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italosanna · 7 years
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120 BATTITI AL MINUTO voto 8e1/2 Siamo nei primi anni 90' a Parigi. Gli attivisti di Act Up-Paris aumentano le "spedizioni" pacifiche di protesta e di sensibilizzazione su quello che è un argomento ancora scomodo per l'opinione pubblica: la piaga dell'AIDS. Tra riunioni e azioni politiche, tra serate in discoteca e marce per le strade, nasce un sentimento tra due ragazzi siero discordanti. Robin Campillo, il regista di questo prezioso film, è stato lui pure un attivista di Act Up e buona parte del materiale utilizzato è preso da quella che è stata la sua esperienza diretta e reale all'interno di questo movimento. E forse proprio per questo il suo terzo lungometraggio è la sua opera più personale e riuscita. Grazie alla sua grande esperienza nel montaggio ( ha collaborato per anni con un altro grande regista, Laurent Cantet e non a caso non sono pochi i richiami stilistici al film LA CLASSE) egli sceglie di porre l'attenzione sulla coralità e sulla democrazia delle idee che vanno a scontrarsi e abbracciarsi nelle tante assemblee che vedono coinvolti tanti ragazzi e ragazze di diverse età (tanti giovanissimi) e di differente estrazione sociale e culturale, tutti uniti nella lotta contro le istituzioni politiche e farmaceutiche che non sanno (o non vogliono!) adoperarsi perché venga trovata una cura e perché venga evidenziata la dura realtà di in malattia che sta divorando la società. L'uso di diverse telecamere all'interno dell'aula di questi incontri e la scelta di differenti angolature di ripresa immergono completamente lo spettatore dentro la scena, facendolo sentire parte di quel dibattito e di quella squadra, tra attimi di cameratismo e di dissenso, di rabbia e di euforia. Questo "sentirsi parte della storia" torna in maniera più nervosa e liberatoria durante le incursioni nelle scuole o nelle case farmaceutiche o in quelle in discoteca dove tensioni e feroce desiderio di vita trovano sfogo. I 120 battiti al minuto del titolo fanno riferimento proprio al ritmo delle hit dance di quegli anni, canzoni e musiche che sono emblema di esistenze frenetiche e folli e coraggiose seppur brevi, frammentate e confuse, come le luci stroboscopiche di un locale notturno; sono esistenze di luce che desiderano squarciare il buio che vuole chiamarli a sé troppo presto; sono cuori pulsanti e piedi mai stanchi e mani che si alzano verso il cielo in attesa di appiglio. A questa verità a tratti impietosa ma mai patetica, a questo sguardo quasi documentaristico, il regista Campillo affianca un'anima più intima ed emotiva. E qui il film tocca livelli altissimi. Le scene di sesso - nella scelta delle luci e delle inquadrature - ci restituiscono un realismo e un'umanità difficilmente riscontrabili oggigiorno: i corpi di questi ragazzi, a volte segnati dalle ferite di questa malattia, i loro sguardi, i loro fiati, le loro mani, sono strumento e "voce" e bandiere che onorano la vita, la ricercano, la divorano, la abbracciano con passione senza più volersene staccare. Due scene in particolare sono straboccanti di poesia: l'incontro sessuale in ospedale tra due giovani amanti e la riunione attorno al corpo di un amico-figlio-amante ormai morto. La crudezza e la delicatezza delle immagini restituiscono dignità e onorano il ricordo di questi piccoli e grandi eroi che hanno lottato negli anni '90 contro due nemici altrettanto letali: da una parte la società dormiente e silente che tra ignoranza e indifferenza preferivano pensare che l'AIDS fosse una piaga del mondo degli omosessuali e della prostituzione e delle carceri; dall'altra il proprio corpo, affetto da una malattia ancora per molti aspetti sconosciuta che preannunciava una morte certa. Un opera importante e bellissima che nei volti dei protagonisti trova la sua carta vincente: un cast di attori straordinari con cui è impossibile non entrare in empatia, su cui brillano per sincerità e credibilità i nomi di Nahuel Pérez Biscayart e Arnaud Valois. Un film provocante, aspro, gioioso, toccante, che resta impresso negli occhi e nella mente.
