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[strade-deserte]

Mi sento come se mancasse qualcosa. Come se quel qualcosa mi risucchiasse via tutte le mie energie da non riuscire più a reggermi in piedi.

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“C’è un tipo di sofferenza che non ha voce, non ha volto, non ha testimoni. Ti svegli con il petto pesante, come se qualcuno avesse scavato dentro di te e portato via qualcosa di essenziale. Respiri, ma è solo un’abitudine. Cammini, ma senza direzione. Sorridi, ma il tuo corpo sa che sta mentendo. E il mondo non si ferma, non chiede, non vede. Solo tu senti quel vuoto che divora, quel dolore che non urla ma strangola, lentamente, inesorabilmente.”

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Il dolore vero non ha bisogno di rumore.

Ti spezza dall’interno, ti stringe il petto, si annida nei pensieri e ti fa sentire estraneo persino a te stesso.

È un’ombra che cammina con te, che ti sussurra che nulla cambierà.

E la cosa peggiore?

A volte inizi a crederci.

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Salvatemi da questo vuoto che mi inghiotte, da questo dolore che non ha nome.

Salvatemi, con una parola, con la prova che esisto ancora per qualcuno.

Perché io, da solo, non so più come si fa.

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C’è un tipo di dolore che non fa rumore, che non ha ferite visibili e che nessuno sembra notare.

È quel peso costante sul petto, quel nodo in gola che non si scioglie mai, quella morsa allo stomaco che ti fa sentire sul punto di crollare, ma in qualche modo resti in piedi.

È l’angoscia che arriva senza preavviso, nel cuore della notte o nel bel mezzo di una giornata qualsiasi.

È il silenzio che urla dentro, mentre fuori tutto scorre come se nulla fosse.

E tu sei lì, intrappolato in un corpo che trema, in una mente che lotta contro se stessa, in un vuoto che divora ogni cosa.

E la parte peggiore?

Nessuno lo vede.

Nessuno lo sente.

Nessuno capisce quanto possa essere stancante portarsi addosso un dolore che non si lascia spiegare.

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A volte mi chiedo se questa vita sia davvero mia o se io sia solo un ospite di passaggio, incastrato in giorni che non sento miei.

Respiro, mi muovo, parlo… ma tutto sembra lontano, ovattato, come se stessi guardando il mondo attraverso un vetro sporco.

Le persone ridono, si rincorrono, si trovano e si perdono, mentre io resto fermo, un’ombra che nessuno nota davvero.

Forse non c’è un posto per me qui.

Forse non c’è mai stato.

E allora mi chiedo: quanto tempo si può vivere sentendosi estranei alla propria esistenza?

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Quando la fiducia viene tradita, qualcosa dentro si rompe. Non è solo la delusione: è il dubbio che inizia a insinuarsi, il timore di non potersi più fidare. È sentirsi sciocchi per aver creduto, per aver abbassato la guardia, per aver sperato che questa volta sarebbe stato diverso.

Eppure, il tradimento della fiducia lascia cicatrici che insegnano. Insegnano quanto sia preziosa, quanto sia raro trovarla e quanto sia doloroso perderla. Ma soprattutto, ci ricorda che la fiducia non è un diritto, è un privilegio.

Se qualcuno ti dà la sua fiducia, custodiscila, e se l’hai tradita, sappi che chiedere perdono non basta. Perché la fiducia non si ripara con le parole, ma con il tempo, la coerenza e un impegno senza fine.

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Il dolore non definisce chi siamo, ma può aiutarci a capire chi possiamo diventare.

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“Avrei fatto di tutto per conoscerla davvero”

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“Dove si accettano le ansie e diventano cure”

Ultimo ~ Pianeti

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Quando tutto crolla, quando sembra che il peso del mondo ti schiacci, ricordati: anche le stelle nascono dal caos. Non importa quante volte cadi, conta quante volte ti rialzi. Siamo fatti per risorgere, non per restare a terra.

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Il dolore ha un modo silenzioso di trasformarci. Non è solo una sensazione da evitare, ma un maestro che ci svela verità nascoste su chi siamo. Nel vuoto che lascia, impariamo a cercare significati più profondi, a guardare dentro di noi con occhi nuovi. È nel dolore che scopriamo la nostra fragilità, ma anche la capacità di resistere, di ricomporre i pezzi in una forma diversa, forse più autentica. Non è la sofferenza in sé a definirci, ma ciò che facciamo con essa, come scegliamo di risorgere, nonostante tutto.