Text
Open Farm, un progetto nuovo con al centro una pianta millenaria, "padre di tutti i cibi": L'Erba Medica.
In questo articolo, vi presentiamo un progetto molto interessante, quello di Open Farm. Nato grazie all'entusiasmo, la passione genuina e il sacrificio di Luigi Forte, che con oltre 25 anni di lavoro presso l’azienda di famiglia Agricole Forte, impegnata nella produzione dell' Erba Medica Millesimata gli hanno permesso di svolgere numerose ricerche e studi, proprio su questa pianta molto antica, dalla storia millenaria. UN Pò DI STORIA Fin dall’antichità le sue eccelse proprietà hanno portato al suo utilizzo come erba da foraggio, in fitoterapia e in campo alimentare. Nella medicina popolare, l’erba medica viene utilizzata come rimedio per trattare patologie quali il diabete e i malfunzionamenti della ghiandola tiroidea. Secondo le indicazioni contenute in scritti in parte molto antichi, pare che questa pianta fosse nota già 3500 anni or sono alle popolazioni e alle stirpi cinesi. Probabilmente fu introdotta nel V secolo a.C. nelle zone della Grecia da cui, con l’ampliamento del regno ottomano, fu diffusa anche in Nordafrica e Spagna. In numerosi riferimenti sull’origine e la diffusione dell’erba medica, si parla dell’importanza della pianta come foraggio per i cavalli e le pecore, nonché come alimento (germogli). Una pianta che da 2000 anni fà parte della storia dell'umanità, il suo uso infatti, risale a molti secoli fa, addirittura millenni, originaria della Persia, fu introdotta in Grecia poi in Europa e in Italia. Per gli esperti del settore il nome ufficiale è Medicago Sativa, detta anche AlfaAlfa termine arabo che significa "Padre di tutti i cibi". L'AlfaAlfa risulta essere ricostituente - nutriente - stimolante. Ottima per chi ha carenze di vitamine e minerali. Chi soffre di colesterolo o di glicemia ne trae benefici, grazie alla presenza di fibre solubili, che accrescono i batteri utili nel colon, evitano l'assorbimento esagerato di grassi e zuccheri, prevengono malattie cardiovascolari e diabete. Alfalfa è una fonte primaria di proteine vegetali con molti amminoacidi essenziali, enzimi e fitoestrogeni. È una pianta straordinariamente ricca di minerali (calcio, fosforo, magnesio, ferro, potassio, manganese, zolfo, sodio, rame e selenio), presenti in forma bilanciata, facilmente assimilabili e utili nel contribuire a neutralizzare l’eccesso di acidità dell’organismo. Viene coltivata per: • alto valore proteico • beta carotene • alta presenza di fibre.
La generosità di questa pianta, comunemente utilizzata per foraggiare gli animali, comprende anche un’abbondante presenza di betacarotene, clorofilla, biotina, colina, inositolo, PABA, vitamine A, C, D e K. Quest’ultima , in particolare, può essere un efficace sostegno nei processi che intervengono in caso di emorragie, flusso mestruale abbondante o perdite di sangue dal naso. I disturbi legati alla menopausa possono trarre sollievo dall’integrazione della dieta con Alfalfa, grazie all’intervento dei principi estrogeni cumestrolo e isoflavoni. Alcuni studi rivelano infine che la presenza di “steroli” (betasitosterolo e stigmasterolo), intervenendo nel metabolismo dei lipidi, giustificherebbe il suo utilizzo come supporto per mantenere livelli normali di colesterolo. Non a caso, il progetto Openfarm sfruttando le proprietà nutritive di questa pianta, ha deciso non solo di lavorare e vendere la materia prima, ma anche di lanciare sul mercato prodotti a base di Erba Medica, come: - Prodotti da forno; - Miele; - Integratori; - Prodotti per cosmesi; Altro fattore fondamentale, affinchè questa pianta possa crescere nel migliore dei modi è legato al territorio. IL TERRITORIO Il territorio per eccellenza dove dagli anni ‘50 si è diffusa la coltivazione dell’erba medica è il “Polesine”, nelle province di Rovigo, Ferrara e Ravenna. Ora parte del Parco Regionale del Delta del Po, si sviluppa a ridosso del fiume più grande d’Italia, che sfocia in mare a delta, con 7 rami.
I fattori distintivi: - un microclima unico grazie alla vicinanza del fiume Po e del mare - il terreno alluvionale ricco di sedimenti - il delta copre un’area molto vasta e umida - è la zona d’Italia più grande e vocata per agricoltura - appezzamenti e aziende agricole di grandi dimensioni - non ci sono fonti d’inquinamento - rotazioni frequenti con colture estensive - terreno medio impasto argilloso - zona alluvionale doppia - presenza di canali e acque di irrigazione. I benefici del territorio sulla pianta di erba medica: - sali minerali - elevata umidità dell’aria (meno stress) - elevata umidità del terreno (meno stress) - le radici profonde riescono ad assorbire e trasformare le sostanze nutritive di cui il terreno è dotato - partite di prodotto nito uniformi, grazie ad appezzamenti di grandi dimensioni - alto contenuto di proteine, beta-carotene, vitamine, omega 3 - comoda viabilità (es. Strada Statale Romea) Erba Medica e Ambiente La protezione dell’ambiente è una preoccupazione legittima e crescente nella nostra società, interessata sempre più alla qualità dell’acqua – alla protezione del suolo – alla biodiversità. In questo contesto di acquisita consapevolezza, è più che coerente valorizzare le caratteristiche di una pianta che da millenni fa parte della storia del’umanità. Dopo aver scoperto un bel pò di informazioni sull'Erba Medica, concludiamo questo nostro primo articolo sull'argomento, condividendo la mission che ha Luigi Forte attraverso Openfarm: Competere sul mercato attraverso la tecnologia, costruire una Community del Settore Primario composta da imprenditori aperti, dinamici e curiosi è la strada che Open Farm ha intrapreso e in cui crede. Rendere il Consumatore finale un attore protagonista nella scelta del cibo che lo nutre, rendendolo la sua cura naturale. Perché siamo ciò che mangiamo. Siamo la Terra su cui viviamo, respiriamo, costruiamo. Read the full article
0 notes
Text
Vado a vivere nel borgo
Sempre più italiani vogliono scappare dalla città per andare a vivere nei borghi. Molti fanno questa scelta perché nel borgo è più semplice e il costo della vita è più basso rispetto alle città. Tutto è più accessibile, non c’è il problema del traffico e non c’è lo stress di trovare parcheggio dell’auto. Oltre allo stile di vita tranquillo, e all’ambiente rilassato, si possono intraprendere rapporti duraturi con il vicinato. I vantaggi nel vivere nei borghi: si possono riassumere: costi delle case inferiori, tranquillità, aria pulita, facilità di trovare parcheggio, presenza di aree verdi. Ho voluto intervistare il sindaco di un piccolo borgo dei Monti Dauni in provincia di Foggia, Gianfilippo Mignogna che negli ultimi anni ha portato avanti una politica di promozione e incentivazione per la vita nei borghi.
