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L'insostenibile leggerezza dell'essere, Milan Kundera, 1984
Il libro è già troppo inflazionato su questo social per scriverci una recensione. Per questo ho solo postato delle citazione che sono significative per me. Per mia personale memoria, voglio scrivere che lo descriverei così: un trattato sottoforma di romanzo sulla dicotomia di Parmenide leggerezza, pesantezza, sviluppata tramite le storie del personaggi che oscillano su una bilancia fatta di opposizioni. Personaggi che viaggiano paralleli, ma tentano di incontrarsi e, forse, in alcuni momenti, ci riescono.
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E un giorno vorrei capire come si scatena questo meccanismo psicologico.
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In senso contemporaneo, vorrei interpretare la vertigine come l'ansia.
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#milan kundera#l'insostenibile leggerezza dell'essere#Questa parte me la segno per affinità con la mia persona
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L'essere umano crea narrazioni, altrimenti la vita non avrebbe senso. Poetico equipararle a composizioni musicali, anche se a volte mi sembrano più strombazzate di kazoo.
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La colpa della prole.
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L'energia del feste dell'odio. Oggigiorno si riversano su internet.
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Gespräch mit dem Beter, Franz Kafka, 1909
Ancora non ho capito quale sia la vera traduzione del titolo di questo racconto. “Beten” in tedesco vuol dire pregare, da qui “Beter”, che significherebbe quindi uomo che prega. Credo che questa sia l’interpretazione del titolo più adatta e che “Conversazione con il mendicante” sia totalmente errato, mentre “Conversazione con il devoto” molto più accettabile.
Chiusa la parentesi sul titolo, Il racconto è meraviglioso. Sì, è brevissimo, ma vale comunque la pena parlarne – perché di queste piccole opere minori non ne parla mai nessuno. Niente di più banale della trama. Un uomo si reca in chiesa tutti i giorni per poter vedere la ragazza di cui è invaghito pregare, ma un giorno trova un altro uomo pregare in un modo chiassoso e disperato, non consono ad una chiesa, quindi decide di fermarlo per parlagli. La prima volta l’uomo riesce a sfuggire all’io narrante, ma la seconda lo ferma e i due intraprendono un’enigmatica conversazione.
Un vero lettore sa, però, che la trama non è importante quanto si pensi. I punti focali di questo racconto sono infatti la conversazione tra questi due uomini fuori dal comune e, a mio parere, anche molto sensibili, e la scrittura meravigliosa di Kafka, che riesce a far trapelare il significato delle enigmatiche parole dell’uomo che prega, significato che il lettore (be’, quando dico lettore, è ovvio che parlo di me, del mio prettamente soggettivo punto di vista) coglie nel suo insieme, ne capta una visione panoramica, ma non comprende a fondo.
Kafka attraverso la conversazione tra i due personaggi ci descrive le cause alla base del comportamento quasi insano dell’uomo che prega, ma non riesco a comprenderle a fondo. Quella conversazione apparentemente sconclusionata mi ha rapita e è scattata un’empatia per quell’uomo, il “devoto” - in un certo senso miserabile - , solo dopo poche righe. Benché per me questo racconto resti un mistero ne ho ricavato un tema di base: una sorta di alienazione dell’uomo dal resto del mondo. Incredibile come tre pagine siano capaci di lasciare il segno.
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Post office
Ma non potevo fare a meno di pensare, Dio mio, questi postini, non fanno altro che infilare le loro lettere nelle cassette e scopare. Questo è il lavoro che fa per me, oh, sì sì sì.
Post office è un romanzo semi-autobiografico di Charles Bukowski, pubblicato nel 1971.
Henry Charles Bukowski (1920-1994) è uno scrittore e poeta statunitense di origine tedesca. Trascorre un’infanzia isolato e discriminato dai figli dei vicini, che lo prendevano in giro per il forte accento e i vestiti tedeschi che i suoi genitori insistevano indossasse. All’età di tredici-quattordici anni si avvicina all’alcool, a cui sarà legato per tutta la vita. A vent’anni abbandona la casa paterna e comincia per lui un periodo di vagabondaggio e lavori saltuari. La rabbia verso la vita, l’ingiustizia, l’insensibilità degli altri uomini lo induce scrivere racconti e poesie che trovano spazio su riviste underground e su giornali come “Story”. Il suo amico John Martin fondando la “Black Sparrow Press” pubblica le sue opere e si scatena così il suo successo. Dopo una vita sregolata segnata da alcool, sesso, scommesse su corse dei cavalli, trascorre gli ultimi anni della sua vita con Linda Lee, che ne mitiga la vena autodistruttiva. Si ammala di tubercolosi, ma non smette mai di scrivere. Muore nel 1994, con la fama di “scrittore maledetto”.
La sua vita si riflette nelle sue opere, molte delle quali sono, come Post Office, semi-autobiografiche con protagonista il suo alter-ego letterario Henry Chinaski, infatti ricorrenti sono temi come la rabbia verso l’ipocrisia del sogno americano, verso tutte le convenzioni e la descrizione di vite vissute senza remore piene di alcool, scommesse, vagabondaggio. In Post Office, uno dei suoi romanzi più celebri, ovviamente non mancano.
Il romanzo racconta la vita da postino di Henry Chinaski. Inizialmente sembra il lavoro perfetto per lui, ma il lavoro da postino presto si dimostra non essere adatto a lui, con i suoi orari restrittivi, i tempi da rispettare, la struttura prettamente gerarchica. Henry, detto Hank, si alza la mattina ancora con i postumi di una notte di alcool e sesso, e alle 5 deve essere al lavoro, dove trova un sorvegliante sadico che assegna incarichi impensabili. La sua schiettezza nel dire le cose non faciliterà il suo integrarsi nell’ambiente dell’ufficio postale. Potremmo definire quello di Chinaski menefreghismo: non ha problemi a non rispettare i tempi quando non ce la fa più, a dire senza mezzi termini verità scomode ai suoi superiori, le ammonizioni le cestina, immagina già quello che c’è scritto. La prevedibilità, la banalità dell’uomo medio, per non parlare del buonismo: sono queste le cose che danno fastidio al nostro Hank. E ce lo fa capire, non mediante frasi costruite e metaforiche di critica, non c’è niente di polemico o politico in quello che Hank in prima persona ci racconta: lui descrive semplicemente ciò che fa lui, ciò che fanno gli altri, ciò che accade intorno a lui. Lo fa con frasi semplici, corte, con molti dialoghi, naturali e per niente pretenziosi, reali. Lo fa con un linguaggio senza freni, schietto, volgare. Non a caso Bukowski viene raffigurato come un esponente del “realismo sporco”.
Personaggi fondamentali nella storia sono le donne, che, per quanto mi riguarda, non hanno un particolare spessore caratteriale: non possiamo definire la loro psicologia, non sappiamo niente di loro. Conosciamo solo il modo in cui le vede Chinaski.
Il tema centrale del romanzo, però, è sicuramente il lavoro, un lavoro opprimente, che Hank odia fare, ma ormai ci si è abituato.
Il libro è una non convenzionale lettura estiva, leggera e piacevole. Non lascia particolari messaggi, non vuole trasmettere moralismi né insegnamenti di alcun tipo. È un libro per chi è stanco del suo lavoro e per chi, come Hank, butta le ammonizioni direttamente nella spazzatura.
Non so se leggerò qualcos’altro dell’autore, ma da questo romanzo mi sono fatta un’idea molto chiara su di lui.
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