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DARGEN D'AMICO - BIR TAWIL
Bir Tawil o Bi'r Tawil (arabo egiziano : بير طويل Bīr Ṭawīl [biːɾ tˤɑˈwiːl], che significa "lungo pozzo") è un'area di 2.060 km², lungo il confine tra Egitto e Sudan, che non è reclamata da nessuno dei due paesi. Nel 2014 lo scrittore Alastair Bonnett descrisse Bir Tawil come l'unico posto sulla Terra abitabile ma non rivendicato da nessuno Stato. Bir Tawil è anche il titolo del nuovo album di Dargen D’Amico, che come il suddetto luogo riesce sempre ad essere l’unico (o uno dei pochissimi) artisti con uno stile talmente personale che non si può configurare sotto alcun genere musicale specifico. Nato dal rap, la sua evoluzione artistica l’ha portato sempre più verso spunti elettronici e infine verso uno stile sempre più personalizzato, rendendo i suoi lavori una vera chicca della musica italiana. Le liriche sempre complesse, filosofiche, ma che comunque sanno essere leggere, quasi recitate sulle strumentali, creano un immaginario che strizza l’occhio all’indie e al cantautorato, dando numerose sfumature che definirei psico-sociali; insomma, il modo con cui comunica nei suoi pezzi Dargen è peculiare, ma questo lo sapevamo già.
Quello che viene fuori da questo nuovo disco è forse una più ricercata forma stilistica, che rende i brani più complessi liricamente e musicalmente oppure stiamo parlando di un tentativo in parte fallito?
Difficile a dirsi, come in tutti i lavori di Dargen l’ascolto deve essere seguito da ulteriori ascolti, per coglierne le molteplici sfumature emotive e concettuali, mai banali, ma in questo disco sembra che la magia a mio avviso non si ripete, se non per alcuni pezzi.
I brani in apertura (se parlassimo di un doppio LP, il lato A e B del primo disco) sono all’altezza ma non arrivano mai a darti il colpo di grazia, a darti l’incanto metafisico che solitamente lascia Dargen e scuserete la pignoleria, ma come esso stesso dice “pretendiamo l’eroismo dagli eroi” e quanto fatto mi piace, ma non mi basta. L’artista ci prova sempre senza riuscirci veramente, con pezzi come Abbastanza (piccola chicca, il mantra “se cerchi Dio nel mondo, lo trovi” mette energia e speranza), ma poi nella seconda parte del disco si perde e non incide.
Da salvare c’è molto, alcune frasi, alcuni brani come Monte, Senza Restare da Soli, Due Gemelli, Ma Non Era Vero o Boulevard Verona, nel complesso brani davvero interessanti, ma nulla di più per un artista che ci ha fatto pensare al mondo etereo dove nascono le canzoni e dove fortunatamente ha pescato spesso.
Quindi non il disco più bello di Dargen D’Amico, ok, ma comunque un disco che consiglierei a chi vuole sentire qualcosa di diverso, inoltrarsi in Bir Tawil vuol dire perdersi in un viaggio lungo in un territorio libero, non rivendicato, anche musicalmente.
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A$AP ROCKY
A$AP ROCKY, UN ALIENO IN VISITA NEL NOSTRO MONDO (RAP)
Ho deciso di parlare di A$ap Rocky considerando la sua discografia, perché parliamo di un artista giovane e perché per parlare di lui non ci si può esimere dal confrontarci con la sua evoluzione da un disco all’atro.
Cominciamo con il dire che non è mai risultato tra i miei artisti preferiti, ma probabilmente perché il suo arrivo è stato di forte impatto e il suo portare una musica futuristica permette solo oggi di apprezzare veramente il suo operato; il suo SWAG è stato una decina di anni avanti rispetto alla musica di oggi giorno.
Diciamo pure che è un artista molto interessante ma di cui è difficile parlare, la sua musica, le sue influenze ecc sono uniche e infatti ha sempre saputo portare avanti uno stile ben distinto, fresco, super cool e con il tempo sempre più particolareggiato (marchio di fabbrica), che ci fa riconoscere la sua roba al primo ascolto, e questo al giorno d’oggi non è per niente poco; in un’epoca in cui si insegue molto il risultato con il pacchetto pronto, come con molti artisti trap per fare un esempio, avere un proprio stile e risultare contemporaneamente così vincente è difficilissimo, ma A$ap Rocky ci riesce con una facilità e un carisma che non hanno eguali. Stiamo parlando di un alieno del mondo del rap, capace di portare la sua musica, ricchissima di influenze (dalla south, all’east-cost rap, passando ben volentieri dal trip-hop, dall’elettronica, dalla low-fi), con tutte le sue sfumature con una naturalezza senza eguali, come se fare rap così fosse la normalità prima della sua venuta sulla terra.