Per quale motivo una persona dovrebbe cambiare vita, lasciare la vita metropolitana e vivere nei piccoli borghi? C’è tanta gente nel mondo interessata allo stile di vita che si vive nel borgo. Partendo da situazioni molto diverse: caos, traffico, inquinamento, criminalità, grande stress, individuano nei borghi un valore aggiunto e noi dobbiamo rivolgerci a questo target di persone. Secondo te, è necessario offrire forme di incentivazione a chi si trasferisce nei piccoli borghi (progetto case a 1 euro, mancato pagamento di Imu, tari etc o prezzi calmierati, etc? Si una forma di incentivazione per i piccoli borghi sarebbe importante non solo per chi si trasferisce ma anche per chi già ci vive. Immagino un sistema fiscale agevolato, differenziato o l’introduzione dei pagamenti ecosistemici. Chi vive nei piccoli borghi spesso svolge una funzione fondamentale a beneficio di chi vive nelle città, perché presidiare il territorio (montagne, boschi, sorgenti), evitare che porzioni importanti del territorio siano abbandonate, sono tutte attività che assumono una funzione pubblica che va oltre l’interesse del singolo territorio, hanno una funzione di riequilibrio territoriale per chi vive in altre zone, perciò da anni si discute dell’introduzione a pieno regime dei pagamenti ecosistemici e quindi del riconoscimento di un valore economico alle persone che vivendo in contesti marginale svolgono una funzione importante. Sarebbe un elemento di grande incentivazione alla restanza o all’arrivo di nuova gente nei piccoli borghi nell’entroterra, ma sarebbe anche il riconoscimento di un ruolo e di una dignità e quindi avrebbe anche un grande significato politico. Quali servizi dovrebbe offrire un piccolo borgo per attirare turisti o nuovi residenti? Innanzitutto il borgo deve essere autentico deve essere vero, si sta affermando una narrazione pericolosa dei borghi cartolina, dei borghi villaggio, di paesi ideali da piccolo mondo antico, dove tutto è bello, tutto è cortese quasi da pubblicità, in realtà questa è una forma distorta di proporre il “prodotto” borgo. Io credo, innanzitutto che debba essere una realtà autentica, vivace, viva. Il primo servizio necessario e immateriale è il servizio dell’ospitalità della buona accoglienza, del buon vivere, della comunità località che ha piacere di ospitare, che ha voglia di ospitare; sono le persone che ospitano a fare la differenza più che le grandi infrastrutture e servizi che non abbiamo, quindi bisogna fare un grande lavoro sulla comunità locale, sulla qualità della vita delle persone locali. .Anche Carlo Petrini, il fondatore di Slow food,” sostiene che il turismo del futuro si giocherà molto sulla qualità della vita e sulla felicità delle persone residenti che ospitano. Se le persone sono felici di vivere nel proprio paese, poi saranno felici di condividere questo benessere, questa qualità della vita anche con i turisti, quindi è importante partire dalla comunità locali, oltre ad altri attrattori che bisognerà attivare. Nel comune che amministri ci sono stati turisti italiani o stranieri che hanno acquistato case? Si nel nostro comune siamo partiti a marzo 2021 con un progetto di vendita di case nel centro storico a 1 euro o a prezzi agevolati e nel giro di un anno abbiamo venduto 22 case, sono state vendute quasi esclusivamente a cittadini stranieri( argentini, tedeschi, portoghesi, americani, russi) che sono molto interessati a vivere per qualche mese o anche in maniera più stabile in un comune italiano, sono molto attratti dalla nostra qualità della vita, dalla capacità di instaurare relazioni umane autentiche, sono alla ricerca di sapori semplici e tradizioni. Tutto questo produce un duplice vantaggio: da un lato ci aiuta a mantenere il decoro del paese, perché spesso le case abbandonate costituiscono un problema urbano e igienico sanitario, dall’altro ci sta aiutando tanto dal punto di vista economico, mettendo in moto un circuito economico (incarichi ai progettisti e alle ditte che si muovono attraverso queste vendite). Attualmente una coppia messicana è interessata al nostro territorio. Quale forma di incentivazione hai messo in atto nel tuo comune? Non c’è stata propria una vera forma di incentivazione, abbiamo favorito un lavoro di promozione di queste case a basso costo attraverso un portale, abbiamo promosso il progetto casa a 1 euro direttamente con la CCN, abbiamo ricevuto oltre ventimila email di potenziali interessati all’acquisto di case perché hanno un prezzo molto conveniente si va da poche migliaia di euro fino a venti-trenta mila euro al massimo. L’incentivazione più importante è il fatto di poter contare su persone del posto come ad esempio il responsabile del progetto, il geometra Angelo Pierro, che prende in carico l’ospite lo accoglie, gli fa vivere delle esperienze legate al nostro territorio, gli fa vedere le case, li ospita per qualche giorno e gli fa percepire il tipo di esperienza che possono vivere stando nel nostro territorio. La differenza non è economica, ma relazionale, gli stranieri non sono alla ricerca di business immobiliare, sono alla ricerca di uno sbocco di vita nuova, hanno fame di esperienza e di relazione. Quali servizi o attività devono essere istituiti o incrementati affinché il comune diventi più attrattivo? Abbiamo costruito un processo di crescita che ci ha portato ad ottenere la Bandiera Arancione (il marchio di qualità turistico ambientale del Touring Club Italiano) ci fatto lavorare molti sui servizi e sulle attività, abbiamo digitalizzato molti dei nostri prodotti attraverso vari siti,( c’è la possibilità di prenotare tante esperienze), abbiamo incrementato gli eventi, abbiamo aumentato le occasioni di lavoro per i B&B, i ristoranti per i produttori tipici. Ultimamente abbiamo introdotto il mercato della terra di Slow food, anche in versione e-commerce. Abbiamo lavorato tantissimo sulla montagna, quindi sul parco avventura, sui sentieri, sulla possibilità di dormire nel bosco nel Bubble room, tutta una serie di attività che cercano di essere molto coerenti con la vocazione del territorio, molto leggere dal punto di vista infrastrutturale, ma che consentono di vivere delle esperienze particolari che sono poi quelle che fanno muovere le persone. Quali sono le criticità che impediscono il flusso turistico (viabilità, reti, etc)? Le criticità sono tante, per prima cosa bisogna potenziare gli attrattori: borgo, centro storico, la montagna, necessitano di interventi, di promozione, lavori, manutenzione, che spesso un piccolo comune non può sostenere con il proprio bilancio queste spese. Quindi occorrono degli investimenti da parte della Regione, dello Stato etc. Poi le infrastrutture sono importanti sia materiali che immateriali, importante è la banda larga, i collegamenti con i comuni limitrofi, soprattutto la domenica. Fondamentale è la promozione e la divulgazione a livello di territorio e di rete, in modo più professionale e puntuale, anche se negli ultimi anni sono stati fatti dei miglioramenti con la collaborazione di altri comuni e del GAL Meridaunia, ma siamo chiamati a fare dei grandi miglioramenti. Vi invito a iscrivervi e visitare il gruppo facebook: “Travelling Capitanata” https://www.facebook.com/groups/2696764270579324 gruppo di promozione e valorizzazione della provincia di Foggia, che potete scoprire e vivere borghi affascinanti, come quello di Biccari amministrato dal sindaco Gianfilippo Mignogna.
