste: essa sarebbe solo un'espressione geografica ed anzi una creazione degli infedeli, come l'Iraq. Infatti secondo il salafismo il nazionalismo, anche arabo e musulmano, che si consacra alla prosperità del proprio Paese, commette un peccato di «associazionismo» (in arabo «shirk»), ossia associa all'unico vero Dio, Allah, una miriade di false divinità o idoli, come la Nazione, la
Patria, il Popolo. I nazionalisti arabi violano il dogma religioso dell'Unicità divina (in arabo «tawhid») e quindi meritano la morte. Per i salafiti l'unica azione lecita pro Patria è la jihad o guerra santa per conquistare all'islam il medio e vicino oriente e poi il mondo intero. Il panarabismo nazionalista musulmano moderato laico e sociale è, sempre per il salafismo, un sacrilegio in quanto distrugge il dogma della madre patria musulmana in tutto l'orbe (in arabo «umma») (40). Inoltre la Siria per l'escatologia jiadista islamica rappresenta l'ultimo campo di battaglia, ossia la terra della resurrezione e del giorno del giudizio divino. Damasco, storicamente, ha un valore enorme per l'islam jihadista poiché sino al 750 fu la capitale del primo califfato, quello omayyade (41), che secondo il salafismo deve essere esteso a tutto il mondo, mediante la «guerra santa», ed oltrepassare le singole Nazioni ed anche l'Arabia intera (42). In questa divisione dell'impero ottomano a macchia di leopardo sono stati creati ad arte alcuni piccoli Stati opulenti (Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), che concentrano in sé la quasi totalità della ricchezza disponibile, mentre un'enorme massa di diseredati vive nella più completa indigenza per mantenere l'intera regione araba in uno stato di continua agitazione e perpetua strisciante guerra clandestina che la indebolisca e la renda facile preda degli interessi israeliani e statunitensi (P. Sensini, Divide et impera, cit., p. 39). La Siria è considerata comunemente il cuore del nazionalismo arabo o «panarabismo», fondato sull'islam non religiosamente integralista, ma politicamente antisionista ed antiamericanista, analogamente ai regimi autoritari come l'Iraq e diametralmente contrapposta al wahabismo saudita. Perciò la «primavera araba» è stata un colpo di Stato dell'islamismo wahabita e al-Qa'idista estremista contro i popoli e le Nazioni dei Paesi arabi non soggetti a Israele e agli USA (43). Come si vede il salafismoqaidista e jiaidista è radicalmente anti-nazionalista ed anti-panarabo. Di qui la guerra dei musulmani radicali contro la Siria, la Libia, il Libano, l'Iraq e la Palestina e l'estrema ferocia con cui si combatte da parte salafita il regime di Bashar al-Assad, con il sostegno del calvinismo massonico americanista e del fariseismo zelota sionista (44). Nell'ottica salafita il governante non è l'autorità in quanto legittimamente eletto, ma esso è l'autorità legittima in quanto «giusto» o santo, ossia integralmente salafita. Se il governante non è «giusto» o santo, cioè colui che governa secondo gli stretti dettami della legge divina, non è l'autorità legittima (45). Non deve, quindi, destare meraviglia se il nemico principale della Siria è l'Arabia Saudita (assieme allo Yemen, all'Oman e al Qatar (46)), mentre suoi alleati sono il Libano, la Palestina, l'Iraq e l'Iran. Anzi proprio per disintegrare l'asse dell'islamismo religiosamente moderato, ma politicamente nazionalista, che impediva la creazione, nel secondo dopoguerra mondiale, del «Nuovo Medio Oriente» (47) da inglobarsi nel «Nuovo Ordine Mondiale», gli USA e Israele si son serviti del wahabismo saudita e della jihad afgano/qaidista per abbattere -con una «guerra santa»- la Libia, la Tunisia e poi la Siria, la quale resiste ancora, anche in quanto appoggiata da Libano (Hezbollah), Palestina (Hamas), Iran, e specialmente Russia e Cina. Vedremo più avanti perché. Inoltre la Siria è il tallone d'Achille o il punto debole dell'alleanza che va dal Libano all'Iran. Quindi si cerca di abbatterla per poi colpire il Libano e l'Iran. Infine il piano destabilizzante riguardo il medio oriente non prevede, come scrive il generale Fabio Mini, «una Siria senza al-Assad, ma nessuna Siria» (48). Paolo Sensini, nel suo interessantissimo libro 1°) si chiede come mai l'antagonismo occidente/islam radicale è riuscito nel 2011 a far fronte comune per difendere la democrazia contro i governi autoritari e nazionalisti del mondo arabo 2°) osserva che l'islamismo wahabita radicale filo-occidentale è una sorta di ossimoro perché rappresenta un
fronte comune assai eterogeneo in quanto comprende l'interventismo mondiale statunitense, il neo-colonialismo franco/britannico, il fariseismo settario e 'petrol/dollifero' del wahabismo; 3°) si domanda come mai gli emirati si sentono minacciati dall'Iran e non da Israele, che pur essendosi auto-definito come «l'unica democrazia del vicino oriente» si è alleato con l'Arabia Saudita e gli emirati arabi, che sono monarchie dispotiche e tiranniche 4°) si chiede infine come mai i cristiani viventi in Siria si sentono minacciati dall'esportazione della democrazia americana ed europea tramite i sauditi mentre si sentono protetti dal dittatore siriano al-Assad? (Divide et impera, cit., p. 37-38). Sensini abbozza una prima e breve risposta: non si tratta di esportare la democrazia, ma di impadronirsi del petrolio e del medio oriente per costruire il Mondialismo globalizzante. Per far ciò occorre mascherare un fine così materiale (il petrolio e la terra) dietro un ideale umanitario, ossia l'esportazione della democrazia nel mondo arabo autoritario nazional/sociale moderatamente islamico, che rappresenta il nuovo impero del male dopo il crollo dell'URSS e che è esportatore per sua natura di uno «scontro di civiltà» tra islamo/fascismo e giudeo-«cristianesimo/calvinista» in cui la lotta contro l'imperialismo sionista e americano non ha nulla a che vedere. Bernard Lewis lancia lo «scontro di civiltà» nel 1976 Di questo «scontro di civiltà» ne ha parlato per primo lo storico dell'università di Princeton, nonché membro del 'Bilderberg club' ed ex ufficiale dei servizi segreti britannici, Bernard Lewis (The Return of Islam, in "Commentary", gennaio 1976, pp. 39-49) che ha ripreso il tema di quest'articolo nel 1979 durante la Conferenza del 'Bilderberg club' ed ha lanciato il piano di una strategia anglo/americana in alleanza col movimento wahabita e coi Fratelli Musulmani (49) per promuovere una balcanizzazione o «libanizzazione» dell'intero mondo arabo, basandosi sulle rivalità etniche e religiose, intrinseche alla sua riedificazione, scientemente volute dall'imperialismo ottocentesco dell'Inghilterra e della Francia dopo il crollo dell'impero ottomano, ed analogamente - nel Novecento/Duemila - dal neo imperialismo degli USA e d'Israele, che stanno ridisegnando il nuovo medio oriente in maniera ancor più frammentata ed esplosiva al suo interno in vista della costruzione del «Nuovo Ordine Mondiale». Successivamente Bernard Lewis, che era divenuto -con l'amministrazione Reagan, Bush padre e figlio- un pezzo grosso del Dipartimento della Difesa americano, scrisse nel 1992 un memoriale per la rivista "Foreign Affairs" del 'CFR' titolato Rethinking the Middle East (Ripensare il medio oriente). In quest'articolo Lewis prospettava una politica nuova verso il medio e vicino oriente: finita la guerra fredda con l'URSS, egli individuava nel fondamentalismo qaidista e wahabita, nemico del nazionalismo arabo e dell'islam moderato e laico, un elemento destabilizzatore e frantumatore dell'unità geopolitica del medio oriente per poterlo «libanizzare» o balcanizzare, ossia governarlo grazie alla divisione tra le tribù e le etnie che lo compongono messe in guerra permanente l'una contro l'altra. L'analista politico e storico statunitense Webster Tarpley scrive che «dal 1945 gli USA e i satelliti della NATO si sono sistematicamente contrapposti all'alternativa ragionevole del nazionalismo laico e sociale negli Stati arabi moderatamente islamici (chiamato dai neocon «islamo/fascismo»), mentre hanno favorito immancabilmente le alternative fondamentaliste, preferendo quelle più retrive e farisaiche per disgregare il medio oriente. Non si tratta di errore, ma di una ben precisa scelta politica imperialista» (50), che seminando la divisione nel mondo arabo lo governa secondo l'adagio degli antichi Romani: «dìvide et ìmpera». Paolo Sensini commenta che appena gli USA hanno cominciato ad esercitare la loro egemonia sul medio oriente, i 'Fratelli Musulmani' erano già presenti quali umili servitori degli USA per seminare l'odio tra sunniti e sciiti, sposando
l'ideologia settaria wahabita e salafita (51). Il medio oriente è strategicamente di capitale importanza per il mondialismo e la globalizzazione. Infatti esso è confinante con l'URSS, contiene i ¾ del petrolio mondiale, ed è già in conflitto costante con uno degli Stati più potenti del mondo, Israele. Si capisce che entrare pienamente nel medio oriente equivale a iniziare a mettere i piedi nella Russia, a bloccare l'avanzata economico/finanziaria cinese e a governare quasi tutto il mondo. È per questo che la Russia di Putin e la Cina sono intervenute con le loro flotte per impedire l'attacco dell'America e d'Israele contro Siria e Libano. Il delirio d'onnipotenza ebraico foriero di catastrofi Ma sino a quando gli USA riusciranno a temperare gli ardori del fanatismo zelota di Israele e Netanyahu? Solo Dio lo sa! Infatti il giudaismo è vittima di un delirio di onnipotenza, poiché si ritiene ancora l'eletto, il superiore e il prediletto tra tutti i popoli. Martin Buber scrive: «l'umanità ha bisogno del giudaismo, perché esso è l'incarnazione delle più alte aspirazioni dello spirito» (52), ed Emmanuel Lévinas continua: «L'ebraismo è necessario all'avvenire dell'umanità (…), esso è come una scala vivente che raggiunge il cielo» (53). Pierre Lévy spiega che «gli ebrei possono essere di destra o di sinistra, liberali, marxisti o ortodossi, credenti o atei, ma non possono non essere partigiani dell'Impero globale d'Israele» (54). Questa è l'unità del giudaismo rabbinico, apparentemente differenziato ma sostanzialmente uniforme; essa è una «utopia di cui l'ebraismo vive» (55) e tale scopo sta per essere raggiunto con il mondialismo, la globalizzazione e il «Nuovo Ordine Mondiale», che hanno avuto il loro exploit con le due guerre del Golfo persico (1991, 2003), ma che hanno segnato anche l'inizio della decadenza degli USA e probabilmente - nell'immediato - anche di quella d'Israele, che si appresta ad affrontare militarmente Iran, Libano, Siria e Palestina. Anche perché la cruda verità, come scrive il generale