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La musica portatile: dal Walkman allo streaming musicale
Oggi è facile vedere gente passeggiare con le cuffie nelle orecchie intente ad ascoltare musica, ma da quando si è potuto effettivamente ascoltare musica fuori casa?
Il primo Walkman venne prodotto da Sony nel 1979 ed era un lettore di musicassette. Nell’anno successivo venne presentato a Londra ed in America dove costava originariamente 200 dollari.
È proprio in America dove ebbe il maggiore successo con 150 milioni di unità vendute sulle 330 totali. Nelle campagne promozionali veniva rappresentato maggiormente adatto a chi faceva jogging o per gli amanti del roller-skating, aspetto curioso che in qualche modo è rimasto tutt’ora.
Il passo successivo per Sony, dopo il lettore di musicassette, fu il lettore di “MiniDisc”, formato sul quale la casa giapponese aveva puntato. Questa scelta però si rivelò essere sfavorevole perché lasciarono alle concorrenti, tra cui anche Apple, la possibilità di sviluppare quello che poi la storia ricorderà come il formato vincente ovvero l’ Mp3.
Un Walkman sony sports WM-B53 e un iPod - fonte: “Flickr”
Nei primi anni duemila si iniziarono ad avere i primi dispositivi dotati di memoria interna. Uno fra tanti è l’iPod prodotto nel 2001. Ricordato come il primo dispositivo portatile Apple in grado di riprodurre musica, era dotato di 5GB di memoria interna. Era comodo da usare dal momento che lo si poteva controllare tramite una ghiera rotante ed un tasto centrale usando semplicemente il pollice di una mano. La memoria interna toglieva l’ingombro dei CD sui quali principalmente erano memorizzati i file
Da qui in poi l’evoluzione si velocizza. I telefoni iniziano ad essere dei riproduttori musicali e nel 2007 il primo iPhone segna la nascita degli smartphone. L’anno successivo vede la nascita di Spotify.
La nascita dello streaming, ma principalmente la sua rapida diffusione, misero la parola fine sullo sviluppo di lettori Mp3. Dal 2011 Spotify infatti diventa facilmente raggiungibile da smartphone tramite un’app e permetteva di disporre di una vasta scelta di canzoni (numero che è in continuo aumento e attualmente si aggira intorno ai 45 milioni di brani) sempre pronte per essere riprodotte.
Negli anni successivi il numero di servizi di streaming sono aumentati portando ad avere un occhio più critico nei confronti degli stessi Ultimamente infatti la necessità di poter disporre di riproduttori musicali non c’è più e quello che si richiede è la qualità. In questo campo il servizio di riferimento è Tidal che si pone l’obbiettivo di riprodurre la qualità del disco nello streaming.
Sarà curioso vedere cosa succederà nei prossimi anni e se l’utilizzo per lo più di cuffie Bluetooth avrà un impatto su questa evoluzione o se magari si farà qualche passo indietro verso tecnologie già utilizzate.
Davide
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Mobile Recording
Nell’ultima decade molti musicisti iniziarono a rendersi indipendenti dagli studi di registrazione portando avanti l’idea del “Home recording” , ovvero dotarsi di schede audio di qualità semiprofessionale, che ora come ora sono disponibili anche a prezzi molto accessibili, e registrare da sé le proprie tracce audio.
Questo fenomeno è stato notevolmente incrementato dall’uscita dei tablet che, in modo estremamente lungimirante, sono stati dotati da subito di applicazioni gratuite che potevano essere usate come DAW . Questa funzionalità fu talmente un aspetto centrale per questo mercato che, per esempio, nella pubblicità di presentazione dell’Ipad mini quest’ultimo viene presentato proprio mentre “suona” .
Vista la potenza di calcolo, recentemente raggiunta dai Tablet, ovviamente anche le App inerenti alla musica sono potute diventare molto più efficienti. Persino programmi professionali come Cubase, una delle DAW più utilizzate, hanno diverse App ottimizzate per l’utilizzo che il cliente ne fa.
Ulteriore svolta in questo mondo del “Mobile Recording” fu l’inizio della produzione di strumenti in grado di connettersi con i tablet, sia via Bluetooth che via cavo. Per esempio l’iPad può così diventare un amplificatore per chitarra o per basso tramite un connettore da collegare all’entrata cuffie con il vantaggio di poter suonare anche dal vivo avendo suoni di alta qualità, ma evitandosi la fatica di pesanti amplificatori e casse vere.
una tastiera collegata all’ipad - fonte:wikimedia commons
Recentemente la società inglese ROLI ha prodotto delle tastiere altamente professionali con funzioni uniche nel loro genere, come la capacita di essere completamente senza tasti fisici ma dotata di sensori di pressione che danno possibilità sonore molto particolari, che rientrano nella categoria delle cosiddette “tastiere mute”. Esse infatti, come le altre tastiere dello stesso, tipo non hanno speaker propri ma necessitano di essere collegate ad un dispositivo esterno per poter suonare. In questo caso, essendo dotata di Bluetooth, può essere connessa ad un tablet dove da un’app si può controllare non solo il suono, ma anche registrare come si può vedere in questo ;video esplicativo.
Sarà curioso vedere come questo mondo potrà evolvere ulteriormente nei prossimi anni visti gli enormi passi in avanti che questi dispositivi stanno facendo
Vi lascio con una registrazione fatta interamente con il mio iPad tramite l’App GarageBand
a presto
Davide
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Smartphone da gaming: una nuova frontiera del gaming, ma servono davvero?
