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30.06.2076
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O: « A Quidditch abbiamo fatto schifo per colpa di qualcuno che si è preso … sono 60 pluffe in una partita, Xaxa? »
N: « Ey. Non è stata colpa tua.. sei stato bravo. I Tasso..tasso… i Tassorosso si erano presi una cazzo di pozione »
X: « Dici Bro? Sì, anche secondo me sono stato bravo. Vai, siediti qui. »
H: « Bravo è un parolone.. Ci ha provato. »
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31.07.76
« Ti innervosisco? »
(…) finisce per donargli un lungo sguardo penetrante, prima di allungare la destra e tentare semplicemente di sfilargli gli occhiali di dosso. Qualora ci fosse riuscita, si limiterebbe a chiuderli ed appenderglieli alla scollatura della maglietta, cercando con prepotenza quelle iridi così chiare da poter risultare imperturbabili «Mi innervosivi, parecchio.»
«Ora sto solo perdendo interesse.»
«Lo capisci, vero? Anche uno come te riesce a capire qualcosa di così semplice e primordiale.» continua con la voce che si fa morbida ma non accondiscendente «E la cosa come ti fa sentire?» (…) Come ti senti, Xavier?
Ma lei arriva, con una mano che si avvicina al proprio volto e lui, da dietro le lenti, la osserva, prima di capirne i suoi movimenti e perdendo completamente la visione perfetta e scura di quella lente. Strizza rapidamente gli occhi prima di abituarsi alla luce del sole. Le iridi cristalline finiscono così su di lei, passando per il suo collo libero, prima di arrivare sul suo volto, in maniera piuttosto lenta e moderata. Occhi che si fermano nei suoi, studiandone quella tranquillità altrui, ricercandone quell’innervosire e perdita di interesse di cui parla. « Non posso farti perdere l’interesse e innervosire nello stesso tempo. » inclinando appena il capo, inumidendosi le labbra per catturarne gli ultimi residui del gelato. «Bene.» mi fa sentire bene. Freddo, rapido, veloce nelle risposte. Distante e irraggiungibile nello sguardo che rimane fermo su di lei. «Rimettimi gli occhiali. »
Lo raggiunge solo per sfilargli delicatamente quella palizzata dietro la quale si nascondeva, rendendogli nudo lo sguardo, ma che altro non è che l`ennesima barriera. L`osserva sbattere gli occhi, lasciandolo scivolare con l`attenzione prima di ricevere in cambio quell`occhiata di ricerca, facendogli trovare proprio questo: iridi non più brillanti nei suoi confronti, dove quella brace che vi ardeva ogni qual volta che le raggiungeva il volto pare essere stata seppellita da chili d`indifferenza che lui le ha dedicato, cattiverie, distanza, il tutto condito dal perenne alzare di bacchetta nei propri confronti. C`è tutto, restituito come si farebbe con una bancherella di cose usate: tutto esposto, rovinato e svalutato, sotto il sole di Diagon Alley «Mi innervosiVI» calca nuovamente su quel passato, scuotendo il capo rassegnata, sentendo quel “bene” come ciliegina sulla torta di merda che sta mangiando a causa sua, da anni «Rimettiteli da solo.» stronzo.
Osserva il suo guardo distante, poi, una volta che i suoi occhiali sono stati posizionati nel collo di quella maglia a V, ritrovandosi a rimanere in silenzio inumidendosi semplicemente le labbra e non si limita nemmeno a nascondere quel sorriso che incomincia a comparire sulle labbra; da vero faccia da schiaffi. E quando lei fa la divah riprendendo a camminare con stizza, lui rimane fermo, raggiungendo i propri occhiali da sole, infilandoli lentamente dietro le orecchie, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno. Lascia passare del tempo, prima di riportare lo sguardo sulle spalle di lei, in quella camminata che lei ha scelto di avere e in quell’indifferenza che sceglie di dargli, facendo un sospiro e riprendendo solo dopo a camminare, per puntare al Quidditch shop che sia nella stessa direzione o no, non gli importa; quanto più interessarsi ad altro.
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30 giugno 2076 - 10 luglio 2076
[ Nella tasca del mantello, durante il tragitto del treno, magari mentre il quintino non se ne accorge, verrà infilata una pergamena. ] Non so neanche che scriverti. Perché di cose da dirti ne avrei troppe, ma alla fine noi non ci diciamo mai niente. Basta uno sguardo per capirci no? Basta che io ti guardi, e che tu mi guardi, e so già che cosa fare. Sappiamo già cosa fare insieme. Insieme abbiamo fatto tanto, e possiamo ancora fare tanto. Per il momento, c'è l'ultima scommessa di quest'estate: a chi mantiene meglio la promessa. Di esserci. Sempre. Ci riuscirai, Xaxa? Io spero di sì. Non vuoi farmi vincere, come sempre, vero? O'.
[ 10 luglio, sera - Un barbagianni picchietterà alla finestra della camera della Milles. Alla zampina destra è legata una lettera, al cui interno is trova un bigliettino rigido di colore bianco. Calligrafia corsiva, scrittura che appare piuttosto rapida; inchiostro nero. ] Da quando sei diventata così smielata, O'? Devo rincominciare a chiamarti Milles? Non mi sembra una scommessa che duri solo quest'estate. Sembra più una scommessa per la vita. Sono bravo a perdere le scommesse, ricordi? Ma posso promettere che appena ci rivedremo ti schianterò solo per avermi fatto leggere una lettera del genere. Xaxa.
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« Il prossimo anno partirà col botto. Avrò una voglia matta di schiantarti. »
« Dì solo che hai una voglia matta. Punto. Saresti più sincero, Xavier. »
« Dico quello che voglio. » rapido nel rispondere che no, non segue i suoi consigli, come probabilmente non li seguirà mai. « E io ti ho detto che non vedrò l'ora di schiantarti. »
« Un giorno, quando smetterò di volerti, ti sentirai dannatamente solo, Xavier. »
« Sai… » comincia lentamente, con gli occhi che arrivano a fissargli il petto « io ci ho provato. Un sacco. » e questo, non può recriminarselo proprio più « Ho tentato di lasciar perdere, di dirmi che sei solo un bambino che ha voglia di giocare e che l'unico modo che hai per dimostrare interesse senza mostrarti vulnerabile, è questo. » parla con calma, con quel solito tono caldo e vagamente roco, mentre con un piccolo scatto, si scosta da lui, tornando ritta in piedi senza più appoggiarsi « Lo so che non sei uno stronzo, non totalmente insomma. » nessuna pietà, nessun vittimismo nè preso, nè concesso, ma una sicurezza granitica e forte, senza ostentazioni alcune. Si rigira il bastoncino tra le labbra, piegando quello carnoso inferiore, ma senza più cercare i suoi occhi « Il punto è che scegli d'esserlo con me. Tu lo scegli, scegli ogni comportamento, ogni parola, e non c'è niente di quello che io possa fare o essere, che possa farti scegliere altrimenti. » scuote il capo, lasciandogli andare finalmente il passante dei jeans, con un increspare enigmatico dell'espressione sul viso « Sei un coglione. E mi dispiace tanto. » ancora, cenni di diniego, mentre la destra raggiunge il fianco accanto al tessuto aranciato del vestito « Basta così. » molla la presa, una volta per tutte, ridandogli quel bastoncino che prima aveva rubato dalle sue labbra. L'ultimo gesto, prima d'andarsene.
La osserva mordicchiare quel bastoncino così come riesce a seguire ogni suo singolo movimento, dal distacco che sente su di sé, che la porta eretta a gonfiare il seno, a fare qualche passo indietro così come a perdere completamente il contatto visivo. L'ascolta però, anche, questa volta in silenzio, senza interromperla, senza intromettersi con altre parole, tanto da prendersi tutto il discorso in pieno, fino a quando l'unica cosa che gli rimane da fare è allungare la mano e riprendersi la bacchetta di liquirizia. Rimane contro la parete tra una cabina e l'altra, osservandola. Lasciandosi scappare l'unico e semplice commento quando lei sembra in procinto di andarsene. « Dovresti vestirti sempre così. » riportando la bacchetta tra le labbra, per poi rimettersi eretto in piedi e prendere a camminare dalla parte in cui è venuto, quella opposta della Loghain.
