#// non temete arriverà anche il pippone sugli arabi
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Di sangue, lame e nuovi nomi
Il sangue venoso era più scuro di quello arterioso. Più calmo, anche, nel suo defluire; pareva scorrere come un fiume, laddove le arterie schizzavano sangue vivo come fontane. Sicilia aveva avuto ampia occasione di osservare dal vivo il sangue umano, e le occasioni erano solo aumentate da quando i cani Normanni avevano mosso guerra contro la sua terra, distrutto tutto quello che toccavano quasi fossero figli del Demonio. Il sangue Moro era più scuro di quello Normanno, rosso su nero e rosso su bianco. Palermo era ridotta a una carneficina. I corpi mori che non erano stati bruciati e dissacrati erano gettati lì dov'erano stati uccisi, con quella febbre di guerra e sangue che sembrava dominare quei pallidi barbari venuti da Nord. E proprio quel sangue circondava la ragazza, inginocchiata in mezzo ai cadaveri delle sue genti, ai corpi figli empi di strage, figli suoi luttuosi che le strappavano lacrime e singhiozzi amari dalla gola; sgorgava dalle ferite ancora aperte di qualche moribondo, gocciolava dai tagli e dagli squarci che la battaglia aveva aperto sulla sua pelle, riluceva sul filo della rossa spada di Normandia, che non contento di aver passato per il filo delle sue spade ogni singolo eretico della città si era trattenuto indietro, lasciando i suoi a razziare la città per spiare il pianto sacro di quella dama che aveva perso ogni sua ragione d'esistenza. S'avvicinò di soppiatto a lei, senza che lei si accorgesse della sua presenza; quasi arrivò a sfiorarla, quando lei si rese conto di essere in compagnia e si voltò, scaraventandolo a terra e puntandogli il pugnale alla gola in quello che parve essere un batter d'occhi. Sangue. Uscì del sangue dal sottile taglio inferto dalla pressione ancora leggera del pugnale sulla sua pelle delicata, ancora quella d'un giovinetto poco più che atto alle armi. Sangue scuro, venoso. Più chiaro del suo, nonostante ciò; il sangue Moro era più scuro di quello Normanno, dopotutto, e lei era a tutti gli effetti una saracena. Normandia trasecolò sotto di lei, senza osare muoversi se non per respirare piano. Zahira lo guardò negli occhi freddi come il ghiaccio, occhi che sperava le fiamme dell'Inferno avrebbero sciolto. "Dovrei ucciderti o lasciarti andare, con tutto quello che mi hai fatto?" Lui scosse la testa, e lei ammorbidì impercettibilmente la stretta per farlo parlare. "Una- una riconquista va sempre festeggiata, Madama," millantò quello, nella speranza di aver salva la testa, "lasciatemi andare, e vi guiderò verso la gloria, vi potrò portare in salvo da questi bruti invasori." Lei premette ancora più forte sul suo collo, facendolo rantolare terrorizzato. "Non ho mai avuto bisogno di essere portata in salvo, men che mai da un vile nordico che ha cara la gloria più della vita stessa." Chinò il volto scuro sul suo, e delle ciocche nere le ricaddero sul volto. Le lunghe trecce che portava in battaglia si erano sfatte, i nastri d'oro che le tenevano legate sciolti e caduti per terra, unico barlume di luce nel profondo rosso di quella tragedia. "Sei fortunato che io non intenda abbassarmi al tuo livello, infame, ucciderti sarebbe uno spreco di sangue, e la tua gente ne ha già versato fin troppo." "Non solo la mia," replicò senza fiato, la presa di lei sul pugnale leggermente allentata, "devo ricordarti io stesso i crimini dei tuoi tanto cari saraceni?" Lei sollevò il volto in un gesto di sfida, assottigliando lo sguardo. "Ogni popolo conquistatore necessariamente uccide i capi di chi li oppone, e loro si sono ampiamente redenti per i loro peccati di sangue. I tuoi possono dire di aver fatto lo stesso?" "Dammi la possibilità di redimermi, allora." "Tu sei Satana, la redenzione non ti appartiene." "Io sono il tuo salvatore, colui che ti libererà dalle fiamme dell'Inferno!" "Le uniche fiamme che vedo sono quelle dei roghi che tu hai acceso." "Li ho accesi per liberarti!" "E questa terra dei cadaveri osi chiamarla liberazione?" Quasi gridò, la voce rotta e le lacrime sul volto. Aveva lasciato involontariamente la presa su Normandia, che si rimise in piedi a fatica. Le porse una mano, come a volerla aiutare ad alzarsi. Lei lo scansò, guardandolo come fosse ardente di fiamme, e si alzò senza lasciarsi aiutare. Fece per allontanarsi, ma Normandia la fermò. "E dove credi di andare, Sicilia?" "Dritto all'inferno."
Sapeva che prima o poi i Normanni l'avrebbero assoggettata, che sarebbe dovuta andare con loro com'era andata con Teodoro e Khalifa, ma pregava in segreto che quel momento non fosse ora; le sue preghiere non erano state udite da alcun Dio, apparentemente, rifletté mentre Normandia le legava le braccia e la portava di fronte al suo re.