Negli ultimi anni il settore del gaming è in costante evoluzione: ogni anno vengono presentati nuovi titoli, sia per quanto riguarda il mondo console e PC, sia per quanto riguarda il mondo mobile. In particolare, alcuni giochi per i dispositivi mobile richiedono una capacità di calcolo sempre maggiore che la maggior parte degli smartphone non riesce ad offrire. Infatti, sebbene la stragrande maggioranza degli smartphone presenti sul mercato riesca a gestire senza problemi giochi leggeri, si pensi, ad esempio, a Pokémon Go, non riesce, però, a gestire giochi incentrati più su uno stile di gioco competitivo, che, proprio a causa del loro concept, necessitano di una grafica e di un’esperienza di gioco senza alcun tipo di latenza tra comando del player e risposta del dispositivo. Nemmeno i “flagship”, ovvero i dispositivi ammiraglia delle varie case produttrici, permettono, talvolta, di avere un’esperienza di gioco ottimale, sebbene montino hardware di fasta molto alta.
È in questo ambito che si inseriscono i cosiddetti smartphone da gaming, che hanno incominciato a fare la loro comparsa solo nell’ultimo biennio. A differenza dei flagship delle varie aziende, questi smartphone sono caratterizzati da soluzioni hardware e design estreme. Ad ottobre 2017, infatti, il sito cinese JD.com ha lanciato lo standard “e-Games”, con i relativi requisiti che un dispositivo mobile considerato da gaming dovrebbe avere:
· Frequenza principale della CPU ≥ 2,0 GHz;
· GPU che supporta il rendering a 60 fotogrammi al secondo (FPS);
· RAM minima: 6 GB;
· ROM minima: 64 GB;
· Dimensioni del display maggiori di 5,5 pollici;
· Capacità della batteria superiore a 3000 mAh e supporto alla ricarica veloce;
· Modalità di gioco dedicata;
· Peso inferiore ai 190 grammi;
· Temperature non superiori ai 48 gradi.
Tutto ciò ha significato l’inizio di una ricerca da parte dei produttori, in modo da creare un hardware e un software che potessero rispettare i requisiti sopra elencati, soprattutto gli ultimi tre punti, che rappresentano la sfida più grande per i produttori. Giocare, infatti, per molto tempo consecutivamente porta ad un inevitabile surriscaldamento del telefono e, di conseguenza, ad un battery drain, ovvero alla scarica della batteria, molto elevato. Per questo motivo, gli smartphone da gaming sono dotati di sistemi di raffreddamento e di controllo della temperature molto più efficienti dei normali smartphone; alcune case produttrici, tra cui Nubia, hanno inserito all’interno della scocca dei device anche sistemi attivi di raffreddamento attraverso delle piccole ventole che indirizzano aria proveniente dall’esterno verso il processore, permettendo di mantenere delle temperature nettamente inferiori.
Alcuni esempi di smartphone da gaming presenti sul mercato sono: Razer Phone, Razer Phone 2, Xiaomi Black Shark, Xiaomi Black Shark 2, Asus Rog Phone e Nubia Red Magic 3. Come precedentemente accennato, oltre ad un hardware di un certo livello, i gaming phone sono dotati anche di un design molto differente dai normali telefoni: presentano infatti disegni e geometrie della scocca ispirati principalmente alla componentistica hardware e alle periferiche da gaming per PC; altra caratteristica di design è la presenza di LED RGB, tanto amati dagli appassionati di gaming, seppur inutili in termini di prestazioni. Alcune case produttrici, ad esempio Asus, hanno creato anche delle periferiche aggiuntive per i propri gaming phone, come veri e propri joypad o moduli di raffreddamento da applicare sulla scocca del device.
Il Nubia Red Magic 3, smartphone dotato di ventola di raffreddamento interna. Fonte: Flickr
Ma sebbene il mercato del gaming sia in continua crescita e il 51% dei giochi esistenti sia per smartphone (fonte: Newzoo - Games Analytics Research), hanno una vera e propria utilità gli smartphone da gaming? O sono stati creati solamente per gli appassionati del settore? Vero è che i giochi di ultima generazione per smartphone richiedono sempre più potenza per essere sfruttati a pieno e permettere un’esperienza di gioco fluida, tuttavia, sebbene con qualche rinuncia in termini di prestazioni, anche gli smartphone meno potenti riescono a gestire la maggior parte dei giochi esistenti. Inoltre, il mercato dei PC da gaming è in costante evoluzione, con prezzi sempre più bassi, che permettono di portarsi a casa un computer con buone prestazioni con poche centinaia d’euro, talvolta anche inferiori a quelli necessari per acquistare un gaming phone. Per il momento, quindi, il pubblico a cui si rivolgono i suddetti smartphone sembrerebbe rimanere confinato agli appassionati del settore, soprattutto a causa degli alti prezzi di vendita.
Vi ringrazio per la lettura e vi invito a continuare a seguirci!
Giulio
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Android: lo smartphone come piace a te!
Ciao a tutti e bentornati su SmartCorner! Dopo un blogpost personale e uno riguardo al caso USA-Huawei, oggi vorrei portarvi un articolo un po’ più tecnico, nello specifico riguardo alla personalizzazione Android!
Come alcuni di voi già sapranno, una delle caratteristiche che differenziano maggiormente Android dall’OS della mela morsicata, è che sul sistema operativo del robottino verde gli utenti hanno una grande possibilità di personalizzazione, sia essa grafica o funzionale. A differenza di quanto si possa pensare, però, personalizzare il proprio smartphone è tutt’altro che complicato! La personalizzazione offerta da Android, infatti, ha diversi livelli, alcuni molto semplici, ma comunque soddisfacenti, fino ad arrivare ad altri più complessi e “profondi”.
Il primo grado di personalizzazione, ossia il più semplice e alla portata di tutti, è l’applicazione di temi. Svariati produttori di smartphone, infatti, inseriscono nei propri device delle applicazioni all’interno delle quali si trova uno store con numerosi temi creati sia dai produttori stessi che dagli utenti. Grazie ad essi potrete, con un semplice click, andare a cambiare i colori dell’interfaccia, le icone e quant’altro.