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Octavia: « Quest`anno abbiamo fatto schifo. » La realtà è questo. « Abbiamo perso la Coppa delle Case, perché qualcuno forse ha deciso che non era importante. » E anche se non conosce per davvero quanti non hanno guadagnato i punti per vincerla, lo sguardo vaga un po` in giro per la sala, con sdegno: la colpa è di tutti voi. Sua mai, ovviamente. « A Quidditch abbiamo fatto schifo per colpa di qualcuno che si è preso … sono 60 pluffe in una partita, XAXA? » E sì, anche per lui uno sguardo di schifo. Ma è il suo bff, quindi dura poco. « MA! » Vediamo che ha da dire? « Noi siamo i Serpeverde. Noi camminiamo a testa alta, sempre e comunque. » Un certo orgoglio, c`è. « O forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli amici migliori, quei tipi astuti e affatto babbei, che qui raggiungo fini ed onori. » Sta citando il Cappello Parlante, già. « Quindi. » Sicura. « IL PROSSIMO ANNO, niente babbei, unità di Casata, e raggiungiamo quegli onori che devono essere nostri. » E basta. Uno sguardo verso XAVIER, per controllare l`espressione sul volto del bff, oltre che poi andare verso CHARLOTTE. Come sono andata? Ha bisogno di voi. « Ora potete pure fare l`… » Qualcuno sta facendo qualcosa? Si è finalmente palesato? « Applauso. » Non proprio ad alta voce, questa volta. Ah. Giusto e solo ah. « Ma ora è tempo di goderci l`ultimo giorno di scuola, e VAFFANGRAMO A TUTTO. »
Charlotte: « È vero, dobbiamo essere i più favolosi, e non quegli osceni. » i palmi delle mani parlano come se avessero voce seguendo proprio il tono ed il modo di fare della secondina. « Discorso da E! Il prossimo anno devi essere tu la nostra prefetto, farai un figurone sicuro-sicurissimo.. » si mordicchia le labbra, guardando OCTAVIA trovando l’ovvia soluzione. « Lo dirò al mio padrino. »
Tristan: Ha tanto da dire, tantissimo, un po’ a tutti, soprattutto alla MILLES. « Parecchie cose, ma non penso sia il caso. » Perché davvero OCTAVIA vuoi parlare di non essere osceni? Tu?
Xavier: « Il rosa ti starebbe bene sulle labbra. » a CHARLOTTINA che vuole il fumo rosa. « Saresti ancor più favolosa. » è serio o prende in giro? Inarca le sopracciglia per poi fare spallucce, sempre in direzione di CHARLOTTE. « Appoggia alle labbra e poi tira. » Semplice, conciso, senza alcun aiuto, come sa far lui. Si guarda intorno, puntando lo sguardo prima verso HELIOS, poi verso GUIN e infine su OCTAVIA. Come si fuma realmente ‘sta cosa che hai appena acceso?
Niall: Comunque sia, OCTAVIA inizia a fumare e dalla sua bocca esce del fumo, di un colore strano ma non troppo.. argento. [ Gnnn ] emette, basso basso. [ E che vuol dire? ] esclama piano. [ Uno stato d’animo… ? ] chiede di nuovo per sicurezza, ma a mezza bocca. E sta già parlando troppo, sì. [ Sei tipo felice.. come quelle creaturine argentate che evocano qua la gente quando è felice ] e ha sentito parlare in questo modo del patronus, anche perché a Durmstrang parleranno di qualcosa no? Non bene magari di Hogwarts, ma tant’è.
Guinevere: « Mannaggia a San Giorgio, oh. » impreca pure il santo patrono gallese, vergogna.
Helios: «Avete tutta l`estate per divertirvi.» non urla lui, figuriamoci…basta quella che in dialetto impreca a San Giorgio (?) «All`aperto.» soprattutto, ma anche «Senza rotture di boccini.» insomma, non spiscettiamo fuori dal vasetto, qui. Ché siamo buoni - quando? - ma fino ad un certo punto. «Ma l`estate inizia domani.» e quindi, si fuma da domani. Sksate. Che poi il dire queste parole guardando proprio Octavia abbia qualche doppio senso a lei di certo non impossibile da capire, è un altro paio di maniche
Charlotte: « Sei noioso, HELIOS! Sei noioso e basta, non ti diverti e non ci fai divertire eeeee, che gramo! Ci rovini le cose. »
Octavia: « Buona estate. » Una pausa. « A tutti. »
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« E come avevo previsto… » esordisce così dandogli un leggero tono teatrale che viene amplificato visivamente in quella movenza che lo porta a distaccarsi dal parapetto del ponte per inoltrarsi al centro del ponte sospeso, senza però accorciare quei metri che la ragazza ha scelto di avere con lui. « la tua indifferenza è solo una maschera che scegli di avere davanti agli altri. » e questo commento potrebbe essere pronunciato tanto per, se non fosse che secondi dopo va a dare un’aggiunta « Basta una pallina di carta… ed eccoti qui. �� Che accetta di vederlo, senza alcun prezzo, senza alcun costo, senza alcuna minaccia. E’ un po’ come se si fosse presentata di sua spontanea volontà. Un sorriso accentua le labbra, inclinando appena il capo all’indietro prima di osservare quelle braccia di lei strette al petto e la distanza che portano. « Paura ad avvicinarti? » un cenno del capo e un’espressione che si fa decisamente sfacciata. Un piccolo principio di provocazione, probabilmente.
Stacca il braccio destro dal petto, lasciando quello sinistro piegato per svolgere la funzione da supporto al gomito dell`arto che alza, e posizionare il palmo della mano sotto il mento. Inclina il capo leggermente di lato, con quel sorriso da paraboccina che si ritrova «tu non mi fai paura...» finalmente decide di aprire bocca «voglio solo tenere lontana la tua puzza» si morde il labbro inferiore con il canino sinistro senza muoversi di una virgola.
«cosa vuoi da me, Gutierrez?»
« Sei tu che vuoi qualcosa da me. » con un tono sicuro, di chi non ha paura nemmeno di mostrarsi in quell’arroganza che lo fa da padrone. Sfacciato e menefreghista di come potrebbe risultare agli occhi di lei. Noncurante in realtà di questo fatto. L’atteggiamento altezzoso e certo fanno scivolare la mano destra dietro le proprie spalle, smuovendo appena il mantello per poter mostrare un qualcosa che la ragazza dovrebbe conoscere. E’ qualcosa di reale, di vero, questa volta. Non c’è nessuno scarabocchio. Non c’è nessuna bambina disegnata da lui e da Octavia. C’è solo il ritratto di un anziano. Seppur visto da lontano è piuttosto sicuro lo possa riconoscere. « Tuo nonno, giusto? » è l’unica cosa che suppone. Che non gli è mai stato realmente confermato. La mano torna con tranquillità poi dietro alla schiena. « Lo rivuoi? » Rivuoi il tuo disegno, Alyce? Rivuoi il ritratto di tuo nonno?
«conoscendoti vuoi qualcosa, altrimenti non mi avresti fatto venire qui»
« Baciami » una piccola pausa « con la lingua » la precisazione che questa volta è inevitabile « e ti lascio definitivamente il disegno. » La voce sicura, ferma, quasi come se stesse pronunciando uno di quegli incantesimi difficili che ancora pratica malamente. Iridi che rimangono ferme sul suo viso, il sorriso che non scompare e l’attesa che porta a seguirne la reazione di lei.
«sai... ti facevo più intelligente, Gutierrez» anche perché se lo fosse sarebbe stato smistato tra i corvonero «invece ho avuto la conferma che l`unico modo che hai per ottenere quello che vuoi solo attraverso degli stupidi giochetti da ragazzini» avanza di qualche passo per dimezzare la distanza tra di loro «te lo puoi scordare» gli dice chiaramente glaciale come non è mai stata in vita sua.
Secondi di silenzio, mentre lo sguardo rimane fermo e completamente immobile su di lei. Lei parla, scioglie le braccia, non ha più voglia di giocare, nemmeno di comportarsi da ragazzina. Ma lui è ancora un ragazzino. Tanto da compiere un movimento rapido portando velocemente la mano davanti per raggiungere l’altra e sono l’indice di entrambe le dita ad afferrare quel foglio e… SRASCH. Il rumore del foglio che viene diviso in due e poi in tre, in quattro. La carta che si strappa. Lì, senza troppi problemi, senza troppa indecisione dinnanzi a lei. Era solo un bacio con la lingua. Un bacio per il disegno, ma non hai voluto. Un passo indietro, la carta scivola a terra e il catalizzatore con tale rapidità finisce nella mano dominante tanto da pronunciare un « Incèndio. » laddove l’idea è ben chiara da troppo tempo in quella mente. E’ un fuoco modesto quello che dovrebbe avvolgere la carta e bruciarla in seduta stante, non troppo alto, di una fiammella arancione intensa. Che riscalda e brucia. Non brucerebbe solo il disegno, bensì spera di toccare il cuoricino della Grey giusto per farle capire che quel gioco doveva continuare fino a quando lui non avesse posto un termine. Il braccio, ovviamente, puntata in direzione della carta che scivola a terra creano nel vuoto una fiammella muovendo con cura il polso. E ora?
«Petrìficus Totàlus»
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Un po’ di sudorino è evidente sulla fronte, ma questo lo rende ancora più bello, un po’ come ai post partita. Sicuramente Alyce è lì che – dentro di sé – sta invocando il suo nome per quanto sia estremamente affascinante. Sudorino che è stato causato principalmente per… fifa.
Se sono stati smistati a Serpeverde, ci deve essere un motivo. E sicuro perché il coraggio è una di quelle qualità che non solo manca al mezzo spagnolo, mezzo francese, ma figo per intero, ma anche a chi è più figa di lui. Cioè la persona che gli sta accanto, una certa quartina vicecapitano, bravissima, intelligente, e non per ultimo simpatica. E per una Alyce che sbava dietro Xaxa, ci sarà un William che le guarda il cu*o, no? E allora sono della stessa pasta, con Xavier: mento alto e schiena eretta, in una superiorità che sentono propria.