Fabio Mini, è che gli americani giocano con l'immagine falsata di un'autorità che non hanno su Israele: «quando dicono di concedere un sostegno politico a Israele in realtà si tratta di sottomissione alla potente lobby ebraica» (Mediterraneo in guerra, cit., p. 174 (56)). Hungtinton rilancia lo «scontro di civiltà» nel 1993 Quest'idea dello «scontro di civiltà» è stata ripresa recentemente da Samuel Hungtinton prima (nell'estate del 1993) in un articolo su "Foreign Affairs", la rivista del 'CFR', intitolato The Clash of Civilizations? e poi elaborato nel 1996 in un libro noto a tutti: Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, tr. it., Milano, Garzanti, 1997. Lewis riteneva di dover mettere l'estremismo wahabita e qaidista musulmano contro l'URSS per impedire ad essa di esercitare un forte influsso nell'area del mondo arabo, visto che gli estremisti musulmani avrebbero diffidato dell'URSS atea più ancora che degli USA solamente agnostici, i quali avrebbero potuto godere delle lotte tra islam radicale e URSS e, come si sa, «tra i due litiganti il terzo gode». La dottrina Lewis (57) (1976/79, 1992) ha fatto scuola tra i servizi segreti americani, britannici, i neocon (58), l'amministrazione Reagan (1980) e poi è stata rivista da Huntington (1993/1996) con l'amministrazione Bush (1990-2002) e non ha cessato di farsi sentire in pratica (anche se non sbandierata in teoria) con l'amministrazione Barak Obama, che nel vicino e medio oriente prosegue praticamente la politica di Reagan e Bush, mentre se ne distanzia solo a parole. Trozkismo e neoconsevatorismo Paolo Sensini scandaglia la comune radice trozkista (59) dei neoconservatori o «sion-con» americani (quasi tutti di origine ebraica (60)). L'idea di Trotskij della rivoluzione comunista permanente e universale è stata mutuata dai neocon ed applicata al vicino e medio oriente come esportazione della democrazia americana nel mondo intero quale fattore di lotta permanente e destabilizzatrice delle Nazioni che si vogliono dominare dopo averle sprofondate nel caos
(Divide et impera, cit., p. 48). Quest'idea ha influenzato e quasi determinato la decisone di Bush padre e figlio d'invadere l'Afghanistan (7 ottobre 2001) e l'Iraq (20 marzo 2003) e puntare poi sulla Libia, Tunisia, Egitto per giungere alla Siria, all'Iran, alla Russia e ridimensionare l'emergere del potere economico cinese. I neocon vogliono fondare una politica estera di tipo trozkista, che esporti la rivoluzione e il caos permanente e una politica interna agli USA di tipo psico-poliziesco «staliniano» condito dalla concezione affaristica del liberismo selvaggio di Milton Friedmann (61), che soffochi le persone con uno stato di «psico-polizia» per prevenire un nuovo 11 settembre e per gettare nella povertà la piccola e media classe con i mutui senza condizioni, che portino all'indebitamento i cittadini ai quali le banche toglieranno ed esproprieranno i mezzi di sussistenza privata. La trappola dell'Afghanistan: «il cimitero degli eserciti» Zbnigniew Brezinski, consigliere per la sicurezza degli USA, ha ammesso in un'intervista (V. Jauvert, Lesrévelations d'un ancien conseiller de Carter: «Oui, la CIA est entrée en Afghanistan avant le Russes», in «Le Nouvel Observateur», n. 1732, 15-21 gennaio 1998, p. 76) che il presidente americano Jimmy Carter il 3 luglio 1979 firmò la prima direttiva per fornire appoggio militare, tramite la CIA, ai mujahidin afgani oppositori del regime filosovietico di Kabul. Questo passo, racconta Brezinski, spinse fortemente l'URSS ad invadere l'Afghanistan (considerato dagli strateghi «il cimitero degli eserciti nemici») il 24 dicembre 1979 e a cadere nella trappola di una guerra durata circa 10 anni da cui l'URSS uscì nel 1989 con le reni spezzate e che segnò il declino dell'impero sovietico. Il crollo dell'URSS valeva l'appoggio ai talebani. Si capisce perché la Russia di Putin ora sostenga la Siria con tanta fermezza e quale sia l'importanza dell'esito dell'aggressione alla Siria: il 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele, degli USA e del fondamentalismo wahabita. La questione della Siria ci riguarda non solo come uomini sociali o politici, ma anche e soprattutto come cattolici romani, che nulla hanno a che spartire con i «cristianisti» americano/calvinisti o «teo/sion/conservatori». Circa agli inizi del 1992 l'America iniziò a formulare una nuova fase della sua politica estera, che è arrivata al suo pieno svolgimento dopo l'11 settembre del 2001. Infatti nel 1992 Dick Cheney (il segretario alla Difesa degli USA) diede incarico a Paul Wolfowitz (il numero tre del Pentagono) di redigere il Defense Planning Guidance (Guida al piano di difesa), chiamato anche «piano per governare il mondo» (Plan for Global Dominance). Questo documento del 1993, che in seguito è stato comunemente chiamato «la Dottrina Wolfowitz» (riprendeva il pensiero di Bernard Lewis, 1976 e Samuel Huntington, 1993), è comparso quasi subito dopo il crollo dell'URSS a causa della disfatta in Afghanistan; esso fondeva inseparabilmente e sempre più strettamente gli interessi americani e quelli sionisti servendosi del wahabismo per evitare che sorgesse un nuovo rivale a rimpiazzare l'URSS in medio oriente. Gli USA erano oramai convinti di essere soli al vertice del potere mondiale: militarmente, economicamente, tecnologicamente e «culturalmente». Perciò bisognava cavalcare l'onda della lotta culturale tra occidente giudaico/calvinista contro il mondo arabo, servendosi dell'integralismo wahabita-salafita contro i regimi nazionalistici («islamo/fascismo») e autoritari del vicino e medio oriente. Infatti Hungtinton come Lewis pensava che le lotte del XXI secolo non sarebbero state determinate soprattutto da interessi economici o sociali, ma soprattutto «culturali», ammesso che si possa parlare di una «cultura» americana e non piuttosto di una «tecnica» o «pratica». La domanda di Lewis, Hungtinton, Wolfowitz era la seguente: come dividere il mondo, e specialmente quello arabo, dopo il crollo dell'URSS per governarlo e dominarlo totalmente? La risposta consisteva nell'asserzione di dover destrutturare le sovranità
nazionali, anche in medio oriente (la vecchia Europa le aveva già perse nel 1945(62)) e ricomporre il tutto in un mosaico di etnie, religioni e staterelli in perpetuo conflitto tra loro per esercitare la leadership americana, come scrisse senza troppa ipocrisia il "The San Francisco Chronicle" del 26 settembre 2001. In effetti, commenta Paolo Sensini (cit., p. 65), ovunque si trova al- Qa 'ida, seguono a ruota l'esercito statunitense e le grandi imprese economico/finanziarie. In breve gli USA volevano promuovere un «Nuovo Ordine Mondiale» dal caos del medio oriente, secondo il motto della massoneria «ab caohordo» (63). Tuttavia l'idealistico e «culturale» (o meglio «prammatico») scontro di civiltà fungeva da paravento per nascondere interessi molto più prosaici, ossia il dominio della terra che contiene i grandi giacimenti petroliferi ed i gas naturali mediante una barbarica dissociazione delle società civili. don Curzio Nitoglia Note 1) "La fonte ed il fine delle due guerre mondiali"; "Tre occasioni create dagli usa per entrare in guerra". 2) Cfr. S. Romano, Anatomia del terrore, Milano, Rizzoli, CS, 2004. 3) Cfr. P. Serra, Americanismo senza America, Bari, Dedalo, 2002; O. Foppiani, La nascita dell'imperialismo americano, Roma, Settimo Sigillo, 1998; A. Jennings, La creazione dell'America, Torino, Einaudi, 2003; M. Molinari, George W. Bush e la missione americana, Bari, Laterza, 2004G. Alivi, Il secolo americano, Milano, Adelphi, 1996 G. Batault, Judaisme et Puritanisme, rit., Waterloo, Javelot, 1994; A. Donno, Gli Stati Uniti, il sionismo e Israele, Roma, Bonacci, 1932; . 4) Cfr. M. Blondet, Stare con Putin, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2004. In Russia vi sono jihaiddisti ceceni che osteggiano fortemente Putin e che sono entrati in Siria per combattere al-Assad; cfr. M. Adomanis Chechen Volunteers in Syria, in "Forbes", 24 luglio 2012. Il venerdì 12 ottobre 2012 lo sceicco al-Qaradawi, che nel febbraio 2011 aveva lanciato una fatwa condannando a morte Gheddafi, ha gridato dallo schermo della TV qatarinaAljazeera: "La Russia è il nemico numero uno dell'islam" ed ha incitato i musulmani alla lotta contro russi, cinesi e iraniani perché sostengono la Siria. (Cfr. "Al Madanar", 13 ottobre 2012). 5) In questo articolo mi baso sull'ottimo libro di Paolo Sensini, Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel vicino e Medio Oriente, Milano, Mimesis, 2013 ([email protected]) e lo integro qua e là, invitando il lettore a studiare attentamente quest'opera, la quale getta una luce abbastanza forte sulle vicende attuali nel medio oriente, che potrebbero portare a un 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele e USA con il wahabismo saudita quale vassallo. 6) Cfr. Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 7) S. Ritter, Obiettivo Iran: perché la Casa Bianca vuole una nuova guerra in Medio Oriente, Roma, Fazi, 2007. 8) G. Chiesa, Zero2. Le pistole fumanti che dimostrano che la versione ufficiale sull'11/9 è un falso, Milano, Piemme, 2011; M. Blondet, 11 settembre 2001: colpo di Stato in USA, Milano-Viterbo, Effedieffe, 2002. 9) Si calcolano circa 4 milioni e mezzo di morti afghani nella guerra mossa dagli USA all'Afghanistan il 7 ottobre 2011. Cfr. G. Polya, 4, 5 Millions Dead in Afghan Genocide, in "Afghan Holocaust", 2 gennaio 2010. 10) Si contano circa 3 milioni e mezzo di morti iracheni nell'invasioni americane dell'Iraq del 17 gennaio 1991 e 20 marzo 2003. Cfr. S. Ross, Us-Uk Genocide Against Iraq 1990-2012 Killed 3, 3 Millions, in "Uruknet.info", 4 dicembre 2012. 11) P. Sensini, Libia 2011, Milano, Jaca Book, 2011. 12) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, Francoforte sul Meno, Zambon, 2007. 13) Quest'articolo è stato tradotto in inglese da Israel Shahak con il titolo The Zionist Plan for the Middle East, Belmont, Association of Arab-American UniversityGraduates, 1982. 14) Ibidem, p. 78. 15) P. Sella, Prima d'Israele, Milano, Edizioni Uomo Libero, 2006. 16) E. Goldstein, Gli accordi di pace dopo la Grande guerra, Bologna, Il Mulino, 2005; Z. Brzezinski, La
