parallelepipedidicarta · 6 months ago
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Sadak - Hand Painted Signs in India di Aradhana Seth
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Esistono da sempre due stili di viaggio, uno di questi lo potremmo definire turistico e predilige, per gli spostamenti e la scelta delle tappe, le classiche attrazioni da cartolina da visitare in comodi tour organizzati. Ovviamente questo non toglie nulla all'esperienza che sarà comunque magnifica, ma di certo priva spesso il visitatore di un assaggio di quella che poi è la vera identità di un paese. Un'identità nascosta tra i vicoli delle città, nei quartieri dove la gente vive la propria vita fatta di usanze e tradizioni spesso lontane anni luci dagli standard imposti dalla globalizzazione. Questo vale soprattutto per luoghi come l'India, paese in cui non sono mai stato ma che di certo un giorno vorrò visitare.
Ed è appunto essendo a digiuno di India che non ho potuto non rimanere affascinato dal lavoro svolto dalla regista, artista e scenografa Aradhana Seth che nel corso di due decenni ha documentato fotograficamente le tradizionali insegne dipinte a mano che affollano le città indiane. Offrendo uno sguardo che non fosse turistico ma piuttosto storico, senza per questo rinunciare alla bellezza dell'arte seppure al servizio di artigiani intenti a promuovere umili botteghe. Un libro in cui a far da vetrina all'India non è il Taj Mahal dunque, ma le insegne di dentisti e calzolai. Uno sguardo autentico, originale che al tempo stesso diventa occasione per ripercorrere la storia di un paese e i suoi cambiamenti che proprio su questa tradizione vernacolare hanno avuto importanti ripercussioni.
L'india ha infatti attraversato il periodo del colonialismo, quello della decolonizzazione e infine della globalizzazione e le insegne hanno mutato in stile e materiali proprio in virtù di tali stravolgimenti. Seppure nel loro stile abbiano continuato ad essere contraddistinte da pennellate naif, i cui contorni netti fanno da cornice a colori accesi in cui le prospettive appaiono distorte e luci e ombre sono rese in modo audace, tale forma grafica ha perso il tocco umano della pittura allorché con la globalizzazione sì sono iniziati ad impiegare materiali come adesivi e vinili passando da una tradizione pratica alla stampa digitale.
Eppure se ci si allontana dai centri turistici è ancora possibile ritrovare viva questa usanza. L'India è un paese segnato dalla povertà, in cui la manodopera costa poco, e in virtù di questo i servizi proliferano perché lì ancora conviene riparare piuttosto che sostituire. Dunque le insegne che promuovono questo genere di attività continuano a trasformare in modo costante il paesaggio stradale. Perché le insegne sono alla mercé del clima e, soprattutto, dell'inquinamento. I colori sono addormentati dalla patina dello smog, le vernici si scrostano per il caldo, l'arte delle insegne è in continua mutazione, come un viso che nelle sue rughe tiene traccia dello scorrere inesorabile del tempo.
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Un altro aspetto interessante è il continuo dialogo tra tradizione e progresso. Perché se quest'ultimo si serve della cultura indiana come contaminazione estetica di prodotti globali per cercare di conferirne il fascino, allo stesso modo l'India più tradizionale ha iniziato ad adottare materiali e tecnologie della modernità cercando di renderle accessibili proprio attraverso il tocco umano della pittura. Stiamo parlando di uno stile di vita che collide che con la classica struttura a caste della società indiana, un India che continua ad adottare un sistema patriarcale che impedisce, di fatto, l'emancipazione delle donne. Ma proprio nelle insegne dipinte, nella loro ingenua spettacolarizzazione dei meccanismi della vita quotidiana traspare un cambiamento in atto, un desiderio di emancipazione che fa di quelle tecnologie e di quel lusso oggetti di fascinazione, aspirazione e celebrazione.
Perché, come ho già accennato, le insegne raccontano la storia del mercato indiano sotto i mutevoli regimi politici, dai bazar all'avvento delle agenzie pubblicitarie con relativi punti vendita alle riforme dovute alla globalizzazione e al mercato neoliberista. In un quadro che ha portato con il tempo a considerare gli esseri umani unicamente in quanto consumatori (si veda il processo di disneyficazione delle scuole). Si potrebbe riassumere Sadak come il tentativo, riuscito, di raccontare un paese attraverso l'arte popolare. Insomma se, come me, volete fare un salto in India senza prendere l'aereo questo è un buon inizio.