« Quest`estate ci facciamo un piercing e un tatuaggio? »
« Tu piercing, io tatuaggio. »
Cercherebbe di fare un passo lungo, per mettersi davanti all`altro, e fra le dita della mano destra cercare di prendergli il capezzolo. No, niente di porno, solo da sopra la camicia, e stritolarlo, un pizzicotto. « Ti dovresti fare il piercing qua! » Sul capezzolo, che figo, vero?
« Xavier, il nuovo insegnante di: Vedi la bacchetta? E prendila allora. » Cos? « Lei: prima in fila. Le altre seguono. Sicuramente pure la Ceallaigh. »
« Ho il capezzolo sensibile. Che gramo fai. »
« Se tu glielo chiedi, e magari ci riesci pure, vinci la scommessa, e io farò una cosa per te. » L’ultima scommessa dell’anno.
« Hey Gray, vuoi toccarmi la bacchetta? » … « Hey Gray. Corniolo, 13 pollici e ½, indeformabile. Solo di bacchetta. Il resto è tutto deformabile, per la lunghezza toccare per scoprire. » Così l’acchiappa sicuro. Così è sua. Così Alyce Gray è già ai suoi piedi.
Una risata è spontanea, e sinceramente divertita. Quanti hanno la possibilità di fare ridere Octavia? Davvero pochi. Quanti hanno la possibilità di sentire la sua risata? Ancora più pochi. Ma Xavier ormai si sarà abituato.
Ecco che arriva la seconda e con poco una risata fragorosa e spontanea assale la Serpeverde tanto da coinvolgere Xavier in una sua stessa battuta. E quindi eccoli lì, fermi uno di fronte all’altro che ridono e ridono e ridono. Perché lui non riesce a fermarsi e guardandola continua a farlo ancora di più. Lui ha la possibilità di vederla e sentirla ridere. E gli va bene così,
« Boh, scrivi Alyce Gray io e te due anime scritte nelle stelle. Che a lei piace astronomia. »
« Ma fai schifo lo sai. » E le dita che sono andate a toccare il naso, cercherebbero di portarsi verso il viso altrui. Le vedi le caccole? No, non ci sono, ma si è appena toccato il naso e vuole sporcare (?) anche te.
« L’ultimo che arriva al Lago » e lui sta già correndo. Ciaone. « deve salire con i piedi sul tavolo dei professori a fine cena. » a fine cena, così possono – probabilmente – non andare in punizione. Ultima punizione dell’anno. Ihihihi. E niente, incalza la corsa più rapida e veloce che riesce ad avere, a costo di strapparsi e riprendersi poi quando sarà il momento. Direzione: Lago Nero.
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« Charlotte! » La richiama a sé. « Vieni qui, dai. » Uno sguardo davanti a sé, il movimento della testa. « Fai spazio a Charlotte. » E questo sì che non è bello. « Lo sai che sono molto delusa da te, vero? » Le labbra che si arricciano in una espressione alquanto dispiaciuta. « Non si fanno queste cose fra amiche. Non è così, Xaxa? » E il capo che si volta di lato, cercando la complicità del bff. « Invece di guardare il mio ragazzo… » La mano destra che cercherebbe di portarsi verso il viso dell`amico, a prenderlo con indice e pollice, dal mento, come a volerlo farlo vedere meglio dall`altra. « Lui è carino, no? » E finalmente ritornerebbe a guardarla. « Tu che ne pensi di Charlotte, Xavier? » Una pausa. « Si è fatta pure un bel cu*etto. »
« Cosa non hai capito di: fai spazio a Charlotte? » Aka alzati adesso è la tua ultima chance. « Non si fanno assolutamente. » pappagallo mode on. « E non puoi deludere la mia migliore amica, lo sai? » Come se fosse effettivamente vietato deludere Octavia Milles, a maggior ragione se questa è la sua migliore amica. « Carino, dici tu? » Solo carino, Octavia? « Si è fatta un bel cu*etto, ma non è ancora nella top ten di Hogwarts. » e quale sarebbe la top ten. « Sicuramente c’è vicina. » e le fa – a Charlotte – persino un occhiolino che sa di incoraggiamento. Ci sei vicina. Te l’ha appena detto. « Penso sia carina. Niente male. » Piccola, sicuro. Comunque non importa. « Che dici, Charlotte, mh? » Mh?
« Ecco, fammi spazio. » rincarando la dose, una volta che arriva e che si mette seduta proprio di fronte a lei. « Lo so, mi dispiace tanto! Ti giurissimo su.. su tutte le mie fatine » e ne ha tante « che è successo per sbaglio. » ed aggiunge « E infatti, cioè le amiche non fanno così, lo so! Infatti io cioè non l’ho fatto apposta, davvero-davvero! » insomma ecco. « Cos.. cosa dico? » che dice?
« Secondo me Charlotte diventerà una delle ragazze più favolose di tutta Hogwarts. » Ruffiana come pochi. « Però magari potrebbe rimanere senza la mia amicizia, se non fa qualcosa per riparare a questo errore. » Un grosso errore, grossissimo, a quanto pare. E assottiglia le palpebre, per guardarla meglio. Ci sta pensando. « Ti impegnerai per Xavier, sì? » Sondiamo un po` gli stati d`animo della secondina. Ma subito dopo. « CE L`HO! » Così ad alta voce, voltandosi per un attimo verso il bff, a cui lancia un sorrisetto niente male, prima di ritornare su Charlotte. « Se ci tieni alla mia amicizia, per ripagarmi dell`errore, devi salire sulla panca, e gridare che Xavier è il più bello di tutta la scuola. » Le braccia che si incrociano al petto. « Così anche Helios non pensa più che a lui piaci. » Perché, lo pensa? « Xavier ti ripagherà con un bacio. Vero Xaxa? » Forse questa parte non era proprio concordata, ops.
« Ne sono convinto. Dopotutto è stata smistata tra i Serpeverde anche per questo. » per la bellezza dici? « Pensavo fosse già rimasta senza la tua amicizia ormai… » una piccola pausa riflessiva « dovresti recuperarla, Charlotte. » la sua amicizia. « Dopotutto come vedi, per me è fondamentale. » facendo spallucce. « Dovresti stare più attenta a quello che fai. » […] « Vero Charlotte. » vero. Ha detto vero. « Ti ripagherò con un bacio. » che membro virile.
eeh.. u-un.. eeh-io… che?? » suoni senza senso dalle labbra schiuse, con lo sguardo che si alterna dall’uno all’altra. « EHI, VOI OSCENI! » tutti quanti voi « LO SAPETE CHI IL PIU’.. IL PIU’ BELLO DI TUTTA HOGWARTS? » chi sarà mai!? « È XAVIER! » ecco. « EE.. E BASTA, ECCO. » buona cena a tutti, intanto può tornare quanto meno seduta sulla panca ma dopo averci messo un fazzoletto di stoffa nel punto in cui ci ha messo i piedi perché è una signorina pulita, favolosa e soprattutto schizzinosa. « SperocheHeliosabbiacapito. »
Riflettori su Xaxa e l’ipotetica lista di scommesse che prosegue. Si avvicina alla secondina e cerca di facilitare il tutto poggiandole la mano sotto il mento. « Non mi finire in infermeria. » per uno svenimento in atto. Sarà abbastanza veloce nell’avvicinarsi a lei, sfuggendo in direzione delle sue labbra per darle un bacetto – solo un bacetto – a stampo. Una cosa che potrebbe essere sin troppo innocente e rapida. Gli occhi aperti nemmeno tentano le palpebre di abbassarsi. Rapido così come lo sarà l’allontanamento del viso – qualora questo sia stato permesso – per avere una panoramica migliore sulla tredicenne. Te lo sei guadagnata, in caso.
Prima che il quartino le si avvicini per darle quel bacetto adorabile, la serpeverde sbatacchia le palpebre e si fissa su Xavier in un’apnea che potrebbe ammazzarla davvero. Poi quell’innocente bacino che la porta a sentire in un attimo fugace che per lei è durato nell’eterno infinito le labbra altrui. E appena si allontana si porta le mani sulle guance guardando non Xavier e nemmeno Octavia: dentro di sé il miglior spettacolo pirotecnico della storia. « … » Avete rotto Charlotte, bimbi.
« Così siamo pari. »
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«Sai, avevi ragione.» Avevi ragione. Tu. Quindi io avevo torto, no? «Mi interessi» il tono caldo, la voce bassa e roca, come al solito «probabilmente più di quanto io interessi a te.» e non c`è nessuna inflessione particolare nel tono, semplice constatazione, senza mai abbandonare i suoi occhi, in un leggerissimo inclinarsi verso di lui, appena percettibile «E vorrei baciarti.» solo qui, un leggero crollare di visuale verso le sue labbra, prima di tornare a sostenere il suo sguardo, con una calma fiera ed imperante, e quel sorrisetto crudo a fare da contorno.