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italosanna · 7 years
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MOTHER! voto 7- Lei e Lui. Una casa. Gli Altri. La settima fatica di Darren Aronofsky potrebbe essere riassunta in questa semplice equazione ma le cui incognite sono molteplici così come sono diverse le chiavi di lettura cui si presta. Dopo appena mezz'ora di narrazione lineare, il film pare prendere vie sovreccitate e incomprensibili che trascinano lo spettatore a guardare e guardarsi nello schermo come parte del racconto. Nella figura affascinante e ambigua -interpretata da un magnetico Javier Barden - del Poeta, ecco rivelarsi il regista stesso, l'artista, il narratore o, più in generale, Colui-Che-Crea, il Creatore. Contrapposto a esso vi è quindi Lei, la genitrice, la Madre, la Natura, la Terra che dona frutti perché l'uomo possa raccogliere e saziarsene. Questo donare femminile è quindi generoso e naturale e incondizionato. L'uomo, incapace di creare Vita dal sé, dal proprio grembo, attinge dall'esterno tutto ciò che può raccattare e depredare per costruire. Ed è proprio qui uno dei cuori pulsanti di questo film che vuole essere parodia di un dramma umano: distruggere per creare. Secoli di storia che vedono popolazioni (portavoce di civiltà e di modernità) violentare e distruggere terre e altre civiltà per poi vantarsi e giustificarsi degli orrori commessi in nome del progresso e dell'uguaglianza. Ma tornado a quella che è la celebrazione e l'annientamento della figura dell'Artista, possiamo vedere in questo violento e crudele affresco, l'ingordigia e un sadico quanto vampiresco piacere del Poeta-Regista-Narratore che di quelle sciagure e di quei crimini e di quei genocidi e di quei lutti che macchiano di sangue pagine e pagine di Storia e di Cronaca, egli se ne nutre e se ne appropria per la sua Arte, incapace però di sentirne realmente il peso e il dolore intrinseco. Di controparte ecco però una critica altrettanto feroce verso gli Altri. Chi sono gli Altri? Gli Altri rappresentano le masse, siamo noi: affetti da bulimia da gossip, pronti a immolare quelli che erano i nostri idoli fino a un secondo prima, che seguiamo le mode e che veneriamo le stelle del cinema e della musica fino all'ossessione; sono i paparazzi che violano la privacy di persone che prima che essere celebrità sono esseri umani, come tutti (e qui il riferimento alla vita della stessa coppia Aronofsky-Lawrence costantemente presa d'assalto dai giornalisti è più che evidente); sono i fans sfegatati di questo o quell'artista che delle opere da lui create ne fanno scempio (qui una delle scene più forti e grottesche che non posso svelare). Benché il regista sulla parte finale pigi un po' troppo l'acceleratore e metta sul fuoco troppa carne, non si può certo restare indifferenti alla grande capacità di montaggio: una lunga sequenza che vede centinaia di comparse e la videocamera che le segue nelle stanze tra esplosioni e movimenti nervosi e sangue e grida, una sorta di inferno domestico dove il mondo esterno entra a violentare l'intimità di una coppia e di una famiglia. E infine vi è Lei. La Musa. La Compagna. L'Attrice. Jennifer Lawrence offre una delle sue più belle interpretazioni e un personaggio che da remissivo diventa sempre più conscio di sé e del suo ruolo e lotta e grida e colpisce in difesa del suo piccolo mondo. La telecamera la segue costantemente, ne evidenzia la tensione nei nervi del collo o nel tremore della bocca, negli sguardi spaesati o dubbiosi, nell'implosione della sua collera o nel pianto di una bambina lasciata sola. Rabbiosa e ferrea, fragile e volenterosa, Lei è la casa ed il cuore pulsante, quello più prezioso, di questo corpo-film imperfetto.
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italosanna · 7 years
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MONOLITH voto 5e1/2 Sandra è in viaggio col suo bambino su Monolith, una macchina iper tecnologica e autosufficiente costruita per dare il massimo della sicurezza. Ma Sandra è distratta, ha altro per la testa, e su di una strada secondaria ecco l'imprevisto. Quando un incidente la "costringe" a uscire dall'auto, il suo bambino resta intrappolato dentro. Il tempo, le temperature altissime, il sole, la natura, saranno tutti ostacoli forse insuperabili. Monolith è un oggetto raro nella produzione italiana e va incoraggiato e apprezzato il regista Ivan Silvestrini per questa audace scelta. Con un budget limitato e girato in pochissimo tempo, questo film ha grandi aspirazioni che lo avvicinano alle produzioni statunitensi e al genere B movie. In tal senso però ne possiede tutti i limiti. Buona parte della riuscita del film deve essere necessariamente affidata a una attrice che crei da subito una buona empatia con lo spettatore. Ci si è affidati alla giovane modella Katrina Bowden che ha una freschezza e bellezza da subito riconoscibili ma resta assai evidente la sua inesperienza recitativa quando deve affrontare scene drammatiche. Il suo personaggio inoltre cade spesso nel patetico e nell'auto commiserazione: tra disattenzioni e rimorsi e paure ecco che la vediamo prendere decisioni ai limiti dell'assurdo per poi lagnarsi degli errori (gli ennesimi) commessi a discapito del povero pargoletto che piange per buona part del film (che gli avranno fatto a 'sto povero bimbo per farlo piangere costantemente!?). Tra una fotografia di grande impatto visivo (una su tutte la scena dell'aereo abbandonato nel deserto) e una colonna sonora interessante la tensione va a farsi benedire e subentra un leggero senso di noia. Il finale? Made in America: esagerazioni e baracconate a livelli di SAN ANSREAS.
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italosanna · 7 years
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L'INGANNO voto 6 Sono gli anni della Guerra di Successione, nel profondo sud. Un soldato ferito trova rifugio in un piccolo collegio femminile. La sua presenza turberà e non poco gli animi e gli equilibri del piccolo e variegato nucleo femminile. Remake de LA NOTTE BRAVA DEL SOLDATO JONATHAN questo film nella mano della Coppola è l'ennesimo pretesto cinematografico per guardare all'universo femminile e alle infinite contraddizioni che si celano dietro un battito di ciglia. Ironicamente potremmo ribattezzare questa pellicola "Il Giardino Delle Vergini Omicide" ma sarebbe forse fuorviante come titolo. La grande e bellissima magione sperduta tra boschi è la location ideale per evidenziare quello stato emotivo tipicamente femminile di quei tempi. Protette e prigioniere di uno stato sociale che vuole disegnare la donna come la perfetta padrona di casa dedita al cucito e al ricamo e all'arte della musica e delle buone maniere; le giovani allieve della severa e fredda direttrice del collegio sono animi ribelli e con una propria coscienza e una propria curiosità che basta un niente per destare e scalpitare sotto un corsetto legato troppo stretto. Se nella prima parte la caratterizzazione dei personaggi e delle dinamiche che vanno a delinearsi sono rese al meglio tra piccole sfumature di abile regia (l'attenzione agli sguardi e alle mani nervose delle sue attrici) e un cast sufficientemente congeniale al contesto; nella seconda parte qualcosa va perduto e la tensione narrativa va a sciogliersi in stemperate e tiepide scene prive del giusto pathos. Altro elemento traballante è il cast. Nel ruolo dell'oggetto del desiderio troviamo un emaciato e poco convincente -sempre uguale- Colin Farrell e in quello della direttrice Farnsworth una Kidman che , reduce da troppi accorgimenti estetici di dubbia natura, proprio non riesce a impreziosire la sua recitazione (sono lontani gli anni di grandi performance come in THE OTHERS o in THE HOURS) e a stento riesce a cambiare espressione. Più che apprezzabile è invece la recitazione dimessa e timida , fatta di privazioni e di tensioni implose, di una volenterosa Kirsten Dunst (qui alla sua terza collaborazione con la Coppola dopo IL GIARDINO DELLE VERGINI SUICIDE e MARIE ANTOINETTE) ma soprattutto della sempre più brava ELLE FANNING che -dopo la sorprendente prova nel film THE NEON DEMON di Nicolas Winding Refn - aggiunge un ruolo accattivante e ambiguo alla sua filmografia. Un'opera quindi affascinante ma imperfetta che non brilla però della luce di precedenti lavori della giovane regista. Godibile ma che lascia inappagati.