Grande Scacchiera, Milano, Longanesi, 1998. 17) J. Hamilton, Il Dio in armi. La Gran Bretagna e la nascita dello Stato d'Israele, Milano, Corbaccio, 2006. 18) S. Thion, Sul terrorismo israeliano, Genova, Graphos, 2004; E. Nolte, Il terzo radicalismo, islam e occidente nel XXI secolo, Roma, Liberal Edizioni, 2012; M. Mlecin, Perché Stalin creò Israele, Roma, Teti, 2010; A. Mariantoni, Gli occhi bendati sul Golfo, Milano, Jaca Book, 1991; C. Nitoglia, Sionismo e Fondamentalismo, Napoli, Controcorrente, 2000. 19) M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Milano, Bompiani, 2006; F. Mini, Mediterraneo in guerra, Torino, Einaudi, 2012. 20) Si pensi a Saddam Hussein, Yasser Arafat, Muhammad Gheddafi, Ben Alì ed in parte Hosni Mubarak. 21) Durante la guerra alla Siria il giornalista John Pilger ha rispolverato questo documento nel quotidiano francese "Le GrandSoir", 9 settembre 2012, in un articolo intitolato La manièrelibérale de diriger le monde. 22) Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 23) G. Corm, Il mondo arabo in conflitto, Milano, Jaca Book, 2005; M. Mamdani, Musulmani buoni e cattivi, La guerra fredda e le origini del terrorismo, Bari, Laterza, 2005. 24) G. Corm, Il Vicino Oriente. Un montaggio irrisolvibile, Milano, Jaca Book, 2004. 25) Cfr. S. K. Samir, Cento domande sull'islam, Genova, Marietti, 2002. 26) La Salafiyyah è un movimento moderno islamico nato nella metà dell'Ottocento, come il wahabismo, che si rifà agli "antenati" in arabo "salaf". Il capo dell'ideologia salafita è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah, essa ha avuto l'appoggio della Gran Bretagna e pian piano ha radicalizzato, specialmente nel Novecento, in maniera farisaica e calvinista la sua ideologia (che inizialmente era modernizzante) sotto l'influsso della setta wahabita dei Saud. L'erede principale di queste due scuole di pensiero sono i Fratelli Musulmani nati nel 1928 sotto la direzione di Hasan al-Banna. Oggi i 'Fratelli Musulmani' sono il braccio politico e armato del movimento wahabita e salafita (cfr. M. Campanini, Islam e politica, Bologna, Il Mulino, 2003). I salafiti sono stati resi giuridicamente pubblici ed ufficiali a partire dalla fondazione del Regno dell'Arabia Saudita nel 1924-1932, mentre teologicamente sono diffusi anche al di fuori della Penisola arabica (cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Quando nel 1924 ʿAbd Al-ʿAzīzIbnSaʿŪd prese il potere in Arabia, e lo consolidò nel 1932, il nuovo Stato adottò il wahabismo come dottrina ufficiale e trasse la sua legittimità dal possesso di due fra i tre grandi luoghi santi dell'Islam, la Mecca e Medina. Ma la sua influenza non sarebbe stata così importante se il suo territorio non avesse custodito, insieme alla Mecca e alla Medina, una straordinaria ricchezza petrolifera. È questa la ragione per cui il Regno della Famiglia Saud, costituzionalmente legittimato dal wahabismo nella sua missione spirituale tipicamente "farisaica" negli affari interni e prodigiosamente arricchito dal petrolio, giuoca un ruolo molto importante nella politica Medio Orientale, alleato - laicisticamente - e modernisticamente, con gli USA negli affari esteri. I wahabiti sauditi sono religiosamente moralisti/ipocriti e politicamente sono alleati degli USA, come i farisei dei tempi di Gesù erano alleati di Roma. Questa mentalità farisaica all'interno e libertaria all'esterno propria del wahabismo lo accomuna all'americanismo e al teoconservatorismo, che si sono costituiti su tre principali realtà: il giudaismo post-biblico, il calvinismo supercapitalistico ed il massonismo imperialistico mondialista. La monarchia saudita si è sempre sentita legittimata a proporre un regime di tipo tradizionale, teocratico e fondamentalista quanto ad assetti politici interni e a costumi (rigida separazione dei sessi). Tuttavia la Famiglia reale saudita, in politica estera, ha
mantenuto un costante orientamento filo-occidentale. Per questo è tacciata di rigorismo morale 'farisaico' interno e di doppiezza politica 'machiavellica'esterna: si rigetta all'interno del Paese farisaicamente ogni costume non-musulmano, ma si è alleati in politica estera con l'occidente americanista teoconservatore, il quale è il maggior esportatore dei costumi corrotti, che il wahabismo dice di voler combattere all'interno, mentre in realtà si serve e vive di essi, anche economicamente e militarmente, in politica estera. L'influenza del wahabismo è molto forte sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici, che si propongono di disegnare nuovi equilibri geo-strategici planetari in funzione dell'eccellenza del modello islamico nel medio oriente, ma con l'aiuto degli USA. Ecco come si spiega il ruolo svolto dall'Arabia Saudita nell'invasione - sotto l'egida di USA, Israele ed Ue -della Tunisia, Libia, Egitto e Siria. Inoltre il pensiero wahabita riesce ad affrontare positivamente lo spinoso problema del rapporto fra modernità occidentale ossia americanista e islam: rifiuto puramente teorico ed 'in casa propria', ma cooperazione pratica e reale nella 'politica estera'. Il salafismo jihadista qaidista, di carattere rivoluzionario, propugna la guerra santa armata e non ascetica-personale. La Siria è il "banco di prova" a partire dal quale il futuro prossimo del globo può prendere una direzione oppure un'altra. Infatti in Siria si fronteggiano gli USA ed Israele, che si servono come di bassa manovalanza dei salafiti e wahabiti qaidistitrans- nazionalisti o mondialisti - da una parte - contro l'Iran, la Russia di Putin e la Cina dall'altra, che si ritrovano a fianco di un Regime autoritario locale nazionalista e baathista. 27) A. Vanzan, Gli sciiti, Bologna, Il Mulino, 2008. 28) Cfr. C. Nitoglia, Per padre il diavolo. Introduzione al problema ebraico, Milano Cusanino, Edizioni Barbarossa, 2002, cap. XXIV, "Il sionismo, un magnifico sogno o un terribile scacco?", pp. 313-346. 29) Cfr. T. Bonazzi, Il sacro esperimento. Teologia e politica nell'America puritana, Bologna, Il Mulino, 1970; T. Iurlano, Sion in America, Firenze, Le Lettere, 2004; A. Hertzeberg, Gli ebrei in America, Milano, Bompiani, 1993; S. Bercovitch, America puritana, Roma, Editori Riuniti, 1992; G. Giussani, Teologia protestante americana, Genova-Milano, Marietti-1820, 2003 . 30) P. Sensini, Divide et impera, Milano, Mimesis, 2013, p. 30. 31) Cfr. F. Imposimato, Terrorismo internazionale, Roma, Koinè, 2002; P. Di Pasquale, Hezbollah, Roma, Koinè, 2003. 32) Cfr. Mohamed Omar, I sunniti sono oppressi in Arabia Saudita, non in Siria, in "Eurasia", 13 agosto 2012. 33) M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 34) Cfr. W. Madsen, The Donme, in "Strategic Culture Foundation", 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010. 35) Cfr. L. Binder, Islamic Liberalism, Chicago, University of Chicago Press, 1988. 36) Cfr. F. Bugart, L'Islamisme en face, Parigi, La Découverte, 2007. 37) Cfr. P. Ménoret, Sull'orlo del vulcano. Il caso Arabia Saudita, Milano, Feltrinelli, 2004. 38) Cfr. M. Blondet, Osama bin Laden, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2003. 39) A. G. Marshall, The Imperial Anatomy of al-Qaida, in "Global Research", 5 settembre 2010. 40) Cfr. BatharKimyongur, Le terrorisme anti-syrien et sesconnexionsinternationales, in «Internationalnews», 16 aprile 2012; Id., Syriana, la conquete continue, Bruxelles, CoulerLivres et Investig'action, 2011. 41) Cfr. B. E. SelwanKhoury, Bilad al-Sam, ritorno al Califfato, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 125. 42) Cfr. Tariq Ramadan, Il riformismo islamico, Troina, Città aperta, 2004. 43) Negli anni Ottanta durante il conflitto dell'URSS contro i talebani qa 'idisti Hollywood rappresentava i mujahidin come eroi, combattenti per la libertà. In realtà essi hanno rappresentato allora le "brigate islamiche" della CIA, che li ha addestrati anche in America assieme al loro capo Osama bin Laden mentre a partire dall'11 settembre (le 'Due Torri
Gemelle') e dal 7 ottobre 2001 (invasione americana dell'Afghanistan) sono diventati il male assoluto e poi con le primavere arabe nel 2011 son tornati ad essere i patrioti della democrazia. In realtà i talebani sono stati sempre controllati dalla famiglia Sudary, che rappresenta il clan più filoamericano e filoisraeliano della famiglia reale saudita Saud; cfr. R. Baer, La disfatta della CIA, Casale Monferrato, Piemme, 2003; F. Heisbourg, Dopo al Qaida. La nuova generazione del terrorismo, Roma, Armando, 2013; W. G. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, Bologna, Arianna, 2007; S. Zunes, La scatola esplosiva. La politica americana in Medio Oriente e le radici del terrorismo, Milano, Jaca Book, 2003. 44) Cfr. E. Sivan, Radical Islam, New Haven & London, Yale University Press, 1991; M. Campanini, L'alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, Milano, Bruno Mondadori, 2012; AA. VV., Islam e occidente. Il caso del fondamentalismo islamico, Macerata, Liberilibri, 2005. 45) Cfr. B. Etienne, L'islamisme radical, Parigi, Hachette, 1987. 46) Il Qatar è uno Stato dell'Asia, retto da una monarchia assoluta ereditaria, proteso sulla costa occidentale del golfo Persico, confinante ad oriente con l'Arabia Saudita e a sud con gli Emirati arabi. Il suo territorio consiste in una striscia di 160 km di lunghezza e di 50/80 di larghezza. La sua popolazione (circa 600 mila persone) si è quintuplicata negli anni Settanta con la scoperta del petrolio nel suo sottosuolo e per i 4/5 è costituita da immigrati dal Pakistan e dell'India. In esso vi sono enormi disuguaglianze sociali. La religione di Stato è il wahabismo. Il Qatar si è costituito in sceiccato nel settecento e sino al 1914 ha fatto parte dell'impero ottomano, poi è divenuto uno sceiccato sotto il protettorato britannico ed infine nel 1971 ha ottenuto l'indipendenza e si è legato strettamente all'Arabia Saudita. La sua capitale è Doha. Assieme all'Oman e allo Yemen subisce attualmente una certa influenza dell'Arabia Saudita e notevoli infiltrazioni di qaidisti. 47) Il termine "Nuovo Medio Oriente" è stato coniato da Condoleezza Rice, l'ex segretario di Stato americano dell'amministrazione Bush, nel giugno del 2006 a Tel Aviv in contrapposizione e sostituzione al vecchio concetto di "Grande Medio Oriente"; cfr. A. Macchi, Rivoluzioni SpA. Chi c'è dietro la Primavera Araba, Lecco, Alpine Studio, 2012. 48) Due anni dopo e un giorno prima, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 40. 49) Cfr. M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 50) W. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, cit., p. 529. 51) M. Eliade (a cura di), Enciclopedia delle religioni: L'islam, Milano, Jaca Book, 2004; G. Filoramo (diretta da), La storia delle religioni: l'Islam, Bari, Laterza, 2005. 52) M. Buber, Judaisme, Parigi, Verdier, 1982, p 31. 53) E. Lévinas, Difficile liberté, Parigi, Albin Michel, 1995, 3a ed., p. 326. 54) P. Lévy, World philosophie, Odile Jacob, 2000, p. 12. 55) A. Memmi, La Libération duJuif. Portrait d'un Juif, vol. II, Parigi, Gallimard, 1966, p. 127. 56) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, cit., p. 42. 57) Sulla dottrina di B. Lewis vedi Edward W. Said, Covering Islam. Come i media e gli esperti determinano la nostra visione del resto del mondo, Massa, Transeuropa, 2012. 58) G. Borgognone, La destra americana: dall'isolazionismo ai neocon, Bari, Laterza, 2004; C. Nitoglia, Dal giudaismo rabbinico al giudeo americanismo, Genova, Effepì, 2008; J. Mearshemeir - S. M. Walt, La Israel lobby e la politica estera americana, Milano, Mondadori, 2007. 59) Cfr. A. Frament, Connaissanceélémentairedu Trotskisme, Parigi, AFS, 2001. 60) Secondo uno dei massimi esponenti del neoconservatorismo americano, MaxBoot "appoggiare Israele è un principio cardine del neoconservatorismo" (What the Heckis a neocon?, in "The Wall Street Journal", 30 dicembre 2002). 61) Innanzitutto occorre sapere che Milton Friedman è stato il fondatore della Mont Pelerin Society, che è una "lobby" molto potente composta da economisti, filosofi ed uomini
