diario materno condiviso, archivio creativo di esperienze vissuti idee pensieri riflessioni connessioni dubbi sfoghi nozioni e narrazioni
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ci sono quei momenti che poi passano #noteormonali
Ciao T
Come va?
E ha ancora la febbre
A me devono venire le mestruazioni
Tra ieri e oggi cammino su quella famosa lama 🦙 del non ne posso più .. un confine pericoloso
Ci rido anche su eh, sempre e comunque, però
un po’
di fatichina
c’è
Mi è anche caduta al K l’altra sera, cioè: è caduta da sola e non sono riuscita a prenderla e ho sottovalutato e non ero dietro di lei ma davanti a lei fidandomi del fatto che stesse in piedi e COMUNQUE una bella pacca e un gran spavento mio che l'ho controllata tutte le ore della notte e mi sono sentita una madre di merda, in colpa, giudicata dagli altri e da me stessa e disarmata dal fatto che questa mia inefficienza cada sulle spalle (testa) di E.
E disarmata anche da questo dubbio che “come cazzo si fa?” — iper protettivi non si può e non ce la posso fare, a lasciarla fare però si piglia delle pacche e l’aftermath è un mal di pancia allucinante con strascico di insicurezze materne forever?! E questo sarebbe comunque il miglior scenario ..
Eh si, e poi penso spero mi auguro e ci auguro che prima o poi lei arrivi a respirare senza affanno, a vivere senza la febbre ogni 10 giorni, ad avere la gola di un colore normale e senza colpi di tosse costanti e che questo boost faccia veramente il suo cavolo di lavoro
Bho
Sto sacrificando la mia socialità e le mie persone // vado al K due secondi a dire tantiauguri ad A e guarda cosa succede!
Mi fa bene concentrarmi su poco, ma sono consapevole dei sacrifici.. tipo: riuscirò a vederti senza pacchi? Tra quanto? Saturno 🪐 avrà compiuto un’altro ciclo?
(Ma sapevi tu di questa cosa di Saturno che compie il suo ciclo di 30 anni adesso e ne inizia uno nuovo che pare sia tipo una nuova mega fase per l’umanità?! Ti torna?)
T’abbraccio
T, pare che Saturno sia con noi. Pare sia una roba bella. Tipo che da corse e rincorse produttive si passi a una fase più minimal e tranquillona. Questo almeno è quello che mi hanno detto, quindi potrebbe anche essere un telefono senza fili. Ma ci saranno degli astrologi che sapranno queste cose, adesso cerco quelli che dicono quello che voglio sentirmi dire .. #nosaturnocontrobullshit
Queste mestruazioni sono partite e già un po’ il mondo mi sembra meno schifoso e la vita più affrontabile
(..)
L’ansia è una brutta cosa. Bisogna trovare il modo di fare quel niente che vuoi fare (e che ti meriti) comunque! Bisogna trovare strategie per farlo mentre fai le cose, mentre sei con O, mentre leggi di Saturno, mentre lavori. Non so come meglio dire questa cosa che pare un po’ criptica ma credo di avere ragione: con le bimbe piccole e il resto della vita che non frena per te, non si può proprio fare come prima (anche perché a farlo poi ti senti che la tua mente non è proprio libera eccetera eccetera) .. quindi forse bisogna fare le cose lo stesso ma con una leggerezza diversa? Forse.
E poi massima rivelazione: fare pochissimo, tipo ancora meno di quello che pensiamo sia poco, ridurre all'essenziale e pensare che sia più che abbastanza. (..) Poche priorità e basta. Fine. Punto. Il resto è extra e non ha posto nella schedule giornaliera (..) - se riesco bene sennò amen.
Non so se questo approccio ha migliorato la routine, ma ha sicuramente diminuito l’ansia.
Abbracci di conforto al cuore tuo e poi andiamo al K assieme con E e O a trovare P.
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NOI NEL 2022
Solo adesso per la prima volta da quando ho partorito sto davvero mettendo assieme i pezzi di questo primo anno intensissimo e cos�� pieno e speciale. Mi sembra per la prima volta di ricostruire immagini, storie, sensazioni. Di fare il famoso catch-up testa/corpo/spazio/tempo. Ho scritto pure una poesia per non dimenticarmi le cose del 2022 e sto preparando un album di foto da regalare a Emilia per il suo primo compleanno. Forse sto festeggiando anche un po’ il mio primo compleanno, il mio primo anno di una vita (quasi) nuova.