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italosanna · 7 years
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ANNABELLE 2: CREATION voto 7e1/2 Un gruppo di ragazzine orfane vengono ospitate da una coppia che anni prima ha perso la loro figlioletta in un tragico incidente. Nella vecchia cameretta della bambina deceduta, una delle giovani orfane trova una bambola ed è l'inizio di una catena di fatti inquietanti... Come nel meraviglioso mondo dei supereroi della Marvel, anche l'universo creato da James Wan (vedi anche SAW e INSIDIOUS) pare avere vita propria e i mostri che lo abitano necessitano di essere approfonditi in film a loro dedicati. Così dal capostipite che fu THE CONJURING (2013) oltre il prevedibile sequel ecco far capolino lo spin-off di ANNABELLE (che potremo anche definire prequel della saga) e presto arriverà anche quello di THE NUN (previsto per il 2018 sulla storia della spaventosa figura della suora che ci ha terrorizzato nel secondo capitolo, THE CONJURING_ Il Caso Enfield, 2016 ). Qui però ci troviamo davanti non tanto a un sequel ma a un prequel del prequel, il che è un fatto assolutamente originale nel panorama del genere horror. Sotto attenta analisi di Wan, la regia è stata affidata al talentoso regista esordiente David F. Sandberg (vedi LIGHTS OUT, 2016) che aveva già dimostrato di conoscere bene i meccanismi della paura. Se infatti la storia non apporta nulla di nuovo (situazioni e ambientazioni sono le solite ben sfruttate dal genere horror) è il modo in cui essa viene raccontata che fa la differenza e possiamo dire che Sandberg faccia un salto di qualità rispetto al primo capitolo. Sebbene le varie digressioni temporali che vanno a spiegare antefatti rallentino l'azione e non sempre sono costruite al meglio e se anche nella parte finale il ritmo incalzante e confusionario va a spezzare una certa continuità narrativa; il film costruisce un senso di minaccia via via sempre maggiore e sopratutto nella parte centrale il terrore diventa quasi insostenibile per i nervi dello spettatore medio. Altro elemento fondamentale per la riuscita di questo film è sicuramente la scelta del cast. Nomi più o meno importanti si alternano sulla scena ma anche stavolta sono i "bambini prodigio" a brillare. Su tutte spiccano i volti e le interpretazioni di Thalita Bateman, nel ruolo della ragazzina poliomielitica, che ben delinea tutta la sofferenza e la fragilità del suo personaggio; è quello di Lulu Wilson, nel ruolo della coraggiosa Linda, che molti ricorderanno nella sorprendente performance della ragazzina posseduta del film OUIJA- Le Origini Del Male (2016). Nel complesso quindi un ottimo prodotto sopra la media che conferma la rinascita del genere "bambole indemoniate" (vedi anche la fortunata saga de LA BAMBOLA ASSASSINA o il più recente THE BOY, 2015) che nella fissità dei loro occhi vitrei riesce a smuovere le nostre paure più profonde e irrazionali.