Screenshot dell’applicazione Temi di Huawei, immagine personale.
Se si vuole scendere po’ più nel profondo, e quindi avere una personalizzazione più dettagliata del proprio smartphone, esistono delle applicazioni di terze parti, sul Google Play Store, utili a questo scopo. Esse sono principalmente di 4 categorie:
Launcher alternativi, ossia quelle applicazioni che fanno da schermata home e permettono di “lanciare” le app (da cui il nome launcher, lanciatore);
Icon pack, ossia pacchetti di icone diverse da quelle standard, disponibili negli stili più disparati;
App di widget, ossia app che permettono l’inserimento di “widget”, ossia scorciatoie a varie funzioni, dal calendario, al meteo e quant’altro;
App di sfondi, per trovare gli sfondi più adatti a noi.
Grazie a queste applicazioni, dunque, si potranno andare a modificare le icone con dei pacchetti presi separatamente, i quali spesso permettono di cambiare aspetto a più icone rispetto a quelle nei temi ufficiali, oltre ad avere una maggiore varietà di stili. Con i Launcher alternativi, inoltre, è possibile aggiungere funzioni che normalmente non ci sono, come azioni legate a gesture sullo schermo o quant’altro.
Tre esempi di mie personalizzazioni
Il terzo livello di personalizzazione, poi, è quello legato ad una applicazione in particolare, ossia Substratum Themes. Questa applicazione permette di modificare i colori dell’interfaccia laddove temi e launcher non possono arrivare. Con essa infatti si può modificare sia l’interfaccia di sistema, ma anche di applicazioni esterne quali Whatsapp, Instagram e altre, cosa che i temi basilari non possono fare. Questa applicazione utilizza l’OMS (Overlay Manager System), ossia un sistema che permette di abilitare o meno delle sovrapposizioni. Per fare ciò Substratum ha bisogno dunque di un comando ADB (Android Debug Bridge) per fornire le autorizzazioni necessarie.
L’ultimo e più profondo sistema di personalizzazione è lo sblocco dei permessi di root, ossia i permessi di amministratore. Grazie ai permessi di root si possono installare applicazioni che normalmente sarebbero proibite, o addirittura sostituire la propria “ROM”, ossia la personalizzazione di Android effettuata dal produttore, con un’altra a proprio piacimento. Ciò concede dunque un’ampia possibilità di personalizzazione, ben maggiore delle altre. Il rischio, però, è che se non si è abbastanza informati, possono succedere dei problemi tecnici, e il telefono potrebbe risentirne.
Spero che questo accenno all’enorme mondo della personalizzazione Android vi sia piaciuto e che ne abbiate tratto spunto!
Al prossimo Post!
Bernard.
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La mia scoperta di internet
La mia avventura con il magico mondo di internet iniziò quando mio padre decise di cambiare computer in ufficio portando a casa quello che usava a lavoro.
Accenderlo, per un bambino di 5-6 anni, fu un sogno. Windows 98 era il mio Jarvis, io Iron Man e il computer la mia armatura, una meravigliosa armatura. Un assemblato con una super CPU ed una scheda audio sound blaster con cui si poteva addirittura registrare (cosa che per l’epoca sembrava quasi stregoneria). Lui il mio veliero, Internet il mare. Ero un piccolo Cristoforo Colombo alla ricerca di qualcosa, una qualunque cosa. YouTube meta prediletta e colonna sonora del mio viaggio. Quindici anni fa i “gamer” erano estremamente pochi e quei pochi parlavano inglese, lingua che per il me bimbo era incomprensibile, dunque i contenuti più cercati furono musica, musica e ancora musica. Gli altri siti, per via della mia inesperienza, rimasero lande inesplorate ancora per molto tempo.
questo era molto simile al mio primo computer fisso - fonte flikr
Dopo qualche anno il mio fedele destriero mi abbandonò, il periodo precedente all’arrivo in casa si faceva sentire e il fatto che non potessi giocare a Prince of Persia, perché non era supportato dalla scheda video, mi diede la la convinzione di dover andare avanti senza di lui: dovevo avere un mio portatile. Parola magica entrata nel mio dizionario sempre grazie a mio padre ed alle sue necessità lavorative che, in quanto architetto, aveva necessità di poter disegnare anche fuori casa con comodità.
Io intanto ero cresciuto e avevo iniziato a voler fare della musica una compagna di vita imparando a suonare la chitarra. Così il mio portatile doveva essere un personalissimo studio di incisione e quindi, ignorando ogni specifica tecnica necessaria ed affidandomi a qualche recensione online, comprai e iniziai un nuovo capitolo della mia avventura. Le prime difficoltà si presentarono subito. Non ero in grado di utilizzare il computer come volevo, così dovetti imparare. La mia visione del web era cambiata, lo stesso YouTube era un qualcosa di diverso. Dovetti iniziare a cercare video tutorial, informarmi sui programmi da usare. Era tutto, come la prima volta, nuovo.
Nonostante per via della scuola avessi già pian piano iniziato ad usare Wikipedia, il dover cercare informazioni sul web fu comunque qualcosa di complicato. I siti erano in inglese (cosa sul quale ero fortunatamente migliorato) ed erano pieni di termini tecnici che all’epoca si accumularono in un ammasso di parole prive di significato. Dunque ancora, per l’ennesima volta, ritornai a dover imparare. Trovai su alcuni siti e su alcune riviste le nozioni che mi servivano per poter utilizzare i programmi ed iniziai a sperimentare completando i primi brani. Una soddisfazione immensa.
Dopo anni di onorato servizio il mio pc, stremato dall’uso intensivo che ne facevo, mi abbandonò e venne sostituito da quello che uso tuttora. Con esso arrivò la prima scheda audio esterna (una Scarlett Solo) e due monitor da studio poi sostituiti con apparecchiatura migliore che uso per la mia piccola passione.