Di Paolo Zeoli. Read the full article
0 notes
Text
Vino nuovo o vino novello? Principali differenze tra due giovani vini
Si è da poco concluso il XV salone del vino novello tenutosi quest’anno nell’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore, suggestivo borgo calabrese in provincia di Cosenza, diretto dal giornalista enogastronomico Tommaso Caporale. L’evento, supportato anche da noi di Foodilia, ha visto la partecipazione di ben 21 cantine italiane provenienti da nord a sud, tutte con una passione in comune, quella per il vino novello.
Sul podio del Miglior vino Novello d’Italia 2021 si sono piazzati al primo posto ex-aequo l’Abruzzo e il Veneto. L’Abruzzo con il suo Terre di Chieti Igp biologico “Rossello” di Agriverde ottenuto da uve Montepulciano e Merlot, mentre il Veneto, con l’Igp Novello di Ornella Bellia ottenuto da uve Carmenere e Refosco. Secondo posto invece per la Calabria con il Calabria Igp “Cinurio” dell’azienda vinicola Tramontana di Reggio Calabria. A seguire la Sicilia con Pollara di Principi di Corleone, la Toscana con Carpineto e ancora l’Abruzzo con Casalbordino.
Ma scopriamo un po' meglio il vino novello...
Da non confondere con il Vino Nuovo che è un vino “fresco” ottenuto con uve provenienti dall’ultima vendemmia, che potrebbe anche essere sottoposto a invecchiamento (perdendo così la definizione di “nuovo”). Il vino novello italiano si potrebbe definire il cugino dell’antenato Beaujolais Nouveau francese e a differenze del vino nuovo cambia totalmente la tecnica di vinificazione denominata “macerazione carbonica”. In Italia è regolamentato dal D.M. 6 ottobre 1989, modificato in seguito dal D.M. 13 agosto 2012 e richiede che, affinché il vino ottenuto possa definirsi novello, il processo di vinificazione carbonica riguardi il 40% delle uve, mentre il restante 60% può essere trattato con tecniche di vinificazione classiche e possono essere immessi sul mercato dal 30 ottobre successivo alla vendemmia. Ma cos’è la macerazione carbonica? Questa tecnica prevede che i grappoli appena colti e non diraspati vengono lasciati integri e non pigiati per essere poi riposti all’interno di una vasca satura di anidride carbonica, alla temperatura di circa 30°, dove vengono lasciati per un periodo che va da 5 a 12 giorni con l’aggiunta di anidride solforosa. All’interno del recipiente i grappoli che si trovano sul fondo restano schiacciati dal peso dell’uva sovrastante: si forma, così, del mosto che, grazie agli enzimi, inizia a fermentare producendo così alcol e ulteriore anidride carbonica. Questo processo viene chiamato auto-fermentazione. Al termine di questa fase, ciò che resta delle uve viene pigiato e vinificato secondo le modalità tradizionali. Il vino che si ottiene da questa tecnica è un vino facile da bere, leggermente tannico da aromi primari intensi e freschi di viola, di rosa e frutti rossi, da consumarsi entro i sei mesi dalla messa in bottiglia proprio perché non è un vino adatto all’invecchiamento. Questa nostra eccellenza enologica si sta pian piano riscoprendo e rivalutando, che sia l’inizio di un Rinascimento per il Vino Novello? Read the full article
0 notes
Text
Pregi e difetti di una pianta molto hot: il peperoncino
Il peperoncino rosso (Capsicum annuum) è una pianta annuale appartenente alla famiglia delle Solanacee, la stessa di patate, melanzane, pomodori e peperoni. Originario dell’America Centrale, il peperoncino veniva consumato fin dai tempi antichi. Alcuni reperti storici testimoniano che in Messico veniva coltivato già 7000 anni fa. Cristoforo Colombo nel 1494, al ritorno dalle Americhe, lo introdusse in Spagna. Da lì si sviluppò nel resto d’Europa e successivamente anche in Africa e in Asia. In poco tempo divenne la spezia più usata dalle popolazioni più povere. Il peperoncino è caratterizzato da un fusto eretto, fiori bianchi e frutti dalla forma bislungo, che durante la fase della maturazione passano dal verde al giallo fino al rosso acceso. Viene seminato a fine inverno o inizio primavera, e i suoi frutti possono essere raccolti in estate o a inizio autunno, in base alla varietà coltivata. È utilizzato in cucina sia fresco, che secco, restando così disponibile tutto l’anno per impreziosire molte pietanze. Tanto è vero che viene inserito nei VI e VII gruppi fondamentali degli alimenti. La peculiarità del frutto è la piccantezza al palato, che gli viene conferita dalla capsaicina, un alcaloide presente al suo interno in concentrazioni variabili a seconda della specie considerata.