Partiamo dal suo primo disco, LONG.LIVE.A$AP… ascoltandolo a posteriori, personalmente non è un lavoro che ho apprezzato, alcune tracce di poco gusto, che stonano con il restante percorso artistico, hit estemporanee ma sicuramente di impatto che hanno scalato le classifiche, ma che per quanto mi riguarda sono lontane dalla piena esplorazione del talento del rapper di New York, di cui apprezzo molto di più la capacità di variare le sonorità. Però possiamo dire che già nel primo disco si ha la coscienza di avere subito a che fare con un rapper non comune, d’impatto, con un flow tutto nuovo, ma che lascia intravedere il meglio più che riuscire a sintetizzarlo nel disco… e così non sarebbe se non fosse così incredibile il suo lavoro successivo.
AT.LONG.LAST.A$AP (AHHHHH)(sentitelo e capirete) è il mio disco preferito della discografia di Rocky. Per uniformità, stile, genialità è il disco più riuscito, indubbiamente, stiamo parlando di una chicca assoluta. A$ap partecipa in parte anche alle strumentali e diventa importante saperlo visto che le sue produzioni nelle sue opere saranno sempre più presenti e visto che parliamo di un sound veramente unico nel suo genere. Se nel primo disco troviamo un ragazzo affamato con il proprio stile, qui troviamo un rapper incredibilmente maturo, lo notiamo dal sound, dalle liriche, è tutto veramente di altissimo livello e tutto veramente fichissimo, e il suo tocco marchio di fabbrica si sente in ogni traccia, praticamente tutte riuscite.
Il disco è in realtà un lungo trip, si viene catapultati dalle sonorità nel mondo alieno del rapper, che ci trasporta in un continuo viaggio con lui, il suo disco più trip-hop se proprio dobbiamo darli una definizione che comunque risulterebbe riduttiva. Tracce da ballare, da ascoltare stesi e viaggiare, da bangare con la testa, ce ne è veramente per tutti i gusti e sembrano non finire mai: quando senti di essere arrivato al culmine dell’energia, c’è un cambio di flow o un cambio di strumentale stupefacente che ti trasporta a tutto un altro tipo di esperienza, è incredibile, come riesce a spaziare dal south (molti i riferimenti agli Outkast nelle sue tracce), al New York rap, a roba dal tocco soul a pezzi più SWAG (termine che probabilmente viene usato con continuità dopo il suo arrivo nella scena, qualunque cazzo di cosa significhi) all’interno non solo dello stesso disco, ma della stessa traccia! Si parte con la spettacolare Holy Ghost, spettacolare, la chitarra che accompagna tutto il pezzo con il coro finale fa veramente volare; segue un pezzo enigmatico come Canal St, che inizialmente sembra il classico pezzo di A$ap, ma poi subentra un campione che trasforma il tutto in qualcosa di indescrivibile; il viaggio continua con l’intrippante Fine Whine, anche questo pezzo un evoluzione di suoni che fa planare dal pavimento e riatterriamo solo per un attimo, visto che a seguire c’è L$D (titolo chiarissimo), pezzo autoprodotto. Sembra che il viaggio non finisce mai grazie a pezzi come Excuse Me, JD, Jukebox Joints (feat Joe Fox, quasi onnipresente, e Kanye West), la spettacolare Pharcyde. Il trip termina solo con un pezzo veramente hit estemporanea dell’album, Everyday, che però per quanto esca un po' dal mood impostato conferma A$ap Rocky come un maestro della hit estemporanea, perché veramente è incredibile.
Il suo ultimo disco, TESTING, è meno riuscito del secondo e forse anche del primo, ma resta incredibile il suo operato avendo la maggior parte delle tracce autoprodotte. Infatti il sound è molto più plastico ed elettronico, con suoni provenienti dallo spazio probabilmente (XD), ma riesce a non perdere la vena trip-hop con pezzi come A$ap Forever REMIX in cui troviamo addirittura Moby (intento dichiarato già dal nome) oppure CALLDROPS con Kodak Black o Kids Turned Out Fine. Come già detto si conferma maestro della hit estemporanea con Praise The Lord (Da Shine) feat la rivelazione dell’anno Skepta.