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Do I wanna know? If this feeling flows both ways? Sad to see you go Was sort of hoping that you’d stay Baby, we both know That the nights were mainly made for saying things that you can’t say tomorrow day
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« Okay. » è un permesso. Le ha dato il permesso di farlo. Per qualche ragione di calma, si placa. Le ha dato il permesso di rimanere lì. Di usufruire quel tempo in una maniera differente. Può baciarlo. Ma con l’unico impiccio di torno. Perché quando faciliterà il movimento in avanti, per avvicinarsi un minimo al suo volto, è veloce il proprio catalizzatore a trovare luogo appena sopra al cravattino di lei, puntando la punta di quest’ultimo in contatto con la sua pelle. Può baciarlo, sì, ma con l’impiccio del proprio catalizzatore.
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Crawling back to you
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Lo guarda, lo guarda veramente, come se seguisse tutto quel suo agitarsi irrequieto, quel suo dimenarsi forte contro la calma che lei mantiene senza nemmeno troppa fatica. E` come se si fossero invertiti i ruoli: perchè lei non afferra, non prende e non impone, anzi, scorre appena in sua direzione, i capelli che si arricciano un poco di più contro il legno in quel movimento strascinato, lasciando che lui le punti il catalizzatore sopra quel povero cravattino allentato e sgualcito, verso l`inizio di quei due bottoni lasciati aperti. Solleva appena il mento, come se lui non avesse messo in realtà quel grosso freno che sa di minaccia, avvicinandosi fino a metà strada, a socchiudere appena le palpebre. Lei non bacia ad occhi aperti, e lui in realtà, troppo scemo ci è: perchè non c`è niente nella Loghain che faccia presupporre qualcosa di nascosto, qualcosa che non gli abbia già offerto, con quella sincerità cruda e disarmante. Mantiene la stessa posizione senza muovere un muscolo in più che non sia propedeutico alla sua intenzione, e non le serve sapere che le ha permesso niente, non le serve quell`unica parola pronunciata dall`altro, perchè le basta quel leggero inclinarsi da parte sua per capire, e se lui la raggiungesse per quella distanza brevissima che li separa, lei andrebbe con un leggero colpetto con la punta del naso a ricercare il suo, come ad avvertirlo, a ricordargli che si sta avvicinando e che può scostarsi ora, prima che tutto il resto avvenga. E se lui fosse ancora li, a respirare il suo profumo di pepe nero e cannella mentre si fa più vicino e presente, le labbra arriverebbero a sfiorare leggere le sue, in una sorta di memoria labiale che cerca di risvegliare in lui. Sono le sue labbra, non quelle di qualcun` altra. Ti ricordi di me? Lasciandogli tutto il tempo del mondo per capirsi, saggiarla pianissimo, mentre lei torna a ricordarsi l`odore della pelle di lui, prima che quel contatto s`intensifichi, pur rimanendo sempre e solo a stampo, muovendosi delicatamente sul contorno che separa le sue labbra, donandogli una scelta semplice. Lo vuoi?
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So have you got the guts? Been wondering if your heart’s still open and if so I wanna know what time it shuts Simmer down and pucker up I’m sorry to interrupt. It’s just I’m constantly on the cusp of trying to kiss you
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La punta della propria bacchetta continua orgogliosamente a sfiorare la pelle di lei, rimanendo ferma e immobile, a toccarla come a farle presente quella minaccia fatta di gesti e non di parole. Una minaccia non verbale. Una minaccia che può sentire sulla sua pelle. Che può farle intendere di non commettere un solo passo falso. Quell’avvicinarsi a lei è cauto a differenza del gesto della propria bacchetta. Ma lei si pone diversamente. Lei è tranquilla. Lei non è impaurita da niente. Lei è semplicemente pacata, come se sapesse alla perfezione a cosa stia andando incontro. Come se già sapesse come muoversi. Mostrandosi come gli opposti, in questo momento. Lui agitato, sull’attenti, pronto a commettere qualche torto. Lei calma, pacata, a scegliere di volere quel bacio. A rivelare con una naturalezza che disarma una verità nascosta. O forse che ha sempre saputo. Non sa quanto stia mentendo. Non capisce la sua sincerità. Capisce solo che si sta avvicinando alle sue labbra, che sta sentendo quel profumo che riconduce alla cannella, inebriando nella miglior maniera le proprie narici permettendosi un respiro sulle sue labbra prima che la punta del proprio naso sfiori quella di lei. Le palpebre pigre, leggermente abbassate, pronte a chiudersi – o forse no – ad un eventuale tocco di labbra. Labbra che si inumidiscono appena prima che quelle di lei finiscano in un morbido contatto. Un contatto semplice, che risveglia ricordi, che porta alla memoria quel suo primo bacio con lei sulle scale. Labbra che vengono ammorbidite sulle sue, assaporate lentamente, senza alcun movimento di troppo. Non muove il capo, ma chiude gli occhi. Respira su di lei, traendone il suo profumo. Un bacio a stampo che viene intensificato con il movimento delle labbra che inumidiscono quelle di lei, che si prendono il suo sapore, la sua saliva, ma nulla di più. Non ricerca la sua lingua, ma appena gli viene donato più spazio è la punta della propria bacchetta a sospingersi contro la pelle di lei, premendo più del dovuto, come a volerla allontanare. « Che vuoi, Loghain? » staccandosi un minimo, ma rimanendo lo stesso a pochi centimetri dal suo viso, mentre gli occhi non fanno altro che ricercare quelli di lei, rimanendo fissi nelle sue iridi grigio-verdi come le acque del lago sotto la luce invernale.
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I don’t know if you feel the same as I do But we could be together if you wanted to
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Non c`è un solo granello di lei che spinge di più. Non c`è fretta, non c`è gioco di forza, non c`è ironia nè quella sottile vittoria che potrebbe appartenere a qualcuno che sta ottenendo quello che vuole. Perchè è quello che vuole. Gliel`ha detto, glielo dimostra, e con calma lascia che sia anche lui ad avvicinarsi, a ricordarsi perchè gli sia così necessario mettere una bacchetta tra di loro, a spingerle appena sulla pelle tanto quanto le sue labbra entrano a contatto con le proprie. E` morbida, con profumi e sapori che raccontano di lei in quella maniera impossibile da ignorare, e che forse potrebbero risultare difficili da dimenticare davvero. Rimane ferma con il viso, con quel mento un po` verso l`alto, sporto in sua direzione, per regalargli una libertà di movimento ma soprattutto di scelta, mentre gli occhi di entrambi si chiudono, per lasciare che quel sipario accentui tutte le sensazioni che al buio vengono percepite. Lui, così vicino, così aggressivo da vedere in lei un pericolo, che nemmeno ha sfiorato un solo momento la bacchetta, e che non gli ha ringhiato dietro nemmeno un secondo. Sente la bacchetta premere per allontanarla, ed è con un leggerissimo strascinare di labbra, che si prende l`ultima sfumatura di sapore che appartiene a quella bocca appena saggiata, andando ad umettarsi le proprie per catturare ciò che le ha lasciato in ultima. Si scosta senza opporre resistenza, le lunghe ciglia nere che rialzano le palpebre e che incontrano quegli occhi glaciali in un`aspettativa soddisfatta immediatamente «Te.» semplice, un sussurro carico e talmente tanto naturale da risultare un disinnesco ed un innesco al contempo «Se e come questo sarà possibile, spetta a te capirlo.» anche qui, piena libertà di scelta, mentre lo sguardo per un solo attimo, torna a guardargli le labbra ad un soffio dalle sue, prima di tornare ai suoi occhi, impossibili da ignorare.
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Ever thought of calling darling? Do I wanna know? Do you want me crawling back to you?
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E quella barriera difensiva che entrambi hanno creato viene messa completamente da parte nell’istante in cui va a riferirgli quelle parole. E se un patto è un patto, dovrebbe avere sincerità di conseguenza. Sincerità che gli viene spiattellata in faccia con una velocità estrema, con una sicurezza tale che quasi lo spiazzerebbe se fosse uno capace di mostrare le proprie reazioni. Ma lui si limita a rilasciare uno sbuffo divertito dalle narici, quasi come se stesse prevedendo quelle parole, come se infondo se le aspettasse. Perché sotto certi versi l’ha sempre saputo. Sotto certi versi ne è sempre stato convinto. Di come, in realtà, quella ragazzina non facesse altro che richiedere le sue attenzioni, in maniera differente da come le richiede lui. « Lo so. » cosa che non si dovrebbe rispondere ad un “mi piaci”. Il mento ancora piuttosto alto, le labbra che vengono inumidite e le braccia che sciolgono quella presa difensiva per cercare luogo con le mani sul corrimano, a tal punto da poter sembrare un minimo aperto alla conversazione. « So anche questo. » sfacciato nel proferirglielo, sicuro nel farglielo ben noto e presente. « E allora perché non lo fai? » se hai tutte queste sicurezze? Se credi che questa voglia di baciarti stia consumando anche te? « Baciami Merrow. » flettendo appena le sopracciglia, inclinando il capo in fervida attesa. « Fallo e continuerò ad ammettere ciò che vuoi sentirti dire. » O ciò che forse sai già. « E guardami negli occhi quando ti parlo. » la richiesta così palese ora di farlo. Perché ancora quelle iridi trasparenti non sono state in grado di captare lo sguardo di lei. Il motivo, apparentemente sconosciuto. Una richiesta secca e decisa, di chi pare aver un pizzico di fastidio nel non ricevere quanto voluto. Rimanendo così in semplice attesa di un netto e chiaro passo di lei.