Il normanno ordinò ad alcune donne di palazzo che la lavassero e la vestissero alla foggia occidentale, raccomandando loro di prestare particolare attenzione alla sua chioma, affinché il re potesse ammirarla nel suo massimo splendore. Erano ragazze giovani, pallide di viso e di capelli come non se ne vedevano in giro in quelle terre; si chiese se avessero mai servito una saracena, prima di allora, e a giudicare dagli sguardi che le rivolgevano, la risposta era no. La spogliarono e la lavarono con un unguento profumato, raccogliendole i capelli in due trecce sulle spalle, simili alle loro acconciature. Le fecero indossare un abito rosso e un nastro delicato al capo, come una di quelle damine occitane dalla pelle di porcellana di cui le avevano raccontato tempo prima, e la lasciarono sola, per potersi specchiare e aggiustare come desiderasse. Non aveva mai indossato un abito di quella foggia attillata, nemmeno sotto Bisanzio, e la stoffa pesante di cui era fabbricato le faceva rimpiangere le sete delicate e le larghe casacche e pantaloni che aveva indossato fino ad allora. Si chiese se avesse potuto strapparlo, lacerare quella lana fino a ridurla a brandelli, come avrebbe immensamente gradito fare con Normandia in quel momento. Prese un respiro profondo per calmarsi, e solo in quel momento notò un bagliore riflesso nello specchio; sulla sedia dov'erano appoggiati i suoi vecchi abiti, seminascosto dalla pila di indumenti sporchi, c'era il suo pugnale, appena insanguinato, ma nonostante ciò perfettamente utilizzabile. Quell'idiota del normanno aveva scordato di disarmarla, realizzò con divertimento. Lo impugnò con la mano tremante, tornando allo specchio e considerando le sue opzioni. Le balenò davanti agli occhi la regina d'Egitto, la moglie di Antonio Cleopatra, che nella disfatta si era data la morte pur di non cadere nelle madi del nemico; lei, tuttavia, era immortale, a differenza della regina, e conficcarsi un pugnale nel petto o aprirsi le vene le avrebbe solo fatto un male dannato. Guardò i suoi capelli lunghi fino a oltre i fianchi, il suo più grande vanto. Ripensò alla voce suadente dell'uomo, che le raccomandava di prendersene cura, alla rabbia cieca che le dava il suo pensiero, e dopo aver sciolto il bel nastro che le decorava la fronte, tagliò di netto le lunghe trecce appena sotto la mandibola. Caddero a terra, ancora legate. Terminò di sciogliersi i capelli e le raccolse, quella chioma che aveva passato tanto tempo a crescere e di cui era andata tanto fiera. La distruggesse pure il biondo cavaliere, non l'avrebbe mai posseduta, se non nei suoi sogni. Trovò l'uomo e il suo guerriero in quella che era stata la sala del sultano, l'uno in piedi accanto al trono e l'altro sedutovi come un monarca assoluto. Vide il normanno guardarla inorridito, e ricambiò di cuore lo sguardo avvelenato, prima di guardare lo sconosciuto conquistatore. Sorrideva, per qualche ragione a lei ignota, seduto sul trono strappato al suo legittimo sovrano. Le faceva assoluto ribrezzo; aveva imparato col tempo, tuttavia, che era meglio mostrarsi più bendisposta possibile ai sovrani temporali. "Sicilia, venite avanti, prego, vi stavamo aspettando." "Lo immaginavo, vostra grazia." Tenne alto lo sguardo, sentendosi quasi nuda di fronte ai suoi occhi glaciali. "Siete in presenza del Conte di Calabria, Ruggero d'Altavilla," intervenne Normandia, ma quello lo zittì con un gesto della mano, lo sguardo fisso su di lei. "Conte di Sicilia, se lo vorrete." Lei scosse la testa. "Non spetta a me decidere i miei conquistatori, vostra grazia; se così fosse, i vostri cadaveri starebbero facendo compagnia alla fata Morgana." Ruggero rise piano, voltandosi verso il biondo. "È salace la ragazza, me l'avevi descritta come una furia infernale," commentò, e quello sollevò le sopracciglia. Lei inclinò il capo da un lato, fingendo innocenza agli occhi del guerriero. "So esserlo, qualora venga provocata," aggiunse, un sorrisetto poco meno che angelico e poco più che falso sulle sue labbra. "Ho molteplici sfaccettature, scoprirete." "Che nome porta, allora, una creatura così unica?" Una martire, ecco come si sentiva: costretta a patire per qualcosa di più grande di lei. Pensò alle sue belle sante morte per Dio, la vergine a cui avevano strappato gli occhi per evitarle di vedere le sofferenze venture prima di ucciderla. Desiderò di poter essere lei, cieca e benedetta, mentre si consegnava definitivamente al normanno e al suo uomo, Ruggero, il Conte di Sicilia. "Potete chiamarmi Lucia."
#regioniitaliane2019#sicilia#fanfic#// sorry se fa un po' schif almeno ho provato❤#// non temete arriverà anche il pippone sugli arabi
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