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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟡.𝟙
Ci ho messo non puoi capire quanto tempo a fare distinzione tra te e il mio amore per te, a prendere consapevolezza dei tuoi comportamenti e delle tue parole senza aggiungerci quella parte emotiva con la quale ti giustificavo tutto. Ho faticato a smettere di guardare certi miei comportamenti e parole come fossero una motivazione valida per ricevere quello che stavo ricevendo, ho sudato non so quante vesti per capire che si può anche ferire involontariamente ma non per questo bisogna allora vivere il resto della propria vita con i sensi di colpa e la sensazione che essere massacrati sia giusto, sia meritato. Ho dovuto ingoiare delle scuse che avrei voluto condividere ma ho dovuto tenere per me e ha fatto male, perché contemporaneamente la mia dignità mi ha presentato il conto che avrei pagato per una persona completamente concentrata sul suo dolore ed incurante del mio. Ero già stata in guerra tante di quelle volte che ne ero stanca da tempo, cercavo di fare squadra con te: volevo che stessimo bene entrambe in questa squadra, non solo io né solo tu. Mi ero lasciata indietro la ragione e il torto, erano concetti che avevo scelto di perdere, ma tu evidentemente no. Ed anche questa fine cosa starebbe a significare? Che ho torto io e ragione tu? Che hai torto tu e ragione io? Sarebbe un’udienza in tribunale per decretare chi è giusta e chi è sbagliata? No grazie, io non voglio partecipare. E mi dissocio completamente dall’etichetta che tu mi attribuisci, perché non sono io, non ha niente a che vedere con me né in passato né ora. Tu sei libera e lo sono anche io. Lo siamo sempre state. Le nostre scelte non si sono incontrate, a volte va così e lo so. Ma anche se non ci sei più, io ti auguro di avere nella vita ciò per cui sei disposta a faticare sinceramente, lo stesso che auguro a me stessa, né più né meno: questo per me è l’augurio più di valore che ci sia. E dato che il mio amore non l’hai accettato, gli dò la mia voce. Porto dentro questa storia con (appunto) amore e rispetto, mi porto dietro il valore che ha avuto per me ma lo tengo separato da quello che gli hai dato tu con la fine che hai scelto. Mi auguro, anche se dal presente sembra una cosa impossibile, che un giorno tu abbia voglia di avere un dialogo con me, quantomeno per restituire a questa storia la fine e quindi la dignità che merita; sognando in grande, mi auguro che un giorno tu abbia voglia di avere un rapporto con me, ma in modo davvero onesto e trasparente per entrambe. Me lo auguro per me, per tutto il bene che ci ho messo. E in fondo me lo auguro anche per te, se quel bene che ho sempre visto in te esiste davvero.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟡
Ad un amore condiviso per 11 anni e poi restituitomi dalla stessa persona alla quale era destinato:
"Come stai?" vorrei chiederti. Spero bene. E se stai male, mi auguro che tu possa trovare il bene nel tempo, che quel male abbia fine. Quanti mesi sono già trascorsi senza di te, mesi che a volte sembrano anni ed altre volte sembrano giorni, il tempo è relativo quando è emotivo. Io non ho capito questa fine: perché sei andata via proprio ora? perché così? perché non mi hai dato la possibilità di dire la mia? quand'è che hai cominciato a vedermi come un mostro che faceva violenza psicologica su di te? perché stavi con me se mi vedevi in quel modo? e perché non me l'hai detto? Non credo che saprò mai le risposte di queste e di tante altre domande che ho dentro, perché in fondo non credo che tornerai, visto le cose orribili che pensi sul mio conto. Avrei voluto un dialogo con te, avrei voluto un rapporto con te e tuttora avrei scelto questo, ma è stato allucinante vederti cancellare così dal nulla una persona dalla tua vita senza dare spiegazioni né essere disponibile ad ascoltare anche la parola dell'altro. Nessuno ti avrebbe massacrata per ciò che avevi da dire, nessuno ti avrebbe obbligata a stare dove non vuoi stare e con chi non vuoi stare, non ti ho rincorso per rispetto né ho cercato un confronto perché deve essere una volontà reciproca: ti ho lasciato fare ciò che volevi fare nel modo in cui lo volevi fare. Non mi aspettavo che potessi comportarti così, in questo tempo ho capito che forse non ti conosco e forse non ti ho mai conosciuta, non so chi ho vissuto tutti questi anni e non so cosa sia stato reale o cosa invece era solo frutto delle mie emozioni e dei miei sentimenti; posso anche dire a questi punti, visto come mi vedi, che anche tu non mi conosci e forse non mi hai mai conosciuta. Le certezze che mi sono rimaste ormai riguardano me, perché di te non so più niente e tu di me, ipotizzando che prima sapessi, ora non sai più niente. Non voglio nascondermi dietro a menzogne, io lo so bene che ti ho amato e che ti amo, so che se guardo quello tu rimani per me l'amore della mia vita. E non mi importa niente di quel che fai o dici di me, io ti perdono perché non mi interessa vivere di rancore o di vendetta. Ti ho perdonata in passato e ti perdono anche ora, ma non mi dimentico: del dolore che mi hai fatto vivere, il rispetto che non mi hai portato, le cattiverie gratuite che mi hai fatto, tutto questo è ingiustificabile e non ho intenzione di riviverlo. Non avrei mai scelto una chiusura del genere per entrambe, avrei voluto un incontro maturo (perché la distanza non è niente quando hai a cuore la salute mentale non solo tua ma anche dell'altra persona) fatto di scuse reciproche e di onestà, ma questo non è reale, è solo ciò che avrei scelto io. Non è ciò che hai voluto tu, ne ho preso atto. Io ho cercato per tutti questi 11 anni di avere cura di te con i mezzi che avevo e con i modi che conoscevo ed ho cercato persino di inventarmene di altri quando i miei non bastavano, non sono perfetta e so di averti fatto male nonostante non ne avessi l'intenzione e perciò ti avrei voluto chiedere scusa guardandoti negli occhi, come ho fatto durante tutti questi anni. Non sono perfetta ma sono una persona onesta: ci metto tutto il mio impegno per vivere e amare bene e se così non è allora significa che non so di farmi e fare male; eppure, in un modo o nell'altro poi me ne accorgo attraverso il tempo, la pazienza e solo io so quante altre cose; dall'esterno però, ci vuole fiducia per restare. Non c'era fiducia da parte tua ma, ancora peggio, non c’era nemmeno trasparenza ed onestà nei miei confronti: ho conosciuto le convinzioni che avevi di me solo in modo indiretto, ma non da te in persona. È stato surreale e sempre lo sarà per me; il "come" mi hai lasciata è stato una vigliaccata, nei modi e nei tempi, un colpo basso anzi bassissimo di un soldato che lancia una mina non nel campo di guerra ma in una casa, per poi fuggire il più velocemente possibile e il più lontano possibile, sperando che di quella casa non resti altro che macerie e cadaveri (perché si sa, quelli non possono più parlare).
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟠
Non è solo la domanda che poni che conta, ma anche come la poni; non è solo la risposta a darti informazioni, ma anche il modo in cui questa arriva a te.
Quello che ti accade fuori ha influenza e valore in relazione a quello che tu hai dentro. Come stai quando sei da sola? Come ti fa sentire quella cosa? Come ti fa sentire quella persona? Cos'hai nella tua vita che sceglieresti ancora? C'è qualcosa che hai ma che non sceglieresti? Cos'è invece che ancora non hai ma vorresti? Come lo vorresti?
Siamo soliti guardarci con giudizio, cambiarci con l'idea che quello che c'era prima non andava bene, viverci sotto la prospettiva della logica mentre proteggiamo e nascondiamo con tutti i mezzi possibili il lato dell'emotività, intersecarci con gli altri aspettandoci sempre la fregatura, ricercare il giusto per non sentire il peso dello sbagliato (come se questi due concetti esistessero davvero) e voler ottenere risposte senza farci domande; tutto ciò è umano. È naturale per la sopravvivenza.
Però non è l'unica condizione possibile, che per me tradotto significa: so che posso sopravvivere oppure posso vivere, so che non è una scelta irreversibile né che c'è un'opzione migliore o peggiore dell'altra, l'importante è essere consapevole di quale delle due strade io stia percorrendo ad oggi.