*Noi nel 2022* Margherita Elliot 27/28/29 Marzo 2023
Nel 2022 abbiamo comprato un lettino bianco, mangiato crepes e dato uno sguardo al futuro sulle carte
Nel 2022 abbiamo passeggiato sulla neve quasi sciolta, montato piccole librerie e ballato ritmi jamaicani Abbiamo visto Vienna e capito che la vita è breve, non c’è tempo per lamentarsi e litigare, testimoni del mio corpo trasformarsi abbiamo raccolto bacche di pioppo
Nel 2022 è nata Clara, Sara si è fatta un tatuaggio, abbiamo fatto sorprese e visto le nostre amiche volare in cerchio aggrappate l’una all’altra
Nel 2022 abbiamo camminato tantissimo, imparato la Formula 1 e salutato un cigno bianco al parco urbano Abbiamo sofferto, pianto quasi tutte le ultime notti pensando di non farcela più, abbiamo disegnato e mappato opzioni, ci abbiamo bevuto sù e contato contrazioni, abbiamo interrogato il libro delle risposte e ci siamo consegnate all’ospedalizzazione
Nel 2022 abbiamo raggiunto 1000 seguaci su instagram, abbiamo partorito e sentito subito la mancanza, ci siamo conosciute e consolate, abbiamo dormito, ti siamo venute a trovare, bebè sembravano tartarughe e latte usciva da me Ci siamo arrabbiate, siamo fuggite, ci hanno prese in braccio gli amori della nostra vita, promesse di veglia infinita sono scoccate, abbiamo vissuto uno tra i più bei momenti della vita, ci siamo innamorate e abbiamo dormito di più
Nel 2022 abbiamo cotto un milione di biscotti e imparato ad essere una persona migliore, stampato shoppers, organizzato eventi, cambiato pannolini e consolato tormenti
Dante si è ammalato, abbiamo osservato nonne andare in pensione e nonni tentare la guarigione ❤️🩹
Siamo usciti da soli e fatto bagnetti, carte d’identità, passaporti e cacche fino al collo, abbiamo conosciuto coreografe preferite, cugine, amiche e piscine
Nel 2022 è crollata l’asse dell’armadio centrale, abbiamo volato 14 volte, svariati treni, 2 navi e qualche autobus I nostri migliori amici si sono sposati due volte, Francesco ha annusato l’oceano e i tuoi piedini sono finiti nel mediterraneo
Lucio faceva capolino sulla terra
Nel 2022 abbiamo chiesto a delle bambine di disegnarci il loro parco, siamo andate in una palestra vera, abbiamo camminato in montagna, fatto prove in campagna e montato video che raccontano di noi Siamo state testimoni di testimonianze estremiste coniugali maschiliste e folk, abbiamo inaugurato a Ferrara una tournée da neo mamme, abbiamo fatto scoppiare palloncini di sangue su plastica bianca, bevuto aperitivi in salita e in castelli toscani abbiamo dormito
Nel 2022 abbiamo terminato il patriarcato in strada, mangiato pappe e fabbricato assieme cappellacci, ci siamo sedute dritte dritte e fatto un salto o due al pronto soccorso Siamo state in Francia in Spagna in Olanda e in Inghilterra, abbiamo riso abbracciando Danilo e scoperto che i broccoli sono un ortaggio mangia-smog Abbiamo preso freddo leccando cioccolata, assistito a salti in loop, non festeggiato trentadue compleanni e visto viste mozzafiato
Siamo andate al nido nell’isola e abbiamo litigato assai, con amici e con nemici, fatto ripartire pratiche daccapo, mangiato pane frattau sotto un pergolato, abbiamo fatto festa, visto la nebbia salire e salito un pavimento verso il cielo
Nel 2022 siamo arrivate “finalmente a casa”, ci siamo fatte maschere per il viso e abbiamo imparato a rotolare verso destra e verso sinistra Abbiamo giocato a bowling, fatto assenze a corsi per l’infanzia, pranzato in veneto e comperato un albero di natale vero Abbiamo indossato passamontagna, fallito piani fatti un anno prima e convissuto con il virus
Nel 2022 abbiamo fatto operare la nostra bimba così potesse piangere, cenato in gruppo, unito famiglie e ricevuto scarpe da corsa infallibili
Siamo infine arrivate tra i colli, abbracciato persone speciali, festeggiato minimamente accarezzando bimbə e animalə e finalmente goduto di coccole d’amore incondizionato non verbale e inebriato di vino rosso 🍷
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sto leggendo, a piccolissime dosi e molto frammentato, "le mani della madre" di recalcati. cercando di andare oltre il fastidio fisico che talvolta mi provoca il personaggio (ormai da salotto televisivo) ci sono spunti interessanti che mi fanno riflettere..
