....ma non so nuotare, quindi non posso essere mainstream, che vita infame.
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Michele.
Se mi guardo indietro, una cosa mi ha sempre affascinato: il disordine. Non che io sia una persona disordinata, no, anzi, il contrario. In effetti non parlo del disordine materiale, a quello si pone rimedio piuttosto facilmente. L’ordine esteriore è solo un mezzo tramite il quale percepire in maniera più o meno organizzata il mondo sensibile, ma quello che alla fine fa la differenza è il modo in cui categorizzi le informazioni. Il mondo interiore. E’ solo grazie alla interiorità che l’essere umano riesce a percepire la realtà nell’ordine delle cose univoche e tangibili, mi spiego meglio: qualsiasi cosa voi percepiate tramite i sensi non è che l’analisi a livello profondo di stimoli interpretati dal vostro cervello, dunque non è poi così strano che una superficie appaia a te più ruvida rispetto che a tuo fratello; o che un abito sembri a te più rosso che a tua madre. Potreste dirmi che, aldilà della gradazione, il colore è comunque rosso come la superficie è comunque ruvida. Al che risponderei che potrebbe anche darsi che un colore si manifesti a te verde quando nei fatti è o dovrebbe essere blu, si chiama daltonismo: un uomo, per uno scherzo degli organi che percepiscono il sensibile, vede un colore diverso da quello che è o che dovrebbe essere nei fatti. Ma cosa sono i fatti? Tendiamo a definire il fatto come una potenza già divenuta atto, dunque come qualcosa di oggettivo a priori che esula dalla nostra interpretazione del dato evento nel tempo. Posti due insiemi, quello delle possibilità e quello degli eventi, un fatto è una correlazione univoca tra i due; ovvero: quando una possibilità sceglie un evento (uno e uno solo) e traccia una linea che collegherà l’elemento delle possibilità all’elemento degli eventi. Quella linea l’abbiamo chiamata realtà.
Pensiamo ad esempio al lancio di una pietra. Quale punto toccherà la pietra quando toccherà il suolo dipende da quale traiettoria assumerà la parabola di lancio, quale sia la forza del tiro, quale sia la massa del sasso e così via. Conoscendo queste informazioni noi saremo capaci di scegliere per lo più (possibilità) quale punto toccherà la pietra (evento) prima che essa arrivi al suolo. Il fatto è quindi propriamente la pietra che toccherà il suolo dove abbiamo previsto cadrebbe. Lo abbiamo visto più e più volte e per lo più così sarà sempre. Il fatto è dunque un processo logico dell’interpretazione sensoriale che considera la sensazione e l’aspettativa di essa; difficilmente crederemmo a un tizio che ci raccontasse che dopo aver lanciato una pietra, questa si sia smaterializzata nel nulla, sarebbe troppo illogico per essere un fatto. Logico è il nostro modo di accumulare conoscenze dalle esperienze sensibili, come logico è il nostro modo di assegnarle a categorie mentali che siano coerenti con la linea disegnata tra possibilità ed evento. Proprio per questo motivo il mondo ci appare prevedibile. Da quando l’uomo ha acquisito la parola, ogni esperienza sensibile interpretata dall’individuo e confermata dall’interpretazione di tutti gli altri individui che ne condividono la struttura mentale (come una pietra che cadrà sempre e solo nel punto in cui abbiamo previsto cadesse) ha contribuito alla creazione del concetto di una realtà come corpo del mondo che preesiste alla sensazione dell’individuo. Come se l’oggettivo fosse slegato a colui il quale partecipa alla sensazione, come se avesse vita propria fuori dall’interpretazione dell’uomo. Logico diventava così, in modo implicito, sinonimo di oggettivo; oggettivo diventava così sinonimo di reale. L’uomo che cerca di dare ordine al mondo esterno per dare ordine alla sua interiorità. Il fine della realtà ordinata diventava dunque a uso e consumo dell’individuo affinché, mediante la realtà come coscienza del mondo preesistente all’uomo e condivisa da tutti, ogni individuo fosse facilitato a trovare il suo posto nelle categorie del mondo che esiste ex homo. Allora si è cominciato a costruire la coscienza del sé sulla base di questa coscienza oggettiva, solo in apparenza ordinata e prevedibile, ma in realtà caotica ed entropica in sé. Ci siamo costruiti un ordine su misura,come delle mutande, e ci siamo convinti che questo non dipenda da noi, che sia nell’ordine naturale delle cose. Abbiamo dato un nome a quest’ordine razionale, chiamandolo Dio (in ogni suo nome), così da dar forza alla bugia bianca e dando a Dio le medesime qualità dell’uomo nell’ordine delle cose reali, o iper-reali. Allora Dio è diventato la prima intelligenza e noi immagine e somiglianza imperfetta di Dio, invertendone l’ordine.
