Every man has his secret sorrows which the world knows not; and often times we call a man cold when he is only sad.
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“If I can't feel, if I can't move, if I can't think, and I can't care, then what conceivable point is there in living?” 1981, Attleboro. Una ridente - ma mica tanto - cittadina del Massachusetts dove tutti si conoscono tra loro e non succede mai niente di interessante. Oliver Curtis Donahue è nato il 19 Febbraio da una famiglia di quelle in. Personcine importante nel contesto in cui si trovavano, per il resto fuori da Attleboro non erano niente di che. Suo padre è stato uno statistico in tempi migliori in cui il mondo aveva ancora bisogno di lui, sua madre in sostanza collezionava giardinieri. A dividerli c'era quasi una generazione, nonchè svariate dinamiche disfunzionali su cui non vale la pena soffermarsi. Basti sapere che dopo aver avuto conferma che il suo primogenito sarebbe stato un maschietto, babbo Donahue si è trasferito in una camera da letto a parte. Per tutta questa serie di ragioni, Oliver ha avuto il sacrosanto dovere di difendere lo status quo già dalla nascita. Ed è infatti sorprendente come non abbiano cercato di farlo smettere di piangere già dopo il primo vagito, consentitogli proprio perchè in quanto primo costituiva un particolare di cui vantarsi. I Donahue sembravano una perfettissima famigliola uscita da una pubblicità degli anni Cinquanta, a cui normalmente verrebbe da associare una casa enorme con lo steccato bianco e un Labrador che corre. Peccato che non ci fosse nessun Labrador e la perfezione era solo un'illusione prefabbricata a cui tutti dovevano fornire il proprio contributo recitando il proprio ruolo. E per un bambino, è complicato capire se la realtà è quella che vedi o quella che senti, quando le due sono in netto contrasto tra loro. Ma d'altronde, capire non è di nessuna utilità nel momento in cui l'unico modo che hai di diventare meritevole di attenzioni è quello di adattarti ad aspettative estremamente alte e smettere, in effetti, di comportarti come un bambino più o meno nel momento in cui inizi a sapere di esserlo. Si potrebbe dire che per la maggior parte della sua vita, Oliver non abbia mai davvero conosciuto i suoi genitori. Anzi, che non abbia mai davvero conosciuto sè stesso. Più che una banderuola al vento, è stato la scimmietta ammaestrata di suo padre e il bambolotto di sua madre. Le sue preferenze hanno avuto una rilevanza nulla per tutto il corso della sua infanzia e, nonostante questo, gli unici momenti in cui papà si mostrava fiero di lui non stava mai davvero parlando con lui. Le manifestazioni di affetto di qualsiasi genere, poi, erano bandite. Nel giro di qualche decennio, avrebbe potuto riconoscere tutto questo come l'origine di una profonda ferita narcisistica. Se solo avesse imparato a guardare in faccia alla realtà. Ha avuto, all'apparenza, la classica adolescenza da ragazzetto da scuola privata tutta rigore e preghiere. Quando non studiava, praticava scherma e lacrosse. Sua madre voleva pure che imparasse a suonare qualcosa, ma babbo Donahue ha chiuso la questione chiedendole se volesse anche iscriverlo al ballo delle debuttanti. Intanto tra collegio maschile e agenda giornaliera su cui non aveva alcun potere decisionale, è dubbio che sia riuscito a parlare con una ragazza che non fosse sua cugina maggiore prima dell'università. Non che sia importante, come scopriremo in seguito. Il punto è che proprio non ha avuto il tempo o la motivazione di interrogarsi a riguardo, ha dato per scontato che prima o poi avrebbe sposato qualcuna e avrebbe fatto uno o due bambini - se avesse avuto un maschio, avrebbe anche potuto fermarsi al primo come papy. Di ribellione adolescenziale non se ne parla proprio, se si esclude una certa scostumatissima tendenza ad iniziare a covare interessi propri, con cui ovviamente non parlava con nessuno. Ha iniziato addirittura - sacrilegio - a formarsi qualche primo abbozzo delle sue teorie sull'esistenza umana, che come è ovvio che sia contenevano più di qualche traccia del nevrotico ossessivo che sarebbe diventato. Ma che questo ragazzetto spocchioso e orgoglioso avesse dei sentimenti, era difficile immaginarlo. Sembrava la copia di suo padre. Nel '99, si è scritto all'università. Harvard, ovvio. Dove volevate che lo mandassero? Papà voleva che studiasse per diventare medico, ma per la prima volta Oliver ha imposto una decisione che fosse sua: psicologia. All'epoca, neppure sapeva perchè. Forse, soltanto il classico meccanismo di compensazione per cui qualsiasi persona spaccata in due finisce così. Comunque, a suo padre non andava mica tanto a genio di ritrovarsi un figlio che si veste come un damerino e prende una laurea da femmina, ma dopo settimane di ricatti emotivi da