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italosanna · 7 years
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A SERBIAN FILM voto N.C. Serbia. Milos è un ex attore porno "in pensione" che conduce una vita tranquilla con la moglie e il loro bambino. In piena crisi economica accetta di affidarsi al "genio" di un regista e produttore di film particolari. Unica clausola contrattuale è quella per cui Milos non può sapere in anticipo cosa e dove e con chi lui andrà fare nel film. È l'inizio di un viaggio senza ritorno... Il film di Srdan Spasojevíc fu presentato in diversi festival nel 2010 raccogliendo un malcontento generale. In seguito la pellicola fu bandito in Spagna, Francia, Portogallo, Malesia, Singapore e Brasile, tagliato di 19 minuti negli Stati Uniti e vietato ai minori di 18 anni in Svizzera. Qui in Italia non è mai arrivato neppure sugli scaffali delle videoteche. I primi aggettivi che si sentono in merito a questo film sono: "inguardabile" "aberrante" "pornografico" "disumano"; fino a commenti più categorici come "uno schifo!" "Non è un film" "vergognoso e osceno". Da amante del genere horror e del cosiddetto filone del "torture porn" sono il primo a dirvi : non guardatelo! Forse accendendo in voi una malsana curiosità nel cercare di scaricare illegalmente questo titolo. Non guardatelo perché davvero le immagini e le idee e le soluzioni registiche (lodevoli sia chiaro) adottate, costruiscono un disagio e un orrore che colpisce violentemente anche laddove le brutalità (stupri, pedofilia, necrofilia, omicidio, pestaggi )non sono necessariamente mostrate. (non a caso una delle scene più rivoltanti è forse quella in cui capeggia un piacere voyeurisico del protagonista che mentre si fa fare un "servizietto" ha davanti due schermi in cui si vede una ragazzina intenta a gustarsi un gelato) Quelle che sono le intenzioni del regista e il fine ultimo che lo ha spinto a girare un film così insopportabile ci viene spiegato da quello che è il regista -nel film- come fosse una sorta di suo alterego o di Avatar: una riflessione su di un paese- la Serbia- in cui tra guerre esterne e interne, piegato da una politica che stupra il suo popolo, lo rende schiavo, lo umilia e lo costringe a fare cose contro il proprio volete, privandolo di una coscienza e di un'umanità fin dalla tenera età (e per rendere al "meglio" questa metafora non ci risparmia neppure uno stupro ai danni di un neonato appena venuto fuori dal grembo materno!!!). Potremo liquidare facilmente questa opera con un facile e poco consolatorio "che schifo!" ma le interpretazioni, la musica, il montaggio, la fotografia e la stessa regia sono tutti elementi degni di nota, ammirevoli, inattaccabili. Dare un voto specifico mi è difficile se non impossibile però per le premesse fatte e seppure a voce bassa continuerò a dirvi di non guardarlo.
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italosanna · 7 years
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ROSSO INSTAMBUL voto 5 Orhan Sahin torna a Instambul dopo quasi 20 anni. È qui per fare da editor a un celebre regista del luogo , Deniz Soysal, che ha scritto un libro su cui sono racchiusi ricordi di infanzia e gli amici e la famiglia. Suo malgrado Orhan si trova inserito nella realtà di questo regista che da subito sparisce nel nulla... Ferzan Ozpetek per il suo undicesimo lavoro prende il via da quello che è stato il suo primo romanzo omonimo, pubblicato nel 2013 dalla Mondadori. Se già il libro in sé non avesse la stessa carica emozionale dei suoi lavori cinematografici, il film precipita pericolosamente verso la noia. Grande limite è forse la sua totale aderenza alla pagina scritta dove molti dialoghi o frasi da Baci Perugina, se lette nel propria mente possono avere anche una minima forza; quelle stesse parole, riportate da attori in carne e ossa, risultano false o poco credibili. Questo è aggravato poi anche da quelle che sono le capacità recitative dei vari volti che si susseguono durante il film i cui occhi e sguardi possono avere anche una certa bellezza (non a caso la locandina focalizza la nostra attenzione proprio sugli occhi dei 4 personaggi chiave) ma anche una fissità che fa trasparire raramente un sentimento o una connessione con lo spettatore. A salvarsi da questo pasticcio di intenti mancanti è una fotografia della città di Instambul che sebbene non mostri il meglio delle città offre inquadrature e panoramiche di grande respiro; e poi le musiche sempre affascinanti ed evocative. Sembrano lontani e dimenticati gli anni di quel gioiello che fu IL BAGNO TURCO (1996) o delle danze emozionali e corali di certe tavole imbandite (elemento che torna puntualmente nella sua filmografia) di LE FATE IGNORANTI (2002) o di MINE VAGANTI (2010). Qui tutto pare l'ombra di vent'anni di cinema che hanno fatto la gloria e la fortuna di un cineasta dotato e sensibile, a volte anche piacione o furbamente popolare ma sempre connesso col nostro cuore. Qui si vede ben poco della sua città natia e quel rosso va a sbavare e spegnersi senza toccarci.
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italosanna · 7 years
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L' ACCABADORA voto 6- Anni '40. Annetta arriva a Cagliari in cerca di Tecla, giovane ragazza che ha perso la madre. Qui la donna si muove tra le stanze e le vie come un fantasma. Quasi solitaria, silenziosa, sofferente della sua condizione, ella ha ereditato dalla madre un tragico compito, quello dell' accabadora, donna che nella tradizione sarda dava la "buona morte" ai malati terminali. Enrico Pau , dopo lo splendido esordio alla regia con il film PESI LEGGERI (2001) e la conferma di un proprio stile nel suo secondo lungometraggio JIMMY DELLA COLLINA nel 2006, arriva al suo terzo lavoro con maggiore sicurezza del proprio mestiere. È innegabile che vi sia un talento e la prova che anche il cinema sardo sia capace di respirare a pieni polmoni con uno sguardo che sappia andar oltre il nostro mare e ammaliare il grande pubblico nazionale. Tuttavia dietro gli splendidi abiti di Marras che veste l'accabadora e la splendida fotografia che incendia di pura bellezza i paesaggi di una terra tutta da scoprire; dietro un cast di buon calibro che offre credibili performance e delle musiche di forte impatto emotivo; quello che cade pesantemente su tutto il lavoro è una sceneggiatura che vuole creare mistero ma precipita nella noia. Limite del film sono appunto i (non) dialoghi, le scene che spezzano l'azione con forzata e finta teatralità anche quando essa non è necessaria e una trama che vorrebbe essere accattivante e seducente ma risulta assai banale e priva di pathos. Peccato perché ci sono piccole perle disseminate qua e là (su tutte, l'inserimento di alcuni filmati originali dell'epoca) di una splendida collana che difficilmente si può apprezzare e che a tenerla indosso soffoca soltanto.