Ma io ho capito che se Dio è, è nel disordine, nell’entropia degli eventi, nel caos interiore a ogni sistema fisico, nel contrasto insito in ogni molecola del mondo sensibile. Qual è allora il mondo che sfugge ai nostri limitati occhi di umani? Cosa sfugge ai nostri sensi da quando abbiamo sostituito il caos con l’ordine della logica? Cos’è il tempo, principio regolatore di vite? Esiste un modo di distruggere questa nostra limitata visione?
Quando cominciai a pormi queste domande mi erano appena usciti i primi peli pubici. Sono sempre stato un ragazzino sui generis, mai molti amici. Forse nessuno. Ho sempre trovato parecchia difficoltà a socializzare e passavo per lo più il tempo a interrogarmi sul perché accadessero certe cose, sul perché soffrissi. I miei genitori non capivano, pensavano fossi pazzo, non riuscendo a comprendermi nelle loro vita come ogni bambino avrebbe voluto. A confermare le loro idee erano gli stessi medici che friggevano il cervello dentro quelle strutture folli come i manicomi. Ho sempre saputo di avere qualcosa di speciale, ma la morale mi ha sempre fermato da quello che avrei dovuto sempre realmente fare. Andai avanti così fino ai 24 anni, credendo che fossi stato io a sbagliare qualcosa. Chiuso in una stanza bianca, con un solo letto, bianco anch’esso, cominciai coi ricordi ad andare avanti e indietro rivivendo la mia vita, ogni momento chiave, ogni nodo cruciale.
Compiuti i 25 anni, l’illuminazione. Decisi che era giunto il momento di porre in atto quello che in potenza avrei da anni dovuto compiere, cancellare la linea tra i due insiemi: uccidermi per la prima volta. Mi chiamo Michele, e in questa storia il tempo è fondamentale.
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Vento..
Sono passati mesi da quando me ne sono andato, minuto dopo minuto mi allontanavo da te come tu lo avevi fatto eliminandomi dalla tua vita. Ora dopo ora impegnavo il mio tempo tale che non pensassi al mio prossimo passato, secondo dopo secondo ricostruivo la mia vita. Non avrei mai smesso di amarti, avrei sempre voluto il bene per te. Ma millesimo dopo millesimo, donna dopo donna sembrava ti avessi cacciato dalla mia vita. Poi arriva uno di quei secondi che passa, il tempo di una vibrazione. Poche lettere. Ancora un'altra notifica, il secondo di un click. Nulla di che, il tempo di un messaggio, di un pensiero, il tempo di una richiesta. Nulla di che. Sono passati dei mesi, una nuova vita. Una nuova ragazza, un nuovo lavoro, una nuova casa. Nulla di che, ERANO passati dei mesi. Le porte che sembrano chiuse erano solo socchiuse. Nulla di che, erano passati dei mesi, è passata una botta di vento, trenta secondi di inerme immobilità e poi il silenzio seguito da un assordante chiasso di urla, ricordi passati in uno di quei millesimi che mi sarebbe servito per allontanarti da me.
