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Me llegó esta invitación a un cumpleaños y no estoy seguro si quiero ir.
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"Ma lo sanno gli sciatori come si fa una pista da sci? Io credo di no, perché altrimenti molti di loro non sosterrebbero di amare la montagna mentre la violentano.
Una pista si fa così: si prende un versante della montagna che viene disboscato se è un bosco, spietrato se è una pietraia, prosciugato se è un acquitrino; i torrenti vengono derivati o incanalati, le rocce fatte saltare, i buchi riempiti di terra; e si va avanti a scavare, estirpare e spianare finché quel versante della montagna assomiglia soltanto a uno scivolo dritto e senza ostacoli.
Poi lo scivolo va innevato, perché è ormai impossibile affrontare l’inverno senza neve artificiale: a monte della pista viene scavato un enorme bacino, riempito con l’acqua dei torrenti d’alta quota e con quella dei fiumi pompata dal fondovalle, e lungo l’intero pendio vengono posate condutture elettriche e idrauliche, per alimentare i cannoni piantati a bordo pista ogni cento metri.
Intanto decine di blocchi di cemento vengono interrati; nei blocchi conficcati piloni e tra un pilone e l’altro tirati cavi d’acciaio; all’inizio e alla fine del cavo costruite stazioni di partenza e d’arrivo dotate di motori: questa è la funivia.
Mancano solo i bar e i ristoranti lungo il percorso, e una strada per servire tutto quanto. I camion e le ruspe e i fuoristrada.
Davvero non lo sanno? Non vedono che non c’è più un animale né un fiore, non un torrente né un lago né un bosco, e non resta nulla del paesaggio di montagna dove passano loro? Chi non mi crede o pensa che io stia esagerando faccia un giro attorno al Monte Rosa in estate: sciolta la neve artificiale le piste sembrano autostrade dai perenni cantieri, circondate da rottami, edifici obsoleti, ruderi industriali devastazioni di cui noi stessi malediciamo i padri. (…) Tra cent’anni la vera ricchezza non saranno le piste che abbiamo costruito, ma la montagna che abbiamo lasciata intatta".
Paolo Cognetti
Da un articolo pubblicato su Robinson - inserto LaRepubblica - e citato nell'approfondimento di stamattina sul Vallone delle Come Bianch
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In fondo al pozzo


























Zerocalcare - Via: Internazionale
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Tra i beni inestimabili che abbiamo barattato irreversibilmente con il presunto progresso ce n’è uno in particolare: il poter stare sotto a una campana di vetro, l’ibernazione dal mondo. Ovviamente, con questo, non mi riferisco a condizioni più o meno permanenti o patologiche, ma a misure momentanee di isolamento (moderato) che sarebbero una panacea per la psiche e per la salute tutta. Isolamento non necessariamente materiale, ma anche solo dai social, per dire. Passare tre anni senza averne alcuno, nemmeno Tumblr. Nulla di nulla. In riferimento a questo penso sempre al fatto che quando mi sono ammalata, otto anni fa, questa fosse fortunatamente un’opzione ancora disponibile. Se non l’avessi avuta, ai tempi, non sarei riuscita, combattendo contro problemi giganteschi, a ricalibrarmi sulle giuste frequenze, su di uno stile di vita inevitabilmente stravolto e imperniato su nuovi parametri. Non avrei avuto la lucidità necessaria per reinventare il mio quotidiano! Sarei stata costantemente influenzata dal confronto, dalla pressione dei pari, dalla spinta alla vetrinizzazione cui tutti siamo attualmente sottoposti. Mi sarei depressa mortalmente in una fase in cui non potevo assolutamente permettermi cedimenti. Ci sarebbero state serissime conseguenze se fosse andata così. Invece otto anni fa (mica 1000) questa era ancora una realtà in nuce. E mi fa terrore pensare che manchi a pochi, che tutti sembrino contenti così, che non un solo gruppo sociale sembri andare in controtendenza ma che serva invece andare a recuperare quell’anima su un milione che la pensi come te. Non sopporto tutto questo rumore, anche quando si parli di argomenti sacrosanti. Il silenzio non esiste più, sembra sia stato tabuizzato, che quasi rasenti l’offensivo. Gli stimoli che riceviamo sono troppi, stordenti, intaccano l’equilibrio psicofisico del più sano degli individui- oltre a ottenebrare le coscienze.
E vorrei fossero frasi fatte, ma la verità è che questa contemporaneità, essendo ben memore di come stessero le cose prima, mi ammazza.
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Per la rubrica da vera boomer "Odio il gergo dei social": ma cosa mi significa 'sta moda di deffinire PROBLEMATICI film, libri o altro - nell'accezione di: potenzialmente offensivi, controversi, di dubbio gusto?
Lo vado ad aggiungere ai vari Normalizzare, Validazione, Narrazione tossica.
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psicologo: le segno il prossimo appuntamento su un foglietto o...
io: sì grazie
psicologo: non se lo segna sul ce...
io: sul cellulare come fa la gen.Z? No, non ho mai preso l'abitudine.
psicologo: veramente lo fanno tutti.
io (con un certo sgomento dovuto alla presa di coscienza): ... è vero. Conduco una resistenza non violenta, come Gandhi.
#comunque boomer è una parola di cui solo gli idioti sentirebbero la mancanza#anche se ho appena usato gen. Z
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Signore e signori, visto che c’è interesse sull’argomento avrei intenzione di creare un sideblog basato esclusivamente su argomenti di linguistica e filologia in modo tale da dedicare uno spazio apposito e più approfondito a questi temi. A cose fatte rebloggherò questo post lasciandone l’URL. Ci vediamo di là!
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Rifletto su come molte persone prendano la morte altrui, senza esserne non dico trafitte, ma neppure vagamente sfiorate (un concetto che non li riguarderà mai, alieno.)
Potrei andarmene, portarmi via tutta la mia vita e per tanta gente sarebbe solo una notizia ricevuta senza troppo peso durante una giornata al mare, da dimenticare in fretta per andare a fare un bagno.
Forse è "normale", finché non capita a te.
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Negli ultimi 10.000 anni la musica è andata a puttane

https://twitter.com/archeometrie/status/1170031822614474752?s=12
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Quando uno sconosciuto mi ferma per strada (o mi telefona)

Maicol & Mirco
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