Ed ecco il lancio nel vuoto: ho assaggiato il sapore della mia vita, senza il retrogusto della sopravvivenza, e voglio mangiarne ancora. Voglio assaporarmi ogni lato con il rischio che i gusti che trovo piacevoli cambino con il tempo, il rischio di incontrare gusti poco piacevoli, o addirittura di capire che a cambiare dev'essere il cibo che sto mangiando. Ad oggi è questo che voglio per me.
Se tornassi indietro al mio passato io rivivrei ogni cosa che ho scelto, ogni persona che ho scelto: non sceglierei qualcosa di diverso, perché sarebbe come andare contro me stessa, ma quindi a che pro? Nel bene e nel male, mi sono resa visibile a me e agli altri senza cercare a tutti i costi di essere qualcuno che non ero.
Nonostante ciò, nel presente ci sono cose che non voglio più vivere, né create da me né anche solo alimentate, come ad esempio certe dinamiche passate. Sempre ad oggi, penso che la cattiveria sia una cosa piuttosto rara e che ciò che rende davvero una persona distruttiva sia più l'insieme di interpretazioni negative che ha di sé e del mondo e sulla base delle quali si comporta, ma non tanto la cattiveria; tuttavia, so che questa esiste ma che anche quando la cattiveria non c'è, certe cose non possono diventare accettabili. Perdonabili si, ma accettabili no. E dunque significa che devono avere una fine. È questo che io voglio lasciare nel mio passato.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟟
Domanda con il cervello e rispondi con la pancia.
Allenta le redini, lascia più creatività al movimento, amplia lo spazio confortevole. È adesso il momento giusto per te: di scoprire, creare, cambiare.
È ora di lanciarsi nel vuoto. Alzare la qualità.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟝
La flessibilità mi rende leggera, perché per me non è mai scontata. Non so ancora bene cosa voglia dire vivere in una casa e poter scegliere ciò che si vuole, o venire a compromessi in maniera pacifica; ogni cosa è un dovere o una catena che ti attaccano addosso e che devi trascinarti giornalmente, non c'è attenzione per la reciprocità, sembra più una gerarchia di sopravvivenza dove ti trovi sempre agli ultimi posti e se invece sei all'apice è perché sei il sacrificio.
Anche questa parola, sacrificio, per me non è affatto flessibile: io ammiro la fatica, quella si, perché so che per ogni cosa davvero di valore serve fatica, anche tanta. Ma il sacrificio che significato ha? Svuotarsi completamente per? Amore? Successo? Stabilità? Se ho bisogno di privarmi persino di me stessa per avere qualcosa, che valore ha? E anche ce l'avesse, io come posso sentirlo se mi sono sacrificata?
Nemmeno a farlo di proposito, in casa mia il sacrificio è un concetto quasi statuario, come un codice d'onore: niente è di valore se non ti sacrifichi per averlo, nemmeno tra i membri della famiglia l'affetto ha valore se non ti sacrifichi per l'altro. Non nego che da questo modo impostomi un po' mi ribello, così come mi ribello dall'inflessibilità, che vedo come un sinonimo del sacrificio.
Ma che senso ha il rigore senza cambiamenti o senza pause? Perché le persone si ostinano a cercarlo? Faccio fatica a capirlo.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟜
Voglio far sentire alle persone che amo la libertà.
Di non amarmi o non amarmi più.
Di non restare e andarsene.
Di scegliere. Anche se stare con me.
Voglio vivere il rischio delle mie scelte e di quelle altrui, vivere relazioni in cui si è liberi in due. In fondo nessuno sa cosa ci sarà nel proprio futuro, nessuno sa come sarà e le uniche certezze derivano da ciò che si è oggi. Domani chi lo sa? Io voglio restare dove sento di essere me, dove mi sento libera. E voglio questo anche per chi resta con me.
Se un rapporto diventa un obbligo ci snatura. Alcuni rapporti sono destinati a consumarsi nel tempo; altri resistono e persistono nel loro amore; altri ancora hanno bisogno di rompersi e di guarire separatamente per riconciliarsi e darsi un'altra possibilità. Idealmente vorremmo tutti avere la sicurezza di condividere le strade con chi amiamo per sempre, ma la realtà non va sempre in questa direzione e il non prenderne atto ci annienta. Annienta noi e chi amiamo. E se c'è una cosa peggiore della prigionia, è l'illusione di essere liberi quando non lo siamo.