Questo piccolo preambolo mi è servito per raccontarvi un po’ di me e della mia storia con la tecnologia, diventata anche materia di studi al Politecnico di Torino.Nei prossimi post cercherò di incuriosirvi un po’ di più per quanto riguarda l’aspetto che più mi sta a cuore di questo mio viaggio: la musica. Buona lettura e a presto.
Davide
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Smartphone e fotografia: l’evoluzione nel corso degli anni
Ormai da anni il mercato degli smartphone si sta evolvendo, portando ogni anno a evoluzioni hardware e software che, nel complesso, hanno portato ad una rivoluzione, in ogni singolo aspetto dei vari dispositivi mobili. Uno dei reparti che più si è evoluto nel corso degli anni è sicuramente quello fotografico, che ormai da 7 anni sta sempre più migliorando, arrivando a toccare livelli che, prima, solo le fotocamere professionali potevano raggiungere. Il comparto fotografico era stato inserito nei primi smartphone non con l’idea di ricavare una foto che potesse essere considerata quasi un’opera d’arte, ma, bensì, per immortalare momenti della vita quotidiana che avremmo voluto ricordare, nonostante la risoluzione della foto fosse alquanto scadente. I dispositivi mobile, infatti, montavano all’inizio sensori di dimensioni molto piccole, inferiori persino alle fotocamere compatte entry-level, e non permettevano fisicamente di ottenere foto di qualità, si potrebbe dire oggi, decente.
Un primo passo in avanti fu fatto da Nokia, che tra il 2012 e il 2013 iniziò a montare sui suoi smarphone sensori di dimensioni maggiori, quasi a livello di alcune fotocamere compatte, con una qualità in termini di megapixel mai vista prima e con ottiche ben più luminose delle precedenti. Si può dire che sia stata Nokia con i suoi dispositivi a dare il via a questa continua evoluzione che tutt’oggi vediamo.
Sempre in quegli anni venne inserita all’interno del comparto fotografico una novità, già presente nel mondo delle macchine fotografiche, ovvero l’OIS, la stabilizzazione ottica dell’immagine, che permette di ottenere immagini e video senza vibrazioni e movimenti causati dalle nostre mani poco ferme o da spostamenti durante la registrazione di un video. Sebbene sia una grandissima novità e molti produttori la inseriscano all’interno dei loro smartphone, altre case produttrici preferiscono utilizzare una stabilizzazione elettronica dell’immagine, emulando il sistema ottico con algoritmi.
Con il passare degli anni i sensori hanno continuato ad essere migliorati, aumentando la loro dimensione e , soprattutto, allargando le ottiche in modo tale da far passare più luce all’interno del sensore, pero ottenere foto più luminose negli ambienti bui, raggiungendo livelli mai visti prima.
Esempio di evoluzione della qualità delle foto. Fonte: MobileWorld
Un ulteriore passo in avanti venne fatto nel 2016, quando le case produttrici iniziarono ad affiancare al sensore tradizionale, un secondo sensore d’immagine, grandangolare, come nel caso degli smartphone di LG, zoom, come nel caso di Apple e Samsung, o un sensore in bianco e nero, come nel caso di Huawei, che serve a catturare più luce ed ottenere foto con colori più brillanti e fedeli alla realtà.
Arrivando ad oggi, l’evoluzione del comparto fotografico degli smartphone ha portato ad avere dispositivi quasi comparabili a fotocamere professionali, sia per qualità, sia per versatilità. Basta pensare agli ultimi top di gamma presentati tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, che incorporano nella loro scocca ben quattro sensori, ognuno con un’ottica differente, e che possono raggiungere aperture focali quali f1.5, di gran lunga superiori a molte fotocamere compatte.
Un video che testimonia la qualità raggiunta dalle fotocamere degli smartphone odierni è quello del canale YouTube Potato Jet, dove il Huawei P20 Pro viene messo a confronto con una videocamera professionale RED.
youtube
È importante sottolineare che, sebbene l’evoluzione dei sensori dal punto di vista hardware sia essenziale per ottenere qualità sempre maggiori, come nel caso dell’apertura focale o della dimensione del sensore, è necessaria anche un’evoluzione del software che gestisce questo hardware, che, attraverso algoritmi complicatissimi, deve ottenere il meglio che un determinato sensore riesce ad offrire.
L’evoluzione degli smartphone nel campo fotografico è stata talmente importante che il noto sito francese DxOMark, che fornisce recensioni e valutazioni di macchine fotografiche, sensori e ottiche professionali, ha introdotto, a partire dal 2012, una sezione interamente dedicata agli smartphone, stilando una classifica dei migliori dispositivi in termini fotografici.
Vi ringrazio per la Vostra attenzione e spero avervi suscitato interesse nella lettura. Vi invito a continuare a seguirci per la lettura di nuovi post.
Giulio
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La struttura di Android
Il "robottino" di Android. Fonte: Wikimedia Commons
Android è il sistema operativo di cui abbiamo discusso maggiormente su questo blog, ma come è organizzato? Ecco, oggi, desidero farvi scoprire la struttura software del vostro smartphone.
Android è un sistema operativo open-source, questo significa che il suo codice sorgente è liberamente consultabile, modificabile, scaricabile e con la possibilità di essere rilasciato con diversi tipi di modifiche. È proprio grazie a quest’ultima proprietà che viene caricato sugli smartphone di molte aziende leader del settore. Il progetto Android prende il nome di “AOSP” che è l’acronimo di Android Open Source Project, ed è la base di molte di quelle che vengono chiamate “ROM” che altro non sono, che versioni modificate di Android, che portano ottimizzazioni per dispositivi specifici oppure rinnovano semplicemente la grafica.