Insomma, parliamo di un rapper in completa evoluzione stilistica, che spero esca con un nuovo disco che sia l’evoluzione degli ultimi due album in particolare e che ci faccia volare e intripparci come ha sempre fatto finora. Peace.
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BUSTA RHYMES - E.L.E. 2: THE WRATH OF GOD
BUSTA RHYMES , DISCO DELL’ANNO?
Ci troviamo ad ascoltare un disco quasi perfetto dell’ormai navigatissimo (e sempre prolifico) Busta Rhymes, vero God of Rap, come da lui spesso ribadito (non gliene voglia Eminem). In un epoca di lavori che spesso inseguono la formula del successo dettata dalla trap, Busta esce con un disco che suona 90’s, ma anche anni 2000, 2010 e 2020; veramente naturale per lui tirare fuori un disco così fresh, senza snaturarsi e lasciando pezzi di spessore. Odore di classico.
Il disco trasmette fotta, fa riflettere, tecnicamente è complesso (come Busta Rhymes è sempre stato), ma penso nessuno si aspettava un lavoro di questo livello, di questo impatto. Impossibile rimanere fermi e non bangare la testa, impossibile non gasarsi di fronte a tale show off di skills al microfono.
La cosa però che più fa piacere è sentire che un veterano del genere riesce a portare un sound cosi Hip-Hop (molti sono i riferimenti ad altri dischi classici del genere, citazionista) ai giorni nostri, dove la luce un po' si è persa, ci siamo smarriti per seguire nuove mode e nuovi trend, ma Busta sembra volerci dire e ribadire che Dio è tornato ed è tra noi ed è un Dio potente e vendicativo.
L’MC mostra il suo stile complesso e distruttivo dalla prima all’ultima traccia, anche in quelle meno riuscite, che sono veramente poche, dandoci nuove hit da ascoltare a tutto volume e tutto il resto non conta niente, basta a se stesso (così si fa). Le strumentali sono perfette, con spesso cambi all’interno degli stessi pezzi, lasciando veramente mai insoddisfatti e non facendo pesare le strofe del rapper, anche le più lunghe, non stanca. Busta poi è capace di mostrare tutto il suo flow e la sua vocalità giocando con gli incastri e la voce, non rendendo quasi mai una traccia simile all’altra (“qui è dove fa questo, questa è dove dice questo…” ecc, rimane in testa) e non abbassando quasi mai l’asticella dopo averla alzata. Pochi rapper riescono ad avere un tale impatto vocale e contemporaneamente a mantenere alto il tasso di tecnicismi, solo i migliori e qui ribadisco, siamo di fronte ad un maestro unico nel suo genere.
Dopo l’intro che fa capire già di cosa stiamo parlando con le featuring di lusso di altri 2 veterani del genere, Rakim e Pete Rock, subito si parte con una strofa perfetta, letteralmente (The Purge), seguita subito da un altro show off di stile assurdo quale è Strap Yourself Down, che quando sembra averti fatto rizzare i capelli, cambia e continua il lavoro, da impazzire; mi ha lasciato imbarazzato per quello che stavo sentendo e poi… non si ferma, anzi propone un pezzo di energia pura come Czar (feat MOP), che riprende le parole di Ante Up, citazione perfetta. Ma per assurdo non è finita perché segue uno dei miei pezzi preferiti del disco, Outta My Mind, altra citazione, che a me ha mandato letteralmente fuori di testa, lo stacco nel ritornello che lascia spazio al sample per poi ripartire con 3 strofe da saltare ovunque, come ad un live, un bel live. Finalmente ci possiamo rilassare, nei pezzi successivi, che fanno rifiatare, ma il nostro è un relax di lusso, perché parliamo di brani ottimamente riusciti tra cui vediamo anche la featuring con il compianto (RIP) Old Dirty Bastard e il “compare di sempre”, Q-Tip, che spaccano ogni cosa. Bella anche la hit (vedrete) Boomp! Secondo me farà uscire un video, alla quale segue una strofa su una strumentale come al solito perfetta di nientepopodimenoche DJ Premier (scusa eh).
Siamo a metà disco più o meno… ma di che stiamo parlando esattamente???