mi piaceva condividere con voi alcuni (brevissimi) stralci, con l'unico intento di accendere un lumino, chissà talvolta nel buio possa far comodo. il taglio è fortemente psicanalitico e PER NULLA politico, purtroppo. premettendolo e sapendolo, da forse meno fastidio....
"sul volto della madre"
(...) Solo attraverso il volto dell'Altro posso incontrare il mio volto, solo grazie alla presenza dell'Altro posso costruire la mia vita. (...) La teoria Lacaniana dello stadio dello specchio illustra bene come l'Io i costituisca solo riconoscendo la propria immagine che lo specchio gli offre nella forma di un Altro. Per potersi riconoscere come soggetto differenziato, deve vedersi riflesso in un'immagine di sè che solo l'Altro può restituirgli. (...) C'è stato un tempo in cui per ciascuno di noi il volto del mondo ha coinciso con il volto di una madre; c'è stato un tempo in cui il mondo aveva l'aspetto del volto di una madre.
(...) i disturbi della relazione primaria con la madre coincidono sempre, non casualmente, con la possibilità per il bambino di abitare creativamente l'apertura del mondo. (...) quando una madre guarda il suo bambino vi deposita inconsciamente gran parte della sua storia di figlia. "
"lalingua"
"La nascita della vita è sempre nascita del mondo, cioè nascita della lingua. IN ogni nascita rinasce sempre, nuovamente, la lingua. Questa lingua non è certo quella racchiusa nel codice anonimo del linguaggio, ma una lingua, che Lacan nomina lalangue, fatta di carne, affetti, emozioni, lallazioni, segni, suoni, gesti, bisbigli, corpo, una sorta di sciame che non risponde ancora alle leggi del linguaggio, ma che ne costituisce la materia prima sulla quale quelle leggi si applicheranno. Si tratta di una lingua del corpo, irriducibile ai suoi elementi grammaticali. Si tratta di un primo deposito stratificato di segni generatosi dalla relazione tra la madre e il bambino."
e a proposito di ciò, come si può non accogliere notizie come questa come una bestemmia tremenda... https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/17/i-neonati-parlano-piu-lingue-attraverso-il-pianto-arriva-la-app-che-traduce-il-bambinese-e-aiuta-i-genitori-a-comprendere-i-bisogni-dei-bebe/7031887/
"sul desiderio"
"Con il riferimento al "desiderio della madre" -centralissimo in tutto l'insegnamento di Lacan- non si tratta tanto di negare l'importanza della dimensione costante e affidabile della presenza della madre, quanto piuttosto di mostrare che, per essere una madre davvero "sufficientemente buona", è indispensabile che il desiderio della donna che è diventata madre non si risolva mai del tutto in quello della madre. Ecco il punto chiave: la differenza, la discontinuità della donna dalla madre.
(...) Come madre può continuare ad offrire l'ossigeno necessario alla vita (...) solo se può esistere come donna.
(...) Quando la madre cede alla collera ed all'irrequietezza è, molto spesso, perchè la donna rigetta il suo sacrificio avanzando richieste irriducibili a quelle della maternità. L'irrequietezza della madre può essere il segno dell'esorbitanza della donna rispetto alla madre.
(...) La cultura patriarcale ha inseguito per secoli questo miraggio: la riduzione della donna a madre era finalizzata a cancellare l'eccesso ingovernabile della femminilità."
.....che boccata d'aria mi hanno regalato queste ultime righe..come una licenza a guardare la mia irrequietezza coe qualcosa di non-sbagliato, di non-dannoso per i miei figli... e il tono assieme ad alcune parole chiave si sono portate dietro con estrema chiarezza l'insegnamento di clarissa pinkola estes in donne che corrono coi lupi. la lupa irrequieta che ulula alla sua libertà.