Il sistema operativo ha bisogno inoltre di un kernel, che gli permetta di comunicare con le diverse componenti hardware di un dispositivo, nello specifico, quello di Android è basato sul kernel linux. Essendo, però, il kernel caratteristico di un dispositivo, può essere modificato laddove l’azienda produttrice del vostro smartphone abbia deciso di rilasciarne il codice sorgente.
La memoria inserita all’interno dello smartphone è sempre suddivisa almeno in 6 partizioni chiamate: system, data, cache, vendor, boot e recovery. La prima contiene tutti i file del sistema Android che sono presenti nelle seguenti cartelle principali: app, bin, etc, fonts, framework, lib, lib64, priv-app e xbin. Queste a loro volta contengono in ordine: le app di sistema, i file eseguibili (l'abbreviazione di “binaries”), altre sottocartelle dalla struttura complicata e contenenti altri file di sistema, i vari tipi di carattere utilizzabili sullo smartphone, le diverse API che permettono una più veloce ed una più facile scrittura di un’app, le librerie di codice a 32bit, quelle a 64bit, le “privileged app” e gli “extra binaries”.
La partizione “data” contiene due cartelle fondamentali: app, che contiene tutti i file apk delle applicazioni installate dall’utente sul dispositivo, e data, che accoglie tutti i dati delle applicazioni. La partizione data è dunque quella che ha al suo interno qualsiasi dato memorizzato sullo smartphone. L’unica parte di essa accessibile senza i “permessi di root” è contenuta nella sottocartella “media”, all’interno della quale vi è la cartella “0” su cui è montata la parte della memoria, che può essere utilizzata dall’utente per memorizzare foto, video, trasferire file ecc.
La partizione cache è dedita alla memorizzazione temporanea dei dati, che vengono elaborati nello smartphone.
La partizione vendor ha una struttura molto simile a quella di system con la differenza che contiene tutti i file e gli eseguibili che sono distribuiti dall’azienda produttrice del vostro smartphone e che possono essere o meno open-source.
La partizione boot contiene il kernel ed è la prima ad essere caricata durante il processo di avvio del dispositivo.
Infine recovery contiene la parte software di Android, detta appunto recovery, che viene caricata durante il processo d’installazione degli aggiornamenti OTA che vengono comunemente scaricati ed installati dagli utenti.
Spero di essere stato ancora una volta esaustivo e di aver suscitato il vostro interesse.
Simone Zanella
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La mia prima esperienza su internet!
Ciao! Sono Bernard, e in questo mio secondo post sul Blog vi parlerò dei miei primi passi sul mondo del web, avvenuti circa una decina di anni fa.
Essendo nato nel 1999, sono cresciuto in un periodo in cui internet era già presente, ma ancora in forte fase di sviluppo. Le infrastrutture erano ancora poco diffuse, la velocità di connessione era bassa e il Wi-Fi era ancora quasi inesistente. Nel mio caso, poi, avendo vissuto, e vivendo tutt’ora, in un piccolo paese di campagna, ho sentito ancor di più il gap tecnologico con il resto del mondo, con la rete internet veloce che tardò molto ad arrivare.
I miei primi approcci con il mondo di internet avvennero circa 10-12 anni fa, quando, con l’aiuto dei miei genitori, imparai pian piano ad utilizzare il computer, il browser (allora usavamo il VELOCISSIMO Windows Explorer), e il motore di ricerca, ossia Google. Fin da subito fui molto incuriosito dal mondo dell’informatica e di internet, e quando capii che potevo cercare potenzialmente qualsiasi cosa mi appassionai subito a quel mondo.
All'età di 9 anni circa, dunque, iniziai ad utilizzare più o meno autonomamente il PC e a navigare su internet. Allora ero un bambino, e in quanto tale ricercavo per lo più le cose che interessano ai bambini, dai giochi online a video musicali su YouTube e quant'altro. Ricordo che la prima rete internet che usavamo era di Alice, che purtroppo nel mio paese non portò mai la banda larga (nemmeno tuttora), e così navigavamo alla straordinaria velocità di poche centinaia di kilobyte, appena sufficienti, e a volte nemmeno, per caricare video in 144p. Un vero schifo, insomma, ma era un inizio, e allora i contenuti erano meno pesanti di quelli moderni, così si riusciva comunque ad effettuare una seppur discreta navigazione web.
Grazie a internet passavo molto tempo coi miei genitori e soprattutto con mio padre e mia sorella, coi quali spesso improvvisavamo dei momenti di karaoke grazie ai video su YouTube piuttosto che a canzoni scaricate per programmi come Karafun e quant’altro. A mano a mano che utilizzavo il web, venni a conoscenza di piattaforme interessanti come Google Earth, Google traduttore, e imparai a ricercare sempre meglio le informazioni di cui avevo bisogno.
All’età di 10 anni, poi, ebbi il mio primissimo approccio con una delle piattaforme che, nel tempo, divenne sempre più un colosso della tecnologia. Sto parlando di Facebook. Già, sebbene sembri un po’ precoce, a 10 anni ero già a bazzicare su Facebook, prima utilizzando il profilo di mio padre, mentre, l'anno dopo, esattamente il 26 agosto 2010, ne avevo finalmente uno mio. Grazie a Facebook la mia presenza sul web si fece molto più intensa, infatti bene o male ogni giorno navigavo su internet per qualche motivo.
Esempio di profilo Facebook come appariva 10 anni fa Fonte: CC search
Da allora è passato molto più tempo, sono cresciuto e la tecnologia di internet assieme a me. Sono cambiati i miei interessi, è aumentata la mia capacità e la mia coscienza su che cos’è internet, come funziona, quali sono i vantaggi ma anche i pericoli. Nonostante tutto, però, qualcosa è rimasto: ancora oggi, come dieci anni fa, navigo su Facebook, e quando ce n’è l’occasione, non disdegno mai di fare una bella serata di Karaoke con amici e parenti (oggi finalmente con una rete decente!).