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italosanna · 7 years
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CLOWN voto 7 È il compleanno del piccolo Jack ma, poche ore prima della sua festa, l'agenzia informa la famiglia che il clown che avevano noleggiato non verrà. Così il suo papà, Kent, agente immobiliare, decide di trovare una soluzione alternativa e (S)fortuna vuole che proprio in una delle villette che sta ristrutturando, in una polverosa cassa, ci sia un costume da clown che fa proprio al caso suo. La festa del piccolo Jack è un successo ma solo più tardi Kent si accorge che quel pensate trucco e il costume da Clown è impossibile levarlo via. Col passare dei giorni Kent scoprirà che quel costume altro non è che la pelle di un demone che esige la vita di 5 bambini nei mesi di inverno e che questo istinto avrà la meglio sulle sue facoltà... Eli Roth ci ha abituati a un cinema horror che va a pescare dal passato (non a caso suo mentore e maestro è Quentin Tarantino) miscelandolo a un gusto sadico e disturbate dove tutto deve necessariamente essere mostrato (basti pensare al torture porn "HOSTEL"). Qui si "limita" a produrre affidando la regia al giovane cineasta emergente Jon Watts. E bisogna dire che il prodotto finale ha molti meriti. La tensione va per accumulo e non perde mai di tono dispensando spaventi senza eccessi. La figura del pagliaccio assassino è stata più volte usata nel genere horror, basti pensare al Pennywise creato da Stephen King per il libro (e poi film) "IT" o al pupazzo di "POLTERGEIST" nel film di Tobe Hooper. Quello di Kent però ha una caratterizzazione e una psicologia che lo avvicinano più a icone del terrore come la creatura di Frankenstein o a quella dei licantropi. E quando il male ha il sopravvento sull'umanità del protagonista andrà a divorare (letteralmente) l'innocenza. Buone anche le caratterizzazioni dei personaggi secondari: il sempre sopra le righe Peter Stromare e una coraggiosa e sofferta Laura Allen che ha il non facile compito di dar credibilità al personaggio di una madre pronta a tutto pur di salvare la sua famiglia ma colta da pesanti dilemmi morali. Sono certo che questo CLOWN offrirà ottimo materiale per i vostri incubi e temo anche materiale per possibili e (in)evitabili sequel.
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italosanna · 7 years
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JACKIE voto 6e1/2 Cinque giorni dopo l'omicidio di John Kennedy, sua moglie, Jacqueline Lee Bouvier Kennedy Onassis , persa tra le campagne della sua magione, incontra un giornalista facendo chiarezza su uno dei giorni più neri della storia. Ciò che emerge sono le contraddizioni di una donna che è stata una delle più amate e contestate tra le First Lady. Pablo Larrain che nello stesso anno ha diretto un'altra importante biografia col film NERUDA, si avvicina a un'icona della politica e del glamour. Con calcolato rispetto per i tragici eventi che macchiarono di sangue una delle pagine della storia americana, ma anche con elegante e pietoso sguardo scosta le ciocche di capelli di Jackie, ancora zuppe del sangue di suo marito, appoggia il capo su quella gonna ormai da buttare e ci racconta la donna dietro la maschera. Tra gli infiniti spazi della Casa Bianca, tra i colori pastello, negli abiti Chanel, tra la folla di un corteo funebre, tra le lapidi tutte uguali di un cimitero, il regista cileno cerca di guardare al cuore misterioso di una donna che per molti era soltanto calcolatrice, fredda, interessata alla ricchezza e agli innumerevoli amanti. Come già avvenne nel caso di quel DIANA di Olivier Hirschbiegel (2013) vi è una (forse) insuperabile difficoltà nel delineare quelle che sono le emozioni e i sentimenti e le parole di una donna tanto celebre nella sua intimità. Qui, grazie a una regia più avvolgente e una storia circolare, si sono limitati i danni se anche questo compromette una certa continuità emozionale, frantumata tra continui flashback che ci mostrano Jackie in differenti momenti della sua vita. L'interpretazione di Natalie Portman è davvero incisiva e offre un'ottima prova (non la sua migliore) che giustamente le è valsa una candidatura al premio Oscar. Resta però un divario incolmabile tra ciò che è reale e ciò che potrebbe essere. Come quel velo nero che Jackie porta sul suo volto durante le onoranze funebri, qualcosa resta celato annoi tutti. Possiamo solo immaginare il dolore di una vedova, possiamo forse scorgere il luccichio straziante di una lacrima, possiamo scorgere l'incertezza di un passo falso o la rigidità mista a un incrollabile orgoglio che erano propri di questa piccola grande donna ma... il resto sono solo voyeuristiche supposizioni.
