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Vint un temps où le risque de rester à l'étroit dans un bourgeon était plus douloureux que le risque d'éclore.
Anaïs Nin
(Venne un tempo in cui il rischio di rimanere schiacciati in un bocciolo era più doloroso del rischio di fiorire)
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Dr. Jekyll e Mr. Hyde
Sarebbe Lo strano caso etc etc., troppo lungo. Mi è venuto di rileggerlo dopo una trentina d’anni, me lo sono scaricato da ZLibrary ✌️💢❗️ Ho avuto la "sfortuna" di averlo dovuto studiare sia alle medie che al ginnasio, e volevo vedere se riletto per diletto sarebbe stato diverso.
Mi stupì ritrovarmelo al ginnasio perché mi sembrava una lettura ormai inadatta alla nostra età, infantile. Alle medie non lo leggemmo tutto, ma ampie parti, ed ebbi una specie di rifiuto già allora. Lo trovavo noioso e polveroso. Mi stupiva che ce lo desse da leggere una snobbona pesante come la nostra vecchia prof, una più da D'Annunzio che da Stevenson. Per altro noi eravamo una classe di francese, non di inglese. Passai questo libro senza manco mettere fuoco la trama, poi al liceo dovetti prenderlo un po' più sul serio ma continuavo a non farmelo piacere. Lo leggevo quando proprio dovevo, e con un minimo di attenzione solo se ero in odore di interrogazione. Quindi, ancora una volta, non ho seguito la trama, non inquadrato i personaggi. Eppure è un libro così scarno e semplice. Mi rimase giusto qualcosa delle spiegazioni del mio prof (di cui ero praticamente innamorata, ma non al punto di amare quel libro). Lui lo stavo a sentire sognante anche quando parlava di Sciascia (palla all'ennesima). Poi l’altra sera, un po’ scocciata, volendo portarmi a letto qualcosa da leggere che mi intrattenesse senza essere maledetto doomscrolling (venivo da una nottata disturbata che ho passato appunto a doomscrollare), mi è venuto in mente questo libercolo. Una bellissima edizione Bompiani che non ho nemmeno dovuto aggiustare in Calibre (a volte capita, io i miei libri li voglio perfettini). Ho (ri-)scoperto che non me ne era rimasto niente, come se non l’avessi letto proprio. L’ho divorato in due sessioni. Highly recommended. Ci si potrebbe perdere in paragrafi a spiegare le implicazioni a catena del testo che tocca psicanalisi, darwinismo, religione etc etc. Diciamo solo che il libro nella sua agilità ha un suo spessore. Parlammo di questo a scuola? Non mi ricordo! Ero proprio distratta, ma credo che di questo dovevamo parlare, sennò di cosa? Con una sfumatura più morale alle medie (prof cattolica die hard), più spregiudicata al ginnasio. Letto oggi con un'attrezzatura culturale che non è quella dei 14 anni il libro ha avuto tutto un altro senso. Ma non è di questo che voglio parlare! Voglio dire della pura fascinazione descrittiva del racconto. Le atmosfere straordinarie, sature di colori scuri. “Di notte, sotto la faccia nebulosa della luna”. Gli angoli sporchi di Londra in tutta la sua londinosità fumosa di fine ‘800, i sussulti di paura che scuotono all’improvviso. E pochi colpi di penna per mettere a fuoco la scena.
Lo squallido quartiere di Soho – con le sue strade fangose, i vagabondi laceri, i lampioni che nessuno aveva spento o che qualcuno era tornato ad accendere per contrastare quella nuova funerea incursione dell’oscurità.
Era una sera di marzo fredda e ventosa, con una falce di luna coricata sul dorso come se il vento l’avesse ribaltata, e frange di nuvole che fluttuavano diafane e impalpabili.