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La mia prima esperienza con i computer e Internet
Ciao a tutti, oggi voglio proporvi anche io il racconto della mia prima esperienza con il mondo dei computer e di internet.
In casa mia è sempre stato presente un computer, molto vecchio e obsoleto. Montava infatti, come sistema operativo, Windows 98 e aveva uno schermo a tubo catodico. Non ricordo di aver mai utilizzato quel computer; era infatti “monopolizzato” da mio papà, che lo usava per lavoro e per mandare email con una connessione che al giorno d'oggi farebbe sicuramente ridere.
Il primo computer presente in casa mia.
Dopo che nacque mia sorella, ormai 14 anni fa, i miei genitori decisero di cambiare i mobili della mia camera, mi comprarono una nuova scrivania e decisero di comprare un nuovo computer, più moderno, anche se oggi sarebbe considerato anche questo più che obsoleto.
Mio papà decise di farmi un regalo, facendo installare dai suoi colleghi di lavoro un gioco, PES 6, che mi ha aperto le porte al mondo dei computer. Ogni giorno tornavo a casa da scuola e volevo giocare al computer, affascinato dalla modernità e dalla grafica, allora strepitosa, che aveva quel gioco. Passò poco tempo e mio papà decise di insegnarmi a navigare su internet. Ricordo che una delle prime ricerche che feci fu un bellissimo paio di scarpe da calcio, altra mia grande passione, che volevo a tutti i costi.
Nel frattempo, a mio papà era stato dato dall'azienda in cui lavorava un PC portatile. Inutile dire che ogni giorno, quando vedevo mio papà usare quel PC, volevo assolutamente metterci le mani per poterlo usare. Tutto inutile, ovviamente, in quanto era uno strumento di lavoro fondamentale per mio papà e lasciatelo usare sarebbe stato rischioso vista la mia poca esperienza con i computer. Fu grazie proprio alla mia curiosità riguardante quel portatile che per il mio compleanno mio papà mi regalò il mio primissimo computer portatile, che potevo, finalmente, utilizzare liberamente. Iniziai ad utilizzarlo per parlare con i miei amici tramite servizi di messaggistica come il vecchio Live Messenger e Skype. Iniziai a scoprire anche i primi programmi che permettevano di modificare videogiochi come Pokémon, sia a livello grafico, sia a livello di contenuti, e insieme ai miei amici passavo i pomeriggi dei miei ultimi anni di scuole elementari a creare nuovi giochi in base a qualsiasi idea ci passasse per la testa.
Con il passare del tempo iniziai anche ad usare anche internet liberamente, sia per fini scolastici, sia per divertimento, guardando, ad esempio, qualche video su YouTube.
Da quando ho iniziato ad utilizzare i PC presenti in casa mia, in breve tempo sono diventato il punto di riferimento dal punto di vista tecnologico/informatico della mia famiglia, aiutando i miei genitori e i miei nonni a svolgere compiti che loro non erano in grado di fare con i computer e gli smartphone, anche se prima di scoprire questa fetta di mondo legata ai nuovi telefoni passò ancora qualche anno.
Vi ringrazio per aver letto questo mio primo post e vi invito a continuare a seguirci per non perdervi i futuri post.
Giulio
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Come ottimizzare la batteria su Android
Ciao a tutti, sono di nuovo io, Simone. Col precedente post ci siamo conosciuti, ma adesso è ora di passare alla parte più tecnica dei nostri smartphone Android.
Un problema comune, per chiunque utilizzi uno smartphone, è la durata della batteria; diverse sono le ragioni che ci portano a trascorrere molto tempo fuori casa e non sempre si ha a disposizione una presa di corrente per poter ricaricare il cellulare in caso di bisogno, perciò oggi voglio spendere due parole per farvi capire meglio cosa spinge Android a consumare, alle volte, tanta batteria.
L’energia erogata dalla batteria viene utilizzata in primis per tutte le componenti hardware che costituiscono lo smartphone: processore, sensore di prossimità, fotocamera, schermo, scheda wifi, bluetooth, NFC, rete dati ecc. Da questo punto di vista si può fare ben poco se non disabilitare all’occorrenza la rete dati, il wifi, il bluetooth e impostare la sospensione dello schermo a pochi minuti (1 o 2).
Molto di più si può fare dal lato del processore, in quanto, essendo un esecutore di comandi, è possibile intervenire per ridurre i comandi inutili che vengono elaborati. Per fare questo è necessario, però, avere i “permessi di root” che non sono altro, come dice il nome, dei permessi che acquisisce l’utente dello smartphone e che gli permettono, tramite app che li richiedono, di modificare il sistema, piegandolo, alla radice, alle sue esigenze. In questo post non illustrerò i metodi utilizzati per ottenerli, ma, se siete interessati, una rapida ricerca online vi fornirà tutto il necessario.
Il cellulare, se lasciato a schermo spento per un determinato periodo di tempo, tende ad entrare in una modalità chiamata “deep sleep” in cui le risorse utilizzate dal software sono al minimo. In questa modalità il nostro smartphone potrebbe durare anche giorni continuando a ricevere notifiche e chiamate. Esistono però dei comandi inviati al processore che fanno sì che il dispositivo esca da questa modalità: essi prendono il nome di “wakelock”; questi ultimi si suddividono in “kernel wakelocks” e in “partial wakelocks” a seconda che le richieste derivino da componenti hardware (i primi) o da software (i secondi). I partial wakelocks possono essere così tanti da impedire al dispositivo di entrare in deep sleep per un periodo di tempo abbastanza lungo, causando un inutile consumo di batteria.