Non voglio forzare niente: né le persone né l'amore. Se qualcosa è destinato ad essere, troverà sempre il modo di essere.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟛
Se ci sarà una prossima relazione ho capito che non voglio più il sesso passivo.
Non voglio più viverlo come se fossi "a servizio di" ma essere anche io protagonista insieme all'altra persona.
Mi ha aiutata a sopravvivere negli anni scorsi, ma io non ho più voglia di sopravvivere. Sono sempre più diversa dalla versione che ero abituata ad avere di me e credo di aver bisogno di lasciare andare molte cose, tra cui questa. Non è un lavoro semplice, ma in fondo quello che davvero mi interessa è toccare la mia profondità e, questa volta, non per sprofondarci.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟚
Puoi piangere solo quello che hai dentro o fuori. È quando non hai più niente, che invece, non piangi più.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟙
Concetto scomodo per altruisti: non basta voler aiutare. Bisogna sapere anche come farlo. E bisogna sapere quando non si è in grado di farlo.
Una volta pensavo bastasse la volontà e ne veniva fuori l'equazione apparentemente perfetta "se vuoi, lo fai". Così era più semplice, perché secondo questa logica qualcuno che non aiutava in realtà non voleva farlo. A forza di assistere a rovine o di essere io stessa la creatrice di quest'ultime, ho avuto impatto con una verità diversa: non sempre sappiamo come portare miglioramento verso qualcosa o qualcuno, addirittura a volte non sappiamo nemmeno come evitare di aumentare ulteriormente i danni.
Non sono più una sostenitrice dell'innato in questo caso, piuttosto credo adesso che l'aiuto sia qualcosa che va allenato, come la comunicazione. A volte può riuscire anche per puro caso o per similitudini con la persona supportata, ma un caso specifico non può rappresentare una capacità generale. Ho scoperto pure che ha dei confini e dei limiti: il miglior aiuto possibile ti porta un passo più vicino all'indipendenza e all'amore, ma è anche una risorsa che va scelta da parte di chi la riceve.
Se fai al posto di un altro, lo sostieni nell'idea che sia un incapace a fare da solo. Se forzi un movimento verso qualcosa, lo sostieni nell'idea di essere obbligato e dunque che non vada bene così com'è; quest'ultima vale anche quando si parla di aiutare noi stessi.
Ci vuole un'attenzione incredibile.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟙𝟘
Avete mai amato veramente tutto di qualcuno? Ogni punto luce ed ogni punto buio. Qualsiasi cosa. D'istinto, senza logica.
Avete mai amato qualcuno non per come vi faceva sentire ma per il suo modo di essere? Per tutte quelle caratteristiche singolari che intrecciate tra loro formano solo e soltanto quella persona. Nessun altro simile, tutti gli altri diversi.
Io così ho amato. E così ancora amo.
Anche se la persona che amo non c'è più. Anche se questa storia è nata nel passato ma non è continuata nel presente.
A prescindere, a me importa dell'Amore. Non è qualcosa che può andarsene, né onestamente lo vorrei: non voglio cancellare qualcosa solo perché l'ho perso e, aggiungo, l'ho perso pure male. Cerco di dargli onore e valore nell'unico spazio ormai possibile: dentro me.
Ma c'è un doppio lato dell'amare in generale: l'amore e la ferita. E questa brucia di più se la prova chi ami, ancora di più se gliela provochi tu. Le emozioni sono istintive, non seguono la razionalità e perciò non guardano all'intento, non gli importa niente se c'era o non c'era, sanno solo che c'è una ferita e che tu sei il mittente. Ma accettare di aver ferito chi ami è di una complicatezza inaudita.
Ho perdonato gli altri per il male che mi hanno causato, ma non mi sono perdonata io per il dolore che ho causato alle altre persone. Alla famiglia, alle amicizie e affetti cari, a quella persona che non c'è più. Non mi sono perdonata, perché quando amo con tutta me stessa idealmente non vorrei mai ferire nessuno, vorrei che la mia vita avesse impatto zero sul mondo esterno quando si tratta di dolore. Nella mia vita il desiderio di far male l'ho avuto solo verso di me.