Come delle fotografie, delle istantanee, non gli affreschi che non finiscono più del realismo alla Verga (più o meno contemporaneo, altro mio pasto scolastico indigesto 🤮). E poi brevi e intensi squarci nella tela che nasconde l’animo umano. Come:
Non è forse questa la maledizione del genere umano: che, aggrovigliati in un incongruo legame, due esseri agli antipodi siano costretti a combattersi in eterno nel grembo straziato di una medesima coscienza?
Ciascuno di noi è condannato a caricarsi sulle spalle il fardello della propria vita, e qualsiasi tentativo di scrollarselo di dosso non serve ad altro che ad aumentarne il peso, più oppressivo e inquietante di prima.
Finale poi straordinario. Se fosse stato un autore russo ne avrebbe fatto un mappazzone indigesto di mille pagine alla Tolsto o di 50 impenetrabili alla Dosto. Qui c’è invece la misura degli inglesi, che non hanno bisogno di strafare e di sudare agitandosi nello sforzo.
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Pirati nel blu dei Caraibi
Avete presente Carribean Blue di Enya? L'altro giorno ho preso in mano un libro meno noto di Daniel Defoe, Vite Di Pirati, Sellerio. E subito dopo ho riletto L'Isola Del Tesoro di Stevenson per vedere che effetto faceva alla mia età (45 baby, ma è comunque un libro Adelphi, LOL).
Oltre al fatto che questi libri mi arrivano come un Maalox dopo un pasto di merda (di letture e non solo), ho pensato che davanti allo spettacolo delle isole caraibiche un uomo (o una donna, c’erano due famose piratesse, Mary Read e Anne Bonny), che conosceva solo i grigi mari del nord, doveva sentirsi dentro un’emozione come quella di Carribean Blue. Uno sbalordimento estatico, visioni prima inimmaginabili di spiagge bianche, mare turchese, cielo sconfinato. Carribean blue.
Sì, canzone un po’ banale, ma il combo libri+musica è stato un viaggio. Vite Di Pirati non è particolarmente romantico o lirico, come lo è invece L'Isola Del Tesoro (un libro pieno di vento, di immaginazione, di avventura, d’infanzia – A. Tabucchi). Defoe è più documentaristico, più secco, mentre Stevenson, come diceva Borges, da come un brivido di felicità . I Pirati di Defoe pescavano navi di sua maestà britannica nel mar dei Caraibi ma anche lungo le coste dell’America (soprattutto le due Carolinas, ma poi sù fino al Maine) e dell’Africa (Storms in Africa!). I Caraibi di Stevenson sono cupi e insaguinati, ma si vive l'avventura con il cuore di Jim, che ha l'innocenza dei suoi anni e si riempie di meraviglia. Insomma, mi si è formato tutto un immaginario. È per questo che quando poi vado materialmente in un posto che ho sognato a occhi aperti rimango sempre così delusa.
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Sto a rota! Oh le foglioline della fragolina di bosco (che bontà)! Ho pensato a quanto appreso stamattina sulle zigrinature delle foglie delle rosacee: “ma sembrano quelle delle rosacee come il prugnolo-biancospino... 🤔” Sissignori, Fragaria vesca L., fam. Rosaceae.