Master Fard Muhammad mi fa piacere anche Rick Ross, solitamente non il mio rapper preferito, mentre YUUU , Oh No e The Don & The Boss, sono forse i pezzi meno riusciti, ma serviva qualcosa per smorzare, perché si riparte subito: Best i Can (feat Rapsody) è bellissima e molto deep; Look Over Your Shoulder feat Kendrick Lamar (!!!) è il mio pezzo preferito del disco (e forse dell’anno), va a mettere l’etichetta di classico sul disco.
Tutti i brani sono comunque ben riusciti ed al posto giusto, innegabile. C’è solo da rituffarsi nell’ascolto di buono e sano Hip-Hop, tutto qua infondo. Peace.
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GHEMON - QUALCOSA È CAMBIATO
LO POSSO DIRE? UNO DEGLI ULTIMI CLASSICI DEL RAP ITALIANO
Disco a cui sono molto legato, umanamente e artisticamente, lo conosco a memoria praticamente (anzi senza praticamente), ci sono cresciuto, mi ha cresciuto e cosa più importante… ha rappresentato per me qualcosa di più che musica.
Tutto il percorso di Ghemon (aka Gilmar) fino a questo disco è stato un’escalation di qualità su qualità, classico su classico, disco dell’anno su disco dell’anno; sono gusti è vero, ma quello che ha fatto G per il rap italiano… chi può dire altrettanto? Pochissimi.
Artista con la A maiuscola, ha fatto credere a tanti ragazzi come me che si poteva fare un rap più vero, più spesso dal punto di vista delle liriche, dei concetti, degli argomenti. Non parla di strada, ma non ci importa; è esistenziale e mai come in questo disco, dove arriva davvero al culmine di un percorso creativo iniziato con “Qualcosa Cambierà Mixtape” e purtroppo, aggiungerei, terminato con questo disco. Perché adesso Ghemon è altro, è vero, forse ha rinnegato, forse considera ciò che è adesso la naturale evoluzione del suo stile, ma tutto ci fa presagire che non riavremo mai più tutto questo, che è veramente tanto, un massiccio.
Lo stile è ormai ben distinto ed estrapolato, estratto, da tutti i suoi sottoinsiemi (soul, R&B, J Dilla, Conscious rap, di cui possiamo dire Ghemon rappresenta la nostra controparte italiana per eccellenza, il capostipite) e suona davvero unico, rarefatto. Ricercato nei suoni, nell’uso del linguaggio, nelle citazioni (e cosa si può chiedere di più ad un rapper?).
In mezzo a tanti rapper che millantano di vite che non vivano, di problemi che non hanno, che sanno solo essere la brutta copia, le controfigure dei rapper USA, qui abbiamo la salvezza: rap italiano, che rispetta il passato e lo porta avanti, fatto fieramente in italiano, non ci fa rimpiangere neanche un po' l’hip-hop americano, ma ci fa dire che è hip-hop veramente nostro, dove tutti i ragazzi possono ritrovarsi, un po' come accade oltreoceano.
Ed è forse questo il più grande risultato di Gilmar con questo disco, arrivare ad ispirare una vera e propria fetta di pubblico con un modo alternativo di fare rap, di ascoltare rap; tanti devono confessare il nome di Ghemon tra le proprie influenze, della mia generazione, molti dei quali non se ne rendono nemmeno conto, ma è a lui che dobbiamo l’apertura di una strada alternativa del rap italiano convincente… e scusate se è poco.
Le metriche sono talmente di alto livello che Ghemon, un po' narciso, si diverte un pò troppo ad ascoltarsi, forse l’unico difetto, ma che per alcuni può essere un pregio, punti di vista… in ogni caso lascia questa impressione.
Pezzi come PTS pt 2, Mai Voltarsi, Paraphernalia, La Verità (Non Abita Più Qua), Confessioni di una Mente Meticolosa, Fantasmi pt 2 sono veramente irripetibili, per tecnica, lessico, stile, strumentali. Gli altri pezzi “più leggeri” sono comunque perfetto completamento del disco.
Non parlerò di ogni traccia perché mi risulta difficile trovarne una preferita e perché per ognuna dovrei scrivere un tema breve, anche per quelle un po' più leggere… un solo consiglio, sentito, se vi piace il rap italiano, ascoltatelo. Non vi capiterà tra le orecchie niente di simile. Word Up.
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SPERANZA - L'ULTIMO A MORIRE
E’ FINITA LA PACCHIA, C’E’ SPERANZA
Vi piace il rap che viene dalla strada? La “vera” trap? Questo è il disco vostro. Dirò la verità… ero scettico.