La verità è che mi dispiace, dalla prima ferita che ho creato da quando sono in questo mondo. La verità è che dentro di me vivono duemila "scusa" detti e non detti, che finiscono in ripetizione ogni qualvolta penso alle ferite provocate. So benissimo che dall'altra parte non sono stata perdonata nella maggioranza dei casi, la fatica con me stessa deriva da questo. So anche che non dovrei cercarlo perché ho io il dovere morale di perdonarmi, ma ammetto che ancora non ci sono riuscita.
Nelle ferite altrui faccio fatica, estremamente fatica. Nelle ferite mie è tutt'altra cosa. Non mi sento di condannare a vita le persone che mi hanno fatto del male, perché so che può succedere ed è andata così, so che succederà di nuovo prima o poi perché siamo umani. So che perdonare non significa giustificare. E per me inoltre, porta pace: alla mia ferita, all'amore per l'altro, a me.
Spero un giorno di darmi pace anche nel dolore degli altri.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟡
Più cerchi di controllare e più noti ciò che sfugge al tuo controllo. È così che ti freghi. Controlli per essere più libera dal dolore e finisci per averne di più, il giro si ripete.
Per "controllo" non intendo sugli altri, ma il controllo inflessibile per sé stessi: volere che tutto sia al suo posto, che tutto vada come deve andare e che ogni minima imprecisione venga sistemata all'istante; pretendere da sé un'efficienza impeccabile e risolvere anche le inefficienze derivanti dalle relazioni con gli altri e dal mondo esterno in generale. Il tuo corpo, la tua mente, la tua anima, tutto di te è abituato a vivere in allarme costante, come se da un momento all'altro il mondo potesse crollare e la terra potesse svanire sotto ai tuoi piedi; e per impedirlo devi capirlo in anticipo, al fine di prevenire la catastrofe.
Questo l'ho imparato anche nelle relazioni: quand'ero molto piccola mi è stato insegnato che vivere fosse una modalità di sopravvivenza e gli adulti di cui ero circondata mi chiedevano di essere già adulta come loro. Per rispondere a ciò, sono diventata un'esperta a monitorare ogni cosa e ad essere sintonizzata sempre sui bisogni degli altri ma mai sui miei, se non quelli appunto in relazione agli altri. Ma chi lo sapeva all'epoca.. Piuttosto io credevo che quella richiesta fosse persino un'apprensione nei miei confronti, che l'amore avesse quella forma e che io per essere amata sarei dovuta restare sintonizzata all'altro, anche annullandomi. Ho constatato dopo 25 anni che l'amore non è qualcosa che devo meritare, esiste in modo genuino. In realtà, sulle altre persone io non l'ho mai vista così, ma su di me si; forse anche perché fino ad ora avevo scelto persone che mi trasmettevano quell'idea. Un'eccezione c'è stata nell'Amicizia, eccezione che ha acceso una luce di speranza in quella me così piccolina e sempre sola. L' Amicizia infatti è rimasta, non mi ha mai abbandonata né fisicamente né emotivamente, mentre tutto il resto se n'è andato via. Chissà dove.
Ed io, come tutto il resto, nel mio passato, voglio lasciare andare il controllo che mi ha portata ad avere solo più paura della libertà.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟠
L'energia a duemila di quando senti il cambiamento scorrerti nelle vene, tra le dita. L'energia che senti quando riscopri chi sei, con una prospettiva tutt'altro che rigida ma propositiva, l'adrenalina che ti sale a metterti in gioco, restando in discussione e al tempo stesso sapendo chi sei.
Ho una voglia matta di navigare, di buttarmi in acqua e non preoccuparmi della profondità o di altri pericoli, voglio stare concentrata solo su come mi sento mentre cerco il mio equilibrio tra le onde, anche fosse caos, anche fosse disorientamento, anche fossero dubbi.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟟
Oggi mi sento in bilico. Sento che tutto quello che ho o non ho nella mia vita dipende da me, anche solo indirettamente, anche solo alla lontana. E questa cosa non so, non mi turba: mi fa sentire responsabile si, ma mi alleggerisce. È come un peso vuoto, come un carico apparente ma che appena me ne faccio, appunto, carico, diventa impercettibile e si sente la sua importanza solo dopo tanta strada. Mi accorgo che il sentirmi responsabile soprattutto nelle cose che non mi riguardavano direttamente ma solo da fuori, prima era una calamita per i sensi di colpa: che cosa ho sbagliato adesso? perché non va come vorrei? qual è la cosa giusta? perché sto così male? Ora mi accade il contrario e l'avere delle responsabilità mi ricorda che io posso sempre fare qualcosa, che sia anche solo scegliere come reagire o non reagire. Non avevo mai provato così tanta soddisfazione nel sentire nelle mie mani la mia vita, era difficile non sentire che tutto o quasi fosse sempre a rischio di scivolarmi via; mi sentivo instabile, mi sentivo una naufraga, ma a differenza di oggi non sapevo come starci con quella roba lì. Era fastidioso, frustrante, ed io dovevo fare qualcosa per non sentirmi più così: ma non era vero. Dovevo solo imparare come starci dentro, come essere naufraga senza sentirmi senza speranza, come perdermi senza sentirmi persa.