Scala di Scoville
In base alla piccantezza è stata redatta anche una scala che prende il nome del suo ideatore: Wilbur Scoville, che sviluppò il SOT (Scoville Organoleptic Test) nel 1912. Originariamente questo test prevedeva che una soluzione dell'estratto del peperoncino venisse diluita in acqua e zucchero finché il "bruciore" non fosse più percettibile a un insieme di assaggiatori (generalmente 5); il grado di diluizione, posto pari a 16.000.000 per la capsaicina pura, dava il valore di piccantezza in unità di Scoville. Il valore 16.000.000 per la capsaicina fu posto arbitrariamente da Scoville.
fonte Wikipedia Come possiamo notare nella scala di Scoville (15.000 30.000) troviamo anche uno dei più famosi peperoncini coltivati in Italia, quello Calabrese. Tra l'altro fra tutte le regioni italiane, la Calabria è quella tradizionalmente più legata al gusto piccante.
La capsaicina
La capsaicina, oltre a donare la piccantezza, è una sostanza in grado di stimolare e aumentare il flusso sanguigno. Le sostanze nutritive del peperoncino sono molteplici: polifenoli, sostanze antiossidanti, sali minerali tra cui calcio, rame e potassio, carotenoidi, bio-flavonoidi e lecitina. Inoltre è ricchissimo di: - vitamina C, fondamentale per il nostro sistema immunitario, per la sintesi del collagene e per l’assimilazione del ferro da parte dei globuli rossi; - vitamina A, importante per il corretto funzionamento del sistema visivo, per il mantenimento delle cellule epiteliali intestinali e per il funzionamento del sistema immunitario e genitale; - vitamina E, un altro antiossidante naturale presente nel peperoncino, che contribuisce al mantenimento dell’integrità cellulare. Per di più stimola la libido e favorisce la fertilità in entrambi i sessi. La capsaicina è nota per i suoi effetti: - antibatterico; - analgesico; - antidiabetico; - antitumorale; - ipocolesterolemizzante; - termogenico (aumenta la dispersione di calore attraverso il consumo di ossigeno). Numerose ricerche hanno inoltre dimostrato le potenzialità della capsaicina per il trattamento di numerose malattie croniche, tra cui: - malattie cardiovascolari (sfruttandone l’effetto vasodilatatore e antiaggregante piastrinico); - malattie gastrointestinali (per stimolazione della digestione e protezione della mucosa gastrica); - artrite reumatoide; - dolore neuropatico; - asma e malattie respiratorie. È risaputo che la capsaicina agisce direttamente sui recettori TRPV1 (Transient Receptor Potential Vanilloid 1) designati alla percezione del dolore e nel meccanismo infiammatorio somatico (articolazioni, muscoli, pelle) e viscerale (vasi sanguigni, cuore, apparato gastrointestinale, urinario e organi riproduttivi): la capsaicina è in grado di legarsi a questi recettori e, dopo un’iniziale stimolazione, li desensibilizza, riducendo la sensazione di dolore. Questo meccanismo viene già sfruttato in: - preparazioni ad uso topico (pomate, creme, etc) in commercio a base di capsaicina (in genere a concentrazioni allo 0.1%); - cerotti a lento rilascio (a concentrazione fino all’8%) per il trattamento delle neuropatie croniche.
Foto di Juraj Varga da Pixabay
Il peperoncino è utile anche per far dimagrire?
Come detto, la capsaicina stimola alcuni recettori, tra cui quelli della lingua, che ci fanno avvertire il sapore piccante, ma agisce anche sul tessuto adiposo bruno, il cosiddetto Bat, il quale ha la funzione di rilasciare il grasso sotto forma di calore. L’assunzione di peperoncino, infatti, fa in modo che si avverta una sensazione di calore, che non corrisponde a un reale innalzamento della temperatura corporea. Attivando i recettori del bat, la capsaicina è in grado di rilasciare cellule adipose sotto forma di energia e temperatura, anziché immagazzinarle come scorte. Non solo... la capsaicina è in grado di diminuire la secrezione di grelina, ormone pancreatico responsabile della sensazione di fame. In questo modo, il segnale di appetito risulta indebolito e siamo portati a ingerire meno cibo. Infine, il peperoncino ha la capacità di accelerare il metabolismo basale, ovvero la quantità di energia di cui l’organismo ha bisogno quotidianamente per svolgere le attività ordinarie.
Il peperoncino è anche afrodisiaco?
Questa spezia è stata sempre ritenuta un potente afrodisiaco in grado di stimolare il desiderio e migliorare le prestazioni. Gli abitanti dell’estremo Oriente, ma anche i popoli precolombiani hanno sempre associato il peperoncino alla sfera sessuale. Questa spezia è giunta in Europa accompagnata da quest’aura peccaminosa, tant'è vero che la Chiesa la bollò come “suscitatore di insani propositi”. Alla fine del 1500 il gesuita José de Acosta, nella sua "Istoria naturale e morale delle Indie occidentali", riporta che il peperoncino: “ha effetti deplorevoli, perché è di natura molto calda, volatile e penetrante e il suo impiego ripetuto è pregiudizievole alla salute dei corpi dei giovani e ancor più alla loro anima, poiché incita alla sensualità”. Per quanto riguarda le prove scientifiche a supporto di quest’affermazione, si può asserire che la capsaicina ha un effetto vasodilatatore e quindi sicuramente agisce in tal senso.
Controindicazioni
In generale gli alimenti piccanti sono molto salutari, a patto che non si abbiano specifiche patologie del sistema gastrointestinale o allergie. Particolare attenzione deve essere usata da chi soffre di ulcere, gastroenteriti e cistiti, epatite, emorroidi, da donne in gravidanza o nel periodo di allattamento e nei bambini sotto i 12 anni che presentano un apparato digerente più delicato. E’ importante non eccedere nelle quantità di cibi piccanti che si assumono, in quanto se si assumono delle dosi eccessive pepe e peperoncino possono irritare pesantemente le mucose interne, principalmente l’intestino e le vie urinarie, arrivando nei casi più gravi a causare la comparsa di tracce di sangue nelle urine. Read the full article
0 notes
Text
Salone DeGusto 2021: In Calabria la prima edizione dell'evento dedicato al food&beverage
Dopo un lungo periodo di restrizioni, in prospettiva di una socialità più libera e di una ripresa economica progressiva, nasce la 1ª edizione del salone DeGusto, manifestazione rivolta al settore Eno-Agro-Alimentare. Destinato a diventare il salone di riferimento in Calabria del settore food, beverage e retail technology, DeGusto è una fiera progettata con esperienza pluriennale nel settore dei grandi eventi, in grado di soddisfare al meglio le esigenze degli espositori e dei visitatori. DeGusto si apre non solo agli operatori del settore quali importatori, buyer, manager GDO e piccola-media distribuzione, grossisti specializzati, gestori di bar, snack bar, pub, birrerie, take away, società di catering, chef e stampa specializzata, ma anche al grande pubblico, colui che tra l'altro può evidenziare le reali esigenze del mercato, dare una concreta valutazione del potere d’acquisto, colui che, in questa occasione, rappresenta il consumatore finale che acquisterà, secondo una percezione gusto-olfattiva e un rapporto qualità prezzo, il prodotto al consumo.