"sulla cura"
"Nell'epoca in cui domina a tutti i livelli della nostra vita individuale e collettiva un'accelerazione del tempo che sembra far venire meno ogni "interesse particolareggiato" la lezione della maternità evidenzia, al contrario, la centralità del tratto singolare e, per questo, mai ideale del sogetto. L'amore materno, se è amore per il nome, non è mai amore di una rappresentazione ideale del figlio, ma è piuttosto amore per la sua irregolarità, è amore per la sua stortura. Un noto detto napoletano lo ricorda efficacemente: "Ogni scarrafone è bello a mamma sua"."
hahaha con questa nota ilare chiudo, allegandovi una prova video del nostro esegeta della maternità ;)
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Questa sono io in questo periodo.
per un quadro completo ci vorrebbe uno scatto delle liti furibonde con ernesto.. ma sono più difficili da immortalare.
vi penso e mi mancate
m.
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Caræ mamace,
anche noi stiamo toccando un punto di stanchezza notevole, la carenza di sonno crea più tensione — tra una cosa e l’altra Emilia è raffreddata da Novembre, le notti sono toste perché va in apnea.
In generale adesso io sono molto sola, con lei, l’aiuto solito sono i/le nonn* a cui però risparmiamo i germi del momento.. e devo lavorare (cosa che faccio nei ritagli dei ritagli, tipo i suoi sonnellini oppure i momenti in cui è tutta concentrata a trasformare il suo crostino in una pappetta deglutibile). Posso dire senza troppi giri di parole che del average/bad parenting potrebbe essere in atto.
Francesco fa tutto quello che può, va in ufficio e quando torna a casa è padre e domestico totale. Non si ferma un secondo.
.. MA PERÒ di base mi trovo e ritrovo a ponderare, mentre abbozzo documenti per regolamentare il supporto parentale e l’inclusività nella nostra organizzazione/compagnia (tral’altro !!), task che trascino da anni: come cacchio fanno due genitori a lavorare full time e occuparsi di crescere una o più creature? E poi, anche nei nuclei sociali più progressisti e nelle famiglie più femministe, è vero che in un qualche modo la maggior parte del lavoro riproduttivo e domestico ricade sempre e comunque sulla madre? Quanto dura questa fase, visto ancor più che i numeri di persone che si occupano di prendersi cura di bimb* è in calo (baby-sitter, ludoteche, doposcuola ecc.)? Come fa una roba così universale a farci sentire così fondamentalmente sole (cit)? Oltre a ‘non-fare-figl*’ e ‘stringere-i-denti’, cosa si può fare?
A noi la vita non va mica male, ma sento che adesso si stanno concentrando e stanno ricadendo tutte assieme parecchie cose e fatiche.. l’aver lavorato in trasferta full-time dal mese 4 post-parto, il non avere ancora in atto strategie lavorative che veramente aiutino una neo-mamma che allatta, l’aver avuto un partner con ZERO paternità, come il non essere stata seguita in modo sufficientemente accogliente in gravidanza e durante il parto, non scappano dalla lista. Ecco.
E poi l'aiuto costa, parecchio. Soprattutto quello 'fatto bene', mi vien da dire. L’INPS dà un po’ di supporto economico, dall’assegno unico ai vari bonus per nidi e babysitter, però non sempre copre tutto, anzi.
.. E alla fine se i genitori lavorano full time, l’aiuto da chiedere è immenso!
.. E aldilà di questo, soprattutto per una madre, è ancora molto e troppo facile che in un qualche modo avere un bimb* rallenti, blocchi, sospenda la tua prospettiva di crescita lavorativa (economica e non solo), i numeri di donne che smettono di lavorare o che prendono part-time sono altissimi. Soltanto a livello statistico tutto ciò è grave. È un cane che si morde la coda, meno soldi fai meno ti puoi permettere aiuti più facile che stai a casa tu, quindi lavori meno (o smetti di lavorare) quindi fai meno soldi ecc. Più o meno funziona così in linea generale?
Poi può accadere anche ai genitori maschi questa cosa, ma accade meno.
E stiamo comunque parlando di persone bianche abili con una laurea e un reddito.
Vabbè non è che scopriamo l’acqua calda, lo sapevo anche prima. Però trovarcisi dentro ti da una prospettiva, seppur meschina, molto approfondita, e dunque speciale.. non voglio ‘perdere l’occasione’ di riflettere su questo proprio adesso che ci sono dentro, di usarlo anche. Non voglio perdere l'occasione di allenare il mio spirito critico.
Quando scrivo quella ethical rider per lavoro, poi ve la condivido.