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Bibliofili
Ricordo ogni singolo desiderio. Ad esempio una volta mi dicesti che volevi amare come si ama nei libri. E proprio per questo motivo ti sei innamorata di me, perché ero capace di darti quello che cerchi, e che nessuno potrà darti mai più. Volevi amare come si amano nei libri, e il nostro libro è stata la storia più bella che non è stata mai scritta. Che non è stata mai scritta se non sui nostri corpi. Incisa, senza bisturi ma coi baci, con precisione chirurgica, sui nostri organi vitali.
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E c’è chi dice che la matematica non può essere applicata nella vita reale.
Oggi ho voglia di fare calcoli, calcolo tutto da stamattina. E proprio qualche ora fa ho calcolato che per avere un relazione (sia essa amicizia o amore) con una persona bisogna essere almeno in due, con le dovute eccezioni dovute a una possibile schizofrenia e/o uso di LSD (in quel caso basti a te stesso).
Ho calcolato anche che l’equazione 2x=2 significa che x=1.
Ma la cosa più importante che ho calcolato oggi è la mia voglia di vivere. Di seguito scrivo quindi le mie conclusioni.
y=kx
y è una variabile dipendente;
k è una costante numerica
x è una variabile indipendente
tradotto viene un’equazione del tipo:
Voglia di vivere=0 (Simpatia del genere umano);
la precendente formula è un rapporto di proporzionalità diretta, quindi la mia mia voglia di vivere (y) aumenterà esattamente all’aumentare della simpatia del genere umano (x)…
…ok, preparo l’eroina.
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Fortezze cardiache.
Avevo 14 anni quando cominciai a percorrere giornalmente quei corridoi di quella casa. Allora il desiderio di fuggire era forte, sentivo che era tutto sbagliato. Persino la mia vita lo sembrava. E di scleri, rabbia e di amore e di lacrime ne hanno visto quelle mura. Hanno conosciuto Claudia, il mio passato, ma non conoscono il mio presente che inizia con la D. Sanno tutto di chi ero. Se esistono delle mura che io sento quasi casa sono loro, nonostante non abbia mai avuto un vero tetto. Adesso manca ancora qualche ora, lascerò il vecchio e comincerò il nuovo. Sarò lontano. La paura di non farcela è tanta, e ti attanaglia fino a levarti il battito cardiaco e trasferirlo a quelle mura che tanto ho odiato, ma che mi mancheranno come mi manca già quel pezzo di cuore che ho appena lasciato in quelle fortezze cardiache che tanto somigliano a casa. A presto.
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Vento..
Sono passati mesi da quando me ne sono andato, minuto dopo minuto mi allontanavo da te come tu lo avevi fatto eliminandomi dalla tua vita. Ora dopo ora impegnavo il mio tempo tale che non pensassi al mio prossimo passato, secondo dopo secondo ricostruivo la mia vita. Non avrei mai smesso di amarti, avrei sempre voluto il bene per te. Ma millesimo dopo millesimo, donna dopo donna sembrava ti avessi cacciato dalla mia vita. Poi arriva uno di quei secondi che passa, il tempo di una vibrazione. Poche lettere. Ancora un'altra notifica, il secondo di un click. Nulla di che, il tempo di un messaggio, di un pensiero, il tempo di una richiesta. Nulla di che. Sono passati dei mesi, una nuova vita. Una nuova ragazza, un nuovo lavoro, una nuova casa. Nulla di che, ERANO passati dei mesi. Le porte che sembrano chiuse erano solo socchiuse. Nulla di che, erano passati dei mesi, è passata una botta di vento, trenta secondi di inerme immobilità e poi il silenzio seguito da un assordante chiasso di urla, ricordi passati in uno di quei millesimi che mi sarebbe servito per allontanarti da me.
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In bocca al lupo
Seconda settimana, tra qualche giorno sono 19, ne avevi 14. E tra poco potrai dirti "diplomata"
Seconda settimana, e io odio ancora questo periodo dell'anno.