Il salone si terrà presso l'ex MAM (Museo delle Arti e dei Mestieri) nella splendida cornice del centro storico di Cosenza dal 10 al 12 settembre 2021, proponendosi ad un pubblico curioso e attento al mondo del food&beverage, e ad Aziende e Professionisti qualificati locali e nazionali, al fine di poter garantire la qualità, l'originalità e l’unicità del made in Italy. Promosso dall’Associazione Culturale CULT di Cosenza, l’evento sarà organizzato e gestito dalla Cosenza Eventi, azienda già leader nel settore, Foodilia sarà tra le aziende partner. DeGusto offrirà opportunità d‘incontro, confronto e ispirazione, sia con i consumatori diretti (B2C), che con i professionisti che operano nel food&beverage, nel retail&technology e nell’arredamento per interni ed esterni (B2B).
L'evento si svolgerà seguendo il protocollo nazionale #safebusiness indetto dalla AEFI (Associazione Esposizioni e Fiere Italiane) rivolto sia agli espositori che ai visitatori e atto a garantire la sicurezza all’interno del salone seguendo alcune piccole precauzioni attualmente in vigore, consentendo comunque lo svolgimento delle normali attività fieristiche. (Vedi allegato)
Perché esporre?
Ecco 5 buoni motivi per esserci • È un’occasione straordinaria dove scoprire i nuovi modelli di business del settore Horeca; • È una delle opportunità per far ripartire il tuo business, lanciare le novità di prodotto, tendenze, nuovi servizi; • È una piattaforma che promuove l’incontro tra le componenti produttive dell’industria eno-agro-alimentare italiana e consente di raggiungere contatti altamente selezionati e profilati; • È l’unica manifestazione di settore in Calabria per fare networking e incrementare la Brand Awareness; • È la vetrina ideale per evidenziare le eccellenze Calabresi e del Made in Italy Categorie ammesse Agroalimentare, beverage, cucine e attrezzature professionali, retail&technology per la ristorazione, carni e salumi, cibi pronti, prodotti dolciari e da forno, mondo bar, lattiero caseario, oleifici, prodotti bio e senza glutine, vini, liquori e birre, quarta e quinta gamma, arredamento professionale indoor&outdoor, hotellerie, professional service, editoria specializzata, automatic food and beverage dispenser. Visitatore tipo Grande pubblico, ristoratori (dei settori: ristorante, pub, cocktailbar, pizzeria, paninoteca, sala ricevimento, catering, bar, pasticceria, yogurteria, rosticceria, tavola calda, enoteca, birreria), responsabili acquisti (dei settori: hotel, villaggio turistico, B&B, resort), ed ancora chef, buyers della distribuzione organizzata e non organizzata, cash&carry, rivenditori specializzati.
Perché visitare DeGusto?
Ecco 5 buoni motivi per esserci • È il primo salone in Calabria concepito per soddisfare le esigenze e le aspettative di Aziende, Professionisti del settore e Grande Pubblico; • È il sistema più diretto per conoscere in anteprima i nuovi prodotti, le novità e le proposte alimentari provenienti dal mondo del food&beverage; • È l'opportunità per degustare, valutare e condividere la qualità di cibi e bevande Made in Italy direttamente dalle Aziende produttrici; • È il luogo ideale per stabilire nuovi contatti, individuare e conoscere il partner giusto il tutto in un contesto altamente professionale; • È l'occasione per aggiornarsi, confrontarsi e acquisire nuove conoscenze e competenze nel settore utili per la nascita di nuove idee e strategie. Vuoi saperne di più? Cosa aspetti contattaci: Cell: +39 393 8368897 Cell: +39 392 9933619 [email protected] [email protected] Read the full article
0 notes
Text
Un mercatino facebook per rilanciare il “Made in italy” alimentare
Il gruppo Mercatino dei prodotti alimentari 100% Made in Italy sta riscuotendo sempre più successo, tant’è che ad oggi conta circa 43500 iscritti ed è in costante crescita. Il “Mercatino dei prodotti alimentari 100% made in Italy” è un gruppo Facebook nato poco più di un anno fa, dicembre 2019 da un’idea di Paolo Zeoli, professore di scuola superiore della provincia di Foggia. L’amministratore sottolinea che «ll patrimonio agroalimentare italiano costituisce uno dei punti di forza del nostro Paese, e per questo motivo va valorizzato e promosso» che è la mission del gruppo e su questo anche noi di Foodilia siamo perfettamente d’accordo. Sul gruppo vi sono tante aziende del settore, ma anche consumatori finali, cuochi, food blogger, giornalisti e cultori dell’enogastronomia italiana. Ma non solo, il gruppo sta diventando anche una vetrina internazionale, vista la presenza tra gli iscritti di tedeschi, olandesi, svizzeri, inglesi, francesi, belgi, americani, giapponesi, danesi, canadesi, cinesi. Tra le varie iniziative interessanti, legate al settore enogastronomico che si organizzano sul gruppo vi sono concorsi di cucina tra cui “Lo chef del Mercatino” dove appunto chef e non solo, si sfidano a colpi di delizie gastronomiche, tramite la realizzazione di una video ricetta, con tanto di votazione da parte della giuria, costituita dai membri del gruppo che voteranno tramite sondaggio. Inoltre, visto anche il background dell’amministratore, a breve si organizzerà una DAD (didattica a distanza) organizzando delle dirette per imparare a cucinare i piatti tipici delle nostre regioni. Non solo sul gruppo troviamo anche tour operator specializzati nella promozione del turismo enogastronomico e se non bastasse a breve si organizzeranno anche dei tour virtuali. Beh arrivati a questo punto non vi resta che iscrivervi sul gruppo “Mercatino dei prodotti alimentari 100% made in Italy” per non perdervi tutte queste interessantissime iniziative https://www.facebook.com/groups/802439950192374 Read the full article
0 notes
Text
Il bocconotto: tra storia, tradizione e innovazione