ambo le parti, l'ha spuntata il figlio. Per dimostrargli di non aver vinto proprio niente, il genitore è passato dall'indifferenza allo spregio passivo-aggressivo, andando ad incrinare ancora di più un rapporto già inesistente. Sua madre intanto piangeva lacrime fintissime per il traferimento del caro figliolo. A un'ora di treno. Praticamente, tornava a casa tutte le settimane. Per una volta, della disfunzionalità dei coniugi Donahue gli importava ben poco: con Harvard, stava per inaugurare finalmente una fase della propria vita in cui avrebbe potuto finalmente smettere di lottare per l'approvazione dei suoi. Meglio puntare al mondo intero. Oliver Curtis Donahue è stato davvero una pessima persona durante i suoi anni universitari. Si è costruito il suo bel piedistallo di marmo, ci è salito sopra e si è ficcato una lunghissima scopa su per il culo. Non soltanto pretendeva che tutti notassero quanto fosse assurdamente brillante in qualsiasi cosa, ma faceva qualsiasi cosa per sottolineare il divario tra sè stesso e la plebaglia sottostante. Diventare suo padre: lo stava facendo proprio bene. Adesso, non sappiamo come abbia fatto ad accaparrarsi l'interesse di una persona tanto carina come Sophia, ma sarà stato il classico fascino dello stronzo coi soldi. Non c'è altra spiegazione. Anyway, Sophia: capelli rossi, occhioni azzurri, risata contagiosa. Ed è successo come succede sempre: si esce con amici che portano amici, lei si presenta e tu ti ci vedi già sull'altare. Purtroppo non si è sciolto come un gelatino al sole, anzi, è diventato pure più insopportabile per compensare la vulnerabilità del primo amore. Perchè innamorarsi a 22 anni è proprio una brutta esperienza imperdonabile. Alla fine, a furia di pavoneggiarsi ci si è messo insieme. Perchè i Donahue si prendono sempre quello che vogliono, no? Nel corso dei due anni successivi, il rapporto con George è andato progredendo oltre la sfera lavorativa. Trascorrevano molto tempo insieme anche fuori dall'università e lo stesso Oliver ne era scombussolato in senso positivo. Mai a pensare che avesse una cotta, lui era convinto di aver semplicemente trovato una persona con cui condividere i suoi interessi intellettuali e che quindi l'entusiasmo che provava in sua compagnia fosse una diretta conseguenza di un qualche profondissimo senso di condivisione esistenziale che non aveva mai raggiunto con nessuno. Ripeto, era una cotta. Nel 2006 è nata sua figlia, Coraline Elisabeth Donahue, e in quanto padre di famiglia non ha minimamente preso in considerazione l'idea di poter essere omosessuale. Soprattutto, non poteva esserlo lui in quanto Donahue. Era proprio il genere di cosa che avrebbe minato alla vita perfettissima che stava costruendo un pezzo per volta. Ebbene, quando George si è fatto a sua volta avanti, lui ne ha fatto una questione puramente professionale. Un po' come dire le paroline giuste alle giuste persone, ma senza parlare. Non importa, se nel frattempo si è costruito l'ennesima fantasia narcisistica in cui George fosse in realtà innamoratissimo di lui. Freud avrebbe avuto qualcosa da ridire sul fatto di volersi accaparrare l'affetto di un uomo più vecchio, ma lui negherebbe anche questo. La storiella con il professor Alcott non è stata una cosetta passeggera. Si è cristallizzata all'interno della sua vita, entrando sempre più a fondo nella sua vita quotidiana. Hanno fatto conoscere le rispettive mogli, la figlia adolescente di George faceva da babysitter a Cora, e sempre più spesso erano fuori città per questo o quel convegno che in realtà non esisteva. La capacità di Oliver di scindere tra le diverse versioni di sè stesso - chi era in pubblico, chi era in casa, chi era con George, chi era con sè stesso - ha iniziato così a collassare e si è ritrovato pian piano sempre più incapace di reprimere e di mentirsi per tirare avanti. Il colpo di grazia gli è arrivato alla nascita del secondo figlio, Bentley, nel 2009. Alla fine, anni e anni di difese nevrotiche si sono presentati a richiedere il conto e Oliver si è ritrovato per la prima volta davanti a sè stesso. Dire che quel che ha visto non gli è piaciuto sarebbe riduttivo. Per prima cosa ha cercato di interrompere la tresca con George, che prendendola molto bene l'ha minacciato di togliergli l'assistentato e rivelare tutto alla moglie. Avendo già dato per perso il lavoro e addio Harvard per sempre, ha cercato di salvare il salvabile confessando il fattaccio a Sophia per primo. Anche lei l'ha presa benissimo. Un momento prima hai un buon lavoro, una casa, una moglie, due figli - l'amante, non dimentichiamoci dell'amante - e la fiera consapevolezza di esserti guadagnato tutto questo prima ancora di arrivare a trent'anni. Un momento dopo, hai perso tutto. Un attimo di vulnerabilità, le emozioni che non si è mai concesso