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Space shuttle
Meno cinque, quattro, tre, due uno. Si parte.
Ci siamo quasi, sembra che sia la vigilia. Vigilie..ne ho avute tante nella mia vita, ma non so il perché questa mi fa un po’ più paura di quanto mi aspettassi. Ho un bagaglio, dietro. Pesante. dico sempre che vorrei liberamene ma in fin dai conti, non sono mai riuscito a buttare nulla. E se mi giro vedo i miei genitori, o meglio, non vedo i miei genitori. Vedo Claudia piangere e io che mi odio per questo. Vedo C. crescere. Vedo Sus, sorridere. Vedo la mia rabbia, la voglia di vivere e di farmi del male. Riesco a vedere addirittura i professori tra i banchi di scuola, qualche capello fa. Se mi guardo indietro vedo quella cosa a cui devo tutto, il teatro. Rivedo ogni personaggio, ogni lacrima. Mi rivedo mentre un tatuatore mi stampa indelebilmente le mie due maschere sul mio braccio. Rivedo la tua fenice. Gabriele, Salvo. E le canne in spensieratezza. Dico sempre di voler buttare tutto, ma solo il pensiero di non potermi portare tutto mi mette le lacrime agli occhi. E allora torno a guardami indietro. E rivedo Yoyo sul suo divano, e Sara sulla poltrona. Rivendo Vincenzo. Ma so che tra qualche ora tutto questo peso mi sarà di impiccio. E dovrò buttare tutto, allora mi godo il conto alla rovescia e con un nodo alla gola conto....meno cinque, quattro, tre, due, uno. Addio.
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Credo si parli di destino e funghi allucinogeni..cerco ancora le differenze.
-Ricordati del destino- si ripeteva il mago.
-Destino? Cos'è?- Le rispose la ragazza, che a quanto pare aveva assunto il mago per risolvere un problema col cambio di stagione nell'armadio delle emozioni.
-Sai…quando ero piccolo giocavo a Super Mario Land. Una palestra di vita. C'era questo omino che doveva salvare la principessa. Allora andava avanti muovendosi lungo una retta partendo da un punto A per arrivare a un punto B. Al che vedevi sto tizio che doveva fare punti per “conquistare” la principessa e lo vedevi saltare e ogni volta che saltava speravi che uno di quei cazzo di funghetti non ti si ficcasse dentro al tuo condotto di evacuazione. Ecco, il destino è quel fungo che vuole entrarti dentro al culo-
Pensandoci per qualche secondo la ragazza rispose, disponendo le sue parole all'interno di una scatola ben organizzata del suo armadio -vuoi dirmi che il destino non è altro che un enorme fungo che vuole la tua verginità anale?-
-sissignora, e ho una buona notizia e una cattiva notizia, come vuoi cominciare?-
-la cattiva- rispose.
-abbandona ogni speranza, prima o poi quel fungo entrerà dritto nel tuo ano, tesoro-
-e la buona?-
-prima o poi entrerà…ma puoi sempre sperare che l'enorme supposta di fungo che ti inculerà sia uno stracazzutissimo fungo allucinogeno-
Rise, la ragazza, ma era sveglia..e rispose a modo -e se a me piacesse prenderlo?-
-oh, tesoro…allora sarai ministro-
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Parola migliore
Cercavo parola migliore./ Sbronza come parola al liquore./ Stronza come regina di cuore./ In una stanza tipo -domani ti dico il mio nome-/
Ora socchiudo la porta/ e do un ultimo sguardo,/ dentro vedo una sorta/ di sorriso beffardo./ Pensando a una prossima volta/ il domani lo sento./ Scappando dal minimo errore/ domani ritento./ Correndo./ Appresso al mondo./ Sentendo a stento./ Un fioco urlo./ Mi dilungo./
Su strade troppo tese,/ rime un po’ scoscese/ teste burrascose e/ ossa troppo rotte per correre veloce/ Allora tiro versi a caso./ Verso un nuovo verso/ tipo un verso astruso./ Disilluso./ Colgo il frutto senza l’uso/ della mani, sono escluso/ dai neuroni e resto chiuso/ nelle mie prigioni e non mi scuso./
Spiacente se ho deluso/ ma nella mia vita non sono io l’intruso./
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Se fossi uno specchio...