Altra causa di spreco di batteria è rappresentata dai cosiddetti “wakeups”, detti anche allarmi, che non sono altro che degli schemi che vengono utilizzati dalle app per eseguire determinati comandi dopo un certo periodo di tempo. Per comprendere meglio questo concetto bisogna porsi due domande: come mai una determinata notifica arriva in ritardo? Perché, tra le varie problematiche che possono esserci, l’applicazione scansiona la rete in cerca di nuove notifiche solo ogni 15 minuti. Se un’app scatena molti allarmi verranno generati allo stesso modo dei wakelock che permettono al dispositivo di uscire temporaneamente dalla modalità deep sleep ed eseguire così i comandi per cui i wakeups sono stati scatenati.
Per poter monitorare tutte queste attività esiste un’app specifica, che permette di scoprire dove risiedono i problemi di consumo della batteria, dal nome “BetterBatteryStats”, sviluppata da “chamonix”. Di seguito potete trovare degli screen fatti da me che illustrano il consumo ottimizzato di batteria nel mio smartphone.
Alcuni screenshot dell'app per Android "BetterBatteryStats" presi da me.
Notate come il mio cellulare abbia passato molto tempo in deep sleep e come soltanto per l’1,2% del tempo sia stato “sveglio” con lo schermo spento. Nella sezione allarmi è possibile notare come molti wakeups siano stati scatenati esclusivamente dal sistema Android per il suo corretto funzionamento e molto meno dalle altre applicazioni. Vorrei soffermarmi però sul numero di allarmi dell’applicazione com.google.android.gms meglio conosciuta come “Google Play Services”. È un’app di sistema che è dedita alla gestione di tutte le applicazioni ed account Google; se non ottimizzata, causerà moltissimi wakeups, che andranno a drenare sistematicamente la batteria insieme a tutte le altre applicazioni Google presenti sullo smartphone.
Arrivando al dunque, com’è possibile limitare questi allarmi e wakelock? Un’app, che svolge egregiamente questo compito, è “Amplify”. Questa è un modulo di “xposed framework”, che permette di settare l’intervallo di aggiornamento di wakelock e wakeups. Alternativa gratis, ma con meno opzioni tra cui la limitazione dei wakeups, è “wakeblock” che, a differenza di amplify, non è un modulo di xposed framework e permette di evitare l’installazione di quest’ultimo.
Per sapere quali wakelock e wakeups limitare è possibile guardare i resoconti di BetterBatteryStats e, se non si è sicuri sul compito che uno specifico wakelock o wakeups svolge, allora è necessario cercarlo su internet per capire se la funzione è indispensabile o meno; sarebbe inefficiente limitare un allarme di WhatsApp o Telegram rischiando di ricevere i messaggi in ritardo. Qua è presente una lista dei vari wakelock e l’intervallo di tempo a cui limitarli, tenendo sempre a mente le vostre necessità, ovviamente.
Spero di essere stato esaustivo e di aver, almeno in parte, risolto un problema molto comune tra gli utenti Android.
Simone
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USA VS Huawei: un fuoco di paglia o l’inizio di una guerra commerciale?
Immagine creata personalmente con immagini prese qui, qui e qui.
Fonte: Wikipedia, Flickr.
Da quando Steve Jobs lanciò sul mercato Il primo, rivoluzionario iPhone nel 2007, più di 12 anni fa, Il mondo degli smartphone si è sviluppato esponenzialmente. Al sistema operativo della mela morsicata, si oppose, un anno dopo, l’OS di casa Google, Android, con il dispositivo HTC dream. Questo sistema operativo, a differenza del già citato iOS, è Open Source, caratteristica che rende possibile a chiunque di prenderlo e modificarlo a piacimento. Ciò ha fatto sì che il sistema operativo del robottino verde diventasse il più diffuso al mondo in ambito mobile, con milioni e milioni di dispositivi attivi ogni giorno.
In questi 12 anni, il nostro rapporto con lo smartphone è diventato sempre più intenso e reciproco. Le funzioni si sono via via moltiplicate, la potenza è aumentata, la qualità è migliorata di anno in anno.Tuttavia, ciò ha portato via via a un problema sempre maggiore per quanto riguarda la sicurezza e la privacy. Negli anni Infatti si sono sviluppate varie tecnologie per rendere più sicuri e protetti I nostri “telefoni intelligenti”, e parallelamente sono state varate leggi e promulgazioni per regolamentarne l'utilizzo. Questo è un esempio di quanto successo pochi giorni fa, il 20 maggio, quando il governo americano ha deciso di varare un bando nei confronti di Huawei, il secondo produttore mondiale per numero di vendite di smartphone, in quanto ritenuta responsabile di utilizzare i propri dispositivi come sistema di spionaggio. Questo bando impedisce a qualunque azienda statunitense di poter commerciale con la suddetta azienda cinese, e con altre 68 inserite in una black list. Questo caso è estremamente importante e grave, perché gran parte della componentistica hardware, nonché lo stesso Android, sono di provenienza americana. Ma da dove arrivano i sospetti dell’amministrazione Trump e come si è arrivati a una misura così drastica?
Innanzitutto è necessario dire che non è la prima volta che questi sospetti si manifestano. Il recente bando, infatti, non è altro che la punta dell'iceberg di una serie di eventi che hanno coinvolto gli Stati Uniti d'America e la compagnia cinese. Il 6 dicembre 2018, infatti, venne arrestata Meng Wenzhou, la figlia del fondatore della stessa Huawei Ren Zhengfei, per una presunta violazione delle sanzioni USA nei confronti dell’Iran che impedivano i commerci con questo stato (per cui Huawei era già stata indagata ad aprile 2018). E anche per il recente ban la causa può essere proprio dovuta a rapporti commerciali illeciti da parte di Huawei proprio con l’Iran, con la violazione dei trattati vigenti. Le accuse, a ogni modo, sono ancora abbastanza incerte.