Non mi sento così oggi. Certe volte il mare si fa mosso e sembra che stia per andare giù, oppure si fa scuro e sembra che non riesca a vederci niente. È lì che comincia la responsabilità: che vuoi fare? lasciare che tutto rimanga mosso o scuro? non vuoi provare a chiederti come fanno le barche a non affondare anche con il mare mosso? o come fanno i pesci a nuotare e cambiare direzione in un'acqua così scura? Quando l'allarme suona e sei in zona di svantaggio devi crearti una bolla di sicurezza e muoverti con l'idea che ce la farai a prescindere.
E quando succede ormai, sento che quasi comincio a divertirmi.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟞
Un inno all'amore, quello scelto, che nonostante tutto non si scompiglia mai.
Un inno all'amore non voluto, che resiste nel tempo e nella sofferenza e che prima o poi troverà lo spazio che merita per esprimersi.
Un inno all'amore in generale e alle persone che ne hanno cura.
Un applauso a chi è con il cuore spezzato ma comunque sta attento a non spezzarlo agli altri.
Un applauso a chi sa provare gratitudine e sa rimanere gentile dopo il cuore spezzato.
Un applauso a chi dopo tutto ancora non si ferma, ancora sceglie ciò che ama nonostante sappia che non è perfetto, ancora ha voglia di faticare senza pretendere di avere già il piatto pronto al primo colpo.
Alle persone che non scelgono la cattiveria a prescindere dal male che ricevono.
Agli amici veri, che non si abbandonano mai e non si scelgono per utilità o bisogno ma per affetto sincero.
A quell'ingrediente magico chiamato rispetto, che ti permette di esprimere anche i disaccordi senza provocare dolore gratuito.
Ho buttato via cumuli di grigio e cercato i miei colori, che non sapevo nemmeno di avere. Ho lasciato andare, azione ai miei occhi terrificante ma diventata poi liberatoria. Ho cambiato modo di comunicare e ho visto cambiare tanto in me e attorno a me.
Non si arriva mai, se si punta al miglioramento. Però voglio fare la mia strada come mi viene sul momento, senza guardarmi indietro e dirmi che cambierei qualcosa se solo potessi: vorrei rivivere la mia vita fino ad ora esattamente come l'ho vissuta, perché era ciò che volevo quando non era ancora passato ma presente.
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟝
Volevo essere libera in una gabbia.
Cercavo l'aria dove non c'era un filo di ossigeno, mi stringevo e mi facevo piccola perché mi hanno sempre ripetuto che sono troppo.. ma troppo per chi e cosa? Io non mi ci sono mai sentita, anzi, in certi ambienti e con certi tipi di persone divento persino claustrofobica perché mi sento limitare. Comunque, la mia gabbia è stata un po' il fuori e un po' il dentro: erano intrecciati e correlati tra loro e non sapevo bene, in realtà, quand'è che uno fosse la causa oppure la conseguenza dell'altro. Ho dovuto osservare senza giudicare o giustificare, per sbrogliarmi da questo casino. Ho realizzato che prima di ora la vita l'ho più "subita" che vissuta, eccetto qualche momento qua e là: era una ripetizione di ciò che ho accumulato nel tempo, un susseguirsi di schemi mai del tutto appartenenti a me, una storia familiare di confini aggrovigliati e di amore ambivalente.