politici molto influenti, riuniti in un "club", o meglio una 'Super-Loggia', per influenzare la politica interna ed estera degli USA e Gb, promuovere un mercato ed una finanza "assolutamente liberi" da ogni ingerenza dello Stato e dell'etica. La suddetta Society è nata in Svizzera, presso le terme di Mont Pelerin, da cui ha preso il nome, il 10 aprile del 1947 da 36 grandi-fratelli fondatori. La Mont Pelerin Society ha sempre cercato di passare agli occhi dell'opinione pubblica come un'innocua accademia di studiosi e non un think-tank ("serbatoio di cervelli pensanti" capaci di cambiare il mondo) politico/finanziario di tendenza anti cattolico-romana, fortemente democraticista, liberale, liberista e libertaria, quale realmente è. Uno dei suoi obiettivi è la creazione di un "Ordine Internazionale o Mondiale", che salvaguardi la Libertà (intesa come un assoluto ed un fine e non come un mezzo per raggiungere il Fine ultimo), la Pace (americana) e le Relazioni Economiche Internazionali, ossia il potere dell'alta finanza mondiale, delle Banche, deibankster e la globalizzazione mondialista anglo/americana. Tra i suoi membri, oltre a Milton Friedman, figurano anche Friedrich August von Hayek, Ludwig von Mises, Karl Popper, Walter Lippman, e per l'Italia Luigi Einaudi, Sergio Ricossa, Antonio Martino, Bruno Leoni. Tra i 76 consiglieri economici del Presidente statunitense Ronald Reagan ben 22 erano della Mont Pelerin Society. Dalla Mont Pelerin Society è nato il pensiero neocon, che ha influenzato la politica estera e la finanza americana dagli anni Ottanta sino all'Amministrazione Bush jr (2008) e continua in maniera strisciante ancor oggi ad influenzare il Presidente statunitense Barac Obama, con le relative guerre geopolitiche di esportazione della democrazia contro l'Iraq e il default o fallimento della finanza mondiale grazie ai mutui ad alto rischio, concessi da Alan Greenspan Presidente della Federal Reserve (Banca Centrale) americana, che non potevano essere pagati dai "beneficiari", i quali perdevano i risparmi e la casa. Questo default o fallimento è arrivato sino all'Europa, che ne è stata infettata e si trova in una crisi finanziaria mai vista prima, neppure nel 1929. Friedman ha influenzato a partire dagli anni Ottanta sino ad oggi (a sette anni dalla sua scomparsa), potentemente e trasversalmente, la politica (sia democratica che repubblicana) del Presidente statunitense Ronald Reagan, poi di Bill Clinton, di Bush padre e figlio e persino di Barac Obama nell'attuale congiuntura siriana; inoltre ha influenzato anche la politica europea dei Primi Ministri britannici Margaret Thatcher, Tony Blair e David Cameron rifacendosi al pensiero filosofico di Edmund Burke, Karl Raimund Popper, Russel Kirk ed anche la pratica finanziaria della "Banca Centrale Americana", alla luce del pensiero degli economisti della "Scuola di Vienna" Von Mises e Von Hayeck. Infatti da questi ultimi assieme a Friedman sono nati i Chicago boy's e i dirigenti neoconservatori dell'Amministrazione Bush (Paul Wolfowitz, Richard Perle, David Roomsfeld, Dick Cheney, eccetera), che analogamente alla "Scuola di Francoforte" (1922-1979) di Adorno & Marcuse son riusciti ad unire (da una posizione di "destra" liberal-conservatrice) il marxismo di Trotskij e il liberismo "mini-archista" (che vuole concedere il minimo spazio al potere dello Stato) se non francamente anarchico/conservatore. Adorno & Marcuse, invece, avevano sposato (da una posizione di "sinistra" anarchico-rivoluzionaria) il Trozkismo con la psicanalisi freudiana. Si può dire, perciò, che mentre Adorno & Marcuse univano sinistra e libertarismo per la conquista psicologica delle menti di tutti gli uomini (la "Rivoluzione intellettuale" del 1968), i neoconservatori sposano il libertarismo liberal-democratico con la "destra" conservatrice angloamericana per la conquista militare e geopolitica del globo (il "Nuovo Ordine Mondiale" dal 2001 al 2013). In realtà il neoconservatorismo, ispirato da Friedman, ha spinto gli USA (come braccio armato a favore d'Israele) in una guerra totale contro
l'Iraq, l'Afghanistan, il Pakistan dalla quale sta uscendo con le ossa rotte, come pure Israele ha subìto una umiliante "vittoria di Pirro" in Libano nel 2006 nonostante che avesse sganciato "oltre 1 milione di bombe a grappolo"(61) ed a Gaza nel 2008-2009 abbia gettato "bombe al fosforo bianco" nella famigerata "operazione piombo fuso". Sembrerebbe che questi ultimi avvenimenti (assieme alle "Rivoluzioni primaverili" in Tunisia, Libia, Egitto e all'imminente guerra contro la Siria nella quale il pensiero di Friedman si fa ancora sentire anche nell'Amministrazione democratica di Barac Obama) potrebbero segnare l'inizio della fine della supremazia israelo/americana, la quale nell'agosto del 2013 si straccia le vesti (come Anna e Caifa nel 33) per l'uso dei gas tossici in Siria (pur non sapendo con certezza da parte di chi), mentre i caporioni di essa hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, le bombe al fosforo su Dresda, le bombe all'uranio impoverito sul Kosovo, le bombe a grappolo in Libano ed al fosforo bianco su Gaza. La crisi economico/finanziaria, che ha portato nel 2011/2013 gli USA e l'Europa sull'orlo del fallimento è iniziata nel 2005/2008, con "la più grande frode finanziaria della storia mondiale" operata dall'operatore di Borsa Bernard Lawrence Madoff e portata avanti dal Presidente della 'Federal Reserve' o 'Banca Centrale' degli USA Alan Greenspan, che -ispirato dalle teorie finanziarie di Friedman- ha iniziato con un grandioso boom economico per finire con un miserabile crack, facendo "arricchire" gli americani incitandoli a 'spendere e spandere', pur non avendo denaro sufficiente, senza paura di pignoramento, comprando e vendendo case, mediante mutui senza garanzie e coperture, che -si badi bene- non avrebbero potuto essere pagati ed avrebbero condotto infine alla miseria l'incauto compratore il quale si era accollato mutui ipotecari ad alto rischio (subprime), scientificamente studiati ed immessi - a mo' di liberismo selvaggio - sul mercato da Greenspan, le cui prodezze stiamo ancora pagando e non si sa se riusciremo ad estinguere il prestito ipotecario o a finire ipotecati ed espropriati. Il crack della "Monte Paschi di Siena" in Italia nel 2013 è una delle conseguenze collaterali dell'imbroglio iniziato nel 2005 da Greenspan. L'economia mondiale è sembrata avanzare sino al 2008, mentre era già malata da almeno tre anni ed è entrata in crisi nel 2009 per arrivare al quasi fallimento o al crack (o default, come lo si chiama adesso in maniera più soft) nel 2012. I lavoratori americani, i quali non erano in grado, come previsto, di rendere il denaro, che in realtà non avevano mai posseduto, a causa dell'aumento del petrolio e dei tassi d'interesse non son riusciti più a pagare i mutui. Quindi in brevissimo tempo milioni di case son rientrate in possesso delle banche dalle quali erano uscite solo apparentemente ("sopra la banca la casa campa, sotto la banca la casa crepa!"). Di conseguenza i poveri degli USA si son ritrovati più poveri di prima. Questo è il risultato della teoria usuraia legalizzata, e promossa con il massonico 'Premio Nobel', di Milton Friedman e fratelli. Si può concludere che come Wolfowitz ha rovinato l'esercito americano trascinandolo in guerra contro l'Iraq nel 2003, così Greenspan, ispirato da Friedman, ha disastrato la finanza degli americani trascinandoli nella bancarotta dei mutui ad alto rischio. 62) Si noti che ora in Europa a Bruxelles oltre il parlamento europeo vi è anche quello israeliano; v. First Ever European Jewish Parliament inaugurated in Brusels, in "EJU News", 16 febbraio 2012. 63) Cfr. A. Joxe, L'impero del caos. Guerra e pace nel nuovo disordine mondiale, Milano, Sansoni, 2002. Condividi
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goodbearblind · 5 years ago
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“Non mi sarei certo aspettata di dover essere proprio io, considerata poco più che una selvaggia, a dover ricordare a questi signori con ben 5000 anni di civilizzazione alle spalle del nostro Bill of Rights!”
Con queste parole Elizabeth Peratrovich si rivolse alle autorità dello stato dell’Alaska che stavano discutendo un disegno di legge che proibiva la discriminazione dei nativi. Era il febbraio del 1945 ed Elizabeth, all’epoca poco più che trentenne, era una delle figure più importanti nella lotta per i diritti dei popoli indigeni del continente americano. Tutte le comunità native dell’Alaska l’avevano scelta per perorare la propria causa e così lei, una giovane Tlingit, si ritrovò a raccontare come alla sua gente fosse proibito entrare nei negozi, nei cinema, comprare una casa in determinati quartieri. Insomma denunciò il regime di apartheid che tutti i nativi erano costretti a subire in Alaska. Discriminazioni che anche Elizabeth aveva vissuto sulla propria pelle quando, insieme al marito Roy e ai figli, si era trasferita nella cittadina di Juneau per cercare migliori condizioni di vita e di lavoro.
Era il 1941 e in molte attività della città c’erano cartelli che vietavano l’ingresso ai nativi e ai cani. Così Elizabeth cominciò una dura battaglia per vedere riconosciuti i propri diritti e quelli della sua comunità che si sarebbe conclusa, almeno formalmente, il 16 febbraio 1945 quando il Senato dell’Alaska avrebbe approvato l’Anti-discrimination Act, che metteva fine alla segregazione verso i nativi quasi vent’anni prima del Civil Rights Act, che lo avrebbe fatto nei confronti degli afroamericani.