PH credits: images from https://designingmotherhood.org
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How can something so universal as motherhood be so lonely? How come we all have to experience it and there are no answers to all those struggles? What about our bodies, our hormones, our thoughts, our friends, our loves? Our careers, our homes, our dishes, our laundry, our sexual desires? What happened to our freedom, our showers, our sleeping hours?
Sorry I gave birth I disappeared but now I’m back, Andi Galdi Vinko
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Sorry I gave birth I disappeared but now I’m back, Andi Galdi Vinko
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DEL sensi di colpa
Prima ancora di rimanere incinta, già mi sentivo in colpa. Con il privilegio di poter scegliere di diventare genitrice arriva la grande responsabilità del se, come, quando farlo, cosa offrire. Devo avere fiducia nelle persone, nel mondo. Devo immaginarmi un futuro decente, un futuro che va oltre me stessa. Non riuscivo a farlo. Ad oggi, rispetto al futuro (che a volte sembra già presente) e rispetto al macroscopico, non riesco a trovare serenità. Colgo i miei pensieri, il mio sguardo perso all’orizzonte, consapevole del privilegio e appesantita dalla responsabilità.
Ho letto da qualche parte che “i sensi di colpa inutili vanno buttati nell’organico”, che stressarsi per cose su cui non abbiamo controllo “è gratis, nessun* ti paga per farlo” e che "non ci si può addossare la responsabilità degli errori del mondo sulle spalle" .. tiro il fiato un attimo, eppure queste frasi non mi fanno sentire del tutto sollevata dal peso, del tutto assolta, del tutto innocente. Osservo, noto e penso anche che sentirsi in colpa fa parte di una storia culturale cattolica e punitiva che non mi riguarda, o che mi riguarda solo in parte, di cui mi voglio totalmente e attivamente liberare, in cui non credo.
E quindi in cosa credo? A cosa mi appiglio per questo futuro, cosa è in mio (moderato) controllo? Mi appiglio al mio ricco e privilegiato presente, al mio essere presente e praticare presenza, all’amore, alla fortuna, alle risate e agli istinti. Credo che diventare/essere genitore o rinunciare alla genitorialità, siano lavori semi-equivalenti ed estremamente difficili: bisogna essere prontæ a convivere con i sensi di colpa, con i dubbi, con i rimorsi in entrambi i casi. Credo che in entrambi i percorsi dobbiamo scontrarci con il nostro egoismo, con i punti di domanda, con il nostro essere persone adulte in società, con il trovare appigli per esistere, per centrarci, per sopravvivere.
Non so come concludere, chiamo la fine cosí.
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DEL quanto emilia mi da forza e supporto
Emilia mi da forza e supporto, mi tiene in piedi e forte e calma.
Pensavo mi avrebbe affaticata, pensavo che in un momento di sconforto e coincidenze e sfortunati eventi, avere lei da seguire mi avrebbe stesa. E invece no, l’opposto.
Non è che sono io che riverso aspettative alte e inopportune sulla mia bimba, ricoprendola di una responsabilità che non le spetta? Provo a essere attenta rispetto a questo, faccio dei check con me stessa per evitare scivolate inconsapevoli, per proteggerla dalle pressioni genitoriali in agguato già da adesso, che ha zero anni.
Non sono io; al momento non solo non mi aspetto, non proietto e non riverso, ma addirittura non faccio, non mi sento in grado di fare attivamente un granché. Dunque osservo e basta, noto che questa forza e questo supporto ci sono e che ci sono statæ negli ultimi sei mesi. Che mi sento bene quando mi aspettavo di sentirmi male. Che mi sento calma quando mi aspettavo di provare ansia. Che lei è lì che deve fare cose e io ed il suo papà lì con lei che l’aiutiamo a farle.
È tutto molto semplice e pratico e io da questa semplicità traggo molta forza, e dal suo sorriso molto supporto.
Crediti immagine: Lin Xue
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17 ottobre 2022
non mi sono mai immaginata madre.
Non prima di diventarlo almeno.
Mi sono detta che non ne ho avuto il tempo, ma considerato che sono diventata mamma a 28 anni questa affermazione è biologicamente falsa. E allora sino a 28 anni non ho mai sentito il bisogno di immaginarmi madre. Questo è già di per sé un dato interessante. Nemmeno ho mai pensato che non avrei voluto diventarlo, ma non mi sono mai spinta a pensare a come sarebbe stato, o se davvero lo desideravo. Era un pensiero, le rare volte che si presentava, facilmente posticipabile.