Da nord a sud l’Italia vanta di tantissime ricette, dalle più tradizionali a quelle più moderne e ricercate. Oggi vi sveleremo qualche curiosità su un dolce tipico della cucina meridionale: il bocconotto Secondo studi recenti, il termine bocconotto è una derivazione di bocconetto, che compare per la prima volta nella Lucerna de Corteggiani di Giovan Battista Crisci, edito a Napoli nel 1634. Si trattava di un ricettario che comprendeva moltissime ricette, diffuse principalmente nell’Italia centro-meridionale. Nel XVIII secolo sarà Il Cuoco Galante (Napoli, 1773) di Vincenzo Corrado a fornirci nuove ricette dolci del bocconotto. Ad esempio, troviamo i «bocconotti alla caramella» (Ivi, p. 215) e i «bocconotti alla regina» (Ivi, p. 199) Mentre Ippolito Cavalcanti, nel 1839 in “Cucina teorico-pratica”, parla dei «bucchinotte d'amarene». A parte alcune notizie storiche, attorno al bocconotto sono sorte anche alcune leggende fantasiose, oramai diventate anch’esse parte del folklore popolare. Una delle leggende popolari fa risalire la prima elaborazione di questo dolce alla fine del Settecento, nel territorio abruzzese. In quel periodo iniziava l'importazione di cioccolato e caffè. Si narra che in un paese d'Abruzzo (Castel Frentano) una domestica, per omaggiare il suo padrone, goloso di questi due nuovi prodotti, inventò un dolce che ricordava la tazzina di caffè (naturalmente senza manico e coperchio), realizzando l'esterno con la pasta frolla e riempiendo l'interno con caffè e cioccolato liquidi. Al primo tentativo vide che il ripieno rimaneva troppo liquido: allora decise di addensarlo con mandorle (importate in Abruzzo dalla Puglia) e tuorli d'uova e di ricoprirlo con un coperchio. Quando il padrone assaggiò il dolce ne rimase estasiato e chiese alla sua domestica come si chiamasse. La donna, che non gli aveva ancora dato nessun nome, improvvisò "bocconotto", proprio perché si mangiava in un boccone. Secondo un altro racconto,invece, il bocconotto sarebbe originario dei contadini dell'entroterra murgiano che, costretti a vivere in spazi stretti e angusti, adattarono le esigenze culinarie alla propria realtà. Le ridotte dimensioni dei bocconotti, la possibilità di essere conservati anche per molti giorni in ambiente naturale, nonché il loro alto grado nutrizionale, ne hanno fatto per anni uno dei cavalli di battaglia della tradizione culinaria meridionale. Altri ancora fanno risalire l’origine del bocconotto all’arte delle monache benedettine di Bitonto, dove la ricetta antica prevede un ripieno di ricotta e poco zucchero. Non si è in grado di datare con precisione la ricetta, che finora è riuscita a tramandarsi di generazione in generazione in poche famiglie pugliesi. Alcuni la fanno risalire al 1700, altri sostengono sia anche più antica. Ad ogni modo il bocconotto di Bitonto è considerato oggi una prelibatezza tra i dolci tipici, che racchiude in sé la semplicità dei sapori e dei profumi di una terra generosa e accogliente. Secondo un’altra leggenda, il dolcetto avrebbe origini calabresi. A Cosenza infatti già dal 1300 venivano preparati dei dolci molto simili, le "Varchiglie". In origine questo dolce veniva preparato dalle monache per le tavole dei vescovi. La Varchiglia è uno scrigno di pastafrolla che racchiude un ripieno di farina di mandorle e zucchero e che viene infine ricoperto di cioccolato. Il dolce è ancora preparato in apposite forme di metallo a forma di barca da cui probabilmente, deriva il nome. Da qui, i bocconotti vennero preparati anche nelle case dei cosentini, dove le grandi forme di metallo vennero rimpiazzate da piccole formine, e il costoso ripieno di farina di mandorle venne sostituito dalla più reperibile marmellata d'uva fatta in casa. La Calabria ha segnalato per l'elenco dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) il bucconotto di Mormanno provincia di Cosenza (bucchinotto nella forma dialettale) di 4 cm di diametro che può essere ripieno da cioccolato o marmellata, quindi spolverato di zucchero al velo. Sempre in Calabria il bocconotto di Amantea ha una forma ovaleggiante con l'esterno in pasta frolla ricoperta da zucchero a velo con un ripieno di cioccolato, mandorle tostate tritate, zucchero, cannella e chiodi di garofano. Da qualche anno nella medesima località è stata proposta anche una versione a base di gelato. Sempre nel territorio calabrese, secondo alcuni studi, venne rinvenuta un’altra versione nel paese di Acri, città situata nell’entroterra del cosentino a 720 m s.l.m., ai piedi della Sila e della montagna della Noce. Secondo l’antica ricetta, nel paese di Acri i bocconotti (“buccunotti” nel dialetto locale) venivano preparati con un ripieno di “confettura di ciliegie” frutto tipico del territorio e dunque facilmente rinvenibile. https://youtu.be/NWCA97dIV04 Di seguito la ricetta per impasto e confettura. Impasto: 1kg di farina 00; 8 uova; 400gr di strutto; 400gr di zucchero. 2 bustine di lievito (nell'antica ricetta veniva utilizzato il lievito madre) Confettura: 1kg di ciliegie; 400gr di zucchero. Per la preparazione della confettura, procediamo a lavare le ciliegie, asciugarle e snocciolarle. In seguito devono brasare a fuoco lento in un pentolino insieme allo zucchero per circa 2 ore e mezza. Alla fine di questo processo, per sapere se la confettura è pronta, vi sveliamo un piccolo trucchetto. Dopo averla fatta raffreddare, prendete un cucchiaino di confettura e adagiatela su un piatto: se, piegando il piatto, essa non cola la consistenza della confettura è giusta! Per preparare l’impasto, secondo l’antica ricetta, si adagia la farina a montagnella su una spianatoia in legno (nel dialetto locale viene denominato “u queatru”), si rompono le uova e si inizia a impastare. A seguire si aggiungono man mano lo zucchero e lo strutto. Una volta terminato il processo, bisogna formare con l’impasto una sfera, quindi coprirlo con un panno asciutto e lasciar riposare per circa mezz’ora. Nel frattempo imburrare le formine con lo strutto. Dopo aver fatto riposare l’impasto, prendere un mattarello e stendere l’impasto lasciando uno spessore di circa mezzo centimetro. Quindi, con un coltello bisogna tagliare un quadrato dell’impasto e adagiarlo sullo stampino, rimuovendo la parte in eccesso. Una volta fatto il primo strato, riporre la confettura al centro con un cucchiaino e ricoprirla con un altro strato dell’impasto. Seguendo l’antica ricetta i dolcetti venivano infornati nei tipici forni di allora, rigorosamente a legna, a una temperatura di 170° C per 20 minuti circa, finché non risultavano ben dorati. A questo punto si lasciavano raffreddare e si spolverava lo zucchero a velo. I nostri chef Marco Conforti e Giuseppe Veloce, hanno sperimentato (coome potete vedere in video) delle rivisitazioni del buccunotto.