Secondo molti decisivo risultò l’intervento di Elizabeth e in particolare la risposta, in virgolettato, ad Allen Shattuck, rappresentante proprio della città di Juneau, che si chiedeva chi fossero questi soggetti che volevano essere parificati ai bianchi e ai loro 5000 anni di civiltà.
Elizabeth Peratrovich, dopo essersi trasferita in Canada, morirà purtroppo nel 1958 a causa di una brutta malattia.
Ancora oggi è ricordata come una delle figure più importanti nell’ambito della lotta dei nativi per i propri diritti. Una lotta che è ancora ben lontana dall’essere terminata.
Cronache Ribelli
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valentinarestivo · 6 years ago
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BRUNO GANZ
(Zurigo, 22 marzo 1941 – Zurigo, 16 febbraio 2019)
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WINGS OF DESIRE. 2009. 70x50 cm, gouache and ink on paper mounted on wood
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decima-flottiglia-mas · 8 years ago
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. Xª FLOTTIGLIA MAS 29 settembre del 1943 il Battaglione, chiamato "Valanga", come la gloriosa 9° Compagnia del cap. Morelli, che già aveva indossato il cappello con la piuma essendo un reparto alpino a tutti gli effetti, era inquadrato su comando di battaglione e tre compagnie. Successivamente venne aggregata una 4° compagnia, chiamata "Sereneissima", proveniente dal Battaglione N.P. e quindi reparto di Marina. Nell'aprile del 1944 entrò a far parte della Decima MAS assumendo il nome di "Luca Tarigo", una unità della classe "esploratori" affondata nel Mediterraneo nel 1941, come tradizione per i reparti della X MAS e cambiando il copricapo dal cappello alpino al basco con il giro di bitta della Marina. Queste varianti durarono però pochissimo e, probabilmente, non furono mai adottate dalla maggioranza dei Guastatori. Un'episodio accelerò infatti l'abolizione di queste varianti: una compagnia al comando del Cap. Satta venne inviata ad espugnare il rifugio alpino "Gastaldi", situato a 3200 metri d'altezza sul ghiacciao della Ciamarella in Piemonte, nel quale erano asseragliati 200 partigiani. Sebbene questi fossero molti di più dei Guastatori, meglio armati ed in una posizione più favorevole, i Guastatori alpini ebbero velocemente la meglio. Borghese si volle complimentare con Morelli e, giunto al reparto, lo trovò schierato senza alcun copricapo. Meravigliato chiese conto a Morelli di questo fatto e, il Comandante del Valanga, falsamente sorpreso (aveva organizzato tutto), disse ai Guastatori di andarsi a mettere il cappello. Tutti tornarono con il cappello alpino! Borghese capì ed in perfetto dialetto romano disse: "Va bè, Morelli ho capito, fai come ti pare!" E così il Valanga rimase Valanga e portò il cappello alpino! Solo la compagnia "Serenissima" continuò ad indossare il basco che già portava. Durante il periodo della R.S.I. il reparto operò dal fronte occidentale a quello orientale, soprattutto contro le infiltrazioni degli slavi del IX e X Corpus titino. E' anche grazie al "Valanga" che a Selva di Tarnova vennero salvati i 150 Bersaglieri del "Fulmine" sopravvissuti a tre giorni di combattimenti. Questi accerchiati da oltre 2500 slavi, furono liberati dai Guastatori che riuscirono ad avere la meglio sebbene in netta inferiorità numerica. Verso la fine del 1944 il "Valanga" raggiunse Jesolo dove si acquartierò nella colonia estiva "Dux", in riva al mare. Venne subito iniziato l'addestramento nella vicina Asiago al termine del quale fu conseguito il brevetto di specialità da tutti gli effettivi. A Jesolo i guastatori provvidero al minamento della spiaggai ed ebbero la responsabilità della difesa costiera. Alla fine di luglio il comando della divisione "Decima" decise di scardinare lo schieramento partigiano nelle Alte Valli piemontesi e il battaglione fu trasferito ad Ivrea da dove iniziò la marcia di avvicinamento che portò, tra le altre azioni, alla presa del rifugio Gastaldi. Nella prima decade di ottobre il battaglione lasciò il Piemonte e si trasferì a Vittorio Veneto, accantonandosi nelle scuole "Francesco Crispi". Quando in dicembre la divisione iniziò le operazioni contro il IX Corpus jugoslavo, al battaglione "Valanga" venne assegnato il compito di fermare il nemico nel settore settentrionale dello schieramento. Dopo un violento scontro a fuoco il battaglione, guidato dal Cap. Morelli, occupò stabilmente Tramonti di Sotto dove vennero rinvenute ingenti quantità di materiali, importanti documenti e catturati numerosi prigionieri, tra cui un maggiore britannico in uniforme. Sulla base dei documenti rinvenuti si decise di annientare il comando partigiano situato in una baita di Palcoda e il compito venne affidato a un plotone mitraglieri della 3° compagnia e a venti uomini della 2° compagnia "Uragano", della quale facevano parte i sergenti Grillo e Janiello. L'attacco si concluse con la cattura di circa cinquanta partigiani che vennero interrogati singolarmente il giorno dopo per giungere alle precise responsabilità dei singoli sulle efferate uccisioni avvenute nella zona. I colpevoli, in numero di dieci, vennero fucilati sul posto mentre gli altri furono avviati al comando della "Decima". Debellato il comando del X Corpus e liberata la val Meduna il battaglione "Valanga" rientrò a Vittorio Veneto per celebrare il Natale del 1944 ma il 26 dicembre vennero uccisi due guastatori in un agguato teso in città da alcuni guerriglieri della banda "Castelli". Dopo l'assassinio dei due guastatori, il battaglione riprese le azioni contro la banda "Castelli" nell'intento di catturarne il capo. Durante una di queste azioni cadde eroicamente il Sergente Maggiore Renato Grillo, il proprietario del distintivo. Il sottufficiale, indossato sull'uniforme un impermeabile inglese di quelli in uso presso le bande, si era introdotto da solo in una casa dove aveva luogo una riunione di partigiani, intimando loro la resa. Ma una raffica, sparatagli alle spalle lo uccise prima che tutta la pattuglia potesse intervenire. In questa occasione il suo amico e commilitone Janiello deve aver recuperato il distintivo che poi ha donato a Paolo Caccia Dominioni dopo la fine della guerra. Dopo la battaglia della Selva di Tarnova, le due compagnie rimaste a vittorio Veneto riuscirono a debellare la banda "Castelli", catturandone il capo. Il Castelli, che risultò responsabile anche del tragico agguato del 26 dicembre, venne fucilato. Nella prima decade di marzo il "Valanga si trasferì a Bassano del Grappa; in aprile riprese l'addestramento sulle falde del Monte Grappa. Il giorno 26 aprile rientrò dal campo ed al suo passaggio per le vie di Bassano la popolazione si radunò applaudendo i guastatori. Il giorno dopo giunse al battaglione l'ordine di abbandonare Bassano e raggiungere Thiene. Alle 19 il "Valanga" si mosse verso Thiene ma restò bloccato a Marostica perchè le colonne germaniche in ripiegamento occupavano la strada. Il 28 aprile il CLN di Marostica iniziò le trattative con il Capiano Morelli e venne convenuto che il battaglione avrebbe raggiunto nuovamente Bassano per sciogliersi: gli uomini sarebbero stati muniti di un lasciapassare e messi in libertà. Il 30 aprile il battaglione "Valanga" venne dichiarato disciolto. Agli ufficiali vennero lasciate le armi e a tutti i guastatori venne distribuito il brevetto in bronzo della specialità. La 2° compagnia che non si era ancora arresa raggiunse Trento, con un convoglio di Brigate Nere e, dopo accordi presi con il Vescovado si presentò ai carabinieri che, ricevute le armi, lasciarono liberi gli uomini. Era il 2 maggio 1945. A Morelli, che era stato decorato con due argenti al V.M. uno preso nel giugno 1940, in Francia (fu una delle prime decorazioni conferite) ed uno il 17 gennaio 1943 a Rossosch, furono revocate entrambe le medaglie insieme al grado, perché condannato, grazie ad una falsa testimonianza, per il periodo quando aveva comandato il Valanga. Non potendolo giudicare per un fucilazione di partigiani, eseguita secondo le regole del Diritto Penale Militare, si inventarono che aveva fatto la borsa nera! Benché ci fosse statal'amnistia, si rifiutò, sempre, di richiederla. Ma ebbe la sua rivincita. Senza aiuti, dimenticato dall'Esercito, degradato a geniere (soldato semplice), divenne uno dei più famosi direttori di produzione del cinema. Tra l'altro fu il direttore di produzione del film "La dolce vita". ( Notizie storiche tratte dal volume "Gli Ultimi in Grigioverde" di Giorgio Pisanò, dall'articolo di Sergio Coccia pubblicato sul numero 22 della Rivista "Uniformi & Armi" del febbraio 1991, dagli articoli pubblicati sui numeri 85 e 106 della stessa rivista e sul numero 16 del mensile "Militaria" del dicembre 1994 )
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paoloxl · 8 years ago
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Il crematorio fu testato il 4 Aprile 1944 con l’incinerazione di 70 corpi. Dal 20 Ottobre 1943 fino all’inizio del 1945 circa 25,000 partigiani ed Ebrei furono interrogati e torturati all’interno del campo. 3,000 – 5,000 di loro vennero uccisi, mediante fucilazione, percosse, o nei furgoni a gas. Lo staff di Globocnik consisteva principalmente di Tedeschi. Dall’ Ottobre 1943 al Maggio 1944 l’SS-Obersturmbannführer Christian Wirth fu comandante del campo. In seguito alla sua uccisione da parte dei Partigiani il 26 Maggio 1944, l’SS-Obersturmbannführer Dietrich Allers divenne il comandante fino alla dissoluzione del campo nell’Aprile 1945. Nel tardo Aprile 1945 i partigiani jugoslavi si prepararono a conquistare Trieste. Di conseguenza, il 29 Aprile i Tedeschi fecero saltare in aria la ciminiera e il crematorio, allo scopo di nascondere le tracce dei loro crimini. Il personale tedesco fuggì. Alcuni di essi furono condannati in contumacia, ma mai furono portati davanti ad un tribunale in un “Processo della Risiera di San Sabba”. Il processo per i crimini commessi alla Risera di San Sabba iniziò il 16 febbraio 1976 davanti alla Corte d’Assise di Trieste presieduta da Domenico Maltese; giudice a latere fu Vincenzo D’Amato, pubblico ministero Claudio Coassin. Gli avvocati coinvolti nel processo furono 30, in rappresentanza di 60 parti civili. La gabbia degli imputati rimase vuota in quanto i due imputati non poterono venire estradati dato che gli accordi italo-tedeschi prevedevano tale istituto solo per i crimini commessi dopo il 1948, senza contare che uno – Augusti Dietrich Allers – morì nel 1975. L’altro, Joseph Oberhauser, continuò a vivere indisturbato a Monaco lavorando in una birreria fino alla morte avvenuta nel 1979. Hans Dietrich Allers (1910-1975), avvocato, iscritto al Partito nazionalsocialista tedesco e membro delle SS, aveva partecipato come militare (51º Reggimento di Fanteria) alla guerra in territorio francese (1940) e poi nel territorio del Governatorato Generale di Polonia. Per alcuni mesi aveva lavorato alla Cancelleria del Führer, come giurista, e dal 1941 fu attivo a Berlino, nella Tiergartenstrasse 4 (sede dell’Aktion T4, programma di sterminio sistematico di disabili nel III Reich che determinò la morte di 80.000 persone). Giunse a Trieste nella primavera del 1944, quale Comandante dell’Einsatzkommando Reinhard, in sostituzione di Christian Wirth, ucciso dai partigiani. Joseph Oberhauser (1915-1979) giunse a Trieste nel settembre 1943, con il grado di sottufficiale, ottenuto per l’attività svolta nel Lager di Belzec (Polonia) quale membro dell’Einsatzkommando Reinhard, addetto all’eliminazione di ebrei. In precedenza aveva lavorato nelle località di Grafeneck, Brandenburg e Bernburg, centri destinati all’eutanasia (Aktion T4). A Trieste divenne comandante della Risiera di San Sabba in sostituzione di Gottlieb Hering. Davanti alla Corte sfilarono 174 testimoni, i sopravvissuti alla Risiera di San Sabba e i parenti delle vittime, costituitesi parte civile; cinque storici: Enzo Collotti, Tone Ferenc, Mario Pacor, Galliano Fogar e Teodoro Sala. Le deposizioni dei membri dell’Einsatzkommando Reinhard, acquisite dai giudici tedeschi in Germania, vennero lette in aula per la loro rilevanza processuale. Il 29 aprile 1976 la Corte emise la sentenza: il procedimento contro Dietrich Allers venne dichiarato nullo per avvenuta morte dell’imputato, mentre Joseph Oberhauser fu condannato all’ergastolo in contumacia. La condanna venne confermata dalla Corte d’appello nel 1978.