Taggato erbacce un po’ inappropriatamente. (nota tra parentesi: non ho mai spinto l’iPhone sul versante fotografico perché io proprio... non mi appassiona, mi appassionano solo le macro: ebbene il cinese che avevo prima, Xiaomi, faceva macro da paura rispetto a sto schifo)
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Difficilissima! Potrebbe essere almeno una cinquina di piante diverse e di famiglie diverse, rosacee, ericacee e smilacacee. Secondo Pl@antNet. Che però stavolta sbarella un po’ perché come corrispondenza più probabile mi da una pianta (Arbutus andrachne L., l’ericacea) con dei frutti grossicelli e “spinosi” che proprio non possono essere. Conosco bene questa pianta, visivamente, e posso dire che durante l’anno non produce mai siffatti frutti. Ma per il resto, aggrappandosi a foglie e bacche e grandezza dell’arbusto, ancora si rimane con 4 candidati, 3 rosacee e una smilacea. Difficilissmo azzeccarci, ma se guardo le foglioline, tutte le rosacee ce l’hanno un pochino zigrinate, mentre la smilacea è liscia e leggermente a cuoricino. Allora direi che è una rosacea. Abbiamo: – Aronia melanocarpa (Michx.) Elliott – Crataegus persimilis Sarg. – Prunus serotina Ehrh. (rum cherry in inglese, che carino) L’Aronia produce bacche che evolvono al viola, mai viste. Il Prunus ha bacche più rade e lucide. Dev’essere il Crataegus. “Biancospino a foglie di prugnolo“. Insomma, sembrano incrociarsi nella stessa pianta: rose, prugne e ciliegie! Non ci metterei la mano sul fuoco che è lui. Ma almeno l’ho inquadrato. La prossima volta che passo lo saluto: ciao prugnolo.
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Ah, avrei detto che era la ginestra! Odorata ginestra. Leopardi, l’unico che vede il Vesuvio e si abbandona a elucubrazioni :))
Beh, non è la ginestra. Ma è della stessa famiglia, i fiori sono praticamente indistinguibili ma i cespugli sono molto diversi. Più bassi quella ginestra, gli steli più dritti, le foglie più snelle e lunghe. Questo invece è praticamente un alberello. Che pianta è, dunque? Cytisus villosus Pourr. In termini più potabili? Citisio Trifloro, non proprio potabilissimo. Non deve essere quindi una pianta selvatica così comune. Credo. Senza nome popolare... È una leguminacea, quindi stessa famiglia della viccia! E sì, guardate i fiori! Mi sto facendo una cultura tale da saper fare pure i collegamenti! Wow wow wow. Grazie pandemia, ne esco molto migliore!
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La fogliolina del geranio lucido. Perché qualcuna viene fuori rossa? Mi pare che la cosa nelle ortensie – il colore dei fiori – dipenda dall’acidità che hanno succhiato le radici. Chissà... Magari quella fogliolina fa capo a una radice che sugge nutrimento da un cm² di terreno con un’acidità/basicità diversa. Magari per una cacatina d’uccello, o la decomposizione di una lumaca. You never know.
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Qui mi si molce il core perché queste nel mio lessico familiare, tramandato da mia nonna, sono le pecorelle. E cosa devo scoprire adesso? Dopo una quarantina d’anni da quelle passeggiate? Che si chiama Fumaria capreolata L.
Appartiene nientemeno che alle papaveracee. Per quale via è imparentata ai papaveri, chi lo sa. Meraviglie dell’evoluzione.
Questi fiorellini così dolcemente familiari nascondono questi segreti: La fumaria bianca è una pianta annua a distribuzione eurimediterranea presente in tutte le regioni d’Italia, ma più frequente al centro-sud. Cresce in luoghi pietrosi, al margine dei campi, su vecchi muri, negli orti, nelle vigne, negli incolti e nei giardini, al di sotto della fascia montana, con optimum nella fascia mediterranea. La pianta contiene alcaloidi che la rendono tossica. Il nome generico allude all'aspetto nebuloso, simile a fumo, delle foglie grigio-verdi di alcune specie, oppure al fumo irritante che la pianta produce quando bruciata; il nome specifico si riferisce all’infiorescenza suddivisa come le corna di un caprino. Forma biologica: terofita scaposa. Periodo di fioritura: febbraio-ottobre. Da una bella pagina, con un nome bellissimo (le Driadi!! 💚), dell’Università di Trieste.