Il bocconotto di Acri Ora come allora il bocconotto è pronto per farvi rivivere antichi sapori di un tempo, ricchi di tradizione, gusto e ingredienti genuini. Read the full article
0 notes
Text
Il Tintilia più che un vino, un territorio, il Molise.
Il Molise, sta vivendo una vera rinascita grazie al suo unico vitigno davvero autoctono: il Tintilia. Il Tintilia del Molise Rosso è un vino DOC (Istituito con decreto del 01/06/2011, Gazzetta Ufficiale del 17/06/2011 n. 139) la cui produzione è consentita in alcuni comuni delle province di Campobasso e Isernia. Questo vino, arrivato in Molise all'epoca dei Borboni, è stato nell'ottocento il vitigno più diffuso nella regione, nel secondo dopoguerra però ha rischiato di sparire completamente, a causa della ricerca di vitigni più produttivi e dello spostamento delle zone coltivate verso le aree pianeggianti. Si tratta di un vitigno autoctono rustico, resistente al freddo ma non molto vigoroso. La sua produttività inoltre è piuttosto bassa e questo non ha aiutato la sua diffusione. Negli ultimi decenni però si è risvegliato l’interesse verso questo vitigno e la sua vinificazione. Merito anche di una recente campagna di recupero condotta da divulgatori dell’allora ERSAM (Ente Regionale Sviluppo Agricolo Molise) ora ARSARP, salvando così un prezioso patrimonio dell’enologia molisana. Per molto tempo è stato considerato un parente del Bovale Grande oppure un vitigno di origine spagnola (l'etimo è di chiara origine spagnola, dove tinto indica il rosso intenso dell'uva e del vino che ne deriva). Oggi invece si escludono tali parentele affibbiate in modo semplicistico, dopo una ricerca dell'Università del Molise che non ha potuto rintracciare stretti legami con altri vitigni. Alcuni sostengono che la Tintilia proviene dalla famiglia delle Tintorie Spagnole e sarebbe arrivata, come scrisse Raffaele Pepe nel 1811, in Molise ad opera dei soldati borbonici ivi stanziati. Molte Leggende circondano la Tintilia (vitigno) una di queste narra che in età borbonica, il primogenito del conte Carafa, nobile di origini napoletane, discendente dai nobili Caracciolo, s’innamora della figlia di un luogotenente dei Borboni di origine spagnola. I due si sposano e come vuole la tradizione, la sposa in dote porta il vino per il banchetto nuziale: un vino spagnolo straordinario, dal colore rosso rubino, intenso e forte come la passione, fruttato e dolce come la sposa. Ma, purtroppo, la dolce fanciulla si ammala e prematuramente muore, lasciando nella disperazione l’inconsolabile Conte Carafa che, per preservarne la memoria, commissiona in Spagna alcune marze di quel vitigno il cui nettare aveva allietato le sue nozze, ed impianta così in agro di Ferrazzano tra i comuni di Mirabello e Gildone la prima vigna di Tintilia.
Esame Olfattivo Sul profilo olfattivo si caratterizza per eleganti note speziate e note di frutta rossa. La struttura è importante e al palato è caldo ed esprime aromi complessi con un finale lungo e persistente, il tannino è ben presente, il che lo rende adatto ad un lungo affinamento. È un vino molto corposo, tendenzialmente alcolico (14,2% gradi in media), non molto acido, ma con un potente potere tampone che ne garantisce freschezza e stabilità, è ricco di sostanze fenoliche, soprattutto flavonoli e antociani che testimoniano la qualità del vino e la sua bontà, ricco anche di polifenoli utili al controllo di alcune patologie croniche e degenerative quali Alzheimer, arteriosclerosi, diabete e alcuni tumori uniti a una a grande capacità antiossidante che rendono il vino “Tintilia del Molise” risulta essere un prezioso amico del consumatore. Abbinamento gastronomici: Con il suo colore intenso e con i suoi particolari profumi con note di liquirizia, dalla struttura possente e dei suoi tannini setosi, Il Tintilia del Molise risulta essere un vino di carattere per questo dà il meglio con i piatti ricchi di gusto, con i prodotti tipici della cucina molisana, le zuppe rustiche, i formaggi stagionati e le carni saporite come quella di agnello. La cantina che vi presentiamo è “Principe delle Baccanti” una piccola azienda a conduzione familiare da generazioni che produce ogni anno circa dalle dieci alle quindici mila bottiglie (clicca qui per scoprirle). Tutti i vigneti si trovano ad altitudini superiori ai 650 m s.l.m. I terreni appartenevano a una antica abbazia, tant’è che anche sulla bottiglia è riportata la dicitura “vigna dell’Abbazia”. Le viti sono allevate a cordone speronato in agricoltura biologica. Le uve rosse macerano e fermentano come avveniva anticamente in tini aperti di rovere. Successivamente i vini rossi passano un anno in barriques per poi affinarsi ulteriormente in bottiglia. Read the full article
0 notes
Text
Un vino antico e nobile: Il moscato di Trani
Il moscato di Trani è un vino DOC prodotto nella regione Puglia. Le denominazione Moscato di Trani DOC è stata introdotta in Puglia nel settembre 1974 e da allora è divenuta una delle DOC più importanti nella regione. Nella zona della Moscato di Trani DOC predomina un clima caldo e soleggiato, La città costiera di Trani, che si trova nel cuore della Moscato di Trani DOC, sia idealmente che geograficamente, è stata a lungo un importante centro vinicolo, grazie anche al suo porto commerciale. Infatti, fin dai tempi antichi, i vini provenienti da tutta la regione venivano portati a Trani e il nome della città nel dialetto locale ricorda le locande che popolavano i quartieri portuali. Cenni storici Il Moscato di Trani è il vino D.O.C. più nobile e antico di Puglia. La tradizione vitivinicola millenaria della zona è attestata da numerosi documenti di notevole valore storico (archivi e biblioteche monastiche) e da opere d’arte risalenti al periodo della Magna Grecia (Museo Jatta), sono l’attestazione fondamentale dello stretto legame esistente tra i fattori umani e le qualità e le caratteristiche peculiari del vino. Già negli anni intorno al Mille i Veneziani presero a far commercio di questo vino, sino a firmare un accordo in proposito con la “Dogana di Trane”. Il conte di Trani, Roberto d’Angiò (sec. XIV), se ne occupò tanto da porre un limite alle esportazioni del vino di qualità dai porti del Regno di Napoli, provocando così il malumore dei mercanti Veneziani.Nel Read the full article
0 notes
Text
LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE ED ENOGASTRONOMICA PASSA ATTRAVERSO I DE.CO.