Posso affermare con un buon margine di certezza che anche a me, ogni tanto, capita di riflettere. Il punto in questione è proprio una disquizione semantica inerente al precedente verbo. Riflettere.
Se fossi uno specchio sarebbe del tutto normale, sarebbe probabilmente il mio unico compito -oltre quello di portare sfiga qualora mi rompessi- ma sono un individuo. E in quanto individuo, il fatto stesso che io rifletta complica le cose. Ho sempre miliadi di dati da anilizzare. Guardo una serie TV? Beh, sto certamente cercando di scoprire qualocosa su di me. La cerco. La trovo. E continuo a riflettere. Sono un individuo, è chiaro, e in quanto individuo rifletto come fossi uno specchio. Rifletto me stesso. Ad esempio...sono un individuo e in quanto individuo agisco. E nel fatto stesso che agisca rifletto me stesso in quanto individuo del tutto privo di legami.
Ne avevo uno, una volta.
L'ho tagliato.
Esatto, legami. Di questi tempi il mio cinismo peggiora, ma sono un individuo e in quanto individuo sono anche una persona. Esatto, una persona. Allora forse sono fatto di vetro, porto sfiga se mi rompo e il mio unico compito è riflettere. Perché no...una persona no. Se fossi uno specchio non avrei bisogno di legami al di fuori di quelli molecolari. Io non ho legami al di fuori di quelli molecolari. Io rifletto. Io sono uno specchio. Magari un giorno mi rompo. E non auguro a nessuno di starmi accanto.
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Il brutto dei bei sogni è che sono belli finché sogni ma se poi ti svegli diventano incubi
“Eravamo in quello strano cortile che non avevo mai visto. Ti chiesi se ricordassi ogni cosa. Mi rispondesti che si…ricordavi. Allora ricordai quando eravamo più piccoli e le risate dentro questo sconosciuto cortile. Ricordammo anche le urla e i litigi. Mi dicesti che in ogni nostro luogo in cui c'è stata una risata, c'è stata anche una lacrima.
Ti guardai negli occhi. Mi guardasti negli occhi. Mi dicesti che non contava più nulla, sorridesti, mi abbracciasti e mi sussurrasti che…si, ci stavi”
Poi finisce tutto nella becera realtà.
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Eri di spalle ma ti riconoscerei tra mille
Ieri ti ho rivista per la prima volta dopo così tanto tempo. Eri di spalle ma ti riconoscerei tra mille. Mi camminavi davanti, non ti sei accorta di me. Non ho potuto fare altro che pensarci. Ogni volta vederti è sporgersi dal baratro del mio vuoto cardiaco, e ogni volta il baratro è sempre più oscuro. Passerà. Tornerò ad essere il solito bastardo e sarà come se nulla fosse stato. Tornerò a dimenticare che mi manca un pezzo di anima. Eri di spalle ma ti riconoscerei tra mille. E nonostante questo se dovessi credere alla felicità direi che essa si trova nei tre anni con te. Ora non ti amo, ne sono innamorato di te. Ma eri di spalle e avrei voluto vedere il tuo viso. Per guardarti e senza dire nulla ringraziarti per essere passata dalle mie parti.
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Io l'ho sempre detto che omofobo=gay represso.
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Mi chiedo: Ma se un etero sessuale può essere omofobico, un omosessuale può essere eterofobico?
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Lo giuro, a volte credo che l'imbecille sia io.
Poi mi guardo intorno.
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Stai bene attento a sognare, amico. Quello non te lo perdona nessuno.
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