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Ecco, lui è il dente di leone, o tarassaco. Sonchus tenerrimus L. Già nel nome c’è la differenza col cugino Sonchus Asper (grespino spinoso). Foglie molto diverse, qui lisce e tenere, larghe, lì spinose e appuntite, disposte a raggiera, minacciose. Mi trovo le foto delle due specie a caso. A questo punto, credo aver visto anche una terza variante di Sonchus, con le foglie appuntite e pungenti anche lui ma non disposte a raggiera sul terreno, e con un bel fusto alto, rossiccio. Credo di averla vista proprio qui fuori al cancello di casa. Mio marito ha il vizio di strapparli, aspira a un giardino di armoniosità cinese. Io credo che nel gioco di equilibri soavi che fa l’armonia, come in una partitura barocca, ci dev’essere anche l’urlo di un’erbaccia minacciosa. Comunque quello che sta fuori non l’ha strappato ancora nessuno perché fa paura toccarlo, appunto :)) Nonostante il grazioso fiorellino giallo in cima. Fa un tale freddo oggi che non mi viene nememno voglia di uscire a vedere. Brr. Pasqua di resurrezione dell’inverno. Fuck you.
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E io ti dovrei strappare? No. Sembra facile eh? Il comunissimo dente di leone, una delle poche erbacce di cui generalmente tutti conoscono il nome. Sonchus asper. Famiglia vastissima in cui i fiori sono per lo più indistinguibili ma le foglie cambiano. Pl@ntNet da la corrispondenza col Sonchus asper al 30% circa. Potrebbe essere un sonchus diverso, però. Vi sfido a distinguere: dente di leone/tarassaco e grespino spinoso! Tarassaco: escluso, le foglie sono più lisce e più larghe, simili un po’ alla rucola. Grespino spinoso: detto pure crespigno, potrebbe essere proprio lui, l’evidenza della “spinosità” delle foglie parla da sé.
Ti credevo dente di leone e invece sei grespino. Cugini stretti, fanno anche la stessa pallina su cui soffiamo esprimendo un desiderio. L’ho chiesto a mia figlia piccola (4 anni), con l’ansia che avrebbe espresso come desiderio che resuscitasse il gatto Lucifero, che potesse andare dalla nonna, che potesse tornare a scuola, etc. etc. E invece no! Fortunatamente ha chiesto di poter avere un’altra Cry Baby (mado’ come le odio).
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Questi, e chi non li conosce? Ma chi sa come si chiamano? Io lo apprendo adesso: stellaria. Che bel nome, come è appropriato. Una miriade di stelline in mezzo ai prati o sui muri, in un cielo verde di erba. Una via lattea botanica. Però mi ricordo che la mia dolce nonna la chiamava in altro modo. Ho dovuto chiederlo a mia madre: morvillina? Qualcosa del genere. Parola credo del tutto estinta. Mia nonna era del 1915. Ma sopattutto... ATTENZIONE ATTENZIONE! Ho finalmente beccato una delle piante citate da Mabey in Elogio Delle Erbacce!! Yay!!! La chiama centocchio! Ma che nome spoetizzante! Proprio da erbaccia! No, no. Stellaria. (centocchio me l’ha suggerito Google cercando stellaria, forse da sola non l’avrei mai scoperto, grazie Google)
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Uh uh uh, questa è una leguminosa! In effetti assomiglia al fiore della fava (profumatissimoooo, mettete fave nelle vostre aiuole). Vicia grandiflora. Forse non grandiflora, ma altra sottospecie. Comunque cisuramente vicia. Nome comune viccia o vecia. Guardandola bene, anche le foglie assomigliano a quelle della fava. Che si magnano, lo sapevate? Io detesto le fave ma adoro le foglie di fave, messe in un’insalatina le cambiano i connotati e diventa addirittura saporita. Una mucchina o una capretta sicuramente farebbero festa con la veccia. Ci sto prendendo l’occhio. Da questa pandemia me ne uscirò non solo astrofisica ma pure botanica.