Al primo ascolto ho pensato: “Nulla di nuovo o di diverso”; al secondo ascolto ho detto: “Si ok il rap di Speranza spacca , ma le basi sembrano dei type beat”; al terzo ascolto ero con le mani in aria perché quale type beat? È tutto fatto alla perfezione per lasciare spazio alla cattiveria del rapper casertano, che proprio spacca tutto, c’è poco da fare. Vero fenomeno. Rocambolesco. L’Italia non è pronta.
La trap si fa così o forse sarebbe meglio non farla tante volte, parere mio… non è un genere che si può prendere poco sul serio, si parla di armi, sesso, strada e brutte storie di brutti quartieri e perciò non tutti sono Speranza, non tutti sembrano avercela scritta in faccia la propria storia, e raccontarla così, con questo impatto sull’ascoltatore, che viene letteralmente aggredito verbalmente dalla prima all’ultima traccia.
Il disco è praticamente perfetto fino a Spall A Sott 4, sarebbe stato difficile tenere il livello così alto per tutto il disco.
Casertexas, intro del disco, è una vera mina che apre tutto il discorso; Fendt Caravan segue ed è hit; subito dopo parte quella bellezza di A La Muerte feat Tedua, che è veramente spettacolare. Dopo il disco cala secondo me, nonostante featuring altisonanti come Gue e Massimo Pericolo, ma parliamo comunque di belle tracce. Da notare Camminante con Rocco Gitano e Omm I Mmerd, che non si prende sul serio e smorza un po' il mood. Belle. Spaccano. Ma proprio a fine disco si rialza l’asticella, con Iris, “canzone d’amore”, come ci si può aspettare da Speranza, una confessione sincera, una strumentale diversa dalle altre e “da uomo elegante” è seguita da Puttana*** (che ci sta ma non mi ha fatto impazzire); da notare Le Fief, tutta in francese, spettacolare, e Calibro 9 con Don Joe alla base (si nota?) e Kofs che accompagna al microfono.
Resta proprio un bel disco, magari non piacerà a tutti, ma sicuramente di impatto, da un rapper navigato (anche se emergente) come Speranza, che porta se stesso e il suo modo di fare, real al 100%.
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MADLIB / OH NO - THE PROFESSIONALS
Eccoci ancora al grande classico….. e invece no!
Siamo nel 2020 e questo è un disco di Madlib & Oh No, i due fratelli per l’occasione soprannominatosi The Professionals.
Due Geni a lavoro con la G maiuscola e uno dei producer in assoluto miei preferiti, Madlib, che non riesce a sputare fuori roba di bassa qualità nemmeno per sbaglio con gli speaker spenti. Loop soulfull, pesanti, batterie frastornanti e intrippanti sono il marchio di fabbrica del producer di Oxnard che non manca all’appello mettendo il suo marchio di fabbrica.
Una cosa va detta però… a questo giro non osa! E questo è un dispiacere.
Nonostante il disco suoni attuale soprattutto per le tematiche trattate nelle ultime tracce (il trauma del militare, il lavoro che non si trova che costringe good kids a diventare mad thugs e altro) e tecnicamente stilosissimo, con Oh No che sprigiona (in quanto super umano hahah) un flow liscio e impeccabile, mi risulta un po' fuori contesto, fuori da tutto, isolato nel suo mondo. Questo non è per forza un male, sia chiaro, ma mi sarei aspettato un lavoro più profondo e complesso per i nomi in gioco, un disco da piazzare come un mattone nel rap game attuale, spesso troppo superficiale e capace di ingoiare qualsiasi schifezza e rigettarla sul pubblico… ma non riesce in questo obbiettivo.
Ovviamente non mi è dovuto questo tipo di approccio e il disco rimane comunque di alto livello (apprezzabilissimo), ma Madlib ha sempre avuto quel gusto e quella qualità che riconosci subito pure in mezzo al miscuglio di generi di oggi, al “Trappesimo” onnipresente nella musica di vetta, riuscendo sempre a imporsi (esempio perfetto sono i lavori con Freddie Gibbs Pinata, del lontanissimo 2014 e Bandana uscito lo scorso anno) ed a riscuotere un discreto successo non solo dai fan più appassionati; qui invece sembra accontentarsi e noi ci accontentiamo con lui ovviamente, ma il rimpianto resta per un disco che è stato lungamente aspettato.