Ah, quasi dimenticavo.. i libro di Aradhana Seth è ovviamente un oggetto bellissimo, coloratissimo.. e con una particolare caratteristica: le pagina sono a doppio strato e hanno una sorta di effetto pancia (vedi foto sotto), del tipo dei libri di arredo per illuminare le stanze. In più è corredato dalla storia di alcuni pittori di insegne, tra cui il nostro Francesco Clemente.
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Ho parlato di: Sadak - Hand Painted Street Signis in India Aradhana Seth Editore: Humboldt Books 184 pagine, colori Copertina morbida ISBN 979-12-80336-12-5
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parallelepipedidicarta · 6 months ago
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Tagadà di Paolo Zerbini
[Skinnerboox, 2024]
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C'è stato un tempo in cui la socialità non era appannaggio dei social network. Un tempo in cui per essere figo non potevi fare affidamento sui filtri Instagram ma dovevi impiastricciarti i capelli di brillantina, indossare i tuoi jeans Angeldevil e sperare che San Topexan riparasse il viso segnato dall'acne della pubertà.
Anche il rituale del corteggiamento obbediva a dinamiche assai diverse, perché diverso era il palcoscenico. Sto parlando delle giostre delle fiere itineranti che hanno segnato l'adolescenza di chi, come me, l'ha vissuta nella realtà di una piccola provincia. Le giostre erano una sorta di Isola che non c'è, uno spazio in cui gli adulti non erano ammessi e a noi ragazzi era concessa la libertà di fingerci orgogliosamente indipendenti.
Quando mi sono trovato a sfogliare l'opera di Paolo Zerbini Tagadà ho ritrovato tutti questi ricordi immortalati in scatti che sembrano riemergere da un passato lontano. Le giostre sono state per molti il terreno delle prime volte, le prima scappate, i primi baci, i primi tiri di sigaretta. Era lì che potevamo dare libero sfogo agli impulsi che animavano il nostro corpo. Erano un'estensione della nostra cameretta, erano la realizzazione del nostro desiderio di emergere e dimostrarci coraggiosi - maturi. Alle giostre ci si guardava, alle giostre ci si abbracciava. Oggi tutto questo appare anacronistico, oggi la nostra vita è regolata dai dispositivi che teniamo in tasca, le nostre emozioni sono ridotte a stupide emoji. Il nostro coraggio? A che serve parlare di coraggio, internet ne ha regalato a chi è (e resterà) comunque un codardo.
Quant'è bello allora perdersi nelle foto dai colori caldi in cui Zerbini ha catturato le giornate al luna park dei giovani della sua provincia: il mantovano. Corpi abbronzati, sudore e sorrisi, tutto è giocoso perché tutto è in movimento. La socialità nella sua dimensione più genuina, quella cioè privata di schermi in cui le luci non sono quelle dei cellulari ma delle lampade al neon. Ecco allora le foto rivestite di quella patina gialla, come un abito da sera che dona l'aspetto pingue della salute, della gioia di esserci e di farlo in presenza. Il brivido di un contatto fisico, di una mano che non si vergogna a trovare il fondo della tasca dei pantaloni della propria ragazza.
Come affermato da Francesco Zanot, le giostre sono una bolla in cui si svolgono le prove generali di una società organizzata secondo un modello tribale. E in questo contesto il Tagadà diventa la regina del luna park, la prova di forza e coraggio più difficile da affrontare, il preludio a ciò che verrà.
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L'opera di Zerbini è un'esperienza visiva che sollecita emozioni sopite. Perdonate il gioco di parole se lo paragono a un ultimo giro di giostra, ma è effettivamente così. La nostalgia gioca un ruolo importante e non vi nascondo che anche la presenza della sovracoperta rosso-trasparente in pvc del tipo che si usava per i quaderni e i libri di scuola mi ha fatto scendere una lacrimuccia.
Perché Tagadà è anche un bell'oggetto valorizzato dalla scelta, per la stampa, di una carta ultra-glossy. In fondo è giusto così, se al cuore si è pensato è giusto dare anche all'occhio la sua parte.
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Ho parlato di: Tagadà Paolo Zerbini Editore: Skinnerboox 150 pagine, colori Copertina morbida con sovra-coperta in pvc ISBN 978-88-94895-63-6
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