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italosanna · 7 years
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STRIKE A POSE voto 8 Negli anni '90 Madonna è all'apice del suo successo. Dentro e attorno a uno dei suoi tour più famosi, il "Blond Ambition Tour", la regina indiscussa del pop si fa portavoce della libertà sessuale e in particolare modo del movimento LGBT. Dai locali gay newyorkesi e dalle strade, Madonna preleva sette giovani talenti della danza che la accompagneranno nel suo tour e nel documentario "A Letto Con Madonna" che rivela il dietro le quinte dei suoi concerti in giro per il mondo. E così ecco che quei ragazzi, giovani ballerini, diventano inconsapevolmente simbolo di questa "rivoluzione sessuale". 25 anni dopo Ester Gould e Reijer Zwaan rintracciano sei di quei sette ballerini (uno di loro, Gabriel Trupin, morì nel 1995 di AIDS) per dare voce non solo ai loro corpi ma alla loro anima. Il risultato è un inno alla vita spiazzante e sincero da far male. Quei "bambini sperduti" sono oggi uomini che guardano al passato con malinconia e orgoglio; sono angeli corrotti sopravvissuti a loro stessi, al successo, alla droga, all'alcol, alla depressione, alle malattie del sesso. Di volta in volta scopriamo i corpi di uomini cambiati: c'è chi ha preso qualche chilo, chi ha perso i capelli, chi la propria bellezza, chi invece il bene più prezioso, la salute. Eppure nei loro sguardi brilla ancora una luce abbagliante, il coraggio di chi continua a ballare nonostante le cadute. Se da una parte si accendono i riflettori su quegli anni pieni di contraddizioni e sul modo di lavorare di Madonna (non sempre condivisibile), a sorprendere è appunto la verità e la riconoscenza di questi uomini che hanno conosciuto tutto troppo presto e sono rimasti poi senza una mamma, Madonna, che li ha messi su di un piedistallo senza insegnar loro come restarci senza cadere; una madre/amica/boss che li ha eletti a messaggeri di una tolleranza e di un'accettazione di sé che non erano pronti a farsene carico. E nella contraddizione di chi si fa portavoce di una verità che non gli appartiene, i corpi sudati e nervosi dei ballerini diventano maschere di chi non vuole dichiarare al mondo chi la propria sessualità e chi già celava il segreto di un male che scorreva nelle proprie vene. Abbandonati prematuramente dalla loro icona, uno ad uno questi piccoli principi sono crollati, corrosi dalla fama tra le nuvole della cocaina e della povertà. Si sono risollevati, hanno accettato la loro fragilità e hanno rispetto della loro splendida quanto imperfetta vita.
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italosanna · 7 years
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31 voto 5e1/2 Anni '70. Notte di halloween. Un gruppo di hippie viene attaccato da figure misteriose. I sopravvissuti vengono sequestrati e portati in una fabbrica dove saranno costretti a prender parte a un gioco sadico in cui dovranno sopravvivere per 12 ore agli attacchi di alcuni folli mascherati da clown... Dopo il più "poetico" e "filosofico" dei suoi film, LE STREGHE DI SALEM (2012), Rob Zombie produce, scrive e dirige questo gioco di violenza sovraccarico di quelle che sono le solite ossessioni di questo regista noto ai più per essere anche un cantante del gruppo metal "White Zombie". Amante del cinema italiano e dei b-movie degli anni '70-'80, su una trama quanto mai semplice il regista offre la solita carrellata di personaggi sopra le righe su cui primeggia , come da copione, la sua compagna di vita, quella Sheri Moon Zombie che spunta in ogni suo film, sempre bella sempre Nonostante l'ottima fotografia sporca e il montaggio nervoso e feroce-che aggiungono maggiore orrore alle scene di violenza- questo filmetto pare non abbia avere alcuna ambizione e la trama si snoda in sequenze da videogioco che di susseguono con prevedibilità fino al personaggio, il più interessante tra tutti, quello di Doom Head, follemente interpretato da un ottimo Richard Brake ( vedi HALLOWEEN II sempre di Zombie, nel 2009 ). Da vedere e dimenticare il tempo di una manciata di popcorn e una lattina di birra.
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italosanna · 7 years
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THE RING 3 voto 6- Una maledizione ha inizio con la visione di un misterioso filmato. Le terribili immagini sono solo l'inizio di un incubo a occhi aperti e la telefonata che viene subito dopo in cui una voce dice "sette giorni" segna l'inevitabile incontro con la morte... Dopo più di 10 anni ecco spuntare un inaspettato quanto insperato sequel (!?) di uno dei migliori remake americani di un horror Made in Japan, "ringu". Se nel lontano oriente la serie ha avuto molto successo e diversi sequel, qui pareva che la maledizione di Samara avesse fatto il suo corso e invece... In realtà quello del regista spagnolo Francisco Javier Gutiérrez non è propriamente un sequel bensì potremmo definirlo anch'esso un remake se non addirittura una sorta di reboot. Infatti se anche vengono ripresi tutti gli elementi che hanno fatto la fortuna della serie, qui la storia va a ripetersi prendendo però una via differente nello svelarsi del passato della piccola quanto vendicativa Samara. Ed è qui il peggior difetto del film. Le poche buone idee -immagini e sequenze sinistre più che efficaci e ben curate- vanno a spegnersi in una trama il cui ritmo talvolta zoppica e inciampa tra misteri da svelare e false piste da seguire per giungere a una conclusione che già tutti conosciamo. Se si aggiunge che i personaggi non sono molto delineati , ecco che si resta disconnessi emotivamente da quanto accade agli sventurati protagonisti e si resta spettatori più attenti a guardare l'orologio.
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italosanna · 8 years
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AUTOPSY voto 7e1/2
Virginia. Nello scantinato di una casa, scenario di un misterioso duplice omicidio, viene rinvenuto il cadavere nudo di una giovane ragazza. La sconosciuta, priva di identità, viene nominata col nome generico Jane Doe. Spetterà al medico legale Tommy Tilden, assistito da suo suo figlio Austin, scoprire le cause della morte della ragazza. Il corpo, privo di alcuna violenza apparente, al suo interno svelerà un quadro quanto mai sinistro e misterioso.
André Øvredal, amante del genere ,alla sua terza regia leva l'asso nella manica. Con mano sicura e ottima padronanza della macchina da presa costruisce un film claustrofobico e inquietante che sa spaventare tra stati d'ansia e salti sulla poltrona.