ASCOLTATE, ASCOLTATE, provate a dire che a fine disco non ne vorreste di più, non avreste voluto qualcosa in più, poter sentire ancora, perchè la qualità c’è, non c’è dubbio!
Pezzi Consigliati:
- Payday
- I Jus Wanna
https://www.youtube.com/watch?v=4AxX7PAc6sQ
https://www.youtube.com/watch?v=fDF7nDWOe4I
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A TRIBE CALLED QUEST - THE LOVE MOVEMENT
Eccoci ancora al grande classico.
The Love Movement è il quinto album del leggendario gruppo newyorkese ATCQ (A Tribe Called Quest), composto da Q-Tip (aka The Abstract), Phife Dawg (compianto, RIP) e il Dj Ali Shaheed Muhammad, anche se intorno al gruppo hanno sempre navigato numerosi artisti della scena rap newyorkese e non (vedere per esempio il grande J Dilla). Questo doveva essere nelle intenzioni l’ultimo disco del gruppo, cosa che arricchisce ancora di più il contesto dell’album, infatti sapendolo l��hype è alle stelle, cioè…. Il finale di una saga cosi incredibile come quella del gruppo del Queens è veramente inconcepibile, mettere l’ultima parola su un gruppo che ha fatto la storia, come tutta la Native Tangues Posse, di cui il gruppo faceva parte, è una cosa irripetibile. Per me rappresentano uno dei gruppi che più ha celebrato l’ideale Peace, Love, Unity and Having Fun che sta alla base dell’Hip-Hop, uno delle cose di questa grande “cultura” che più mi ha affascinato. Le tematiche sono sempre rivolte al divertirsi, alla pace della comunità che rappresentavano, al viaggio e alle esperienze di vita… e allo spaccare il microfono (inteso nel senso più stiloso di “rockare” il party al mic).
I primi due dischi dei tribe sicuramente restano pietre miliari più solide rispetto al nostro, ci sono cresciuto letteralmente nella fase di appassionamento puro, ma ho scelto questo perché è forse il disco più underrated dei Tribe, ma non il meno importante.
Veniamo al disco. È il 1998, il gruppo è ormai affermato, ha la sua formula e già dal precedente lavoro (Beats, Rhyme and Life) collabora con J Dilla per le produzioni (Q Tip principalmente, vero genio musicale onnipresente nelle produzioni del trio), formando assieme a The Abstract il gruppo stellare che prende il nome di The Ummah (parola che significa comunità, nazione, fratellanza). Dovrei parlare di J Dilla (Rest in Power), ma ahimè non è questo il momento, ci sarà sicuramente l’occasione più avanti. Il sound è quindi veramente unito e consolidato, unitario in tutto il disco, dove non c’è una produzione che non faccia muovere la testa. Riportato ai giorni nostri resta un classico secondo me, forse avrei solo rinunciato ad un paio di tracce, ma per il resto untouchable.
Per quanto riguarda il rap è solidissimo con un Q-Tip veramente al top della forma e Phife che si fa trovare sempre pronto (gli scambi tra i due al microfono sono sempre ben dosati e bilanciati) e anche se molti dicono che questo è il disco più lavorato, meno naturale del gruppo, a me non sembra proprio; i messaggi arrivano, lo stile è quello Tribe dalla prima all’ultima traccia e non mancano i “pezzi da live”; sentirli dal vivo sarebbe oramai un sogno proibito purtroppo, ma come in tutti i loro dischi ci sono sempre quei pezzi che mi immagino cantati in perfetta sincronia dai due MC, con tutto il pubblico a interagire e gridare/divertirsi e The Love Movement non è da meno, vero party rocker (belli i tempi in cui avere una dimensione live contava veramente qualcosa, se non tutto, oggi è diverso, ma come dico spesso… cambieremo il mondo un altro giorno).
Si comincia con Start It Up e subito è boom cha boom e subito è testa che si muove a tempo, messaggi ai ghetto rebel, crowd che balla con Q-Tip che spezza la frasi in perfetta sincronia con il sample e inizia subito a filosofeggiare su spiritualità e armonia, mentre ti fa muovere il culo, questo è il suo tratto distintivo (e in questo ricorda il mitico stile ATLiens degli Outkast, che non a caso verrà citato più avanti nell’album); il viaggio continua con l’eccellente Find A Way, non a caso main single del disco, pezzo da ballare in compagnia. Seguono altri pezzi da prendere nota come Like It Like That, Give me, Pad & Pen (bellissima, per tutti gli scrittori di liriche nel posto che vogliono posare la penna, come consigliato) e Hot 4 U. Si arriva cosi al pezzo iconico del disco, The Love, dove viene fuori l’ideologia del disco, pezzo che ti cambia la giornata (quando non ti cambia la vita aggiungerei) in cui vediamo solo Q-Tip che elenca le cose che più ama, celebrandole. Pezzo Consigliato senza dubbio.