Si chiama De.Co. ma non si riferisce all’Art déco né ad una catena di supermercati quasi omonima. Stiamo parlando della denominazione comunale d'origine (De.Co.), o denominazione comunale (De.Co.) e rappresenta il riconoscimento concesso dalla locale amministrazione comunale ad un prodotto, in genere strettamente collegato al territorio e alla sua comunità, senza alcuna sovrapposizione con le denominazioni d'origine vigenti. Le De.Co. sono state istituite in seguito alla legge nº 142 dell'8 giugno 1990, che consente ai Comuni la facoltà di disciplinare, nell'ambito dei principi sul decentramento amministrativo, in materia di valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali. Dal 2002 sono normalmente istituite prendendo a modello un regolamento-tipo predisposto dall'ANCI. A differenza dei marchi Dop, Igp e Stg, questa particolare denominazione non è un marchio di qualità, ma viene disciplinata a livello comunale ed è fa riferimento quindi ad iniziative di valorizzazione locale di prodotti e ricette tipici del territorio. Può nascere, inoltre, anche da un gruppo di cittadini o di aziende produttrici, che si limitino a segnalare l'idoneità alla certificazione e l'importanza del prodotto o processo per la comunità. Vien da sé quindi che le De.Co. possono essere un fortissimo strumento di valorizzazione del territorio. Read the full article
0 notes
Text
Parlano di Noi!!! 😍😍
COSENZA – Dal produttore al consumatore in un click! Questa in poche e semplici parole l’essenza dell’attività di FoodIta, giovane e dinamico marketplace del Made in Italy nato dall’idea di tre amici cosentini, Ernesto, Francesco S. e Prospero, appassionati del web e delle tecnologie, a cui si sono aggiunti poi Francesco M. e Gianfranco. «Il progetto Foodita – raccontano sul loro sito – nasce con la Mission di scoprire e valorizzare le eccellenze eno-gastronomiche Made in Italy, andando alla ricerca delle migliori autenticità, artigianalità, specialità regionali dei produttori locali. Continua qui Read the full article
0 notes
Text
CANTUCCINI: DELIZIE DI TOSCANA IGP
Sono considerati fra i biscotti italiani più famosi al mondo e dal 2016 sono un prodotto di Indicazione Geografica Protetta. Stiamo parlando dei celebri cantuccini toscani, per tradizione e consuetudine solitamente inzuppati nel Vin Santo o abbinati ai vini passiti e liquorosi, (ottimi anche con il Moscato di Saracena) ma gustosi anche quando vengono consumati in abbinamento con caffè, tè o cappuccino. Prodotto di preparazione non troppo elaborata, i cantuccini sono fatti solo con ingredienti naturali: farina, mandorle dolci intere, uova, burro, zucchero, miele e agenti lievitanti. Inoltre, i limiti dettati dalla tradizione, ogni azienda produttrice può quindi disporre di una propria ricetta. La vera ricchezza e il segreto del successo dei cantuccini toscani risiedono quindi nel loro rispondere a tanti gusti diversi (possono essere più o meno croccanti, più o meno dolci, più o meno tostati) e di saper conquistare i consumatori di ogni età e provenienza. Se la loro preparazione è relativamente semplice, la loro storia è antica e autorevole. L’origine dei cantuccini/cantucci risale almeno al XVI secolo e il nome sembra derivare da "canto" (come parte di un insieme) o da "cantellus", cioè pezzo o fetta di pane in latino. La consacrazione ufficiale dei cantuccini si trova nel dizionario dell'Accademia della Crusca che nel 1691 ne diede la seguente definizione: "biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d'uovo". I cantucci più famosi del tempo erano prodotti a Pisa, mentre le mandorle entrarono a far parte degli ingredienti soltanto in alcune varianti, quali i "biscottelli" dell'epoca di Caterina de' Medici, per assurgere a elemento caratterizzante a partire dalla seconda metà dell'Ottocento. La prima ricetta documentata di questo dolce è un manoscritto, conservato nell'archivio di Stato di Prato, di Amadio Baldanzi, un erudito pratese del XVIII secolo, in cui i vengono detti “alla genovese”. Nel XIX secolo Antonio Mattei, pasticciere di Prato, ne mise a punto una ricetta divenuta poi classica, con la quale ricevette numerosi premi a fiere campionarie in Italia e all'estero, tra cui una menzione speciale all'esposizione universale di Parigi del 1867. La bottega di "Mattonella" (nome popolare del biscottaio) esiste ancora oggi a Prato ed è considerata la depositaria della tradizione dei cantucci. Una tradizione di lunghissimo respiro e che continuerà ad accompagnare i nostri pomeriggi. Read the full article
0 notes
Text
GUIDA AI VINI ITALIANI (3ª PARTE): I DOCG
“Italia, terra di santi, poeti, navigatori”…ma soprattutto di tanti vini. Nel Bel Paese, insieme ai consueti vini da tavola, vengono prodotti oltre cinquecento vini tra quelli IGT (di Indicazione Geografica Territoriale), DOC (Denominazione Origine Controllata) e DOCG (Denominazione Origine Controllata Garantita). #vino #wine #winelover #winetasting #winelovers #instawine #winetime #winestagram #winery #vin #redwine #vinho #sommelier #wein #winelife #wineoclock #food #wineporn #wines #a #whitewine #italy #foodporn #vinoitaliano #vinorosso #vi #italianwine #italia #bhfyp Read the full article
0 notes
Text
GUIDA AI VINI ITALIANI (2ª PARTE): I DOC
Si sa: il Dio Bacco è stato molto generoso con la nostra bella Italia dove vengono prodotti oltre cinquecento vini tra quelli IGT (di Indicazione Geografica Territoriale), DOC (Denominazione Origine Controllata) e DOCG (Denominazione Origine Controllata Garantita). Ed anche in tempi di Coronavirus ce ne rendiamo più che mai conto, dal momento che, da quanto risulta da varie ricerche, vino e cucina sono fra gli elementi più ricercati sul web. #italianwine #wine Read the full article
0 notes