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Non batte ciglio a tutte quelle sue uscite gradasse, sorvolando su di esse come potrebbe fare sui dettagli insignificanti di una storia, da leggere in un libro. E se lui pare divertito, lei in tutta risposta assume un`espressione calma e vagamente accondiscendente, nel sentirlo procedere nel discorso in quel modo sfacciato e sicuro. Alla sua domanda però, lei inclina il capo di lato, senza passi tra loro a separarli, sbattendo un paio di volte le palpebre mentre la sinistra sposta ancora una volta la riga della chioma dalla parte opposta a quella precedente, il profumo che ad ogni tocco sui capelli, si espande involontariamente, mentre l`espressione si fa vagamente ironica. Lo lascia continuare però, fino alla fine, senza interromperlo mai, iniziando una breve risatina cupa alla fine di quella sciorinata di richieste «Tsk-tsk» schiocca la lingua al palato due volte, in segno di diniego che il capo segue con un moto lento e vagamente teatrale «Vuoi troppe cose, Xavier.» lo guarda, ma sempre evitando di fissarlo, rimirandogli il viso nella sua interezza, scivolando spesso verso il basso, verso quella bocca che le parla e che ora resta ferma in attesa «Puoi scegliere una sola cosa: i miei occhi, o le mie labbra. Non entrambe.» perchè non esiste che ti si dia ogni cosa che chiedi, perchè gli scambi devono sempre essere equi «Cosa vuoi di più?» il corpo che si protende vagamente in avanti, quelle movenze vagamente selvatiche che paiono completamente rivolte al Serpeverde, mentre le mani vanno a posarsi sul medesimo parapetto, nello spazio che lui lascia tra i suoi fianchi e le dita, come a volerlo incastrare, o forse ingabbiandosi a sua volta «Scegli bene. Ed io continuerò ad ammettere quello che vuoi sapere.» perchè lei non asseconda voglie momentanee, la Loghain dona solo sincera conoscenza: una finestra su ciò che lui può sospettare ma mai sapere con certezza.
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« Sì. » sul fatto di volere troppe cose, è vero. Spiegazzando appena le labbra poi a quel suo dire, ritrovandosi appena incerto in quel bivio che l’altra gli espone dinnanzi ai suoi occhi. Ritrovandosi così a spostare le iridi cristalline da quelle palpebre che continuano a rimanere abbassate alle labbra piuttosto visibili e semplici da captare. « Non entrambe. Mh. » e continua a mostrarsi quasi pensieroso seppure le sue labbra non facciano altro che trattene un ghigno di sbieco. Perde tempo e quello è necessario per tenere sott’occhio i movimenti della Grifondoro che s’avvicina selvaticamente verso di lui, scivolando appena di lato con questi in modo tale da osservare come quelle braccia finiscono in vicinanza dei propri fianchi. Alza il mento ritrovandosi vertiginosamente quel viso altrui a pochi centimetri dal proprio per via della posizione intrapresa. Incastrato e ingabbiato sia lui, sia lei. Lui continua a mantenere le braccia dietro, in appoggio e in vicinanza delle mani di lei, su quel corrimano. Mettendolo ancora una volta dinnanzi a quella scelta. « Okay. » arrivando finalmente ad un resoconto. « Dammi i tuoi occhi. » riferisce secco e deciso, nel pretendere che alzi quelle palpebre per ricercare il suo sguardo. E solamente ed esclusivamente nel caso ci fosse quel contatto visivo che, a dir si voglia, farebbe durare istanti piuttosto brevi, si allungherebbe appena in avanti con le mani affinché queste possano trovare luogo sui suoi fianchi nel momento in cui il viso si avvicinerebbe a quello di lei per rubarle le labbra. Tu dammi gli occhi che io mi prendo le labbra. Schiudendo dunque le labbra sulle sue, come a volerne capire di più, come a voler sapere di più da quello che lei continua a tenere nascosto. A chiedere che gli parli tramite quel bacio che sfocerebbe se permesso in qualcosa di più presente, sentito. Di labbra che premerebbero più volte sulle sue prima di ricercare qualcosa di nettamente più umido, laddove la punta della lingua non farebbe altro che insinuarsi alla ricerca della sua.
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Solleva appena gli occhi al cielo a quell'affermazione scontata ed arrogante, passando oltre solo per vederlo farsi meditabondo all'opzione che gli presenta. Una cosa sola, non tutte e due. Non essere ingordo, Gutierrez. Gli rimira quel ghigno, aggrappandocisi con lo sguardo mentre lentamente si fa avanti, ad attuare quella posa, ad aumentare la vicinanza, il viso che lo guarda leggermente da sotto in su, data la gamba sinistra che piega appena, in maniera da donargli un'apparente posa dominante, a sovrastarla di qualche centimetro, mentre gli dedica il primo vero sorriso asimmetrico, mai stato così genuino e ferale, e soprattutto così vicino. Il calore che comincia a percepire provenire dal corpo del Serpeverde, sembra un invito silenzioso, guardandolo di sottecchi per notare quel suo sguardo finire alle sue mani che si aggrappano sulla pietra, vicino ai suoi fianchi. Non dice nulla, fissandolo come se volesse bucarlo da parte a parte, mentre meditabondo riflette, cercando di prendere la decisione migliore. Ce n'è una sola, Xavier. Hai il cinquanta e cinquanta. E quando finalmente arriva quella sentenza decisa, il ghigno asimmetrico sulla bocca di lei, si fa più ampio e luminoso, facendoglisi incontro di qualche centimetro in più. Lentamente, quello sguardo chiaro che puntava in basso, verso il mento del Serpeverde, si alza. Le ciglia nere che sfarfallano appena per l'intensità con cui percorre quella distanza minima che la conduce inesorabilmente verso i suoi occhi, ad incontrarli, con un sospiro inesistente che le sfugge a guardarlo. Brevi istanti che vedono l'annullarsi di ciò che sta attorno a loro, mentre in quegli occhi lei resta caparbiamente aggrappata, anche quando sente le mani di lui farsi avanti, afferrarle la vita esile, per rapirle le labbra senza permesso. Come voleva lei, e come vuole lui. Solo in quell'istante le palpebre calano, a nascondergli il viso, per poterlo sentire in una maniera completamente nuova: la mano destra si scosta dal parapetto per raggiungere il suo cravattino, afferrarglielo e, delicatamente ma con urgenza, tirarselo addosso, mentre la mancina risale sulla spalla, ad accarezzare il trapezio e finire con le dita lunghe ed affusolate, in uno sfiorare sulla nuca. Il cuore le sta esplodendo in petto, mentre quelle labbra si posano sulle sue, a domandarle quanta frustrazione le abbia provocato negli anni, quanta inaspettata forza e conforto abbia trovato in quell'unica conversazione avuta in passato, come sia stato difficile chiuderlo fuori, ignorarlo, continuare a denigrarlo con tutta se stessa perchè ferita, da lui, che stupido come pochi, era cieco ad ogni cosa. Gli racconta di quel desiderio bruciante, mal celato sotto una rabbia costante e cocente, le labbra che si schiudono e lo assecondano, mentre la lingua scivola morbida e caldissima, ad incontrare finalmente la sua. Respira piano ed in maniera accelerata, in quel bacio che non ha niente di scontato, di timido, di pacato, nonostante sia estremamente lento ed elettrico, a voler sentire il suo sapore in ogni sfumatura, per la prima volta. Non lo lascia andare, continuando a ricercarlo più volte in quella rovente smania, dove la lingua lo stuzzica, lo incalza, lo guida e lo spiazza, da tante sono le cose che gli sta in realtà dicendo. Stringe, la mancina che gli graffia, leggera, il colletto della camicia, sulla nuca, mentre la destra mantiene salda la presa per non lasciarlo andare. Morbido, lavico, ed assolutamente mozza fiato. Un bacio di quelli da ricordare, con un sottotono di furiosa possessività che non trova nessuna spiegazione razionale. Lentamente, dopo lunghi attimi, rallenterebbe ulteriormente il ritmo che già era uno stillicidio di stimoli, andando a scostarsi con il respiro mozzo. Gli occhi che tornano ad aprirsi ad inquadrare quelli di lui, la bocca umida, ancora leggermente schiusa. Gli resta addosso, la posa che non muta, rimanendo a fissarlo per lunghi istanti, cercando di riprendere il senno.