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italianiinguerra · 4 years ago
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I bollettini di guerra del 16 febbraio 1941-42-43
I bollettini di guerra del 16 febbraio 1941-42-43
Il Bollettino del Quartier Generale delle Forze armate venne diramato in Italia a partire dall’ 11 giugno 1940, giorno in cui venne emesso il n° 1, fino al tragico 8 settembre 1943, per un totale di 1.201 comunicati. Esso, come venne indicato nelle disposizioni ufficiali, a partire dal 15 giugno 1940, sarà diramato alle ore 13 e conterrà tutto quanto concernente lo svolgimento delle operazioni…
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janiedean · 8 years ago
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a) I giapponesi americani non erano prigionieri di guerra, ma cittadini sottoposti solamente all'autorità degli USA. Gli italoamericani non sono stati internati. Continui a dire puttanate. Gli italiani si, ma cittadini del paese nemico sono SEMPRE internati in casi simili. Tutt'altro che illegale. b) si, la repubblica sociale rispettava le leggi internazionali, dato che non uccidevano o torturavano i prigionieri alleati. I partigiani, che non erano protetti da alcuna legge, si.
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https://it.wikipedia.org/wiki/Internamento_degli_italiani_negli_Stati_Uniti
L’Internamento degli italiani negli Stati Uniti si svolse nel corso della Seconda guerra mondiale, in particolare tra il 1941 e il 1944, e riguardò parte degli italo-americani, considerati come possibile nemico da parte del governo degli Stati Uniti dopo la dichiarazione di guerra del Regno d'Italia l'11 dicembre 1941.
A differenza degli americani di origine giapponese che sono stati internati durante la guerra, gli italo-americani perseguitati non hanno mai ricevuto risarcimenti.[1] Nel 2010, la legislatura della California ha approvato una risoluzione chiedendo scusa per i maltrattamenti subiti dai residenti di origini italiane.[2]
Allo scoppio della seconda guerra mondiale gli imprenditori italiani che temporaneamente vivevano negli Stati Uniti, al pari dei diplomatici della stessa nazionalità o degli studenti che studiavano negli Stati Uniti, divennero “stranieri ostili” dal momento in cui l'Italia dichiarò guerra. In alcuni casi, tali residenti temporanei furono espulsi (come nel caso dei diplomatici) o fu data loro la possibilità di lasciare il paese quando la guerra venne dichiarata. Alcuni furono internati, così come i marinai dei mercantili catturati nei porti degli Stati Uniti quando le loro navi vennero poste sotto sequestro allo scoppio della guerra in Europa nel 1939.
Per membri della comunità italiana negli Stati Uniti il problema fu più arduo del previsto, dato che, definita in termini di origine nazionale, tale comunità era la più grande degli Stati Uniti, essendo aumentata costantemente grazie ai flussi di immigrati provenienti dall'Italia tra il 1880 e il 1930. Nel 1940 vi erano negli Stati Uniti milioni di cittadini d'origine italiana con la cittadinanza americana. C'erano anche un gran numero di italiani considerati “stranieri ostili”, più di 600.000, che secondo la maggior parte delle fonti erano immigrati nei decenni precedenti e non erano ancora diventati cittadini naturalizzati.
Le leggi in materia di “stranieri ostili” non facevano distinzioni di natura ideologica, trattando in modo analogo gli imprenditori italiani iscritti al partito fascista che vivevano per un breve periodo negli Stati Uniti e che rimasero lì bloccati allo scoppio della guerra, gli antifascisti rifugiati provenienti dall'Italia arrivati pochi anni prima con l'intenzione di diventare cittadini americani ma che non avevano ancora concluso il processo di naturalizzazione, e quelli che emigrati in Italia alla fine del XIX secolo e cresciuto in famiglie di italiani con la cittadinanza, ma che non erano ancora naturalizzati: essi furono tutti ugualmente considerati nemici.
Nei mesi immediatamente successivi al 7 dicembre 1941, data dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, centinaia di italiani vennero arrestati. L'11 dicembre la Germania nazista e l’Italia fascista dichiararono guerra agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti ricambiarono, entrando così nella seconda guerra mondiale. Nel giugno 1942, gli stranieri italiani arrestati dall’FBI.[11] raggiunsero il totale di 1.521. Circa 250 individui furono internati per un massimo di due anni nei campi militari in Montana, Oklahoma, Tennessee e Texas.
A fine dicembre 1941, gli stranieri ritenuti ostili, in tutti gli Stati Uniti, Porto Rico e le Isole Vergini Americane, furono tenuti a restituire le cineprese portatili, gli apparecchi radiofonici ad onde corte, le riceventi e i trasmettitori radio entro le ore 23:00 del seguente lunedì.[12]
Nel gennaio 1942, tutti gli stranieri appartenenti alle nazionalità ostili furono tenuti a registrarsi presso gli uffici postali del luogo di residenza. Come stranieri nemici dovevano essere prese loro le impronte digitali, andavano fotografati, e dovevano portare con sé dei documenti che li indicavano come “enemy alien” in ogni momento. Il procuratore generale Francis Biddle garantì che alcuni degli stranieri nemici non sarebbero stati discriminati se si fossero dimostrati fedeli, e citando le cifre del Dipartimento di Giustizia indicò in 1.100.000 gli stranieri nemici degli Stati Uniti, dic ui 92.000 giapponesi, 315.000 tedeschi, e 695.000 italiani. In tutto, 2.972 furono gli arrestati e detenuti, per lo più giapponesi e tedeschi; gli italiani arrestati invece furono solo 231.[13]
In data 11 gennaio, il New York Times riferì che il giorno precedente “i rappresentanti di 200.000 sindacalisti italoamericani hanno lanciato un appello al presidente Roosevelt per rimuovere lo stigma intollerabile di essere marchiati come “stranieri ostili” da parte di cittadini italiani e tedeschi che hanno formalmente dichiarato le loro intenzioni di diventare cittadini americani e di rinunciare ai vecchi documenti prima dell'entrata dell'America in guerra”.[14]
Poche settimane dopo, lo stesso giornale riferì che “Migliaia di nemici stranieri che vivono in aree adiacenti ai cantieri navali, porti, centrali elettriche e fabbriche di difesa cercano oggi una nuova casa, di come il procuratore generale aggiunto Biddle ha esteso prima alla California e poi all'intera West Coast le misure contro i cittadini giapponesi, italiani e tedeschi.[15]
Il 1º febbraio, il Dipartimento di Giustizia avvertì tutti gli stranieri di nazionalità nemica dai quattordici anni in su che dovevano registrarsi in settimana se avevano vissuto negli stati di Washington, Oregon, California, Arizona, Montana, Utah e Idaho. La pena era l'internamento per tutta la durata della guerra o altre misure più severe.[16]
Più tardi, nel mese di febbraio, i membri dell'Italoamerican Labour Council, fondato da Luigi Antonini, si incontrano a New York ed espressero “opposizione a qualsiasi legge per gli stranieri che non differenzi tra coloro che sono sovversivi e coloro che sono fedeli all'America”.[17]
Nel mese di marzo fu istituita la War Relocation Autority (vedi sopra). Anche in questo caso, il trasferimento dei cittadini e non avvenne allo stesso modo, sotto tale autorità fu giuridicamente molto diverso dall'arresto e dalla detenzione di cittadini stranieri ai sensi della legge sui nemici. Entro il 23 settembre 1942, il Dipartimento di Giustizia affermò che “… Dal momento dell'attacco giapponese a Pearl Harbor fino al 1º settembre, 6800 stranieri ostili sono stati fermati negli Stati Uniti, e la metà di loro sono stati rilasciati sulla parola”.[18]
Nel mese di ottobre, i 600.000 italiani non naturalizzati che vivevano negli Stati Uniti furono liberati dallo stigma di essere stranieri ostili. Il piano fu approvato dal presidente Roosevelt e molte restrizioni furono revocate: i membri della comunità italiana potrevano ora viaggiare liberamente, tenere le cineprese e le proprie armi da fuoco, e non erano più tenuti a portare con sé ovunque vadano le carte d'identità.[19]
La resa dell'Italia l'8 settembre 1943 portò alla liberazione della maggior parte degli internati italiani americani entro la fine dell'anno. Alcuni erano stati rilasciati da mesi sulla parola dopo un “esonero” stabilito da un consiglio di seconda audizione sulla base di appelli avanzati dalle loro famiglie, tuttavia la maggior parte degli uomini avevano già passato due anni come prigionieri, passando da un campo all'altro ogni tre o quattro mesi.[11]
Il 7 novembre 2000, il Congresso accertò la violazione da parte del governo in tempo di guerra dell'American Civil Liberties Act nei confronti degli italiani (Pub.L. 106-451 , 114 Stat. 1947). Questa legge, in parte, indicò al procuratore generale di condurre un esame approfondito del trattamento riservato dal Governo degli Stati Uniti agli italoamericani durante la seconda guerra mondiale e di presentare le conclusioni in merito entro un anno. Il Procuratore Generale presentò tale relazione, una rassegna delle restrizioni sulle persone di origine italiana durante la seconda guerra mondiale, al Congresso degli Stati Uniti il 7 novembre 2001. La Commissione Giustizia della Camera rilasciò la relazione al pubblico il 27 novembre 2001.[20] La relazione, relativa al periodo che va dal 1º settembre 1939 al 31 dicembre 1945, descrisse in che modo il governo degli Stati Uniti si impegnò ad applicare restrizioni in tempo di guerra contro gli italoamericani ed esaminò in dettaglio tali restrizioni. Inoltre, il report conteneva 11 liste, la maggior parte delle quali comprendevano i nomi delle categorie più coinvolte nelle limitazioni del tempo di guerra.[21] Gli elenchi comprendevano:
i nomi delle 74 persone di origine italiana prese in custodia nella retata iniziale dopo l'attacco a Pearl Harbor e prima della dichiarazione di guerra degli Stati Uniti contro l'Italia,
i nomi di 1.881 altre persone di origine italiana che sono state prese in custodia,
i nomi e le posizioni di 418 persone di origine italiana che sono state internate,
i nomi delle 47 persone di origine italiana a cui è stato ordinato di passare in aree designate nell'ambito del Programma individuale o d'esclusione, e di altre 12 che sono apparse dinnanzi alla commissione d'esclusione individuale, senza che un provvedimento di espulsione sia stato emesso,
i nomi delle 56 persone di origine italiana non destinatarie di provvedimenti di esclusione individuali che sono state condannate a spostarsi temporaneamente da aree designate,
i nomi di 442 persone di origine italiana arrestate per violazione del coprifuoco, contrabbando, o altre violazioni,
un elenco di 33 porti in cui sono state limitate le attività dei pescatori di origini italiane,
i nomi dei 315 pescatori di origini italiane a cui è stato impedito di pescare in zone vietate,
i nomi di 2 persone di origini italiane le cui imbarcazioni sono state confiscate,
una lista di 12 lavoratori delle ferrovie di origini italiane a cui è stato impedito di lavorare in zone vietate, di cui solo 4 sono nominati esplicitamente
una lista di 6 restrizioni in tempo di guerra sulle persone di origini italiane legate all’Ordine Esecutivo 9066.