Quando sono rimasta incinta la prima volta, a 21 anni, avevo invece ben chiaro che NON volevo diventare madre. Non ho esitato molto a scegliere di interrompere quella gravidanza. Anche il dolore provato (per quanto fisicamente intenso) è stato decisamente meno profondo di quello sperimentato durante il secondo aborto, non scelto, dopo il primo figlio.
Alla luce di ciò, oggi mi costerna riconoscere di essere quasi ossessionata dalla maternità.
Quasi ossessionata forse anche (o soprattutto) dai miei figli. Dal loro irrompere nel mio quotidiano (com’era prima di loro..? è possibile che io quasi non lo ricordi più..?) e semplicemente esisterci dentro, prendendosi senza domandare tutto il tempo e lo spazio che un tempo era solo mio. Perché quando si parla di maternità non si comincia mai da questo immenso e doloroso, e insieme meraviglioso furto? Di questo “aggiungere un peso ed un volume clandestino, al nostro modo di stare sulla terra”. Perché le donne non sanno affrontare questo gigantesco elefante nella stanza, perché non lo compartiamo e lasciamo invece che resti un terribile tabù, che ci lascia sole schiacciate sotto questo pachiderma silenzioso?
Non riesco a smettere di pensare che questo argomento riguardi profondamente tutte le donne, madri o non madri. Perché la maternità ci riguarda tutte, non solo in quanto figlie (mai un solo è stato più inadeguato, data la vastità e profondità della questione) ma in quanto donne che scelgono, che non scelgono, che subiscono, che cercano, che si trovano dinnanzi al potere del loro potenziale generativo. Anche scegliere di non diventare madri è un enorme tema, di certo pieno di implicazioni, che andrebbe condiviso. Nel mondo ideale la maternità riguarderebbe tutte e tutti, sarebbe tema da affrontare come società, come famiglie, come nuclei, come parenti amici spazi sociali condivisi… credo che in ogni caso la dimensione separata potrebbe consentire di avvicinarsi a quell’elefante senza spaventarlo (e soprattutto spaventarsi) troppo; potrebbe costruire cerchio di calore e accoglienza davanti alla paura del giudizio, di se stesse prima di tutto. Potrebbe fare tutto ciò che la pratica separatista ha il potenziale (spesso purtroppo non espresso) di portare in tutti i contesti e in relazione a tutti i temi.
Oggi scrivo per riordinare i pensieri, perché gli ormoni ancora mi confondono, perché le 24h con un bambino di 4 mesi ed uno di 4 anni rende complesso ascoltare i propri pensieri, perché la rabbia e la frustrazione che mi pervadono quando per troppo tempo ho tappato le orecchie davanti ai miei bisogni e desideri chiedono di trovare una strategia per lasciarli sfiatare poco a poco…
Parlavo dell’ossessione, e di come questa mi spiazzi. Mi restituisce un’immagine di me che non riconosco, mi parla di una maternità che pervade tutte le stanze della vita, dalla quale non è possibile difendersi e che totalizza, al pari di quel concetto di materno che sento tanto distante da me e del mio ideale. Quell’idea di totale e assoluta dedizione, quell’appiattimento sotto chili e chili di disponibilità sacrificale, quell’idea spaventosa e un po’ disgustosa dell’angelo del focolare che non ha altra ambizione se non il benessere della sua prole e del suo santo patriarca.
Mi dice che forse anche questa immagine andrebbe de-costruita, mi suggerisce che a volte il sacrificio possa divenire strategia di sopravvivenza, che combattere affinché quel pachiderma non ti schiacci mortalmente è una battaglia talmente faticosa (e soprattutto solitaria) da non lasciar scelta: tirare i remi in barca, esistere sopravvivendo ai propri desideri e finire per scaricare il peso della frustrazione sull’altro, sul frutto del tuo grembo che, suo malgrado, dovrà essere perfetto per meritarsi tutto quel sacrificio.
Penso a mia madre, all’esempio che mi ha dato e a quello di lei che non vorrei riprodurre, ma penso anche alle tante e tante donne, del presente e del passato, che hanno finito per ingrigire dentro la propria rinuncia alla vita e per scaricare fuori di se tutto il dolore represso, bruciando autostima, ambizioni e diritto alla scoperta dei loro figli e delle loro figlie, e a come questa catena se non spezzata sia destinata a proseguire all’infinito entrando prepotentemente nelle vite di tutti. L’elefante guadagna terreno e toglie aria e respiro ad intere generazioni. Ecco perché nel mondo ideale la maternità riguarderebbe tutte e tutti.