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Le iridi cristalline non fanno altro che mantenere quel contatto visivo su di lei, laddove è una tacita ispezione quella che avviene, facendo scivolarle dal volto al suo corpo senza chiedere troppi permessi, rialzandoli nel momento in cui quella camminata altrui non fa altro che avvicinarli, spostando appena il capo verso l’alto in quella posizione che lei ha scelto di voler prendere. Apparente posa dominante che si distanzia in realtà da quello che effettivamente è, o che appare ai propri occhi. Lui, allo stesso tempo, si adagia alla perfezione contro il marmo di quella scala, probabilmente scendendo di qualche centimetro viste le gambe che si stendono di qualche centimetro in avanti. Si sente gli occhi di lei addosso, ma mai dove dovrebbero essere davvero. Non ricercano – ancora – un contatto visivo che, effettivamente, richiede in quella risposta che doveva dare a quello che sembrava più un indovinello che altro. Ed è certo, in merito a questo, di aver superato il test con un Eccellente +. Tant’è che dopo tempo, tantissimo tempo, le sue iridi riescono nuovamente a captare il colore e le sfumature grigio-verdi di quelli di lei. Occhi grandi che vengono esaminati, ricambiati da uno sguardo apparentemente intenso nei suoi riguardi. La fissa completamente, laddove lei non incontrerà mai delle vere risposte, perché i suoi occhi non parlano. Non lo fanno. Sono semplicemente uno specchio che riflettono lei e nient’altro. Un gesto improvviso poi, che va contro i propri principi, le proprie leggi, il proprio essere, laddove il contatto fisico risulta sempre meno un fastidio, permettendolo solo in determinate circostanze e mai si sarebbe aspettato in queste. Perché sta andando di istinto, come se per qualche istante avesse completamente chiuso le porte della mente per non lasciar trapassare alcun pensiero. Dita che scendono su fianchi mai sentiti, su un qualcosa di prettamente nuovo, le cui curve non sono così accentuate, ma non è di certo qualcosa che potrebbe far caso. Mani che premono, ma non più del necessario, se non un leggero sospingere verso di sé affinché quella vicinanza possa essere tale per permettere alle labbra di incontrarsi con più facilità. E lui, in un qualche modo, non si aspetta di essere respinto. Perché gli occhi di lei, a differenza dei propri, alle volte parlano molto di più. Labbra che vengono rapite e iridi che s’imprimono su quelle palpebre che la terzina sceglie di abbassare. E c’è un leggero lasciare andare quando le mani altrui raggiungono in proprio cravattino, lasciandosi condurre da quel movimento, permettendoglielo sotto certi versi, poiché due cose contemporaneamente sembra incapace di farle. O pensa al bacio, o pensa a quel contatto che non le è stato permesso. Contatto che s’intensifica in quella mano che risale sul trapezio rubandogli un brivido impercettibile a lei, che fa vibrare la colonna vertebrale, proprio nell’istante in cui questa raggiunge la propria nuca, ne sfiora i capelli e lo conduce ancora di più in vicinanza di quel bacio. Un gesto quello di lei di chi pare sapersi lasciare andare, a differenza del serpeverde in questione. Una fitta allo stomaco viene immediatamente percepita, un qualcosa che opprime, che ricerca un altro bisogno. Qualcosa che urta, infastidisce, a cui vorrebbe porre fine. Eppure le sue labbra sono ancora lì, dischiuse in quelle lei, che incominciano a compiere movimenti del tutto nuovi. Qualcosa mai fatto, qualcosa che lo porta ad abbandonare la posizione presa, per raggiungere una posizione nettamente superiore. Le palpebre si abbassano nel momento in cui una mano risale sul suo corpo, arrivando a raggiungere la mandibola di lei che, lateralmente, verrebbe premuta, laddove le dita non fanno altro che scivolare su alcune ciocche di capelli morbidi. Lei non ha più quella posizione dominante, poiché questa non verrebbe permessa, ritrovandosi dunque a rizzare la schiena per cercare centimetri necessari a coinvolgere lei nel dover innalzare il capo. Il bacio cambia, muta, diventa qualcosa di intenso, qualcosa che richiama, desidera conoscere. Ed è un qualcosa di prettamente conoscitivo il proprio. Di quelle labbra che incominciano a muoversi, premendo sulle sue, sentendole sotto ogni verso, posizione, sino a ricercare un qualcosa di più, laddove la punta della lingua non ha niente di timido nell’istante in cui si insinua in lei, ricercando e trovano da subito un contatto ben definito. Un gioco di lingue che scambiano sapori del tutto nuovi, mai sentiti, mai percepiti. Un sapore che riconduce a lei, che memorizza. E quando il bacio si fa più intenso, la mano si stacca dal volto di lei per raggiungere la propria, in contatto di quel cravattino, di quelle unghie che incominciano a farsi sentire sulla propria pelle, bloccandola affinché possa trovare una posizione differente, permessa. E’ così che la porterebbe verso il basso, verso il proprio fianco, in appoggio. Prima di ritornare a spostare la propria mano su di lei, ancora in vicinanza del suo collo. Non graffia lui, preme solamente. Di quel bacio si sa ben poco. Segue il ritmo di lei in quei brevi attimi, prima di ricercare un ritmo proprio affinché questo venga seguito a tal punto da collimare alla perfezione. Il respiro che ormai si è mischiato con il suo, apparendo più sentito, causato da quella difficoltà respiratoria che va oltre al bacio. Forse lo trattiene quasi, il respiro, tramite le narici. Sente la passione di lei – per quanto una tredicenne possa mostrare –, sente il suo animo felino, la sua furiosa possessività, ma d’altro canto lei riuscirà a capirne ben poco di cosa va ad esprimere lui. Poco, davvero poco. Perché lui ha seguito, ha creato, ma non ha mai spiegato. E non spiega tutt’ora, quando il bacio viene a meno, quando si distanzia e riapre gli occhi sul viso di lei, respirando decisamente meglio. Le narici a sbuffare dell’aria calda, le labbra ad inumidirsi come a trarne l’ultimo sapore di lei. Le mani non fanno altro che ritrovare la posizione iniziale, portandosi all’indietro per aderire contro il corrimano di quelle scale. Il mento s’innalza, gli occhi penetrano in lei. « Rimane tra noi. » qualsiasi cosa si siano detti in quel bacio. Qualsiasi cosa lei abbia captato, annebbiata sicuro. Il viso a diventare estremamente serio, inespressivo come suo solito. La gabbia toracica ad abbassarsi e gonfiarsi al contempo. «Buon pranzo, Merrow. » il suo semplice dire, prima che con gli occhi non vada a mostrarle la direzione verso il piano inferiore, la via che dovrebbe intraprendere. Lui, al contempo, rimane a stringere il corrimano.
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Mani. Mani di lui che le raggiungono i fianchi, che l'attirano come calamite, che quasi annullano la distanza tra i loro corpi, quasi. Mani di lei, sulla spalla, sulla nuca, all'attaccatura dei capelli, dita che graffiano appena il tessuto della camicia, lente in un inesorabile sfiorare che sembra atto solo a fargli sentire fisicamente, per la prima volta, cosa voglia dirle starle così vicino, quanto poco raccomandabile lo sia. Mani che lo avvicinano, che lo tirano verso di sè, che lo sospingono ed incoraggiano, in quel contatto preso, non concesso, proprio come forse è tutto quel bacio. Perchè credevano di volerlo, in realtà detestandone l'idea, ma desiderandolo infine senza possibilità di fare altro se non arrendersi al fatto compiuto. Labbra. Labbra di lui che si posano su di lei, che l'assaggiano, che si modellano contro le sue, che la costringono a voltare il viso leggermente verso l'alto per far si che quel contatto non cessi, non appena la posa dell'altro muta a sovrastarla. E a lei sta bene così, evidentemente, perchè è con un respiro vagamente più intenso filtrato dalle narici, che glielo fa intendere. Le piace concedergli cose che lui comprende subito di doversi prendere. Perchè non c'è niente che lui le abbia rubato, che lei non gli abbia permesso in precedenza, a monte. Labbra di lei che si schiudono, che ricercano con la lingua la gemella, che assaporano, piegano e che si fanno roventi in quel contatto mai avuto, che sa di lui, e che ora capiscono cosa voglia dire, il suo sapore. Si sente sfiorare da quel tocco sulla sua mandibola, a cui si piega leggermente ad accentuare il contatto, ad offrirgli per qualche istante o due, più superficie da saggiare. Perde un po’ la cognizione del tempo, finchè la mano dell'altro raggiunge quella che lo tiene tramite il cravattino, e con quel semplice bloccarla, lei molla, lasciando che le dita scivolino in un veloce scorrere di tessuto, sul verde e l'argento. Poggia la mano sul suo fianco, a cui si aggrappa delicatamente, sospingendosi però più vicina, ad un soffio dal suo corpo, che però ancora non collide con il suo, mentre sente nuovamente il collo vagamente sfiorato dal suo palmo. Rabbrividisce segretamente in quel ritmo che si fa incalzante, che vede non più lei come singola protagonista, ma un alternanza di ruoli a concludersi con un duetto inaspettato fatto di perfetta sincronia. Gli respira addosso con una delicatezza che ricerca nel rilasciare il fiato dal naso, per non investirlo con tutta la potenza di quel cuore che si è fatto irregolare nel suo battito e che minaccia la dignità che ancora lei stringe solidamente come pallida maschera. Per non fargli capire quanto le piaccia, per rendere il tutto più controllato. Invano, perchè almeno in parte quello passa, in quella distanza quasi inesistente. Tanto criptico lui, quanto ardente lei. Piano quindi tutto scema, come se il voltaggio di due lampadine venisse meno e loro si ritrovassero a sfarfallare un attimo soltanto prima di spegnersi del tutto. Si guardano, gli occhi dal taglio affilato di lei che lo scrutano con insistenza incalzante, nonostante il viso torni composto e la lingua vada a percorrere in un veloce moto incontrollato, il labbro inferiore, alzandone appena la punta quando raggiunge l'angolo sinistro della bocca, a sfiorare quello superiore « Perchè, paura che lo venga a sapere qualcuno? » del bacio? Di quello che si sono detti senza proferir parola? Di quanto buono sia quel sapore? Quell'augurio poi, a cui lei risponde indietreggiando d'un paio di passi, a scostare finalmente del tutto le mani da lui per lasciarle morbidamente lungo i fianchi esili, e che le provoca un ghigno divertito su quella bocca leggermente più rosea dopo quel contatto prolungato « A me è passata la fame. » mormora con tono spiccio. E quando mai t'è venuta, Merr? Si stringe la sacca sulla spalla, ruotando il busto, volgendosi verso l'ultima rampa di scale « Baci da schifo, Gutierrez. » pausa « Dovresti fare pratica. » con me, sottointeso non tanto sottointeso « E comunque conosco di posti più interessanti dove passare la pausa pranzo. » allusione? Invito? L'occhiata ultima che gli molla sembra decisamente atta a calamitarlo, ma senza assolutamente aspettarsi da lui tanto coraggio. Non dice altro, non lo saluta nemmeno, riprendendo a scendere i gradini con quella sua camminata solita, sinuosa, ferale ed allo stesso tempo dalla schiena dritta, vagamente marziale. Vieni o no?