A prescindere da quali siano le accuse, però, questo bando, segna una profonda crisi nei rapporti commerciali tra Cina e Stati Uniti d'America. Il rischio più grosso, infatti, è che di tutta risposta Huawei e altre aziende cinesi come Xiaomi, Oppo, Oneplus e molte altre, creino una sorta di “alleanza” per boicottare il commercio americano e creare un loro ambiente totalmente isolato dal mondo occidentale. Il rischio è grave, ma alquanto concreto, e arrecherebbe danno anche a numerose aziende americane, che perderebbero nelle controparti cinesi un grande bacino di utenza su cui investire. Senza contare che molte delle stesse aziende americane utilizzano componenti o servizi provenienti dalla Cina. Così facendo, quindi, il governo americano si potrebbe dare la cosiddetta “zappa sui piedi" da solo, arrecando danno alle sue stesse aziende, sia software, come Google e Microsoft, sia hardware, come Intel, AMD e altri.
La situazione, dunque, è alquanto spinosa, e ben lontana dall'essere risolta. Nonostante ciò, il piccolo passo indietro compiuto dal governo americano per prorogare il bando di 90 giorni, fa ben sperare che nell'intento di una trattazione al fine di, se non annullare, almeno limitare i danni che ne conseguirebbero.
Questa notizia però fa riflettere: Il mondo degli smartphone a cui tutti noi ormai siamo abituati è dominato da Google e dal suo sistema operativo, che è presente su più dell’70% dei dispositivi mobile attivi ogni giorno. Ciò significa che, se un giorno, per qualche motivo, il governo americano, o anche solo Google, decidessero di tagliare i ponti con il resto del mondo, milioni di persone con in mano un dispositivo Android si troverebbero improvvisamente con un fermacarte pressoché inutile. Ciò fa notare come il mondo Hi-tech sia ormai nelle mani di poche, enormi aziende, che detengono il monopolio di prodotti e servizi senza i quali esso non esisterebbe. Che la via più giusta sia quella di frammentare questi monopoli al fine di non centralizzare le risorse disponibili? Ritengo che solo il tempo saprà dare una risposta.
Bernard
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La mia prima esperienza con internet e la tecnologia
Buongiorno a tutti ragazzi, mi chiamo Simone Zanella, colui che vi aiuterà a guardare con occhio tecnico lo smartphone e a uniformarlo alle vostre esigenze.
Per conoscerci meglio oggi volevo raccontarvi un'esperienza personale: il mio primo contatto con internet e la tecnologia. A casa c’era quello che adesso definirei un pezzo di antiquariato, un computer fisso con lo schermo a tubo catodico e Windows 95, uno molto simile a quello nella foto sottostante.
Un vecchio computer (Rainbow 100 ). Fonte: Wikimedia Commons
Nonostante fosse presente tale cimelio, questo non riusciva ancora a carpire le mie attenzioni.
Mi ricordo che ciò avvenne durante il periodo delle elementari quando l'unico interesse per un bambino era quello ludico, ero molto affascinato dalla strana macchina che mia sorella utilizzava per ricerche scolastiche o semplicemente per svagarsi un po' e così decisi, incuriosito, di conoscerla un po' meglio.
I primi approcci furono difficoltosi, mia sorella era ben restia dal lasciare in mani inesperte una macchina tanto complicata, così dovetti utilizzarla con la supervisione di uno dei miei famigliari. Le ricerche erano principalmente focalizzate sui videogiochi, su come ottenere un determinato bonus, su come sbloccare un'esclusiva, insomma i miei approcci rispecchiavano i tipici interessi di un bambino di quinta elementare.
Col passare del tempo divenni sempre più interessato a scoprire il funzionamento di tale “oggetto misterioso”, cosa lo rendesse così speciale, ma soprattutto come potesse un computer svolgere compiti che richiedevano comunque un'intelligenza per essere elaborati. Iniziarono così le mie prime sperimentazioni; dapprima scoprii le estensioni dei file, in seguito cominciai ad esplorare quella che era la struttura dei videogiochi, feci ad essi, insieme ad un mio amico, le prime modifiche, scoprii meglio internet e tutto il mondo ad esso connesso.
Non mancarono però anche degli inconvenienti che resero il pc di mia sorella inutilizzabile, fino a che non riuscivo a risolvere il problema. Questo intoppo costava a me ogni volta l'esclusione dall'utilizzo del computer. Ricordo che in occasioni come queste cercavo sempre di scusarmi, ribadendo di aver capito il mio errore e, proprio per questo, di essere riuscito a sistemarlo, ma nulla mi sospendeva la pena, tanto che, alcune volte, fui costretto ad utilizzarlo di nascosto, preso da un irrefrenabile desiderio di conoscere appieno quel mondo interconnesso.
Gli anni scorrevano in fretta e sempre più nozioni riuscivo ad apprendere fino al giorno in cui avvenne quello che mi piace definire "uno scambio di ruoli": i miei famigliari cominciarono a dipendere completamente da me in ambito tecnologico, iniziarono a farmi domande su come svolgere un determinato compito, se questo fosse possibile e molto altro. Da quel momento in poi ebbi un computer personale e libero accesso a qualsiasi altro apparecchio elettronico in casa.
Attualmente ciò che da piccolo mi ha fatto entrare in contatto con la tecnologia continua ad invogliarmi a scoprire più a fondo i segreti dell'informatica ed è proprio per questo che sto studiando presso il Politecnico di Torino ingegneria informatica, sperando così di trasformare la mia passione in un lavoro futuro.
Mi raccomando continuate a seguire me ed i miei compagni, prossimamente vi illustrerò un aspetto molto importante per la vita di tutti i giorni: il consumo di batteria dei vostri smartphone.
Grazie per la lettura, Simone
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