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odesa 16 set 22 19.11
la mia camera a odesa mi ricorda bologna, scura dentro e luce fuori. velluto rosso, cazzo ci vorrebbe un tiktok, immaginatela la mia decadenza lussuosa in formato pareti e mobilia sovietica. una casa immensa con pareti altissime, pavimenti in marmo scacchi e un pianoforte scordato. neon nella jacuzzi e scarafaggi fantasmi. poltergeist
la ketch mi si è rovesciata nel portafoglio e ho dovuto pipparla per non buttarla. me ne sono accorta nel verde neon bao ramen bar vicino la spiaggia di odesa, ukraine, centro del mondo, cuore di putin est porci in cravatta sirene e campane. la mia stanza ha le pareti grigio scure come il fumo delle maxim m1910. tutto a pennello, eccola la grande madre patria. sottomessa in battaglia verso fiumi di ferro e io che leggo jelinek e ignoro le sirene e le campane. sirene e campane mi ricordano mare e roccia e vacanze estive in famiglia da piccolx in spiaggia e le onde del mare che coprono le esplosioni. ho attaccato la tua foto su un cerotto di fianco alla mitragliatrice, dove ho appeso anche quietapina e lamette. messo in pausa suicidio e ora galleggio qui per vedere se è davvero ora di morire. 11 settembre lascio europa, violenza e amore, il viaggio della caccia al nirvana con i tank e gli aghi da uncinetto. il mio spirito ritrovato senza xanax. da quando sono arrivatx non ho più bisogno di xan. ho minime interazioni sociali, e vivo in solitudine.







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gerusalemme ritrovata
sei la mia neve in catene, all’entrata dell’eden, tu ed io, dinanzi al templio celeste, ci ricordiamo dei lascia passare e dei passpartout, delle grigie ceneri di novembre, dei libri letti a metà, sfogliandone le parole, siamo abituati a ricevere il doppio, siamo d’argento e d’oro e di fili colorati, con le forbici sulla spugna a prendere acrilico, assuefazione d’urgenza,
ricalchi delle mani a cinque anni, io d’agosto che prendevo freddo a copenaghen, tu, mio perso in oriente, raccoglievi foglie di tè nel giardino, e le stelle guidavano me, nude e primitive, giustizia seguivi tu, in abiti e calibri, anneghiamo insieme all’istante
però
ritrovo i capelli di pasqi nel portafoglio, avvolti in chewing gum nel bar, tutte le parole perse, le parole ritrovate, il cappuccio rosso, velluto che piange. io che ricreo il nostro letto di morte,
dove adagio le lame, e le lame non mi chiamano più adesso, e mi sveglio e loro dormono, ovattate di spugna, innocque e rosse acriliche, ho perduto tutto d’estate. risorgimento d’amore, le sacre ceneri sparse fumanti, nel nostro destino in stand-by, sale parto, sale d’attesa zucchero sulle ginocchia sbucciate, e io in ospedale che mentivo ai parenti e mi auto-diagnosticavo cancro al seno. leucemia della volontà e il dolore post-operatorio, assordante malattia, aspettava qui in silenzio.
sfrecci il mitte nella punto nera, retto e corretto, nulla da nascondere. io menzogna ambulante, cammino all’incrocio di casa e rubo due piante. tu poi mi guardi, beat repeat di flusso, occhi slavi carta da zucchero, pozzo laguna. triste scrivere solo, quando tutto è finito. bello incorniciare il passato, d’acqua io crepo, mi tuffo e annego. la guerra finale, impatto e schianto, cut-off lo-fi, amore minimale del sol levante. asia nel cuore, perdiamo la rotta, siamo ancora nascenti è arrivato l’aprile.
vorrei essere già ad aprile e festeggiare il tuo nono compleanno, urban farm adalbertstrasse, pony e stivali di gomma arcobaleno. :)
mi piace rubarti dei fiori, spero tu possa fare altrettanto.
ti sta bene il sole all’orecchio







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forse
era quella holy guerra
a contornare quei pisci, e lottavano le emoji fra di loro e immagina che tu enter the V⚫️iD
🔻
🟣
🔺
йокогама поздно зимология.
пласта
двдвтюд
шатал
дашь
алдан
заща
мо


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cadiamo, io coi boys
cadiamo come pietre vecchie e siamo nulla e anche la fame ci ha lasciato le ossa. ascoltiamo la stessa nota al buio e non riusciamo neanche a scrivere al singolare, per non sentirci soli.
e non riusciamo a vivere soli, le pareti ci cadono addosso e la fronte sanguina.
prendiamo il coltello del pane e ci apriamo lo stomaco. vuoto, anche lui. non c’è nient’altro che ossa e sangue e dov’è l’ansia che abbiamo addosso? dove la tristezza che ci divora?
siamo vuoti e lo siamo sempre stati
siamo lontani e non percepiamo più la luce, dov’è la vostra retta via? dov’è questo bordo diagnosticato? aspettiamo risposte e non facciamo domande
ora sono io che piango, e piango sola e piango al singolare. i boys sono volati via,
c’è ancora dell’insalata sul piatto.
i boys mangiano tutto ma lasciando sempre l’insalata sul piatto: un rito.
io mangio le loro briciole e piango al singolare.

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tristemente
addolorata
io sola da me abbandonata
e il mio corpo lo getto nel vuoto
annegata tristemente affogata
naufraghi profani
ketamina sequestrata dai parassiti argentini, psicosi quotidiana
abbandoniamo i nostri passi
e ricreiamo occidenti
orizzonti ad oriente non ne vediamo
io sono in me
enciclopedia dell’assenza
ho gridato eureka flagellandomi la pelle
ho trovato l’antidoto
ketamina,
abbastanza buona che ora, qui, mia sorella mi accompagna verso l’alto
poter vedere tutto dall’altro
ancora una volta soltanto per sempre
piangere in lichtemberg ritrovato
acuta fame mi ingombra
inchiodata e accusata
enciclopedia dell’assenza

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