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L'argomento però si sposta sulla Gray, ed un leggero arricciare di narice replica alle sue parole «Lo so che ti importa. Piantala di raccontare stronzate. Almeno a me.» si, perchè lei sembra aver inquadrato un po’ come stiano andando le cose «Lei non è come me e te.» lo dice con tono lievemente più accorato «Non fa parte della merda del mondo.» lo specifica, sia mai che lui non abbia inteso cosa stia cercando di comunicargli, mentre lo sguardo si fa intenso a rimirargli il volto all'altezza delle labbra «Non voglio che tu la tratti come se non valesse niente. Perchè so che le tue attenzioni per te sono un modo tutto malato di manifestare interesse, ma è come far passare del sole attraverso una lente per bruciare le formiche, Xavier.» il tono è asciutto, nonostante per la prima volta sembri rivolgersi a lui come un suo pari, più o meno. Apre la bocca per dire altro, ma quella domanda retorica le aggroviglia le parole nella testa, dando al Serpeverde il tempo di avvicinarsi di un passo, la mancina ad alzarle lentamente il mento. Quel dire, quell'ordine, il suo sguardo che inevitabilmente comincia a salire, con la stessa elettrica forza di una mano che si insinua sotto la maglia a contatto con la pelle. Eppure sono distanti, almeno, abbastanza distanti per far si che alla Loghain rimangano tutti i neuroni al proprio posto. Arriva al limitare dei suoi occhi ed è li che in uno scatto serra forte le palpebre, subendo quella richiesta con un moto della destra che s'alza, andando a chiudersi con un tocco delicato e per niente invasivo, attorno al polso sinistro di lui. Le ciglia si sollevano nuovamente, e gli occhi tornano ad inquadrare le sue labbra con il respiro che comincia leggermente a diventare un po’ meno regolare «Smettila.» deglutisce piano, ma a vuoto, le labbra che si arricciano in un moto di disagio «Mi hai già presa in giro una volta. Non ti meriti i miei occhi.» e per quanto cerchi di rimanere impassibile, il tono lascia trapelare un leggero tremore, segno forse di una ferita non del tutto rimarginata. Lentamente quindi cercherebbe di fargli abbassare il braccio, lontano da lei. Così magari riesce a tornare a prendere aria, dato che i polmoni sembrano implorarle pietà. Vorrebbe forse proseguire con altro, ma al momento tace, mentre cerca di recuperare velocemente compostezza. (…) «Mi da fastidio perchè è una brava ragazza, stupido.» e qui ci sta, perchè lui non sembra proprio capire. Lei non l'ha mai chiamata amica, non l'ha proprio mai definita in base al loro rapporto, cercando piuttosto di farla vedere a lui come una persona a sè stante e non associata alla Loghain od a nessun altro.
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« Io la tratto come ho voglia di trattarla. Così come tratto te come ho voglia di trattarti. E tratterò Octavia in un altro modo, come ho voglia di trattarla. » pigiando bene su queste parole affinché vengano ben impresse. « E mi urta il fatto che mi si dica cosa devo o cosa non devo fare. Ti dà fastidio la tratti in un certo perché è una tua amica? Fattene una ragione. » dice semplicemente. « O ribellati. Non so che dirti, Merrow. L'unica cosa che so è che non sopporto mi si dica cosa fare. » e non ha nemmeno troppi problemi a renderglielo noto. Finendo per toccarla in quel gesto delicato solamente per avere un contatto visivo e parlare con lei tramite lo sguardo. Peccato che i suoi occhi passano sulle labbra e si soffermano per troppi istanti. Sposta la mano all'indietro riportandola all'interno della tasca del pantalone. Rimane attento ad ogni piccolo dettaglio. Al modo in cui smuove le labbra, a come va a sentire il suo respiro, sino al fatto che quel contatto visivo non arriva mai in pieno. « Va bene.» riferisce. « Vado in dormitorio, allora.» dandosi un piccolo colpetto per assumere una posizione eretta e oltrepassarla per indirizzarsi verso la sala comune.
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« Non ti piace che ti comandino, ma tu fai questo con gli altri, quando vuoi qualcosa. » come uno sguardo, ad esempio. Quel contatto avviene, ma per quanto breve, sembra comunque alzare il volume di quel rumore di fondo che spesso coinvolge i loro incontri, stordendo per qualche attimo la Grifondoro. Respira piano, cercando di dissimulare quell'impennata nel ritmo cardiaco, e quella sensazione di strisciante disagio. Forse non si aspettava una conclusione così brusca, forse semplicemente è ancora rallentata da tutte quelle novità, ma il fatto che il suo sguardo si blocchi sulle proprie labbra, le fa aprire la bocca una volta nel tentativo di dire qualcosa, che esce in ritardo solo quando lo vede scostarsi dal muro per riferirle la sua meta. Lui la oltrepassa e lei semplicemente serra con forza occhi e labbra, irrigidendosi in quel rinnovato senso di fastidio «Resta.» glielo dice di spalle oramai, forse grata che lui non possa scorgere quanto le sia costata quella semplice parola, e quanto disgusto stia provando verso se stessa ed il tentativo di trattenerlo li, senza sapere nemmeno lei perchè «Io non ho voglia di rincorrerti, e tu dovresti inventarti un'altra scusa per parlarmi la prossima volta» si gira appena, di lato « Che ne dici di risparmiarci la fatica e semplicemente…» fa spallucce «stare?» dove? boh. Qui?
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Quello che ha fatto lo ha fatto senza troppi giri di parole. « Sì, è vero. » non ha che da modificar in quella frase proferita da lei, ha già detto tutto il necessario. Arrivando a quel gesto e poi, il nulla. Liquida tutto come ha sempre fatto, oltrepassandola con inespressività e disinteresse. Quel “resta” a risuonargli nelle orecchie. A fargli bloccare la camminata a tal punto da farlo, lentamente, voltare. Le iridi trasparenti seguono le sue labbra quando pronuncia quelle parole. Si stringe nelle spalle, forse per un imminente brivido di freddo. «Va bene. » Resto. Sto. Cosa?
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Da quanto tempo non s’incrociavano con lo sguardo? Troppo, forse. E quello sguardo pare rimanere ancora lì, sulla figurina al quale mai avrebbe creduto di ritrovare un contatto mentale. In caso ci fosse mai stato. Sì, forse solo una volta nel loro strano rapporto. Che possa poi definirsi tale. Rimane fermo in quella posizione, le spalle che paiono più ampie rispetto agli anni precedenti – gli allenamenti hanno un che di affascinante – e il petto che rimane in fuori a respirare piano e, a mostrare, come tutto quello non gli abbia fatto alcun effetto. Osserva la figura longilinea della Loghain avvicinarsi a lui, in un accorciare delle distanze che viene attuato solamente per difendere… un’amica? E’ questo che siete tu e la Gray? C’è una palese occhiata che potrà notare la ragazza in quella camminata. Un’occhiata d’esame. Poiché sono le iridi che dall’alto del suo viso scendono su tutta la figura femminile, studiandone qualcosa, in un modo estremamente nuovo e particolare, scendendo sulle sue gambe prima di risalire sul suo viso dove terminerà quella corsa quando lei è a pochi passi da sé. Si volta per fronteggiarla completamente. Quella mano che viene posta in avanti ad accorciare ancora di più le distanze. Guarda la mano e torna sul suo volto. Le iridi trasparenti si fiondano in quelle grigio-verdi di lei, premendo le labbra una sull’altra, prima di inumidirsele. Flette le sopracciglia. « Merrow. » ci chiamiamo per nome adesso? « Cosa ti fa credere io ce l’abbia? » in riferimento a ciò che è stato sottratto alla quartina. « Ti sbagli. Mi dispiace. » Gli dispiace? Flette le sopracciglia. « E ora, se non ti dispiace » il tono educato, moderato, ponderato. « devo andarmi a preparare » psicologicamente « per Astronomia. Che è la mia materia preferita. » Mente. Ma lo fa piuttosto bene. Perché nemmeno un angolo del suo viso sembra voler dire altro per quanto appena proferito. « Bonne nuit, mademoiselle. » a te il nomignolo, come ai vecchi tempi. Un piccolo cenno con il capo per poi voltarsi e prendere la direzione di prima; l`uscita dalla sala grande.