Per concludere, riascoltarlo è stata una vera bella esperienza, immagino come sarà ascoltarlo per davvero la prima volta.
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GANG STARR - MOMENT OF TRUTH
CLASSICO DELLA DOMENICA
Non so veramente come iniziare, ogni parola usata è riduttiva per il milite che rappresenta per il genere (e per la mia vita).
Ho letteralmente iniziato ad appassionarmi alla musica con questo disco, ricordo i testi che cercavo ovunque, la visione di Guru (RIPower) di assoluto mito, la fotta che mi metteva anche solo il titolo (ognuno avrà il suo “momento della verità”) e ricordo quanto mi sbattevo sperando che musicalmente quel giorno sarebbe arrivato per me, che sarei stato pronto... era qualcosa di più di un disco per un ragazzo appassionato di Hip-Hop.
Inoltre, Guru riesce a dare la versione più intelligente possibile di un MC, lato che mi ha sempre intrigato, la street knowledge fatta persona, in mezzo a liriche pompose e autocelebrative che per un ragazzo adolescente suonavano troppo superficiali per la sua rivalsa contro il mondo... apriva letteralmente un mondo in cui sprofondare, fatto di rime, rispetto guadagnato e discipline da studiare, l’hip-hop insomma.
Non consiglierò un pezzo perchè mi è veramente impossibile, ascoltatevelo TUTTO e leggete i testi, perchè... experience is the best teacher. A già.... il producer è Dj Premier, spero basti veramente solo il nome.
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BLOODY VINYL VOL 3
Rap e cassa dritta.
Parto dicendo che per quanto mi aspettavo un prodotto pop, avevo aspettative più alte per questo disco. E se non ti aspetti qualcosa di più da 4 producer così freschi, benché sia solo un mixtape e concepito come tale, secondo me non ti vuoi bene.
Il prodotto è ben fatto, ben concepito ecc (non fraintendete eh), ma (il grande ma) non c'è una produzione che mi rimane, che mi segna e lo stesso vale per le liriche. Tutto molto bello, molto fresco e omogeneo ma hanno fatto il compitino (si può dire?). Venderà e verrà ascoltato perché ormai il marchio è di fabbrica e se ci metti quei nomi niente passa inosservato in Italia, ma dove è finita la voglia di spaccare e fare qualcosa di più spesso, che rimanga, con il love e la ricerca del classico che spacca la scena?
È vero è un mixtape, ma è prodotto da 4 artisti sulla cresta dell'onda e ci sono tantissimi mixtape o prodotti simili che hanno fatto la storia (penso a PMC vs Club Dogo, Qualcosa cambierà di Ghemon, Lingua Ferita di Lord Bean, tutti dischi che quando sono usciti hanno fatto dire "ora si fa questa merda così" rimanendo dei classici pur con una prerogativa del tutto underground e quindi meno potenziale). È vero restano altri tempi... Ma non ci è permesso di sognare? E di guardare con occhio critico al passato?
È un disco che si accontenta di ripiazzare il prodotto vincente e questo da 4 giovani geni non è perdonabile.
Detto ciò ci sono alcune cose interessanti... La strofa di Salmo in Machete Satellite lo conferma sempre abile a portare le tendenze straniere (drill core? Rap metal? Scarlxord per capirci) nel suo stile; Studiomob, per alcuni geniale per me una trashata galattica e di poco gusto, campionare studio aperto per una strofa di 1 minuto? Dai si può fare di meglio (almeno quando Marra rappava in Roccia Music su Lupin III, altro mixtape degno di nota, il pezzo era più complesso e di tutt'altro livello...non lo so insomma, non mi convince); Mara Sattei ha spaccato tutto in Altalene, pezzo che vede anche il buon Coez in compagnia della sorella di tha Supreme, il pezzo che mi è piaciuto di più, forse perche non rap.
Per il resto molta roba club e pop e altra roba che forse sono troppo vecchio perché mi possa interessare (Chemical non sei il nuovo Eminem, purtroppo per tutti).
Anche oggi cambiamo il mondo domani.