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Questa non facilissima e Pl@antNet mi da una corrispondenza al 50% con Silene latifolia Poir. Comunemente Silene Bianca. Credo la difficoltà dipenda anche dallo stato in cui l’ha colta la foto. In fase d’appassimento. Invece al momento di scattarla pensavo fosse così di suo, coi petali chini. Ma gli spruoccoli (quei filamenti) al centro dovrebbero confermare che è lei. E mi pare di vederci sotto anche la bombatura. Altra cosa da tenere a mente: se vuoi identificare una pianta, non fotografarla solo nella posa migliore ma anche in quella che meglio svela le sue parti. Ho scoperto adesso che profuma. Ebbene, io stamattina non ne ho annusato manco uno. Smell the flowers while you can. Ma ero di umore cupo. Nero. Nerissimo.
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E tu, così simile alla veronica persica di cui sotto? Così minuscolo. Avrei detto almeno cugine, e invece tutt’altra famiglia proprio. Guardate bene le foglioline. Guardate bene. Conosciamo tutti i gerani, no? Balconi pieni (l’odore allontana le zanzare). Ebbene, la fogliolina di questo fiorellino è proprio uguale a quella dei gerani da balcone. E infatti la famiglia è quella e il suo nome è Geranium Lucidum.
È così piccolo che l’iPhone non ce la fa a metterlo a fuoco. Avessi tempo e spazio mentale, passerei le ore con una reflex e una lente macro, che svela il mondo minuto e cambia la prospettiva sulla vita sul pianeta Terra. A dimensione insetto. A bug’s life.
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Veronica Persica, sempre dal mio tour botanico mattutino. È pieno di questi fiorellini minuti. Che bello saper dare un nome alle cose. Ho usato il fantastico Pl@ntNet, che fino al 2015 manteneva un db manualmente, oggi invece usa deep learning e reti neurali (se volete approfondire...). Nel libro di Mabey (comodità dell’ebook) l’umile e dolce veronica non compare proprio.
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Devo rivedere i miei propositi di indagare pianta per pianta quello che trovo in Elogio delle Erbacce. È troppo un’impresa e ha fatto arenare la lettura. Volevo pure integrare con le osservazioni in loco! Ingenua. Sì, avevo sto proposito fino a stamattina quando sono uscita per una corsetta semiclandestina. E mi sono accorta che era troppo quello da fotografare, e tutto minuto. Ma poiché la mia forma è tale che dopo mezz’ora di corsa mi sento le gambe di legno, al ritorno me la sono presa comoda e ho fatto una o due foto. Che poi sono diventate decine. Impossibile analizzarle una per una. La flora ci sovrasta! Leggete Stefano Mancuso :)) Solo due cose ho portato a casa, anzi una e mezza. 1) quei bombi fuffolosi su cui si soffia per esprimere un desiderio, è il dente di leone! Bastava guardare con purpose. E 1.5) ho trovato la belladonna?! Questa sopra? No... non ho trovato la belladonna. Non mi pare sia lei, a guardare Google pare una pianta che cresce proprio sul suolo e non si alza, mentre questa aveva steli. Mi ricordavo che Mabey ne parlava come di pianta un po’ sinistra, conturbante e tossica, con bacche nere da dark lady. E beh, si vede che non ce le ha solo la belladonna. Boh! Sei tu o non sei tu? Chi sei tu?
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Assenzio. Di cui non si trova una foto decente nel suo insieme. Solo dettagli delle foglie, che immagino siano la parte “interessante” della pianta (non mi sono mai presa la briga di indagare quali siano le proprietà strane).
I fiori, all’occhio distratto, possono sembrare quelli del dente di leone. L’arbusto è però abbastanza diverso e quindi si può distinguere con facilità. L’ho dunque mai visto l’assenzio? Credo di no. Alla prossima passeggiata mi metto col telefono e fotografo tutto e vediamo quali sono le piante che vedo io! Perché continua a sembrare che Londra (che è il posto che descrive Mabey) è una giungla e Firenze e dintorni il deserto.
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