Aspettavo che l'ambiente cambiasse, che le persone smettessero di farmi così male, non mi accorgevo che non aveva alcun senso. Adesso conosco il perché di quell'attesa: delegavo all'esterno parte della responsabilità per non lavorarci perché era troppo faticoso, delegavo per non ammettere l'immensa delusione nell'investire tutto quell'amore e tutta quella energia in persone mostratesi indisponibili e agguerrite nei miei confronti, delegavo nella speranza di vedere certi casini risolversi come una specie di miracolo, cercavo e alimentavo il familiare anche se doloroso per raccontare a me stessa che in qualche altra realtà poteva risolversi. Aspettavo e facevo male, perchè stare bene è solo mia responsabilità e se qualcuno contribuisce è per un piacere suo, ma non ne ha l'obbligo. L'amore è una scelta non un dovere, anche in famiglia, in tutti i rapporti.
Alcune persone hanno scelto di distruggere il loro amore per me o di silenziarlo, hanno scelto di farmi guerra senza accorgersi che così si entra solo più in guerra con sé stessi, ma io so di non poterci fare niente. E questa per me è una svolta, perché ho sempre creduto di poter anzi di dover fare qualcosa. Ora lo so, non devo dimostrare niente a nessuno se non a me. Tantomeno a qualcuno che vuole distruggermi o silenziarmi. Non importa chi sia, che legame hai, se ci sei cresciuta insieme, può essere anche la persona che ti ha dato la vita; è più importante non supportare questo tipo di dinamiche e restare in salute. Per me poi, che non voglio distruggere né silenziare a mia volta, è un modo per esprimere il mio amore: fa bene a tutti non entrare in guerra. E se mi accorgo che sta accadendo, allora mi tutelo e ti tutelo.
A voi, voi 13 mila esploratori che mi leggete e chiunque altro sia di passaggio qui, non conosco le vostre storie e spero che dei miei scritti ci capiate ben poco perché significa che non avete vissuto certi dolori, ma se così non è e se vi sentite spezzati, piegati in due, rancorosi, non ricambiati, se vi sentite vittime di qualcosa, di qualcuno o persino di voi stessi è specialmente a voi che voglio fare appello.
Non usate il vostro dolore contro voi stessi o facendo male a qualcun altro, anche se fosse proprio chi vi ha ferito: non vi darà la pace che cercate, non vi farà sentire meglio a lungo andare, non vi servirà per acquisire autostima e diventare i vostri idoli personali. Non usate il vostro dolore per alimentare emozioni che ancora di più vi fanno soffrire, come la rabbia o la tristezza: piuttosto sentite quello che già avete fino in fondo, ascoltatelo, osservatelo, attraversatelo senza giudicarlo e si affievolirà con il tempo, troverà il suo spazio e voi troverete pace. Siate pazienti, portate rispetto, date possibilità quando sono meritate e non sono un'autorizzazione a ledere la vostra dignità, andatevene quando il vostro dolore viene ignorato anche dopo ripetuti tentativi di confronto, cambiate se non vi va mai bene niente o nessuno perché siete voi il fulcro di quell'insoddisfazione, abbiate voglia di stare con il dolore che ha un senso e che non sia così tanto per stare male, mettetevi in gioco nelle relazioni e con voi stessi, cercate la verità, scegliete sulla base di quel che è osservabile nella realtà e non sulle vostre interpretazioni, ricordate che quello che volete dagli altri dovete anche saperlo dare voi. Masticate la vita che si è faticosa ma anche meravigliosa e soprattutto è vostra, è nelle vostre mani e potete scegliere voi che farne. Dategli valore, dategli significato. Non mettetela in pausa solo perché una sua sfumatura non vi piace, non fateci la guerra solo perché una sua sfumatura vi fa male, vivetela e basta. Le sfumature cambieranno se cambiate voi. Niente è irreversibile a parte la morte fisica, scegliete con cura, scegliete la cura, ricordatevi di stare bene ma anche di stare male quando il dolore si presenta dentro di voi, vivetevi tutte le vostre sfumature. Sappiate che la solitudine può non essere solo condanna, ma anche un regalo: stare bene da soli lo si impara solo stando da soli, così come stare bene in un rapporto lo si impara solo stando in relazione con l'altro. State a contatto anche con i vostri vuoti e sappiate che a volte possono solo restare tali, che non si possono riempire con niente ma va bene lo stesso.