Essere ossessionata dalla maternità, anche questa è un’etichetta, un autogiudizio. Altrettanto vera e altrettanto falsa sarebbe stata l’espressione “assediata dalla maternità”, che pure avrei potuto usare. Ne sono ossessionata, assediata (una mi pare un sovrastima della mia responsabilità, l’altra una esagerata passivizzazione… ci sarà nel mezzo una verità?) perché sono madre adesso, e qui, mi chiedo?
Quanto pesa in questa sensazione il sistema sociale che abitiamo, che ci plasma, che disegna attorno a noi tempi, ritmi, relazioni, possibilità, frustrazioni? Forse non dobbiamo chiederci quanto pesa, che anche se in forme differenti il contesto ha sempre pesato, e dato forma al modo delle donne di vivere la maternità, e la loro condizione femminile in genere. Forse la domanda più che quanto è come condiziona il nostro vissuto quotidiano di donne, di mamme.
Il primo elemento a me evidente riguarda la scarsa diffusione della condizione di mamma tra le mie coetanee (o simili, diciamo tra i 27 e i 37 anni). La solitudine che l’essere mamma oggi, a 33 anni, ti disegna attorno è un dato che non avrei mai immaginato, forse proprio perché ho tardato tanto ad interrogarmi sul tema. La solitudine prende corpo e consistenza quando ti accorgi che il tuo quotidiano è non solo inimmaginabile dalla maggior parte delle donne attorno a te, ma soprattutto totalmente insostenibile ed incompatibile con le loro vite, i ritmi, le priorità, i bisogni ed il modo che hanno per rispondervi.
Poco importa se spesso, scavando in profondità, i bisogni sono pressapoco gli stessi.
D’altronde la nostra specie è famosa per sapersi costruire antagonisti ed ostacoli ogni volta diversi ma ugualmente capaci di vincolare e limitare le nostre felicità in modo tanto preciso da sembrare scientifico.
Il secondo elemento che discende da questo è la tua sparizione come donna, come Essere precedente. Questa sensazione l’ho provata fortissimamente dopo la nascita del mio primo bimbo, con il secondo sapevo che sarebbe arrivata, la temevo ma la conoscevo, sapevo che era condizione mutevole e cercavo di tener stretta la consapevolezza della sua “temporaneità” per essere meno spaventata.
La verità è che, come ci insegnano le basi dell’aritmetica, una sparizione sommata ad una seconda sparizione fanno due sparizioni. E quello di te che stai recuperando torna ad ofuscarsi, e nessuna razionalità può “curare” gli attimi di terrore che questo ofuscamento suscita. Momenti, fortunatamente.
Poi c’è tutta la questione dell’emancipazione. Oggi (siamo ragazze degli anni ‘90, moderne, un po’ ribelli, femministe, di sinistra…) il mondo (e tu con lui, fortemente) si aspetta che diventare madre non ci costringa in casa, ci si aspetta che la parentesi del parto e del puerperio si chiuda in fretta ed in modo indolore e che le donne tornino ai loro ritmi con tenacia, desiderio, quasi senso di liberazione.
Che liberazione il nido dai primi mesi, che liberazione gli aperitivi con gli amici, che liberazione i nonni nuovi genitori, che liberazione continuare ad essere giovani. Che liberazione.
Ma la notte non si dorme, i pensieri non trovano più lo spazio di essere ascoltati e ti bussano nei momenti più improbabili, quando più avresti bisogno di spegnerti e riposare; ma il lavoro (qualsiasi esso sia) assume quel ruolo ambivalente e conflittuale di affrancarti dal tuo ruolo monocorde di madre full time, e assieme pretenderti capace, scattante come forse non eri nemmeno prima, perché ora devi dimostrare a tutti (te stessa per prima) che niente è cambiato, che la dedizione e l’efficacia sono ancora garantite; ma gli amici e le amiche sono scomparsi, perché per qualche mese hai abdicato al ruolo di fedele presenza che sa offrire ascolto, impegno, condivisione. Magari hai faticato a ritagliarti il tempo e lo spazio da preparare a questa creatura che ti chiedeva di accoglierla, magari ti è costato tanto fermarti e hai dovuto autoconvincerti che fosse sacrosanto oltre che necessario, e che nulla sarebbe cambiato perché le cose importanti come le relazioni sanno aspettare, cambiare e plasmarsi. Ma è troppo difficile adattarsi ai tuoi nuovi orari, alle tue nuove necessità, ai bisogni a cui rispondere (qui ed ora, sempre!) che diventano di altri ed ai quali tu proprio non puoi (non vuoi!) sottrarti. E allora ritrovare il mondo fuori diventa ostaggio di una recita. Puoi incontrarlo (e nessuno sa quanto ce ne sia bisogno) soltanto nella misura in cui sei in grado di indossare la maschera del “va tutto bene e nulla è cambiato”. Nessuno sembra disposto a mettere in discussione che il tuo sguardo e la tua postura sul mondo possa essersi modificata, o meglio nessuno sembra disposto a scendere a patti con questo. Tu torni ad esistere in proporzione alla tua capacità di recitare la parte di “quella di prima”.