Soprattutto nella prima parte, l'attenzione a una pratica già di per sé raccapricciante - l'autopsia - associata a una serie di avvenimenti sconvolgenti, offre via via indizi e piste sempre più spaventosi che aprono nella mente dello spettatore infiniti spazi di puro terrore. Se nella seconda parte il terrore va a stemperarsi- ma di poco- in quelle che sono scelte spesso prevedibili e se anche la soluzione finale potrebbe non accontentare tutti, resta un ottimo film che per tutta la sua durata tiene desta l'attenzione così come la tensione che non va mai a scemare.
Supportato da una buona coppia di protagonisti, il “veterano” Brian Cox (che iniziò la sua carriera cinematografica nel lontano 1986 dando volto al primissimo Hannibal Lecter in MANHUNTER, e che ricordiamo anche in pellicole come THE RING del 2002 o HER del 2013) e il giovane Emile Hirsch (che tutti ricorderanno per il suo ruolo in INTO THE WILD nel 2007), attori capaci di offrire le giuste sfumature ai loro personaggi; questo interessante horror aggiunge uno dei più affascinanti e temibili mostri che albergheranno i nostri incubi, la bella senza vita Jane Doe, il cui sguardo vitreo appartiene a Olwen Kelly.
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italosanna · 8 years
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LA BELLA E LA BESTIA voto 6-
Era il 1991 quando la Disney compì il “miracolo”. Per la prima volta un film d'animazione, un cartone animato, venne candidato al premio Oscar come Miglior Film. Tra canzoni e personaggi indimenticabili, la casa di Topolino aveva costruito un piccolo gioiello dove ogni elemento impreziosiva ogni fotogramma (dall'attenzione dei particolari degli abiti alle ambientazioni, dai variopinti e complessi numeri musicali alle scelte di inquadrature di forte impatto emotivo, dall'attenzione nel tratteggiare la psicologia dei personaggi alle pennellate di colore mai così vivo…).
Ventisette anni dopo la Disney, sull'ormai consolidata tendenza al “riportare in vita” vecchi classici, decide di farne un remake con attori in carne e ossa.
Vengono arruolati tra i migliori attori che si prestano con piacere a dare voce ai personaggi-oggetti che vivono nel palazzo incantato: Ian McKellen, Ewan McGregor, Emma Thompson, Stanley Tucci. E a contendersi il cuore della nostra Belle - interpretata con grazia da una convincente Emma Watson- ecco da una parte la Bestia (che ha gli occhioni di Dan Stevens , ai più conosciuto per la sua partecipazione nella serie “DOWNTON ABBEY”) e dall'altra Gaston (che qui ha la fisicità di un ottimo Luke Evans, visto di recente nel thriller LA RAGAZZA DEL TRENO).
Bill Condon (vedi i due capitoli conclusivi della saga di TWILIGHT) dirige con meticolosità questo film che pare voglia rispettare con umile devozione il cartone da cui trae ispirazione. Un'operazione più che lodevole per certi versi (i testi delle canzoni sono gli stessi, alcune sequenze ricalcano quasi alla perfezione quelle originali) a cui si aggiungono qua e là nuove canzoni, qualche scena che va a delineare il background dei protagonisti e la presenza di personaggi di colore così come dalla sessualità incerta (o differente!).
Grazie alla computer grafica sono state realizzate alcune scene davvero spettacolari (su tutte la celebre scena della cena servita a Belle) che non ci fanno rimpiangere il cartone animato; vi è anche un'attenzione alle scenografie e ai costumi davvero notevole; e , nel complesso, i personaggi e i loro interpreti brillano. Ma…
Come già accade col live action di CENERENTOLA, per la regia di Kenneth Branagh, anche qui il paragone col suo predecessore è quasi impietoso. Anzitutto è davvero terribile il lavoro di doppiaggio attuato qui in Italia affinché ci fosse una certa sincronia tra le parole cantate e il movimento della bocca dei vari attori, a perderci è stato appunto la bellezza e musicalità di molte canzoni che sono forse la parte più importante in un musical. Nonostante ci sia stata una maggiore attenzione alla psicologia di vari personaggi (su tutte lo strepitoso Le Tont in cui si accenna un sentimento omoerotico) questa va ad appesantire la narrazione con inutili intermezzi che vanno a svelare il passato di Belle e della Bestia. Le nuove canzoni non hanno neppure la metà della bellezza delle canzoni che tutti già conosciamo. La narrazione, un tantino priva di ritmo, spesso si frantuma in episodi che non offrono una continuità emozionale così che il pathos va sfiorire di volta in volta come la rosa incantata. La celebre scena del ballo non possiede la stessa magia di quella disegnata così come tutto il processo di avvicinamento e innamoramento tra i due protagonisti non ha una consistente e convincente credibilità.
Un compito fatto più che bene ma privo di un cuore, incapace di farci realmente innamorare.