Pezzi consigliati:
ALTALENE feat Coez e Mara Sattei
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ROYCE DA 5′9″ - STREET HOP
E’ il momento del super classico. Voglio parlare di Royce da 5′9″. Parlare di Street Hop.
Per tutti gli amanti del rap della fotta, del rap della rivalsa, del rap dai tecnicismi lirici digrignati con la rabbia fuori dai denti... questo è il disco.
Quarto disco del rapper già affermato di Detroit (”king dei Backpackers”, membro degli Slaughterhouse), che viene fuori dopo un periodo di carcerazione e arriva con tutta la voglia di rivalsa di togliersi di dosso il peso e confermarsi come quell’MC che quando è in forma è a mio parere one of the greatest (ce ne è per davvero pochi pochi).
Incastri folli, parole troncate e masticate con rabbia (Gun Harmonizing ahahah assurdo; Dinner Time... cioe? si poteva fare?) fotta e ego gigantesco sorreggono uno stile e un flow ancora oggi freschissimo, della serie se il carcere sembrava mettere una brutta piega alla sua carriera, Royce ne esce fuori più pulito e incazzato, si riprende la scena alla grande di ignoranza e più “real” che mai.
Per me è uno dei dischi più riusciti, strumentali prodotte principalmente da Dj Premier, se già il puzzo di classico fosse difficile da togliere di mezzo, con Shake This (da brividi) e Something 2 Ride 2 (trippone stilosissimo con l’apprezzatissimo Phonte dei Little Brother), Hood Love ma anche Nottz e altri, tutti integratissimi.
Rapper di razza insomma, longevo e inteliggentissimo,difficile da negarlo, animale al microfono. Assolutamente da ascoltare.
Il mio brano preferito:
Gun Harmonizing feat Croocked I (lo so a memoria, geniale cazzo)
https://www.youtube.com/watch?v=Fc29wM2vbCg
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EMIS KILLA . JAKE LA FURIA - 17
Non è questo il giorno in cui cambieremo il mondo, ma il giorno in cui brucia (quindi tanto vale starsene a cavallo di cavalli impellicciati, noi, non i cavalli).
Tra voglia di street credibility (Emis) e soldi a palate (Jake) messi su palate di soldi (Emis & Jake), viene fuori un disco comunque esperto e solido.
Che dire? Ti piace il rap machistico, soldi, fica, pezzi di coca e zarraggine tipo a caso, ma a volontà? A me NO. Ma se a te si, potrebbe piacerti.
Tecnicamente il rap è insurclassabile, fresco, pieno di sberle in faccia, influenzerà sicuramente le nuove leve, specie quelle cresciute con il mito dei Dogo e della Milano rap, tra cui ahimè non mi trovate, grazie a Dio sono cresciuto altrove e c'ho 28 anni.
I cliché ci sono tutti ma non si può proprio dire che non spacchino tutte cose (fallo te un rap così, poi parli).
Resta un disco che ascolto con rimpianto, niente di nuovo, ribadita egemonia del cash flow milanese e tanta voglia de scopa, che ogni tanto ci sta comunque.
17 tracce di cui molte si ripetono: i due ci tengono a dire spesso che scopano e c’hanno i soldi e ribadire i soliti concetti che sembrano incarnare per scelte di vita e musicali, ma si differenziano per ignoranza (primi per distacco) e in questo sembra vogliano suonare “classic” rispetto a tanta roba trap di oggi, intento secondo me non riuscito. Tanti flow gia sentiti, basi in linea con il rap italiano di tendenza di oggi, sicuramente ben fatte, parole pesanti e lingua velenosa, questo si (broken language, maleducato, toro loco ecc x quasi 17).
Chi si aspettava una sorta di Club Dogo vecchia scuola reunion rimane deluso, chi si aspettava un rap più sperimentale con tematiche diverse rimane deluso... chi cerca invece il rap di oggi in Italia (non un vanto spesso), con tutti i clichè spinti al massimo e un secchio di zarraggine ha trovato il suo disco dell’anno, che infatti sicuramente venderà un botto, quindi contenti tutti (no???????). Questo è il mio parere, si fa per parlare.
Pezzi consigliati:
L’ultima Volta feat Massimo Pericolo https://www.youtube.com/watch?v=TDBY8XJwVP8
Quello che non ho https://www.youtube.com/watch?v=Un3HRFdPleE
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Oggi è come sempre croccantissimo da queste parti! Bello crispy!
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