Storie,confidenze e aneddoti di una città unica la mondo.
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I Napoletani sono “costretti a vivere continuamente tra il miracolo e il vulcano”, come scrisse Herling.
Il culto di San Gennaro a Napoli, con l’annesso miracolo del sangue, si radicò profondamente a Napoli in due occasioni. Nel 1527 e nel 1631. In queste circostanze la città si trovò sotto la tremenda minaccia dell’eruzione e del terremoto. Il Vesuvio, padrone del golfo e del paesaggio partenopeo, sembrò sul punto di distruggere quella città e quel popolo, da sempre considerati frutto delle sue inquiete viscere.
Durante l’eruzione 1631, proprio durante la processione in onore del santo, vescovo e martire, la lava arrestò miracolosamente il suo funesto avanzare e la nera nube di vapori si allontanò dalla città, virando verso il mare.
Napoli era salva, ancora una volta.
Sorsero, dopo quel prodigio, la guglia dedicata al santo a Piazzetta Riario Sforza, opera di Cosimo Fanzago, e molte delle edicole dedicate al patrono che, ancor’oggi, costellano le vie di Napoli. La città aveva trovato il suo campione celeste, il suo benevolo avvocato nello spietato agone della storia.
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From Relazione dell’ Ultima Eruzione del Vesuvio, 1779.
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Mistero, suggestione. Leggende di marmo sussurrate all’orecchio dei visitatori. Il tesoro scultoreo della Cappella Sansevero rapisce i sensi, bisbiglia di visioni alchemiche, di sottile e raffinato esoterismo.
Raimondo di Sangro, luminoso protagonista del secolo XVIII, fu un astro di scienze, di curiosità e di intelletto. Ardito alchimista, militare, inventore senza pregiudizi. Osservando il velo che si posa impalpabile sulle membra del Cristo si ha la sensazione di una seta sottile, bagnata. Si ha la tentazione di pensare che, grazie a chissà quale artificio, il Principe stesso ottene tale impensabile perfezione trasformando il tessuto in pietra.
Eppure i documenti del tempo, custoditi presso l’archivio storico del Banco di Napoli, attribuiscono a Giuseppe Sanmartino la completa paternità di quell’opera straordinaria. Così, infatti, veniva retribuito dal Principe lo scultore napoletano:
“...13 febbraio 1754. A Giuseppe Sanmartino ducati 500 per la statua scolpita in marmo di Nostro Signore Gesù Cristo morto, ricoperto da una sindone di velo trasparente dello stesso Marmo, da detto Sanmartino lavorata di tutta soddisfazione... “
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The Veiled Christ
Giuseppe Sanmartin
Chapel Sansevero, Naples
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La fontana del Nettuno, sorta nel 1601 per l’intuizione di Domenico Fontana, con il successo intervento di Cosimo Fanzago, è quasi un “monumento itinerante”.
Dal 1601 al 2015 essa ha peregrinato per la città, seguendo i capricci di viceré e commissari. L’Arsenale del porto, Largo di Palazzo, Via Medina, Piazza Bovio, perfino le grotte di Pizzofalcone hanno ospitato questa deliziosa opera barocca.
Ora il complesso marmoreo si trova a Piazza Municipio. Il tridente del suo Nettuno incalza da ormai quattro secoli i cieli di Napoli, nel sui lenti e macchinosi traslochi ne veglia le notti e ne accompagna i giorni.
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La fontaine de Neptune dit bonsoir à la Lune #Holydays #Napoli
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Carlo Schisano, 1733. Statua in argento fuso e rame decorato. Museo del Tesoro di San Gennaro.
La bellissima statua della santa è adornata da un delizioso particolare. A margine un putto dorato regge il modellino della città, anch’esso in argento. Si distinguono nettamente le facciate, le cupole, le alture alle spalle delle abitazioni.
Si distingue, prigioniero di un fugace sguardo, quel profilo frastagliato, affascinante e dolente. L’orizzonte che restituisce a Napoli il suo volto unico, la sua vena di malinconica immortalità.