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italosanna · 8 years
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MOONLIGHT voto 8- Miami. Little è un ragazzino nero introverso, quasi sempre bersaglio dei bulli della scuola, che non trovando rifugio tra le braccia di una madre tossica, si avvicina a Juan e Teresa, una coppia che lo aiuterà a trovare le risposte. Chiron è un adolescente che inizia a scoprire se stesso e che, stanco dei continui attacchi da parte dei compagni, un giorno decide di ribellarsi. Black è un un giovane uomo che ha scontato giorni di prigionia, si fa rispettare, ha una sua posizione nelle dure strade della criminalità. Ma qualcosa ancora manca e una telefonata potrebbe cambiare per sempre il suo destino solitario... Little. Chiron. Black. Una sola vita. Vincitore del premio Oscar come Miglior Film 2016 e diretto con cruda dolcezza da un bravo Barry Jenkins, è un adattamento di una piccola opera teatrale e, in un certo senso, questo è anche confermato dal fatto che le scene migliori sono proprio quelle dove l'incontro/scontro verbale vede in scena due personaggi per volta. Supportato da un montaggio frenetico e incerto la vita e da un'ottima fotografia che va a sgranare i contorni e le identità così fragili dei personaggi, mette a fuoco la violenza -fisica e verbale- tanto quanto le immagini più calde e sensuali di un bacio grande come l'oceano; il film accenna i drammi interiori del percorso di accettazione ad opera di un ragazzino che deve crescere in fretta in mezzo a tanti lupi e altrettanti squali, senza mai addentrarsi pienamente , evitando il patetico ma anche un'analisi forse necessaria. Restano le maschere e i ruoli che spesso siamo costretti a portare per sopravvivere sopratutto dove si è considerati diversi. Ed è quello che fa il personaggio di Chiron che alla violenza non può che rispondere con altrettanta rabbiosa violenza e poi nascondersi dietro chili di muscoli e un paradenti di metallo. Ma per quanto si sia passati una vita a scappare dai pestaggi e le cattiverie di ambienti non facili, presto o tardi si deve fare i conti con se stessi e la paura e il coraggio più grandi si dimostrano su di una spiaggia al chiaro di luna, davanti a un genitore che è prima di tutto umano, nel tavolino di un ristorante davanti alla persona che ha il tuo stesso modo di guardare il mondo, quando il tuo sguardo non riesce a lasciare più un altro sguardo. Un film non perfetto che racconta però con verità e cuore un cuore e una verità spesso troppo taciuta.
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italosanna · 8 years
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LITTLE CHILDREN Voto 8e1/2 Sarah è una mamma il cui marito pare essere ossessionato dai porno; Todd è un padre la cui moglie Kathie è troppo concentrata sul lavoro. Tra loro nasce una passione incontrollabile che porterà entrambi a fare una scelta che potrebbe cambiare per sempre le loro esistenze. Poi c'è Ronnie, un pedofilo che torna a casa dopo aver scontato la pena che catalizzerà le ansie e la rabbia della cittadina. Todd Field (IN THE BEDROOM) dirige con sguardo severo e beffardo uno spaccato della vita di alcune famiglie disfunzionali per scalfire la patina di perfezione e sogno americano e mostrare la bruttura e le contraddizioni umane. Il film si apre col primo piano di alcune statuine in ceramica di bambini il cui sguardo incontra quello dello spettatore. In sottofondo il rumore prima lieve e poi sempre più pressante di alcuni orologi. Martellante e spesso presente nello svolgersi dell'azione sarà anche il rumore di un treno che preannuncia l'arrivo di qualcosa che potrebbe sovvertire il corso degli eventi. Nelle intenzioni del regista c'è il voler parlare del punto di osservazione e del giudizio ad esso connesso:la percezione che noi abbiamo degli altri, la percezione che gli altri hanno di noi e quella che noi abbiamo di noi stessi. E poi c'è lo sguardo dei bambini verso il mondo degli adulti di cui non comprende pienamente le regole e quello degli adulti sui bambini che non sempre è docile e protettivo e rispettoso. Nel corso del film si parla di riscatto sociale, di crisi di coppia, di identità, di desiderio, di sesso, di perdono, di vendetta, di tradimento... Insomma tutta la gamma di emozioni e fragilità umane sono messe a nudo, a volte con tenerezza ed empatia, a volte con pietà e imbarazzo misto a sarcasmo. Tutti i personaggi, nel loro percorso, affrontano situazioni e scelte importanti che spesso non sanno-o non vogliono- gestire con la dovuta maturità. In particolare Sarah e Todd, presi dalla passione, si perdono in una ritrovata fanciullezza fatta di scappatelle e di bugie, stanchi di una vita ordinaria e in cui il loro malessere non è percepito dalle persone che hanno sposato. Nel frattempo anche Roonie, il pedofilo, pare non accorgersi di quanto le sue azioni o la sua sola presenza possa accendere paura e ignoranza e crudeltà negli occhi di chi lo guarda con disprezzo. Solo agli occhi "ciechi" e amorevoli della madre lui non ha colpe e brilla ancora la speranza che il suo bambino/uomo possa riscattarsi e trovare un posto nel mondo. In questo film corale, che ha molti punti in comune con altri capolavori come HAPPINESS o AMERICAN BEAUTY e MAGNOLIA, le vite e le scelte di ognuno dei personaggi condiziona e minaccia il destino di altre. Così dai toni rosa e caldi iniziali, quasi da film sentimentale, si passa a quelli più cupi e freddi del thriller. Il film si apre radioso e la prima parte del racconto si svolge per lo più tra parchi giochi e piscine e prati soleggiati per poi chiudersi in una notte nera in cui il peso di quelle scelte e delle loro conseguenze incombe tragicamente. Il film uscito nel 2006 è stato riconosciuto come uno dei migliori di quell'anno e ha ricevuto consensi da critica e pubblico, incluse diverse nomination prestigiose tra Oscar e GoldenGlobe. Il cast (oltre la regia) è di primo livello. Kate Winslet è bravissima a regalare umanità e realtà a un personaggio così complesso, difficile, per molti aspetti negativo ma che lo spettatore non può non amare e comprendere. Altrettanto bravi sono i comprimari Patrick Wilson e Jennifer Connelly che offrono prove recitative intelligenti. Ma menzione speciale va alla prova d'attore di Jakie Earle Heley che offre umanità a un ruolo così controverso.
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