chi dice puttanate? :’DDDDDDD
poi i cittadini del paese nemico sono SEMPRE internati?
…….. buonanotte.
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https://it.wikipedia.org/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana)
La Xª[1]Flottiglia MAS (dal 1º maggio 1944, con l'unificazione di vari battaglioni, rinominata in Xª Divisione MAS[2]anche se è meglio nota semplicemente solo e soltanto come Xª MAS) è stato un corpo militare indipendente, ufficialmente parte della Marina Nazionale Repubblicana della Repubblica Sociale Italiana, attivo dal 1943 al 1945. La Xª Flottiglia MAS al nord, al comando del capitano di fregata Junio Valerio Borghese in seguito all’armistizio di Cassibile strinse accordi di alleanza con il capitano di vascello Berninghaus della Marina da guerra germanica.
Durante i due anni che seguirono operò in coordinazione coi reparti tedeschi, sia per contrastare l'avanzata alleata dopo lo sbarco di Anzio e sulla Linea Gotica e nel Polesine, sia in operazioni contro la resistenza italiana, attività durante la quale l'unità impiegò metodi di repressione violenti e terroristici e si macchiò di crimini di guerra[3], e infine nel tentativo di difendere i confini nordorientali dalla controffensiva iugoslava, cercando anche di affermare l'italianità di quelle regioni di fronte alle politiche annessionistiche dell'occupante tedesco[4][5][6] sostenuto da elementi collaborazionisti serbi, croati e sloveni[7]. Peraltro questi tentativi velleitari non ottennero risultati ed i reparti inviati in Friuli furono presto fatti trasferire oltre il Piave, a Thiene, dal Gauleiter Rainer, deciso a mantenere il controllo totale della regione[8].
c’è bisogno che ti c/p anche il resto? :’DDDDDDDDDDD
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La nascita dell’Africa Orientale Italiana, fra le tante problematiche imposte dalla creazione e dall’unificazione in una struttura nuova, organica e omogenea delle vecchie colonie e dei nuovi territori acquisiti, rese opportuno anche un’armonizzazione dei sistemi di registrazione degli autoveicoli tanto più che la guerra del 1935-36 aveva causato un incremento eccezionale della motorizzazione: moltissimi automezzi erano stati importati dall’Italia, altri erano stati trasformati localmente e di altri si erano perse le tracce perché distrutti o “cannibalizzati” per fornire pezzi di ricambio e il tutto, di fronte all’urgenza imposta dal conflitto e poi dalla frenetica costruzione delle prime grandi opere, era avvenuto senza nessuna formalità così che il settore doveva essere completamente riordinato.
Prima della guerra italo-etiopica la situazione della motorizzazione nel Corno d’Africa era la seguente:
– In Abissinia circolavano non più di un migliaio di autoveicoli appartenenti a pochi notabili, ai diplomatici e agli stranieri residenti, oltre a un numero molto limitato di autocarri, autobus e taxi. La registrazione era su base locale con targhe in caratteri amarici indicanti i nomi della città o l’impiego cui era destinato il mezzo.
– L’Eritrea aveva raggiunto un buon livello di motorizzazione quantificabile in circa un autoveicolo ogni dieci abitanti italiani, cioè una densità molto superiore a quella madrepatria che sarebbe stata raggiunta solo negli anni ’60, e l’automobile aveva cominciato a diffondersi anche fra gli indigeni più abbienti e i commercianti che, tra l’altro, si erano dimostrati autisti provetti. Le targhe erano identiche a quelle nazionali, ma anziché la sigla provinciale portavano per esteso la dicitura “Eritrea”.
– In Somalia, anche per la carenza di strade, il numero di autoveicoli, al di fuori di Mogadiscio e del complesso industriale del Villaggio Duca degli Abruzzi, restava limitato. Nel 1935 era stato istituito il Pubblico Registro Automobilistico e le targhe portavano la dicitura “Somalia” o la sigla “SO”.
Dopo un primo periodo di completa “anarchia” il 2 febbraio 1937 fu promulgato il Decreto del Vicerè n. 45 che istituì per ogni Governatorato il Pubblico Registro Automobilistico e impose l’adozione di targhe analoghe a quelle italiane, ma caratterizzate da una striscia tricolore che portava sovrimpressa la sigla A O I.
Sulle targhe posteriori tale striscia era applicata sul lato sinistro per tutta la sua lunghezza, mentre su quelle anteriori era i caratteri erano posti superiormente, su di un talloncino in dimensioni ridotte.
Le targhe erano prodotte localmente – da qui una certa differenza della grafica dei singoli caratteri rispetto a quelli standard in uso in Italia – e portavano il cosiddetto “punzone ufficiale” costituito da un disco alluminio con impresso il fascio littorio che ne attestava l’autenticità.
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I tipi previsti dalla normativa erano i seguenti:
Colore
Dimensioni (cm)
Dimensioni della striscia tricolore (cm)
Fondo
Scritte
Autoveicoli (posteriore)
Nero
Bianco
22×36
22×6
Autoveicoli (Anteriore)
7×30
3×6
Rimorchi
22×36
22×6
Motocicli
Bianco
Azzurro
16×24
14×4
Le sigle di immatricolazione erano le seguenti:
  AA (Addis Abeba)
AM (Amara)
ER (Eritrea)
GS (Galla e Sidama)
HA (Harar)
SO (Somalia)
  A seguito della trasformazione del Governatorato di Addis Abeba in Governo dello Scioà (RDL 11 novembre 1938) vennero rilasciate anche targhe con la sigla SC.
La n.1  dell’Eritrea fu rilasciata il 15 marzo ad una Fiat 508 dell’Ufficio Eritreo dell’Economia (Cioè la locale Camera di Commercio), la n.1 della Somalia ad una Lancia Augusta il 30 aprile 1937 e la n.1 di Addis Abeba ad un furgone Fiat 508 della società Olivetti.
Dopo il 1941 gli uffici italiani, pur sotto tutela inglese, continuarono a funzionare e a rilasciare le targhe senza soluzione di continuità nella numerazione, anche se naturalmente queste non portavano più la striscia tricolore che su quelle esistenti venne tagliata, ricoperta da una mano di vernice oppure i tre colori furono sostituiti da quelli etiopici. Scomparve ovviamente anche il punzone ufficiale, facilmente eliminabile perché consisteva in un dischetto di alluminio avvitato.
Sono molto curiose le vicende successive agli anni ‘40: infatti le targhe continuarono ad essere rilasciate senza modificazioni nelle dimensioni e nella grafica rispetto a quelle dell’epoca coloniale.
Quelle etiopiche si limitarono a cambiare le sigle adottando l’alfabeto amarico al posto di quello latino, mentre in Eritrea addirittura sopravvissero immutate durante il periodo di federazione con l’Etiopia e solo nel 1960 cambiarono la sigla ER in AS (Asmara) in amarico.
In Somalia, pur con qualche modifica, continuarono ad essere rilasciate sia durante l’amministrazione fiduciaria italiana che per un trentina d’anni dopo l’indipendenza scomparendo in pratica negli anni ’90 con la disgregazione del paese.
Perfino la numerazione, che era iniziata con il numero 1 nel 1937, era proseguita consequenziale.
I nuovi assetti politici odierni, l’informatizzazione e non ultima, l’imitazione dei sistemi introdotti all’estero, hanno profondamente modificato le targhe attuali somale ed etiopiche. L’Eritrea indipendente adottò invece una targa ispirata a quella precedente agli anni ’60 che non si può negare abbia mantenuto una certa “aria di famiglia” venendo sostituita da un tipo più anonimo solo in tempi recentissimi.
  di Guglielmo Evangelista
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  Le targhe automobilistiche dell’Africa Orientale La nascita dell’Africa Orientale Italiana, fra le tante problematiche imposte dalla creazione e dall’unificazione in una struttura nuova, organica e omogenea delle vecchie colonie e dei nuovi territori acquisiti, rese opportuno anche un’armonizzazione dei sistemi di…
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puntoelineamagazine · 6 years ago
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Bruno Ganz, l’angelo innamorato che ha raccontato l’umanità
Bruno Ganz, l’angelo innamorato che ha raccontato l’umanità
Foto: Bruno Ganz (22 marzo 1941 – 16 febbraio 2019)
La carriera artistica dell’attore che segnò il Nuovo cinema tedesco
C’è chi se lo ricorderà nelle vesti di un angelo innamorato di una malinconica e solitaria trapezista, Marion, mentre vaga per una Berlino anni Ottanta nel  film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, girato in un bianco e nero pieno di fascino, chi invece nei panni di Fernando,…
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luciamosca14 · 6 years ago
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Il film consigliato in seconda serata in TV: "WOLFMAN" mercoledì 16 gennaio 2019
Il film consigliato in seconda serata in TV: “WOLFMAN” mercoledì 16 gennaio 2019
Il film consigliato in seconda serata in TV: “WOLFMAN” mercoledì 16 gennaio 2019 alle 23:50 su ITALIA 1
Wolfman (The Wolfman) è un film del 2010 diretto da Joe Johnston, remake del classico L’uomo lupo (1941).
Il film è stato distribuito nel circuito cinematografico americano il 13 febbraio 2010, mentre in Italia il 19 febbraio 2010.