Avverto con estrema chiarezza la violenza di questo meccanismo. Diventa un vortice.
La necessità di recuperare relazioni, il bisogno di “fare entrare un po’ di mondo” si fa ogni giorno più pressante, e quando trovi un piccolo spazio interstiziale in cui farne entrare uno spicchio senza sacrificare troppo della tua disponibilità quotidiana alla riproduzione della piccola vita che stai accompagnando, in quel piccolo spicchio senti respinta con decisione ogni parte di te che non è più in grado di adattarsi. Adattarsi alla fretta e alla superficialità delle comunicazioni e delle relazioni, adattarsi alla totale incapacità di guardarsi per quel che siamo veramente, incapacità di incontrarsi portando con se la gioia e la forza come anche l’incertezza, la paura e la fragilità.
Adattarsi alla totale indisponibilità di modificare le cornici dentro cui ci muoviamo, non perché non sia possibile farlo, ma perché ci terrorizza fare spazio alla possibilità di incontrare le nostre contraddizioni, i nostri malfunzionamenti, la nostra violenza, il nostro egoismo. Perché socialità è diventata (in modo assolutamente funzionale al sistema repressivo che abitiamo e che ci abita) alternativamente sinonimo di divertimento superficiale e consumo forzato / rigidità politica colma di paura mascherata da movimentismo friendly / scenografia vuota e dimostrativa che ci disegna e racconta che possiamo liberarci dal capitale e dalla sua tirannia… E un faro enorme, una luce feroce illumina l’innegabile evidenza che non sappiamo ascoltarci, non sappiamo incontrarci, tenderci una mano, guardarci negli occhi, condividere un silenzio, chiederci aiuto, amarci. Sappiamo soltanto distrarci insieme, ma senza avvicinarci troppo.
E davanti a questo dolore straziante la tua solitudine diventa esponenziale, non esiste appiglio al suo oceano immane, e la forza di mascherarti da “quella di prima” si esaurisce in un secondo. Ti rifugi nella purezza profonda e Reale dello sguardo di tuo figlio, ti dici che quella mano che ti cerca quello sguardo che si apre assieme al tuo sorriso sono la sola cosa che vale la pena di salvare, e che non vuoi sacrificare quella verità sull’altare di nessun bisogno di altro, e altri.
Ma anche questo è falso, è terribilmente falso.
E la spirale si avvolge su se stessa, torni indisponibile all’incontro, indisponibile alla violenza di un compromesso eccessivo, e di nuovo, sparisci.
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oggi è già il 20 e ancora non ho trovato tempo e forze per continuare (finire?). anche questo è tipico della maternità, no? :) allora dato che questo è un diario/archivio condiviso, lo lascio qui così aperto, magari lo proseguirò io, magari una di voi...:) ciao sorelle, molti baci
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Se habla de Gabriel Rosario Castellanos
Como todos los huéspedes mi hijo me estorbaba ocupando un lugar que era mi lugar, existiendo a deshora, haciéndome partir en dos cada bocado.
Fea, enferma, aburrida, lo sentía crecer a mis expensas, robarle su color a mi sangre, añadir un peso y un volumen clandestinos a mi modo de estar sobre la tierra.
Su cuerpo me pidió nacer, cederle el paso, darle un sitio en el mundo, la provisión de tiempo necesaria a su historia.
Consentí. Y por la herida en que partió, por esa hemorragia de su desprendimiento se fue también lo último que tuve de soledad, de yo mirando tras de un vidrio.
Quedé abierta, ofrecida a las visitaciones, al viento, a la presencia.
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