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Lo percepisce, quello sguardo che le scivola addosso con la velocità della pelle d`oca che le si forma. Se lui cerca il suo sguardo, lei invece lo ignora bellamente, quella mano che si tende verso di lui, con le dita affusolate e bianche. Gli allenamenti sono affascinanti, vero? Perchè lei è altrettanto tonica, con quel fisico da gazzella che si ritrova, e le gambe lunghe come un`autostrata. E` affilata: nel viso, nel taglio degli occhi, nel fisico e nell`anima. Solo le labbra sembrano avere una morbidezza che pare quasi non appartenere a quel volto. Gli fissa il petto, in un punto forse vago, prima di piantare lo sguardo sul cravattino, il profumo di pepe nero e cannella che adesso si fa più intenso, adesso che sono stranamente vicini. Non lo faceva da più di un anno, e di certo non ne sentiva la mancanza. Il respiro sembra tranquillo, ma l`addome è segretamente contratto, mentre lo stomaco sembra volerla stritolare dall`interno. Lui la chiama, continua quella stronzata di scena che ha messo su con la Grey, ma purtroppo stai parlando con lei, Xavier. Specchio riflesso, ricordi? Come una volta. Non è cambiato nulla, a quanto pare. O forse è cambiato tutto? «So che ce l`hai» la mano resta ancora aperta, ma si chiude a quel *mi dispiace*. Un pugno, che finisce poi lungo il fianco, rilassando la presa delle dita dopo qualche attimo. Gli occhi si alzano appena, arrivando ad inquadrargli vagamente la mascella, con un cipiglio orgoglioso e vagamente spazientito. Sembra che quella neutralità si stia per incrinare, nonostante resista ancora «Hai Astronomia con me.» sembra una minaccia, lo è? «Non far si che debba diventare un fastidio ricorrente per te, Xavier.» ancora il nome. Come suona strano. «Se non vuoi darmi ciò che le hai preso, e non vuoi darlo a lei.. vedrò di renderti insopportabile l`idea di continuare così. » alti quasi uguali, inspira, gonfiando appena il petto con quel seno che proprio sembra una parodia ad uno vero «Preparati a farmi spazio: a lezione, a colazione, pranzo, cena, anche al cesso. » non ti molla, capito? «Prego, fa strada» quella stessa sinistra che si era alzata prima come offerta di pace, ora si risolleva in un gesto fin troppo elegante, a scimmiottare quei modi accorti che lui le rivolge. Uscirebbe con lui quindi. Allontanandosi dalla Sala Grande.
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24.10.74
La vede tremare in quella divisa scolastica e allo stesso tempo lui va a sentire un altro brivido di freddo, ma non lo mostra, non lo dà a vedere palesandosi piuttosto tranquillo. Si lascia fronteggiare senza alcun problema, trovando modo di osservare meglio la ragazzina da quella distanza ravvicinata facendo piccoli respiri, a mento alzato, a labbra completamente chiuse e con occhi in costante contatto visivo, senza alcuna intenzione di perderlo, come se si trattasse di una sfida a chi dura di più. Le palpebre a muoversi lentamente, con pigrizia e stanchezza. La luce a fuoriuscire dalla bacchetta di lei, porta una curiosità non visibile. « Tutto credevo » incomincia così, nell’istante in cui la osserva mentre da peso ad un incantesimo che, ormai, per lui risulta piuttosto semplice « tranne che avessi paura del buio. » perché per quanto la luce stia andandosene, quella luce è di troppo e anche se non lo fosse non è da Grifondoro accenderla. E quando la sente parlare con quel tono composto, andrebbe a bloccarla proprio prima che finisca la frase in sé, in pratica va a sentire solo un “se tu conoscessi i miei genitori non ti azzarderesti” La mano a portarsi in avanti, il palmo pieno ad essere mostrato sino a chiudersi in un pugno e mostrare solo l’indice che si scuote. « No, no, no » esordisce così. « non te l’ho chiesto. » A mostrare quel menefreghismo palese che s’incarna sulle labbra e negli occhi. Tant’è che allora sceglie di spostare il capo altrove e distogliere quel contatto visivo, quasi deluso. Deluso? Le degna solo del profilo sino a sentire il fatto che nessuno le abbia dato del filo da torcere. « Sì, va bene. » sì, okay, va bene, dai. Quel distacco palese che è pari ad un “taci”. Non c’è un’alzata di occhi, poiché rimane inespressivo, ma avrebbe voluto fargliela. E solo quando rincontra i suoi occhi, a quel che va a proferirle ne deduce il fastidio pieno. « Mi permetto ciò che voglio. » a palesare il fatto che non pare interessargli ciò che pensa la ragazzina in questione. « Riusciresti a buttarmi nel lago? » chiede, con un’alzata di sopracciglia, trovandosi ad aggiustare il mantello un’altra volta, sfiorando il cravattino, per poi fare un passo avanti, avvicinandosi completamente a lei, alzando e aprendo le braccia. « Avanti allora » la provocazione di un tredicenne nei riguardi di una più piccola. Prepotente nei modi, superiore nell’atteggiamento. « Fallo. » l’invito a buttarlo nel lago. Ma si preannuncia già una fintissima risata.
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Incredibile, assolutamente incredibile. Ogni gesto, ogni occhiata, ogni minimo frammento dell`essere di quel ragazzino la irrita in un modo che ha dello spaventoso. In questo momento nemmeno la peggiore maledizione le basterebbe per poter trovare soddisfazione nel lanciarla addosso al Serpeverde di cui ancora non ha la più pallida idea di chi sia. Ascolta la sua provocazione ed a quell`indifferenza reagisce con una contrazione muscolare del braccio destro, la mano che ancora una volta stringe talmente tanto l`impugnatura della bacchetta da cominciare ad imprimerne le forme nel palmo. Lo lascia parlare, totalmente, in tutto quel teatrino che l`annoia mortalmente ed al contempo è benzina su un incendio che sta rapidamente consumandola da dentro. «Nox» è un unica parola, ed ora quell`unica fonte di luce che si frapponeva tra di loro viene meno. La destra ripone con un gesto secco la bacchetta della sua fodera, per poi fare quel mezzo passo che annulla completamente la distanza tra i due corpi: la mano sinistra scatterebbe verso di lui, cercando quasi a colpo sicuro il punto in cui la cravatta del ragazzo dovrebbe esser riposta oltre l`attaccatura del mantello. Tenta di afferrarne il tessuto e strattonarlo, prima di cercare di far fare un giro della mano per annodarsela meglio ed evitare che lui possa divincolarsi dalla presa. Qualora fosse riuscita nell`intento, la Grifondoro darebbe un breve ma deciso tirone all`indumento, portando la fronte contro la fronte del ragazzo, i nasi a sfiorarsi ed i denti bianchi mostrati nella penombra mentre proferisce parola. «Vuoi dirmi che nome far mettere sulla tua tomba, o Stronzo Presuntuoso va benissimo così?» gli sta praticamente ringhiando contro, ma il suo intento è semplicemente quello di invadergli le narici di quel profumo che porta addosso, e che si è accorta avergli fatto una reazione quasi di fastidio in entrambe le voltre che si sono incontrati. Gli occhi chiarissimi incastonati in quelli di lui, come se una catena invisibile li costringesse al confronto. Spera di fargli un torto così, al sapore di cannella.
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tu eres totalmente l o c a, tampoco en Azkaban no te querrian.
Deglutisce. Non si muove più di così. Aspetta. In attesa che arrivi quel contatto. Che le mani di lei finiscano verso l’alto, che le braccia vadano a cingere il proprio collo, portandola in punta di piedi. Rimane immobile. Rigido. Per istanti lunghi. Infiniti. Tiene il respiro. Non respira. Non lo fa. Non sente niente. Il petto di lei che cozza con il proprio. Chiude gli occhi. E quando incomincia a parlare, le braccia abbandonano quella posizione sui propri fianchi per raggiungere un contatto. Lo crea. Crea qualcosa. Dà forma. Dà un senso. Braccia che finiscono per cingere la sua vita, mani che a palmi aperti arrivano sulla sua schiena, rinchiudendola lì. Stretta. Non troppo. Ma abbastanza. Respira, muovendo la gabbia toracica e svuotandola. Parole sentite. Parole che s’incrinano tra le proprie labbra. Delle promesse. Ha mai promesso qualcosa a qualcuno? No. Non l’ha mai fatto. Come si fa a promettere? Nello stesso modo in cui si abbraccia? E’ pronto anche per questo? Forse non lo è. « Te lo prometto. » lo dice. Silenzioso. Lento. Ma intatto. Questa è la mano che gli dà: non ti vuole lasciare sola.
Sono l`abbraccio e un sorriso. Sono l`essere imbronciato e l`essere apatico. Il giorno e la notte. Il sole e la luna. Il fuoco e il ghiaccio. In quel momento esatto, in cui si incontrano, e diventano spettacolo.
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