Inghilterra, 1891. In seguito alla morte del fratello Ben,…
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giancarlonicoli · 6 years ago
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26 nov 2018 09:54
VITA, PENSIERI E RACCONTI DI BERTOLUCCI: ‘’QUANDO PROIETTAI ‘NOVECENTO’, ALLA FINE DEL PRIMO TEMPO PAJETTA MI ABBRACCIÒ. POI, VEDENDO LE IMMAGINI DELLA LIBERAZIONE IN CUI MOSTRAVO ANCHE IL LATO OSCURO, SI ALZÒ FURIOSO E SE ANDÒ GRIDANDO. AMENDOLA DISSE CHE ERA BRUTTISSIMO, VELTRONI…’’ - FRASI: ‘I CRITICI SONO ALPINI DI PIANURA’ (IL PADRE ERA UN CRITICO CINEMATOGRAFICO). ‘LA LUNGHEZZA DI UNA GONNA, SOPRA O SOTTO IL GINOCCHIO, A VOLTE È PIÙ IMPORTANTE DI UN’IDEA DI SCENEGGIATURA’
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Biografia di Bernardo Bertolucci
Da www.cinquantamila.it, sito a cura di Giorgio Dell'Arti
Parma 16 marzo 1941. Regista. Debuttò nella regia con La commare secca (1962). Poi: Prima della rivoluzione (1964); Partner (1968); Strategia del ragno (1970); Il conformista(1970); Ultimo tango a Parigi (1972, il film di maggior successo assoluto nella storia del cinema italiano con circa 14 milioni di spettatori, compresi quelli della riedizione Titanus dell’87.
Fece epoca soprattutto la scena in cui Marlon Brando, per favorire una penetrazione anale in Maria Schneider, ricorre all’aiuto del burro (vedi sotto); Novecento (Atto I e II, 1976); La luna (1979); La tragedia di un uomo ridicolo (1981); L’ultimo imperatore (1987, vincitore di nove Oscar); Il tè nel deserto (1990); Piccolo Buddha (1993); Io ballo da sola (1996); L’assedio(1998); The dreamers (2003); Io e te (2012, dal romanzo di Niccolò Ammaniti). «Io spero sempre che i miei film non vengano compresi fino in fondo».
• Vita Figlio del poeta Attilio e di Ninetta Giovanardi, nata in Australia da mamma irlandese e padre ingegnere parmigiano costretto a emigrare (era la fine dell’Ottocento) per ragioni politiche. Fratello del regista Giuseppe. «Ha vissuto fino a 12 anni in campagna, in una casa che “da quando è morto mio padre non ho più il coraggio di rivedere”. Arrivato a Roma, nuovi amici, nuovo quartiere borghese – Monteverde vecchio –, nuova casa al quinto piano in via Carini. “I miei genitori hanno costruito un incantesimo, nel quale mi sento tuttora immerso. Anche per questo, forse, non sono mai diventato padre”. Il rito di iniziazione alla regia ha luogo proprio in via Carini. È domenica pomeriggio, alle tre, ora del riposo.
“Avevo quattordici anni, vado ad aprire, vedo un giovane vestito a festa, con un ciuffo strano. Chiedo: cosa vuole? E lui: cerco Attilio Bertolucci, sono Pier Paolo Pasolini. Mi spavento, gli dico di aspettare, lo lascio fuori, chiudo il portone. Vado da mio padre e gli racconto: c’è un tipo strano, ho paura che sia un ladro. E papà: ma no, è un poeta, fallo entrare”. Pier Paolo porta sua madre Susanna ad abitare al primo piano di via Carini e Bernardo – da giovanissimo aspirante poeta – scende le scale di corsa per far leggere le sue creazioni all’amico più grande» (Barbara Palombelli).
• «Quando avevo 17 anni, sempre sul portone di via Carini, un giorno Pier Paolo mi chiede: vuoi fare il mio aiuto-regista in Accattone? Io ribatto: ma non lo so fare, e lui a me: nemmeno io. In quel periodo, ho assistito all’invenzione del cinema, giorno per giorno, una scuola unica».
• Il padre fu uno dei primi critici cinematografici italiani. «Mi ricordo che, doveva essere il 1949 o il 1950, andava a vedere quei film americani di guerra. Poi tornava a casa e faceva una cosa incredibile. Telefonava al giornale. Si faceva passare lo stenografo e dettava tutta la sua recensione al telefono, senza esitazioni. Senza averla scritta prima. Dopo se la faceva rileggere e cambiava al massimo due parole».
• Quindicenne, con una 16 mm presa in prestito, girò i suoi primi cortometraggi: La teleferica, storia di tre bambini che si perdono nella foresta, e Morte di un maiale, unico piano sequenza all’interno di un mattatoio.
• A 21 anni vinse il Viareggio opera prima con una raccolta di toccanti liriche intitolata In cerca del mistero. Poi si decise per il cinema.
• «Eravamo all’inizio degli anni Sessanta. Con Glauber Rocha avevamo deciso di chiamare i nostri film “i miura”. I miura sono una razza di tori dalla pelle durissima. Non solo la spada del torero non riusciva a entrare nella cervice. Ma si diceva che neppure una zanzara poteva entrargli nel buco del culo. Nelle sale dove davano i nostri film nessuno entrava. Nessuno andava a vedere i nostri miura. Poi ho avuto un senso di soffocamento. E mi sono detto: “Voglio sentire il pubblico”. Voglio che la gente entri a vedere i miei film. E nel 1970 mi sono ritrovato a fare Strategia del ragno. E poi Il conformista, sentendomi un po’ come un traditore dei princìpi che fino a quel momento mi avevano formato. Era il passaggio dalla pura espressione alla comunicazione».
• «Quando Sergio Leone mi chiamò per sceneggiare C’era una volta il West (era il 1967, ndr), la prima cosa che mi chiese era come sparassi. Se impugnassi la pistola solo con una mano o se le usassi tutte e due. A me sembrò un marziano, ma aveva ragione lui: bisogna credere in quello che si fa» (a Paolo Mereghetti).
• Dopo la scomparsa di Maria Schneider (il 3 febbraio 2011), è tornato a parlare più volte della scena di sesso anale in Ultimo tango a Parigi per cui lei non l’aveva mai perdonato: «Sì, sono stato colpevole per la Schneider, ma non potranno portarmi in tribunale per questo. L’idea è venuta a me e a Brando mentre facevamo colazione, seduti sulla moquette. A un certo punto lui ha cominciato a spalmare il burro su una baguette, subito ci siamo dati un’occhiata complice. Abbiamo deciso di non dire niente a Maria per avere una reazione più realistica, non di attrice ma di giovane donna. Lei piange, urla, si sente ferita. E in qualche modo è stata ferita perché non le avevo detto che ci sarebbe stata la scena di sodomia e questa ferita è stata utile al film. Non credo che avrebbe reagito allo stesso modo se l’avesse saputo. Sono cose gravi ma è anche così che si fanno i film: le provocazioni a volte sono più importanti delle spiegazioni» (a Silvia Fumarola). [la Repubblica 18/11/2013]
• Dal 19 febbraio 2008 ha una “stella d’oro” sul marciapiede delle star, la Walk of Fame dell’Hollywood Boulevard di Los Angeles davanti al Chinese Theatre, premio che fu assegnato, tra gli italiani, a Rodolfo Valentino, Anna Magnani, Arturo Toscanini, Enrico Caruso, Sofia Loren.
• Nel 2007 fu premiato a Venezia con un super Leone d’oro («non è alla carriera, odora di prepensionamento, ma per il 75° compleanno della Mostra»).
• Nel 2011 a Cannes ha ricevuto la Palma d’oro alla carriera («La dedico agli italiani che hanno la forza di indignarsi»).
• È stato presidente della giuria alla 70esima edizione del Festival di Venezia.
• Nel 2000 fu operato per quella che sembrava una banale ernia del disco, da lì ne conseguirono altre quattro operazioni alla colonna vertebrale. Dodici mesi a letto, la depressione, poi la riabilitazione. Da anni è costretto a muoversi su una carrozzina. «Ho imparato ad accettare questa mia nuova condizione. Da allora è diventato tutto più facile. E ho ripreso a fare film. E ho capito che fare film è la sola terapia». [Alessandro Piperno, Cds 14/10/2012]
• È sposato con l’inglese Claire Peploe, regista e sceneggiatrice. Non ha figli. «Può darsi benissimo che il mio desiderio di paternità si materializzi nei miei film».
• Critica «Il suo è un cinema sotto la costellazione Marx-Freud-Verdi. Ama gli attori e sa sceglierli. Ama le scene di ballo e pochi come lui sanno far danzare la cinepresa su un dolly. Sa coniugare Proust al culatello, Hopper e Magritte al melodramma di Giuseppe Verdi. Bertolucci è un regista creolo» (Morando Morandini).
• «Ho capito che non riuscirò mai a eguagliarlo, perché viene da una cultura diversa dalla mia, suo padre è un poeta e lui stesso ha pubblicato delle poesie, è stato allevato con una coscienza politica, al contrario di me, che sono cresciuto in una casa dove non c’erano libri...» (Martin Scorsese).
• Frasi «I critici sono alpini di pianura».
• «È come se il mestiere di cineasta appartenesse a un’altra epoca come i lavori che scompaiono, tipo il sellaio. Credo che il lungometraggio, la forma film, abbia imboccato una strada di inesorabile declino, un po’ come quello che è successo con l’opera lirica».
• «A un certo punto è avvenuto in me un grande cambiamento. Mi è sembrato che i film che noi andiamo a guardare invece guardino noi».
• «Arriverei a dire che la lunghezza di una gonna, sopra o sotto il ginocchio, a volte è più importante di un’idea di sceneggiatura».
• «Quando finisco un film nuovo, provo un senso di pienezza a dir poco imbarazzante, che cerco di nascondere a tutti gli altri che si salutano con i visi tristi. Senti il bisogno di nasconderlo e di esorcizzarlo. Pensa che l’ultimo giorno di lavorazione di Io e te ho chiesto di essere truccato da donna. Alla fine sembravo una vecchia bagascia giapponese. Poi ho detto a tutti: “Vedete? Sono come Sean Penn. Più mi trucco più divento virile”» (ad Alessandro Piperno). [La Lettura 14/10/2012]
• Politica «Prima proiezione del mio Novecento, un film in cui raccontavo una saga familiare a partire dalla nascita del comunismo in Emilia Romagna. Eravamo nel 1976, in pieno compromesso storico e mi sembrava di dover celebrare un rito, pensavo di rendere omaggio alla storia del Pci. Paese Sera, quotidiano comunista romano, organizzò un dibattito con lo storico Paolo Spriano e Giancarlo Pajetta.
Alla fine del primo tempo, Pajetta, entusiasta, mi abbracciò. Poi, vedendo le immagini della Liberazione, in cui mostravo anche le vendette private, i processi popolari contro i fascisti, si alzò furioso e se ne andò gridando: mi rifiuto di partecipare. Giorgio Amendola disse che il film era bruttissimo. La Fgci di Walter Veltroni, invece, mi appoggiò.
Da allora, la mia tessera del Pci, presa nel 1969 contro l’estremismo filocinese dell’estrema sinistra, proprio nel momento in cui ci fu la rottura del partito con il gruppo del Manifesto, si è andata via via scolorendo... Alla metà degli anni Ottanta ho smesso di rinnovarla, non ero un militante, ho iniziato a vivere più all’estero che qui. Oggi, mi pare di non avere più trasporto politico per nessuno: salverei proprio soltanto Veltroni, perché è capace di guardare al futuro senza dimenticare le radici in cui tutti amiamo riconoscerci».
• Vizi «Sono ateo, grazie a Dio. Come diceva Buñuel».
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