Infine la cosa che forse fa più male: se siete voi quelli che feriscono gli altri, se volete distruggere o silenziare qualcuno o l'avete già fatto, se siete diventati un tutt'uno con i vostri traumi o con le vostre storie familiari, tenete a mente che essere stati o essere ancora vittime non vi dà l'autorizzazione né la giustificazione per fare a vostra volta del male agli altri, né per contribuire a mandare ancora più a fondo una società che già sta andando a farsi fottere. Legittimare a voi stessi ciò che avete vissuto è un conto, sentirsi in diritto di usare il proprio ruolo di vittima per creare e legittimare altra violenza è un altro. Uscitene. Soltanto i bambini sono sicuramente solo vittime di ciò che vivono, ma negli altri casi non è detto sia così: soprattutto quando ci portiamo dietro una salute mentale precaria, è probabile che si reagisca ad un dolore subito con altrettanta violenza, perché tutti prima o poi ci stanchiamo di subire e basta, ad un certo punto vogliamo salvaguardarci e in quel momento non importa se per farlo si deve ferire qualcun altro. Non importa nemmeno sapere se quel male che ci è stato inflitto è stato una scelta da parte dell'altro oppure no, elemento invece fondamentale per capire quali rapporti sono davvero tossici e quali piuttosto incasinati però risolvibili. E se la ferita non è voluta, non giustificate ma almeno cercate di capirlo.
Ad ogni modo, che sia o non sia così, anche se voi foste idealmente delle persone che non hanno mai ferito nessuno e hanno solo subito, cercate di andare oltre il vostro ruolo di vittima senza che diventi la vostra identità: chi si sente solo vittima rimane tale. Utopica è la storia che qualcuno vi salverà prima o poi, solo voi potete farlo e per farlo dovete uscire da quello schema. Dovete capire cosa c'era che potevate cambiare che non avete cambiato e fin dove avete la responsabilità voi per impedire che accada un'altra volta. Abbiamo sempre un modo per tutelarci, solo che non ci viene insegnato da piccoli e c'è chi lo impara dopo e chi no, la differenza sta nel volerlo fino in fondo a costo di qualsiasi cosa, anche a costo di noi.
Siamo tutti liberi di scegliere, proviamo almeno a farne buon uso.
[NB: con "vittima" mi riferisco solo ed esclusivamente a contesti e storie che ancora fanno parte della normalità e non appartengono dunque alla tossicità che necessita di un intervento giudiziario, quali abusi, violenze fisiche e psicologiche, altro.]
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ℝ𝕚𝕗𝕝𝕖𝕤𝕤𝕠: 𝟜
Piangere. Qualcosa di tremendo per me.
Tutti gli anni della mia adolescenza passati così, piangendo tutti i giorni quasi h24, vomitando sofferenza a dismisura, fino a non avere più niente, fino a svuotarmi completamente e finire le lacrime.
Poi ho imparato a non esprimere più, a trattenere, a tenere per me le cose, a proteggermi fondamentalmente da tutto e tutti: anche quando tiravo fuori qualcosa l'idea che c'era era questa, che non ero al sicuro e che nessuno davvero riusciva a guardarmi dentro.
Di mesi ne sono passati dall'ultima volta che mi sono sentita così, toccando l'apice di quelle sensazioni fino a sprofondare nel dolore più profondo e radicato mai vissuto; non mi ero ancora messa così in gioco come ora, abbandonando un certo tipo di dialogo per costruirne un altro, innanzitutto con me. Piangere ha acquisito un significato diverso: emozionarmi. Non "svuotarsi", ma sentire il proprio "pieno". Un contatto, un collegamento che mi tiene accanto a quello che provo, perché io non sono soltanto le mie emozioni ma non sono nemmeno estranea a loro. E così, vivo il pianto come uno specchio in cui mi riconosco, in cui posso vedere chi sono attraverso la mia interiorità.
Non amo dare un'accezione assoluta alle cose, ho sempre creduto nel "dipende" e ancora ci credo oggi: di conseguenza, non voglio dire se piangere sia qualcosa che va valorizzato oppure no, ma so che ha un impatto e per questo non posso non ascoltarlo o fingere che non abbia importanza. Ho capito che nella mia vita, così come l'ho inteso nel presente, ha l'impatto della possibilità.
Dare una possibilità, darsi una possibilità. E non voglio smettere.
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