di provare hanno preso il sopravvento, ed ha perso tutto. Il suo già complicato rapporto con la propria sfera affettiva non ne è uscito indenne. E' diventato sempre più rigido, metodico, ossessivo e freddo. Tutte le tendenze difensive che si portava dietro fin dall'infanzia si sono innalzate tutte insieme a costruirgli un muro intorno, dietro cui potesse nascondere quanto in realtà si sentisse fragile e a pezzi. Dopo il divorzio, Sophia si presa i bambini ed ha venduto la casa. George non soltanto è rimasto sposato, ma l'ha reso un po' lo zimbello di tutta la facoltà e gli ha tolto pure l'assistentato. Un'altra cattedra non gliel'hanno mai data, neppure come assistente. Intanto suo padre, che era già abbastanza deluso prima, non gli ha mai perdonato nè il divorzio nè le motivazioni che hanno condotto al divorzio. E perchè gli fosse ben chiaro, ha cominciato a rivolgersi a lui come Olivia e a negare di avere un figlio. Non saprebbe dire come è iniziata. Forse, è stata insidiosa, come a conti fatti succede sempre. All'inizio hai un motivo per sentirti affondare, per il senso di colpa che ti impedisce di guardarti allo specchio. All'inizio hai un motivo per non riuscire a prender sonno o per risvegliarti troppo presto. Hai un motivo per decidere che oggi non ti va di pranzare perchè la tua vita ti nausea. Poi i giorni diventano settimane, le settimane diventano mesi, i mesi diventano anni e sei semplicemente diventato così. Non riesci a ricordare come fosse prima, non riesci ad ammettere di avere un problema e allora ti insulti, perchè se tutto va bene e tu non sei più in grado di vivere allora non c'è altro da fare. Sì, sarà cominciata così la lunga storia tra Oliver Donahue e la depressione. Per tenersi a galla, ne ha parlato persino con il suo dottore. A suon di "non va poi tanto male" e "sono solo nervoso" ed escludendo qualsiasi aspetto emotivo della sua sofferenza, ma ne ha parlato. Diazepam e a casa. Ha cominciato a fare il terapeuta perchè l'idea di tornare in un'aula universitaria gli faceva venire voglia di morire e perchè almeno il pensiero di poter far bene a qualcuno giustificava ai suoi occhi l'inutilità della sua persona. In qualche modo, sono passati altri tre anni. A trentun'anni, tutto quello che ha da fare è cercare di tirare avanti. Per i bambini, per i pazienti, ma mai per sè stesso. E se gli tornavano in mente i sogni di gloria del passato, era solo per sottolineare come fosse caduto in basso. Senza nulla di meglio da fare, pur essendo un cognitivista si è avvicinato alle teorie di Jung e in particolare a quelle che riguardavano la sfera metafisica, l'anima e la relazione tra la vita e la morte. Da lì, al riprendere gli scritti della Kubler-Ross è stato un passo breve. Da mero sintomo, il desiderio di morte è diventata per lui un'ancora, l'ultima speranza, la certezza di avere almeno una via di uscita dal disastro che è finito per diventare, per colpa sua e sua soltanto. Non proprio il momento ottimale per venire a sapere che sua moglie stava per essere assunta presso uno studio legale a New York ed aveva tutta l'intenzione di portargli i figli ancora più lontano. A questo punto, ha deciso che tutto sommato di tirare avanti non ne valeva la pena. Se le pillole le avesse ingerite non prima dell'alcool ma dopo, forse sarebbe morto davvero. Ma la farmacologia è una cosa complessa e l'unica cosa che ha risolto è stato trovarsi in un limbo in cui non si sentiva nè vivo nè morto e in cui respirare gli risultava sempre più difficile senza smettere di respirare mai. Ci avrà messo un'oretta o due per capire che più di così non sarebbe successo. E' uscito di casa per farsi chiamare un'ambulanza ed è svenuto. Ci sarà al mondo qualcosa di peggiore del rovinarsi la vita da soli per poi scoprire di non essere nemmeno in grado di morire come si deve, ma a lui proprio non veniva in mente niente. Però non ci ha più provato, perchè svegliarsi in ospedale e riuscire a pensare soltanto "oh no" non gli è piaciuta. Spoiler alert, ci ricascherà di nuovo. Sophia ha accantonato quasi tutto il risentimento post-tradimento per dargli una mano a rimettersi in carreggiata e per un po' lui ha sperato che restasse. O chissà che altro. Ma alla fine se n'è andata comunque, e i bambini con lei. Lui è rimasto solo, ma a rilento s'è tirato su. Non del tutto, ma abbastanza da costruirsi una parvenza di funzionalità. Ha investito in sè stesso per migliorarsi come terapeuta perchè sul lato umano aveva già perso in partenza. Alla fine, nel 2014 ci è arrivato: a Boston non gli restava nient'altro che fantasmi del passato. E visto che l'unico posto al mondo in cui volesse essere era accanto ai suoi figli, ha iniziato a candidarsi per qualsiasi posto da psicologo clinico in tutta New York.
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