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Saint Cecilia (detail), attributed to Onorio Marinari (1627–1715)
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‘adieu!’ - alfred guillou (1892)
with a title meaning ‘goodbye’, this piece depicts the final moments of a fisherman and his love before they are overwhelmed by the force of the sea. a strong sense of urgency is created due to the towering waves and already-sunken mast in the background of the piece. this is a contrast to the stillness of the foreground; in this we see the woman slipping into the water, her body already limp as the fisherman desperately clings on.
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Details n°million of Fallen Angel, 1868, by Alexandre Cabanel.
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The Winged Victory of Samothrace, c. 220-190 BC, Parian marble, Louvre, Paris (photo by Lauren)
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Venus Verticordia (details), Dante Gabriel Rossetti
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Thomas Benjamin Kennington The Wedding Dress (1889)
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C'è un salice che cresce di sbieco sul ruscello e riflette le sue bianche foglie dell'acqua di vetro. Con esse Ella faceva fantastiche ghirlande di violacciocche,ortiche,margherite e lunghe orchidee rosse alle quali i pastori sbloccati danno un nome più volgare ma che le nostre caste fanciulle chiamano dita di morto. Lì arrampicandosi per attaccare ai penduli rami le sue erbe in corona,un ramoscello malvagio si spezzò e giù caddero nel piangente ruscello i suoi trofei d'erba e lei stessa. Le sue vesti si allargarono e per un poco la sostennero come una sirena,e lei cantava brani di vecchie melodie come una inconsapevole del proprio rischio o come una creatura nativa cresciuta in quell'elemento. Ma non potè durare: le sue vesti,pesanti per bere,trascinarono la sventurata dai suoi canti melodiosi a una fangosa morte.
(William Shakespeare-Amleto)
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La Nascita di Venere, Sandro Botticelli.
Uffizi.
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Apollo e Dafne
Dopo aver ucciso il serpente Pitone, Apollo si sentì particolarmente fiero di sé, perciò si vantò della sua impresa con Cupido, dio dell’Amore, sorridendo del fatto che anche lui portasse arco e frecce, ed affermando che quelle non sembravano armi adatte a lui. Cupido indignato, decise allora di vendicarsi: colpì il dio con la freccia d’oro che faceva innamorare, e la ninfa, di cui sapeva che Apollo si sarebbe invaghito, con la freccia di piombo che faceva rifuggire l’amore, per dimostrare al dio di cosa fosse capace il suo arco. Subito lui s'innamora, mentre lei nemmeno il nome d'amore vuol sentire, molti la chiedono, ma lei respinge i pretendenti.
E Febo l'ama; ha visto Dafne e vuole unirsi a lei, e in ciò che vuole spera, ma i suoi presagi l'ingannano. Lei fugge più rapida d'un alito di vento e non s'arresta al suo richiamo:
«Ninfa penea, férmati, ti prego: non t'insegue un nemico; férmati! Così davanti al lupo l'agnella, al leone la cerva, all'aquila le colombe fuggono in un turbinio d'ali, così tutte davanti al nemico; ma io t'inseguo per amore! Ahimè, che tu non cada distesa, che i rovi non ti graffino le gambe indifese, ch'io non sia causa del tuo male! Impervi sono i luoghi dove voli: corri più piano, ti prego, rallenta la tua fuga e anch'io t'inseguirò più piano».
Ma il giovane divino non ha più pazienza di perdersi in lusinghe e, come amore lo sprona, l'incalza inseguendola di passo in passo. Apollo le elenca i suoi poteri per convincerla a fermarsi, ma lei non arresta la sua corsa. Lui che l'insegue, con le ali d'amore in aiuto, corre di più, non dà tregua e incombe alle spalle della fuggitiva, ansimandole sul collo fra i capelli al vento.
La ninfa ormai quasi sfinita, giunge infine presso il fiume Peneo, «Aiutami, padre», dice. «Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui».
Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra, il petto morbido si fascia di fibre sottili, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici, il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva. Anche così Febo l'ama e, poggiata la mano sul tronco, sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo, ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae.
E allora il dio: «Se non puoi essere la sposa mia, sarai almeno la mia pianta. E di te sempre si orneranno, o alloro, i miei capelli, la mia cetra, la faretra; e come il mio capo si mantiene giovane con la chioma intonsa, anche tu porterai il vanto perpetuo delle fronde!». Qui Febo tacque; e l'alloro annuì con i suoi rami.
Ovidio, Le metamorfosi
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