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Io vidi una volta a notte profonda un bambino di circa otto anni sul bianco gradino di una chiesa di Toledo. Giaceva tutto solo coperto sino alla testa da un grande panno, da cui uscivano solo le gambette, nude dal ginocchio in giù. Forse era un orfano che non possedeva altro letto che quello...Il pavimento di pietra o una vecchia tavola serve da giaciglio e, se non altrimenti sospetti, li si lascia fare tranquillamente la loro siesta. D'inverno o quando piove, nessuno può dormire per le strade, tanto più essendo questi giovinetti tanto malvestiti. Coloro che non hanno un'abitazione cercando di entrare di nascosto in qualche luogo; si mettono sotto i cortili, sotto le tettoie, nelle stalle...
Mayer, Vita popolare a Napoli nell’Età Romantica
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Medina è un nome che a Napoli regala tinte arabesche alla celebre via - Via Medina - che da Monteoliveto conduce alla piazza del municipio. Eppure, nonostante le apparenze esotiche, Medina è la traccia di un uomo che a Napoli trascorse parte della sua vita. Uno spagnolo
Ramiro Felipe Núñez de Guzmán fu duca di Medina de las Torres e, dal 1637 al 1644, viceré di Napoli. I motivi della sua ascesa politica sono da ricercarsi nelle sue indubbie capacità personali, ma anche nel suo esser stato genero del potentissimo Conte Duca di Olivers.
Ramiro si rese protagonista a Napoli di numerose opere pubbliche, tra cui la citata via, e di un controverso matrimonio con Anna Carafa della Stadera. Controverso a dir poco, visto che la bella principessa di Stigliano era l’oggetto del desiderio dei più grandi feudatari del Vicereame e la sua unione con il viceré spagnolo fu vissuta come una dolorosa umiliazione dalle casate del Mezzogiorno.
Di quell’unione dettata dalla politica rimane oggi a Napoli quella meravigliosa, incompleta rovina che si affaccia sul mare: Palazzo Donnanna.
Né Anna né Ramiro poterono godere di quella costruzione. La nobile di Stigliano perì nel 1644 e Ramiro, nel medesimo anno, vide cessare il proprio incarico a causa della definitiva rovina del suo influente protettore, l’Olivares. Il palazzo, com’è noto, non venne mai ultimato.
Al termine del suo mandato, per l’enormi tasse a cui Napoli si vedeva sottoposta da decenni, il duca di Medina ebbe a dire, riguardo lo stato di prostrazione in cui versava la città di Napoli, “che quattro buone famiglie non li avrebbero potuto fare un pignato maritato.”
Vale a dire, una singola minestra.
Erano stati gettati, in quegli anni, i semi della rivolta del 1647.
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Un bellissimo scorcio sull’ultima Napoli vicereale.
Nel giro di poche decadi la secolare alternanza di governatori, viceré e capitani che reggevano la città dal 1505, sarebbe cessata. Quel profilo di castelli, moli, basiliche e navi da guerra divenne nuovamente capitale di un regno autonomo il 17 maggio del 1734...
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Naples - Caspar van Wittel 1700
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Napoli è una città come le altre.
Bisogna dirselo, ripeterselo. Suona come una bugia e lo è. Ma per rendersene conto, per capire perché Napoli non sia, davvero, una città come le altre c’è bisogno di ripetersela questa bugia. Man mano che la si ripete, guardando i monumenti e le strade antiche, perdendosi tra i vicoli e cercando di catturare il mare da San Martino, questa bugia suggerisce la verità.
Bisogna dirselo, in piedi sui terrazzi del centro storico, dove la città sembra una distesa di cenere e antenne da cui spuntano decine di cupole e campanili, da cui emergono gagliardi i castelli e la collina di Capodimonte. Bisogna guardarsi, fissi, occhi negli occhi con la persona che più si ama e sotto l’ultimo sole di un pomeriggio autunnale, un passo fuori dal Palazzo Reale, sussurrarsi: Napoli è una città come le altre.
Quel senso d’ilarità, quella risata irriverente, liberatoria che ci invaderà, allora, sarà l’inizio di un viaggio che merita di essere fatto senza remore, senza lasciarci dentro rimorsi e luoghi comuni. Un viaggio dentro Napoli e dentro la sua memoria, per salvarla dall’orlo dell’oblio e riportarla dentro chi l’abita e l’ama (talvolta senza sapere perché).
Marianna, “la testa di Napoli”, - Palazzo San Giacomo, Napoli
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